ALAMANNI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ALAMANNI, Luigi

Robert Weiss

Nacque a Firenze il 6 marzo 1495 da Piero di Francesco, filomediceo e gonfaloniere nel 1490 e nel 1512, e dalla sua quarta moglie, Ginevra di Iacopo Paganelli, e fu battezzato Luigi Francesco. Studiò grammatica sotto l'umanista Niccolò Angelio da Buccine; nello Studio fiorentino frequentò icorsi di Francesco Cattani da Diacceto. Ma la vera formazione dell'A. ebbe luogo nella società degli Orti Oricellari, dove il Diacceto occupava una posizione simile a quella del Ficino nell'Accademia Platonica. Fu appunto nelle riunioni degli Orti che l'A. lesse le sue prime produzioni poetiche e fece amicizia con Zanobi Buondelmonti e con il Machiavelli (che ricordò l'A. nei Dialoghi dell'arte della guerra e dedicò a lui e al Buondelmonti la sua Vita di Castruccio Castracani). In questi anni l'A. si occupava già della sua professione di lanaiolo, ma trovava tempo per l'attività letteraria e per lo studio del latino e del greco. Intanto nel 1516 aveva sposato Alessandra di Battista Serristori, che gli dette vari figli, tra cui Battista e Niccolò. Nel1518 copiava antichi scoli in margine ad un esemplare dell'Omero fiorentino del 1488, ora a Eton College, e fu probabilmente allora che cominciò a tradurre in italiano l'Antigone di Sofocle. Durante il primo decennio della restaurazione medicea gli Orti Oricellari erano diventati il centro dell'opposizione ai Medici. Nel 1522 l'A. fece parte, insieme con Zanobi Buondelmonti, lacopo da Diacceto ed altri, di una congiura che si riprometteva di uccidere il cardinale Giulio de' Medici e di cambiare il governo di Firenze. La congiura venne però scoperta: Luigi di Tommaso Alamanni, un congiunto del poeta, e lacopo da Diacceto furono decapitati il 7 giugno 1522, mentre l'A. e il Buondelmonti riuscirono a fuggire. Dichiarati ribelli, avrebbe ricevuto 500 ducati chiunque li uccidesse.

L'A. trovò il suo primo rifugio a Venezia. Durante l'estate del 1522 era però già a Lione. Al servizio di Francesco I, fu inviato in settembre in missione a Venezia, ma, passando per i Grigioni, venne imprigionato dagli Svizzeri, che lo rilasciarono soltanto alla fine dell'anno, dopo il pagamento di un riscatto. Nel gennaio del 1523 era già tornato a Lione, ma in agosto era di nuovo in viaggio per l'Italia, con le truppe condotte dal maresciallo di Montmorency. Pochi mesi dopo, alla fine dell'anno, si trovava in Provenza, dove gli giungeva la notizia della elezione del cardinale Giulio de' Medici al trono pontificio. Nella primavera del 1524 era ad Aix. Periodo questo altrettanto oscuro nella biografia dell'A., quanto fecondo per attività letteraria: fu in questi anni che conobbe e celebrò in versi il suo amore per una genovese, residente ad Aix, Batina Larcara Spinola, la "Ligura Planta" del suo canzoniere amoroso.

Nell'agosto del 1525 l'A. era a Tolone in attesa d'imbarcarsi con la sorella del re, Margherita, che si recava da Carlo V per trattare il riscatto del fratello; in ottobre navigava lungo la costa toscana, probabilmente con Andrea Doria, che era allora al servizio della Francia. Finalmente, l'espulsione dei Medici da Firenze, nel 1527, pose termine a questo suo primo esilio. In maggio era già tornato in patria. Ai concittadini che contavano, allora, di ottenere aiuti dalla Francia, l'A., al corrente della situazione politica, consigliò invece un'alleanza con l'imperatore. Essendo intanto sorto il problema delle truppe francesi che il Lautrec guidava verso Napoli, mentre Andrea Doria si incaricava del trasporto per mare di altre truppe comandate da Renzo da Ceri, l'A. venne nominato commissario generale presso i luogotenenti del re di Francia ed il Doria con il compito di soddisfarli ed allo stesso tempo salvaguardare gli interessi fiorentini. In novembre era di nuovo a Firenze, dove intanto la peste gli aveva tolto il suo amico e compagno d'esilio, Zanobi Buondelmonti. Durante questo soggiorno fiorentino l'A. fu impiegato specialmente in negozi diplomatici. Così nel 1529 andò in legazione a Genova presso Andrea Doria col quale si recò a Barcellona; fu poi inviato presso Carlo V, ma il suo incontro con l'imperatore a Savona il 10 ag. 1529 non portò alcun vantaggio a Firenze. Di ritorno a Genova si adoperò per aiutare la sua città assediata dagli imperiali. Ma nel 1530, espulso da Genova, si rifugiò di nuovo in Francia, dove gli giunse notizia della resa di Firenze e del ritorno dei Medici, che si affrettarono a bandirlo in Provenza per tre anni.

