BEETHOVEN, Ludwig van

Enciclopedia Italiana (1930)

BEETHOVEN, Ludwig van

Fernando Liuzzi

Il grande musicista tedesco nacque a Bonn il 15 o 16 dicembre 1770. D'origine fiamminga, la famiglia B. era di condizione modesta. A miglior grado sociale era pervenuta con l'avo Ludwig, stabilitosi a Bonn nel 1732, cantore prima, poi direttore d'orchestra dell'Elettore di Sassonia; ma dopo la sua morte (1773), la condotta disordinata e il vizio dell'alcool cui s'abbandonava il figlio Giovanni, tenore e violinista presso la medesima corte, avevano ridotto la casa a penose strettezze. Nel 1767 Giovanni B. aveva sposato Maddalena Kewerich, vedova di un valletto (Laym) dell'Elettore: da lei ebbe, oltre che Ludovico, altri sei figli, dei quali solo Gaspare e Nicolò sopravvissero.

Nella casa natale, al n. 515 della Bonngasse (ora sede del museo Beethoven con ricca collezione di manoscritti e cimelî), triste e disagiata fu l'infanzia del piccolo Ludovico. Al tedio delle lunghe ore d'esercizio sul cembalo e sul violino, che il padre rudemente gl'imponeva, non v'era compenso di serenità o di dolcezza domestica. Il ricordo della madre, che assumerà negli anni maturi un tono di venerazione appassionata, non era legato a nessuna profonda intuizione che l'onesta e laboriosa donna avesse avuto dell'animo e del genio filiale. Fin dall'adolescenza, d'altronde, il carattere di B. male si prestava a dare o a ricevere espansioni di tenerezza.

L'istruzione generica del fanciullo si limitò, sembra, a qualche anno di scuola elementare. All'insegnamento musicale provvide dapprima il padre, insieme con un caposcarico suo pari, Federico Pfeiffer. Partito da Bonn il Pfeiffer, toccò all'alunno una guida migliore in Francesco Rovantini, violinista, che morì di lì a poco, a ventiquattro anni; poi, dopo altre brevi esperienze presso organisti (il Koch, il van der Eden), l'undicenne B. incontrò il primo dei suoi veri maestri: Christian Gottlob Neefe (1748-98), che lo iniziò alla tecnica dell'armonia e del contrappunto. V'è nella sensibilità musicale dell'uno e dell'altro qualche cosa che intimamente li lega, e che in modo caratteristico traspare dai Lieder del Neefe.

Violinista nell'orchestra dell'Elettore e supplente del Neefe all'organo, B. comincia a contrarre amicizie nella buona società della città nativa. Prima, e cara fino alla morte, quella di Franz Wegeler, allora studente di medicina. Da lui è introdotto nella casa patrizia dei Breuning, ove la piccola Eleonora (Lorchen, poi moglie del Wegeler) porta nella vita dell'adolescente la prima nota di gentilezza. Presso i Breuning, B. conosce il conte austriaco Ferdinando Waldstein, che s'interessa di lui e gli ottiene dall'Elettore, nel 1787, una borsa per un soggiorno di studio a Vienna. Ma di lì a poco gli moriva la madre: un rapido ritorno gli permise appena di assisterla nelle ultime settimane. Del primo viaggio a Vienna si rammenta l'incontro con Mozart.

Cinque anni ancora trascorrono a Bonn, inaspriti dalle cure domestiche e dalla condotta sempre più dissipata del padre. B. non ottiene altre funzioni che quelle di maestro al cembalo in teatro e di viola in orchestra. Sola dolcezza, l'amicizia sempre più profonda coi Breuning e col Waldstein, che gli schiude un superiore mondo morale e culturale, e la consuetudine con buoni e affezionati musicisti quali il Ries, i due Romberg, Giuseppe e Antonio Reicha. Nel 1789 s'iscrive all'università, attratto probabilmente da corsi letterarî e filosofici (il van Schüren vi spiegava Kant). L'anno seguente ebbe occasione di vedere Haydn, che passava per Bonn nel recarsi a Londra. Quando questi al suo ritorno, nel 1792, sostò nuovamente nella cittadina renana, gli venne data a leggere una cantata del modesto sonatore d'orchestra: egli vi colse il lampo d'una promessa. Pochi mesi dopo, per intercessione del Waldstein, l'Elettore Massimiliano Francesco, fratello di Maria Antonietta e di Giuseppe II, permetteva a B., senza privarlo dello stipendio, di tornare a Vienna, ove - scrisse il Waldstein - egli era per raccogliere "lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn".

Lettere di presentazione del Waldstein aprirono a B. le porte dell'aristocrazia viennese. Nonostante mostrasse fin da principio uno spirito ribelle a ogni cortigianeria, B. vi trovò buona accoglienza. Svanita dopo un anno la pensione dell'Elettore, il musicista riceve ospitalità e più tardi un assegno annuo di 600 fiorini dal principe Lichnowsky. Il conte Browne (che gli dona un cavallo da sella), i Liechtenstein, gli Schwarzenberg, i Thun, i Lobkowitz lo ricercano per le loro serate. Il suo primo successo è di pianista e improvvisatore. Frattanto si dedicava seriamente allo studio della composizione, dapprima presso Haydn, poi sottoponendosi alla rigida disciplina contrappuntistica di Giovanni Albrechtsberger, e prendendo anche per guida nella composizione vocale Antonio Salieri, che frequentò fino al 1802. Nell'estate 1796 B. s'era fatto sentire come pianista a Praga e a Berlino, forse anche a Lipsia e a Dresda. Sosteneva ormai, e con vantaggio quanto a veemente trasporto, a nobiltà e varietà di fantasia, il paragone coi più rinomati pianisti del tempo: la sua attività di compositore invece appariva ancora enigmatica; grata soltanto a pochi amici, ammessi nella sua difficile intimità. Pur componendo intensamente, non aveva fretta di pubblicare: dei lavori d'adolescenza non aveva dato alle stampe se non una serie di variazioni per pianoforte su tema di Dressler (1783, "par un jeune amateur, Louis van Beethoven, agé de dix ans"), quando nel 1795 iniziò la pubblicazione per così dire ufficiale delle sue musiche con i tre trii, op. 1, dedicati al principe Lichnowsky. Ad una relativa popolarità pervenne presto la romanza Adelaide, su parole di Matthison, e negli anni tra il 1796 e il 1800 si svolse rapidamente la pubblicazione dei lavori composti in precedenza e di quelli via via prodotti: le prime sonate per pianoforte, le composizioni per più strumenti variamente riuniti (ammirato tra queste, dai contemporanei, il settimino), i primi quartetti, la scena per canto e orchestra Ah! perfido, i due concerti per pianoforte e orchestra op. 15 e op. 19 e la Prima sinfonia, composta nel 1797, eseguita il 2 aprile 1800, stampata l'anno seguente. Sono questi, per B., anni di buona fortuna. Non sprovvisto di denaro, ricercato dagli editori, ha cura della persona e del vestire, frequenta nobili case - aveva preso perfino lezioni di ballo -, conta allievi numerosi nella più alta aristocrazia, ai quali verrà ad aggiungersi l'arciduca Rodolfo. Sensibile alle grazie femminili, fin dal 1795 aveva chiesto la mano d'una giovine cantatrice, Maddalena Willmann: il rifiuto oppostogli "per bruttezza ed eccentricità" non sembra l'esponesse a crisi sentimentali. Era in realtà scarsamente dotato di pregi fisici: sulla persona robusta ma bassa e tozza, sul collo corto affondato tra larghe spalle, una testa leonina dall'ampia fronte convessa, un volto punteggiato dal vaiuolo, di colorito bruno, di mascelle potenti. Gli occhi mobilissimi, lampeggianti, espressivi, ad alcuni sembravano neri o d'un blu d'acciaio, ad altri color d'oro cupo. Di fine disegno le labbra, ma la voce era aspra, a volte stridula. Vivace nei gesti, e semplice nel conversare, in certi momenti facile alle arguzie e ai giuochi di parole, contrapponeva a qualche tratto ingenuamente grossolano un'istintiva fierezza, alle brevi espansioni periodi di brusca ritrosia. Sulla mobilità del carattere, come sul fondo buono e generoso dell'animo, tutti che lo conobbero e lasciarono memoria di rapporti anche fugaci con lui (Seyfried, Trémont, Varnhagen, Moscheles, Bursy, Russel, Fanny Giannatasio, Schnyder ed altri) sono d'accordo. Alcuni, come la moglie del suo amico Breuning, si maravigliavano che B. potesse piacere a una donna: nondimeno i suoi giovani anni non passarono senza amori. Son noti, tra il 1797 e il 1801, a Vienna e nei manieri ospitali di Korompa e di Mártonvásár, gl'idillî con la figliuola della contessa di Brunswick, Teresa, e con la cugina di questa, la contessina Giulietta Guicciardi: idillî che trovarono l'espressione suprema, l'uno (sembra) nella lettera "all'amata immortale" (1801), l'altro nella Sonata quasi una fantasia op. 27, dello stesso anno, che il poeta Rellstab chiamò del Chiaro di luna.

Ma una crisi tremenda sovrastava in quel tempo all'animo di B.; le prime avvisaglie della sordità, già avvertite per l'innanzi, si facevano via via più insistenti e temibili. Dopo due anni di sofferenze sopportate in silenzio, egli confida nel 1801 la sua pena a due amici lontani: a Wegeler e a Carlo Amenda. Nelle lettere, come nelle opere, cominciano ad apparire le note ineguagliabili dell'animo beethoveniano: dolore, breve rassegnazione, lotta e ribellione contro il destino, fede in un lontano ed aspro ma splendido trionfo del bene. Talora accoglie per salvatrice l'idea della morte. Il Testamento, scritto nell'ottobre 1802 a Heiligenstadt, è un tentativo disperato di riconciliazione con la vita. La morte coronata da un epicedio grave e glorioso - il pensiero se ne affaccia già nella Sonata op. 26 (1801), - si ripresenta più vasto e più fortemente avvinto a drammatici sviluppi nella sinfonia Eroica. Nondimeno l'alta moralità di B. contrastava al suicidio: destinato a vivere nel tormento della malattia che implacabilmente avanzava straniandolo dalla società e dal mondo sensibile dei suoni, egli si rifugia nella sua fervida vita interiore, si crea un mondo ideale in cui urgono, aspirando ad un'alta conciliazione, idee e fantasmi di contemplazione religiosa, di libertà morale, di civile attività, sensi d'amore alla natura, anelito a gioia sana: e ne compone sintesi musicali gagliarde, audaci, aspre talora di contrasti ideali, ma luminose sempre d'invenzione e di poesia. Ormai la sua vita terrena è infelice: ma una sorta di felicità spirituale, offertagli dalla consapevolezza della vastità dei suoi dominî mentali e dal senso della propria potenza nel concepire e nell'esprimere, egli può ancora goderla.

Nei primi tre lustri del secolo la sua arte dà un balzo in avanti: dalla Seconda all'Ottava sinfonia, da un modesto esperimento teatrale, il balletto Prometeo su invenzione coreografica di Salvatore Viganò (1801), al Fidelio (testo di Bouilly) con le sue quattro ouvertures (tre sotto il titolo di Leonora) e alle musiche per l'Egmont di Goethe, dall'oratorio Cristo sul monte degli Olivi alla Messa in do; senza contare i concerti per pianoforte e orchestra, le sonate per pianoforte fino all'op. 90, tutte le sonate per violino e il concerto per violino e orchestra, le sonate op. 102 per violoncello, alcuni trii e i quartetti fino a quello in fa minore op. 95, le composizioni per canto fino all'op. 99. Non a tutti questi lavori arride lieta fortuna: la Terza sinfonia, Eroica, composta nel 1803 "per festeggiare il ricordo di un grand'uomo" (è notissimo il fatto che la dedica a Napoleone fu rabbiosamente cancellata da B. quando il Bonaparte si proclamò imperatore), suscitò al suo apparire in pubblico (1805) giudizî discordi, rimproveri di oscurità, stravaganza ed eccessiva lunghezza e confronti a vantaggio non solo di un Mozart o di un Haydn, ma finanche di compositori mediocri come Antonio Eberl; e quel che è peggio, dettò cocenti ironie all'allora ventenne Carlo M. v. Weber (Künstlerleben, cap. 22), il quale non risparmiò sarcasmi neppure alla successiva Sinfonia in si bemolle. Fidelio, rappresentato per tre sere nel novembre 1805, rimaneggiato e rimesso in scena per due rappresentazioni nell'aprile 1806, per manchevolezze del libretto e dell'esecuzione, non poté sostenersi.

All'artista frattanto, pur tra dissensi e disconoscimenti, la rinomanza cresceva e cominciava ad accostarsi la gloria. Critici e scrittori come Federico Rochlitz ed E. T. A. Hoffmann ne seguono l'opera con alta fede: il Hoffmann scrive le prime analisi critiche sulla Quinta e la Sesta sinfonia, e nel 1813 un saggio sul complesso della musica istrumentale beethoveniana. La cerchia degli ammiratori s'allarga: se un incidente - la richiesta di suonare davanti ad ufficiali francesi, onde s'inalberò il fiero musicista - allontana nel 1806 da B. il principe Lichnowsky, amici confidenti e ospitali gli divengono l'ambasciatore russo Rasumowsky, la contessa Erdödy, la baronessa Erdmann, una delle sue predilette interpreti al pianoforte, il compagno di giovinezza di Schiller, Andrea Streicher, e sua moglie Nanette Stein, i medici oriundi italiani Bertolini e Malfatti (per una nipote di quest'ultimo, Teresa, il cuore di B. arse di nuovo, e ancora invano, tra il 1807 e il '10). Nel 1807 Gerolamo, re di Westfalia, lo chiama come direttore di musica alla sua corte di Cassel, ma l'arciduca Rodolfo, i principi Lobkowitz e Kimsky gli offrivano complessivamente una pensione annua di 4000 fiorini a patto che non lasciasse Vienna. Pel rapido dissesto del Lobkowitz, per la sopravvenuta morte del Kimsky, la rendita promessa diminuì sensibilmente, e B. n'ebbe delusioni e noie di liti giudiziarie; il deprezzamento della moneta nei tristi anni viennesi tra il 1808 e il '14 lo ridusse a frequenti preoccupazioni di denaro. Tuttavia l'ascesa spirituale non ebbe a soffrirne. Tra il 1810 e il '12 le sue relazioni col mondo della cultura si allargano: conosce, non senza tenerezza, Bettina Brentano che scrive di lui al Goethe; avvicina, nei frequenti soggiorni a Teplitz, il gruppo di poeti e d'artisti di cui fan parte Tiedge, Varnhagen, Rahel, la dolce Amalia Sebald, poco di poi Goethe stesso.

Nel 1813 un concerto fortunato gli conquistava di colpo il gran pubblico. Era sulle bocche di tutti il nome dell'inglese WelIington, trionfante con le armi a Vittoria. Per consiglio del meccanico Maelzel, che sperava farne un affare in Inghilterra, B. aveva composto un rimbombante pezzo orchestrale a celebrazione dell'avvenimento, una delle sue rare concessioni al gusto volgare. L'esecuzione, alla quale parteciparono i migliori musicisti di Vienna, diretti dallo stesso B., ebbe esito sorprendente. La Settima sinfonia, in la maggiore, che figurava in programma, destò appena una benevola attenzione; ma ciò cui non eran valsi sette capolavori sinfonici - far erompere l'entusiasmo - riuscì facile ai clangori della Vittoria di Wellington e il concerto fu ripetuto tre volte, con beneficio finanziario notevole. Fatto più importante, ne seguì una ripresa, questa volta felice, del Fidelio al teatro di corte, mentre altre composizioni di circostanza, oggi dimenticate, consolidavano la rinomanza ufficiale del musicista. Durante il congresso del 1815, B. accompagnò al pianoforte musiche proprie in presenza di tutti i regnanti convenuti al castello, fu ricevuto dall'imperatrice Elisabetta di Russia, ebbe doni e attestazioni di favore cospicue. In Germania e in Inghilterra ferventi apostoli propagavano le sue opere. Una cantata sul testo di Goethe: "Mare calmo e viaggio felice" (Meeresstille und glückliche Fahrt) e il canto Alla speranza su parole del Tiedge chiudono quel periodo di prospera fortuna.

Da allora, non più "mare calmo", né lampi di speranza. S'iniziano dieci anni d'esistenza inquieta e triste, tormentata dalla malferma salute, dalla misantropia, dall'isolamento, dal bisogno di danaro, dagli affanni domestici. Muore nel 1815 il fratello di B., Carlo Gaspare, lasciandogli la tutela del figlio Carlo. Per il nipote decenne il musicista s'accende d'un affetto intenso, geloso: lo contende alla madre, ch'egli odia come donna dissoluta e indegna d'educare il figliuolo; affronta, per conservar le funzioni di tutore, liti giudiziarie lunghe e penose. L'adolescente cresce svogliato e leggiero, ingrato, incapace d'un moto affettuoso. Frattanto la sordità s'è fatta completa. Dal 1816 è impossibile conversare col musicista se non per iscritto (i "quaderni" conservati nella Biblioteca di stato a Berlino formano un complesso di oltre 11.000 pagine): egli non può più sonare in pubblico, né dirigere. Varie malattie sopraggiungono. I cambiamenti d'abitazione, a cui B. si decideva bruscamente, per la minima contrarietà, si fanno frequentissimi, ma dovunque la sua casa è disadorna e disordinata. I progetti d'arte subiscono lunghe soste: tra il 1816 e il '22 le opere condotte a fine sono poche: le cinque sonate per pianoforte dall'op. 101 all'op. 111, l'ouverture "Per la consacrazione della casa" (Zur Weihe des Hauses) e alcune pagine minori. Vero è che le composizioni di facile successo non eran fatte per colui che in un taccuino del 1816 ammoniva a sé stesso: "Lascia l'opera e il resto, non scrivere che nella maniera tua propria". E le sonate dimostrano, con un orientamento nuovo di codesta "maniera", la profonda schiettezza di tali propositi. Schiettezza che sale a stupenda monumentale affermazione nelle opere degli ultimi anni: la Missa solemnis (1819-23), la Sinfonia con coro finale sull'ode alla Gioia (1822-23), i cinque quartetti dall'op. 127 all'op. 135 (1824-26). La "Grande messa", ideata per la consacrazione arcivescovile dell'arciduca Rodolfo, fu eseguita durante la vita di B. solo in parte, con la Nona sinfonia, nel 1825.

Al Rochlitz, che l'aveva visitato nel 1822, B. non era parso del tutto infelice. L'aveva trovato in un'ora serena, in pieno gigantesco lavoro, fervido di progetti per l'avvenire (eran tra questi una Decima sinfonia; un oratorio, Saul; la musica pel Faust di Goethe; aveva anche pensato ad un'opera, Melusina, su libretto del Grillparzer). Ma agli altri, musicisti poeti ammiratori (Schubert, Liszt, Weber, Rossini, Hiller, il poeta Rellstab, l'amico di Goethe, Zelter) l'impressione che l'artista destava negli ultimi anni era quasi sempre penosa. Abitava dal 1825 in una vecchia malinconica casa, già convento di domenicani spagnuoli (Schwarzspanierhaus). Pochi intimi s'occupavan di lui: devoto fra tutti Antonio Schindler, musicista, che fu poi tra i biografi fondamentali del Maestro. Privo di mezzi, non ebbe che un aiuto, dieci giorni avanti la fine: un sussidio di 100 sterline inviatogli dalla Sociea filarmonica di Londra a istanza del suo amico Moscheles. Fu l'ultimo conforto, cui rispose con gratitudine estrema. Disfatto da una cirrosi al fegato, quattro volte sottoposto a punture addominali per diminuire l'idropisia, il 24 marzo 1827 B. non aveva più conoscenza. Due giorni ancora gli resistette il respiro: la sera del 26, tra gli scoppî d'un uragano, il maestro aperti un'ultima volta gli occhi, li richiuse per sempre. Solo uno degli amici, Hüttenbrenner, era presente: gli altri due fidi, Schindler e Holz, erano usciti per cercargli una tomba. Ma alle esequie, in cui fu letta un'allocuzione di Francesco Grillparzer, tutta Vienna si commosse, conscia finalmente di aver perduto un genio.

"La musica è il vincolo che unisce la vita dello spirito alla vita dei sensi, ed è l'unico accesso immateriale al mondo superiore della conoscenza, mondo che abbraccia l'uomo ma che l'uomo non può a sua volta abbracciare. Nella musica lo spirito vive, pensa e crea". Così Bettina Brentano (lettera a Goethe, 1810) asserisce esserle stato detto da Beethoven medesimo; e certo v'è in queste parole, se anche letteralmente dubbie, qualche cosa che aderisce intimamente ai moti più profondi, alle più alte aspirazioni dell'arte beethoveniana. La quale, in quanto s'adegua a codesto anelito d'illuminazione spirituale, appagandolo in forme di sovrana bellezza, costituisce una delle somme manifestazioni del genio umano, una conquista estetica che non ha riscontro, nell'età moderna, se non in Shakespeare e in Michelangiolo. Come costoro e come Dante, B. è, più che un figlio, un dominatore del proprio tempo: egli dice ai contemporanei, come Schiller auspicava, non tanto ciò ch'essi possono gradire quanto ciò di cui hanno bisogno per procedere oltre. Certo egli è tra coloro che sentirono più profondamente la necessità d'un'armonia tra arte e pensiero, tra pensiero e idealità morale.

Non che mancassero precedenti a siffatta aspirazione. Oltre che in Haydn e in Mozart, i cui nomi sono posti tradizionalmente a modello della produzione giovanile di B., la critica recente ha riconosciuto con giustezza i segni d'un indirizzo ideale e stilistico che prelude a quello beethoveniano sia nei Lieder del Neefe già ricordato, sia in Carlo Filippo Emanuele Bach, e meglio (Prieger, D'Indy) in Francesco Guglielmo Rust (1737-1796) per ciò ch'è àmbito e svolgimento "dialettico" della sonata. Ma non si tratta, in fondo, che di lievi accenni, ai quali manca, soprattutto, il suggello della consapevolezza e della volontà, pieno e lampante, invece, in B. Carattere forte, energico, egli parte da una visione realistica della vita, da esperienze concrete, da un candido amore per la natura, da un sentimento di consanguineità e solidarietà morale con l'umanità, e concepisce l'opera d'arte sotto un ímpulso appassionatamente cordiale. Trascorsa appena l'età giovanile, la concezione dell'Eroica lo impegna a un indirizzo nuovo e formidabile, a uno sviluppo tragico di quei sentimenti e di quegli impulsi. C'è, prima, un'oasi di tenerezza, una pagina d'amore: la sonata Al chiaro di luna, il grido dell'anima a Giulietta Guicciardi. Ma è un momento isolato, unico forse nella creazione di B.; ché l'amore di donna non investe, fuori di lì, la sua arte. Altri problemi d'interesse più vasto urgono ormai nel suo spirito: primo e massimo - lo ha efficacemente riconosciuto, tra gli esegeti di B., Paul Bekker - quello che d'improvviso travolge la sinfonia a dramma: il problema dello spirito anelante alla propria affermazione, al superamento della materia e del destino, alla libertà.

Donde questo problema provenisse e s'imponesse al pensiero di B., non è difficile stabilire. Esigenza intima, profondo ardente impulso interiore sì, ma la scintilla che accese l'animo suo era nell'aria. Dal messaggio lanciato da Gian Giacomo Rousseau s'era venuto formando l'uomo nuovo. Tra gli spiriti che davano alla gente tedesca fermenti più vitali e fervidi di vita nuova, i più prossimi, i più affini al maturato animo di B. - poi che Goethe, il solo vivente oltre il 1805, già s'era fatto "olimpico" - sono Kant e Schiller. Come in Kant egli vede l'affermatore sublime della responsabilità morale e del mistero del "cielo stellato", così in Schiller il campione della missione artistica assunta quale propagatrice d'idee, eccitatrice di fede. A tale apporto d'idee e d'azione morale s'aggiunga il nutrimento di letture predilette: accanto alle "herderiane" (Ossian, Shakespeare), Omero, Plutarco, Senofonte, rivelatori di tipi umani eccelsi; s'aggiunga un'immaginazione e una linfa inventiva maschia e gagliarda, un'esperienza musicale e orchestrale già controllata in floride pagine, pronta a tutte le lotte, a tutte le audacie pur di piegare la materia sonora al ritmo dell'idea e condurla all'espressione completa: il momento della creazione sinfonica destinata a realizzare nel ciclo dei suoi "tempi" una visione poetica d'incrollabile se pur tempestosa organicità è venuto. Nell'Eroica è la libertà umana in generale che giunge al trionfo, per il duplice tramite dell'azione e della conoscenza.

Mentre Fidelio cerca una realizzazione scenica al sentimento della libertà individuale, fiancheggiato da fedeltà e pietà religiosa (anche qui la concezione è astratta: B. non aveva il dono di far balzare, come Mozart, Spontini e Rossini, caratteri scenici musicali), la Quarta sinfonia placa l'urgenza dei palpiti eroici in una pausa, o meglio in un acquietamento tra affettuoso e umoristico, non scevro di colori romantici, appagato, si direbbe, dal piacere stesso dell'arte, che v'è nitidissima. Forse per effetto della quasi contemporanea composizione scenica del Fidelio, la Quarta sinfonia segna il passaggio della materia poetica, nel campo sinfonico, dal mondo esterno al puro mondo spirituale: di qui innanzi, quando si ripresenti alla fantasia un modello esteriore, una "persona", la trasfigurazione musicale ne è affidata alle ouvertures: Egmont (Goethe), Coriolano (H. Collin), una quarta volta, nel 1814, Fidelio. Egmont, Coriolano: altri aspetti di titanica volontà qui sommersi nell'idea di patria: l'eroe solo, di fronte alla società ostile, afferma la propria libertà "volendo" la morte. Con la Quinta (1807) prorompe uno dei drammi più ardui che lo spirito di B. abbia vissuto: l'urto tra la volontà e le resistenze occulte, nemiche, implacabili che si assommano nel misterioso concetto del Fato. Ma la lotta, ancorché vittoriosa, è stata immane: l'ardore combattivo chiede, per ritemprarsi, una sosta di tranquillità e di freschezza. Ed ecco, il poeta orienta il suo desiderio di libertà verso la serena contemplazione della natura (Sesta sinfonia, Pastorale, 1808), poi lo conduce con la Settima sinfonia a un soddisfacimento cercato nell'ebbrezza orgiastica, nel miraggio di luci irreali che trascorre dall'estasi all'impeto dionisiaco. Infine la Sinfonia in fa magg. (l'Ottava) porge il filtro dell'oblio. È un momento apollineo, lirico, un canto di avvenuta liberazione.

Ma il problema fondamentale che ha sospinto B. a passi di gigante sulla via dell'arte non ha esaurito i suoi aspetti. Che è dei rapporti tra l'uomo e il Cielo? V'è una libertà dello spirito in Dio? V'è un appagamento perfetto, una conquista suprema nell'ordine morale col sentirsi investiti dell'afflato divino? Ecco la Missa Solemnis: non l'atto liturgico, non l'adorazione rituale, ma lo sforzo di adeguarsi spiritualmente al Creatore: il simbolo del concetto che la creatura, misticamente incarnandolo, ospita il Dio. Un passo ancora, l'ultimo passo "umano": il distacco dall'esperienza, ormai, come attualità, dileguata: la visione riflessa del ciclo compiuto, la "conoscenza" alfine di quanto determina e afferma la Vita - lotta, impeto fantastico, contemplazione - sotto la luce d'una passione morale. E un inno alla divina gioia, alla solidarietà, al bene. Una rievocazione, una fede, un auspicio: la Nona sinfonia.

A codesti grandi momenti sinfonici procede in massima parallelo, per qualità e aspetti d'ispirazione, il sorgere delle opere minori. Così, per un accenno sommario, tra l'Eroica e il Fidelio stanno le superbe sonate, op. 53 (Aurora), op. 57 (Appassionata), op. 47 per violino e piano (a Kreutzer): cosi al momento affettuoso e fantastico della Quarta sinfonia s'accompagnano il Concerto in sol per Pianoforte e i quartetti, op. 59; e tra l'Egmont e la Settima sinfonia fioriscono il concerto in mi b. per pianoforte, il Trio in si b., op. 97, i quartetti op. 74 e 95, canzoni su versi di Herder e di Goethe. Nulla sta intorno alla Vittoria di Wellington: è una pausa di vuoto. Ma alle espressioni supreme della Missa solemnis e della Nona sinfonia s'ascende per i gradi maestosi, largamente spaziati, delle mirabili ultime sonate per pianoforte, di cui ciascuna segna cosi un intenso raccoglimento dello spirito come un'espansione audace, originale e possente d'architettura sonora. Dopo la Nona, nel margine dei tre anni estremi, la sostanza fonica di B. sembra abbandonare il solido piano terrestre per sospendersi in una sfera del tutto ariosa, ove il massimo dell'unità timbrica, il massimo della duttilità lineare consentano lievità, calma e purezza ai colloquî dell'anima con le memorie. Sorgono cosi gli ultimi quartetti.

Senza analizzarne gli elementi formali, possiamo dire, in via generale, che l'arte di B. non conosce altro agente se non la rigorosa efficienza della forma: forma "assoluta", cioè unicamente musicale, non imitativa, non descrittiva, per la massima parte dissociata anche dalla parola. L'invenzione tematica, senza giungere alla fertilità sorprendente di altri musicisti, è tuttavia copiosa, originale, chiara; nell'intuizione armonica, come nella tecnica dell'orchestra, spicca la rapidità e potenza dei trapassi da ombra a luce. Stupenda per ampiezza di piani, per coesione, per vigore di ritmi, per dinamismi imponenti, per accuratezza e felicità di dettagli è la sua energia costruttiva. Molto minor fortuna, fatta eccezione di alcune belle e pensose melodie, egli ebbe nella creazione vocale, che non dominò quasi mai senza sforzo. La sua intuizione spontanea, istintiva, era strumentale, e trovava gli svolgimenti migliori nell'àmbito della "sonata": àmbito che dai limiti consentiti ad uno o a pochi strumenti poteva dilatarsi fino a scena della molteplice azione sinfonica. Accanto alla sonata, la forma lirica a nucleo unico del lied, che culmina nella "variazione"; e quella ch'è mescolanza quasi rapsodica dei due elementi, lirico e drammatico, il rondò. La vena d'umorismo fantastico, a volte tragico e demoniaco, che fu caratteristicamente propria a B., s'espanse di preferenza nello "scherzo", trasformazione drastica, scintillante, alata del minuetto. Ma né questa, ch'è di suo stampo, né qualsiasi altra delle forme tradizionali egli assunse mai come schemi. Le riplasmò anzi di volta in volta, secondo un'intima necessità, animandole del proprio spirito non d'altro occupato che della creazione poetica. Nel lavoro fu di rado rapido: l'insoddisfatta esigenza di un raffinamento lo portava spesso a lunghe elaborazioni interiori. Quanto a classificazione stilistica, non crediamo che la nota ripartizione dei tre stili beethoveniani, proposta dal Lenz e seguita da una numerosa coorte di commentatori, abbia ormai altro valore che di criterio scolastico. Esteticamente parlando, non può vedersi in B. - anche nel B. degli ultimi numeri d'opera, quartetti e sonate - altro stile se non quello che lo conduce, con magnifica varietà e con ferrea unità, all'espressione del suo pensiero, e che quindi ascende, collima, s'identifica col pensiero stesso. Riconoscere i momenti successivi e i diversi modi di codesta sintesi non vuol dire ripartire artificiosamente ciò che è continuità di vita creativa. Spiritualmente, la posizione di B., come s'è accennato, è quella dell'idealismo classico. La sua potenza d'astrazione, l'universalità dell'idea, il distacco dell'arte, salvo rarissimi casi, da ogni contenuto ed evento pratico - dalla parola stessa in quanto legata a riferimenti particolari, l'aspirazione al "conoscere" estetico, l'animo eroico e severo e insieme commosso di bontà e d'amore, lo designano al sommo della corrente che lega con Kant, con Goethe, con Schiller il secolo XVIII al XIX, meglio che a capo del movimento romantico. Se alcuni tra i romantìci, come Hoffmann e Schumann, si rispecchiarono in lui e lo tennero per maestro, perché presagi di romanticismo non mancano nell'opera sua, è nondimeno innegabile ch'essi sentirono e portarono nell'arte limiti e interessi ignoti a B., e che questi conobbe sfere inaccessibili agli artisti della generazione successiva.

Opere principali (in ordine cronologico): 1782, variazioni per pianoforte, fuga per organo, una melodia; 1783-84, tre sonate, rondò e parte di un concerto per piano, una melodia; 1785-87, tre quartetti, un preludio e un trio; 1789-90, due preludî, variazioni, un tempo di concerto per piano, due cantate, due arie; 1791-92, un balletto, due serie di variazioni, due sonatine, un ottetto, due trii ed altra musica da camera, melodie; 1795, tre sonate op. 2 e tre serie di variazioni per piano, danze per orchestra, tre trii op. 1, sestetto op. 81, trio op. 87 ed altra musica da camera, melodie; 1796, due sonate, due sonatine, un rondò per piano, due sonate per piano e violoncello, quintetto d'archi e altra musica da camera, melodie; 1797-98, sei sonate e variazioni per pianoforte, 1° e 2° concerto e rondò per pianoforte e orchestra, Prima sinfonia in do op. 21, quattro trii, tre sonate op. 12 per piano e violino; 1799-800, variazioni e sonata op. 22 per piano, 3° concerto per piano e orchestra, sei quartetti op. 18, settimino, sonata per piano e corno; 1800-802, sette sonate (fino all'op. 31), rondò, marcie e variazioni per piano, Seconda sinfonia in re op. 36, due romanze per violino e orchestra, oratorio Cristo sul Monte degli Olivi, cinque sonate per piano e violino ed altra musica da camera; 1803, danze per piano, Terza sinfonia in mi bemolle op. 55 (Eroica), sonata op. 47 (a Kreutzer) per piano e violino, melodie; 1804-06, tre sonate per piano, fino all'op. 57 (Appassionata), concerto per piano, violino, violoncello e orchestra, 4° concerto per pianoforte, concerto per violino e orchestra, Fidelio con le tre ouvertures intitolate Leonora, Quarta sinfonia in si bem. op. 60, tre quartetti op. 59, melodie; 1807-08, fantasia per piano, coro e orchestra, Quinta sinfonia in do min. op. 67, Sesta sinfonia in fa (Pastorale) op. 68, Messa in do per soli, coro e orchestra, sonata op. 69 per piano e violoncello, due trii, melodie; 1809-10, tre sonate fino all'op. 81, variazioni e fantasia per piano, 5° concerto per piano e orchestra, Egmont, varî pezzi per banda, quartetti op. 74 e 95, melodie; 1811-13, Settima sinfonia in la op. 92, Ottava sinfonia in fa op. 93, musica per Le rovine d'Atene e Re Stefano (di Kotzebue), Vittoria di Wellington, trio op. 97, sonata per violino e piano, pezzi vocali; 1814-15, sonata op. 90 e polonese per piano, ouvertures: Fidelio e Per l'onomastico, due sonate op. 102 per piano e violoncello, cantate, arie; 1816-22, cinque sonate (dall'op. 101 all'op. 111) e Bagatelle per piano, marcia per la Guardia imperiale, danze per orchestra, fuga e quintetto d'archi, variazioni per piano e flauto, pezzi vocali; 1822-23, Missa solemnis in re op. 123, ouverture e coro Zur Weihe des Hauses op. 124, Nona sinfonia in re min. op. 125, variazioni per trio, melodie; 1824-26, cinque quartetti dall'op. 127 all'op. 135, pezzi vocali a canone, tre piccole danze e Ultimo pensiero (pubbl. postuma) per pianoforte. Abbozzi per una Decima sinfonia.

Bibl.: Il saggio migliore di bibliografia beethoveniana è quello di Kastner e Frimmel, Beethoven Bibliographie, Lipsia 1925. Un saggio assai più modesto, a cura di M. D. Calvocoressi, si trova in appendice alla nuova ediz. parigina (1908) del vol. di W. de Lenz, Beeth. et ses trois styles.

Per la biografia fonte principale resta a tutt'oggi A. W. Thayer, Ludwig van Beethovens Leben, traduz. tedesca di Hermann Deiters, Berlino 1866-72, integrata e riveduta da Hugo Riemann, Lipsia 1901-1910: opera che aduna una enorme quantità di notizie, ma non soddisfa in tutto né per l'ordinamento né per l'interpretazione di tanta materia. Importante è pure A. B. Marx, Beethovens Leben u. Schaffen, Berlino 1859, nuova ediz. riv. da G. Behncke, ibidem, 1901, altre ediz., Lipsia 1902 e 1906. Tra i lavori biografici più o meno completi, dettati da amici personali di Beethoven si possono vedere: Schindler Biogr. von L. v. B., Münster 1840, 3ª ed., 1860 (trad. franc. Sowinski, 1865); Wegeler e Ries, Notizien über L. v. B., Coblenza 1838, nuova ed. riv. da Kalischer, Berlino 1906 (trad. franc. Legentil, 1862); Breuning, Aus dem Schwarzspanierhaus, Vienna 1874. Ricordi e impressioni di contemporanei sono stati pure raccolti in parecchie pubblicazioni; la più recente è quella di J. G. Prod'homme, B. raconté par ceux qui l'ont vu, Parigi 1927.

I quaderni di conversazione e gli appunti e schizzi musicali di B., sono stati in parte pubblicti dal Nottebohm (Beethoveniana, voll. 3, Skizzenbücher, ecc., Lipsia in varî anni e la pubblicazione si vien continuando saltuariamente presso Breitkopf e Härtel. Sull'elaborazione degli schizzi musicali, vedi P. Mies, Die Bedeutung der Skizzen B.'s zur Erkenntnis seiner Stiles, Lipsia 1925. L'edizione critica fondamentale delle opere di B. è pure apparsa, a cura di varî, presso Breitkopf e Härtel, 1864-67, con supplem. del 1888.

Dell'epistolario le ediz. migliori sono: Kalischer, B.'s sämmtliche Briefe, Berlino 1909 e Prellinger, B.'s sämmtl. Br. u. Aufzeichnungen, Vienna 1907-14. Una mediocre scelta e versione italiana delle lettere è stata fatta da A. Albertini, Torino 1926.

Per l'iconografia beethoveniana si veda Th. Frimmel, B.'s äussere Erscheinung, Monaco 1905.

Tra le numerosissime monografie biografico-critiche, ha avuto grande diffusione lo studio di W. de Lenz, B. et ses trois styles, voll. 2, Pietroburgo 1852, Bruxelles 1854, Parigi 1855 e 1908. Ottimo è il denso volume di P. Bekker, Beethoven, Berlino 1911, oggi alla 3ª ediz. Più modesto il B. di V. d'Indy, Parigi 1913. Come rapidi "profili" sono eleganti quelli di R. Rolland, Vie de B., Parigi 1903, e di A. de Hevesy, B., vie intime, Parigi, 7ª ed., 1926; quest'ultimo ha in appendice documenti interessanti sulle relazioni e sulle tare organiche ereditarie di B. Sulla sordità si veda G. Bilancioni, La sordità di B., Roma 1922. Gli studî particolari sulle opere naturalmente non si contano. Sulle sinfonie è fondamentale: Grove, B. and his Nine Symph., Londra 1896 (trad. ted. di M. Hehemann). Più modesti: J. G. Prod'homme, Les Symph. de B., Parigi 1906, e Colombani, Le Nove Sinf. di B., Torino 1897. Si veda anche E. Prieger, B.'s Entwickelung als Symphoniker, Bonn 1894. Sui Quartetti: H. Riemann, B.'s Streichquartette; T. Helm, id. id.; sulle sonate: W. Nagel, B. u. seine Klaviersonaten, Langensalza 1903-05, voll. 2; K. Reinecke, B.'s Klaviersonaten, 2ª ed., Lipsia 1897; G. Scuderi, B., le sonate per pf., Milano 1926.

Buoni studî si trovano nei B.-Hefte della rivista berlinese Musik (A. Ebert, R. Hohenemser, H. Volkmann, ecc.) e nel II vol. degli Aufsätze zur Musikgeschichte di A. Sandberger, Monaco 1924.

Gli scritti di Riccardo Wagner su Beethoven sono stati raccolti in un volume, Stoccarda 1923. Altre pagine interessanti sull'arte beethoveniana si trovano disseminate tra gli scritti di E. T. A. Hoffmann, R. Schumann, F. Liszt, H. Berlioz, ecc. Recentemente sono apparsi: Th. Frimmel, B.- Handbuch, 2 voll., Lipsia 1926; R. Rolland, Vie de B., Parigi 1929, 2 voll.; Ed. Herriot, Vie de B., Parigi 1929.

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