Rendendosi conto che la sua vita ormai doveva svolgersi in Francia, volle conquistarsi il favore di Francesco I, ed a tale scopo l'A. dedicò tutte le sue energie e le sue arti cortigiane. Già nel 1531 il re gli concedeva il Jardin du Roi ad Aix; segua la cessione della signoria di Tullins nel Delfinato per dieci anni, nonché una largizione di ìooo scudi del sole il 19 sett. 1532. L'edizione delle Opere toscane, in due volumi, che l'A. pubblicò nel 1532-33 a Lione, fu dedicata a Francesco I, che non mancò di compensarlo generosamente. Nel 1539 gli si offri l'occasione di tornare in Italia, come segretario al seguito del cardinale Ippolito d'Este. Tale viaggio, che si protrasse fin verso la fine dell'anno seguente, diede all'A, l'opportunità di importanti contatti letterari: nelle sue visite a Padova, Roma e Napoli s'incontrò col Varchi, Daniele Barbaro, Sperone Speroni, il Bembo e Vittoria Colonna. Tornato in Francia alla fine del 1540, nel marzo del 1541 si recò a Venezia come ambasciatore straordinario di Francesco I. Questa ambascena durò poco: il 26 di maggio l'A. era di nuovo in Francia.

Nel 1542 l'A. perdette la moglie; nella primavera del 1543 sposò una giovane fiorentina, Elena Bonaiuti. Nel 1544 ritornò in Italia, questa volta come ambasciatore a Genova. Non vi sono prove che fosse inviato in questo torno di tempo in missione a Carlo V, come fu sostenuto da alcuni. È invece provato ampiamente che godeva grande favore a corte, e che tale favore continuò pure sotto Enrico II e Caterina de' Medici. Da questa era anzi stato nominato nel 1544 "Maître d'Hôtel", carica che tenne anche dopo che la delfina diventò regina. Gli ultimi anni della vita dell'A, furono intensi di attività letteraria. Nell'estate del 1551fu ancora inviato da Enrico II ambasciatore a Genova, nel tentativo di guadagnarla alla causa francese. La missione non fu però coronata da successo; anzi all'A. non venne permesso di fermarsi a Genova per più di tre o quattro giorni. Questa fu la sua ultima missione diplomatica, poiché quella in Inghilterra avvenuta nell'autunno 1553 ebbe solo lo scopo di portare doni e congratulazioni a Maria Tudor in occasione della sua incoronazione.

La principale occupazione dell'A. era allora la revisione delle sue opere. Nel 1555egli terminò quella della Flora, che fece rappresentare a Fontainebleau durante il carnevale di quell'anno. Il 1 apr. 1555 fece testamento. Era ancora intento alla revisione dell'Avarchide quando morì di dissenteria ad Amboise, dove era allora la corte, il 18 apr. 1556.

Nella vasta produzione lirica dell'A. le poesie per "Flora", cioè Chiara Fermi, sono anteriori al primo esilio. Al 1523 appartengono invece quelle alla "Vermiglia Rosa", mentre all'anno successivo sono da assegnarsi le altre a "Cinthia". Vengono poi quelle alla "Ligura Planta", cioè Batina Larcara Spinola. Con l'esilio, compaiono sue poesie piene di amor di patria, di nostalgia e di amarezza, ma anche di speranza (sono poesie anteriori al 1527) in Francesco I per la libertà di Firenze.

Di soggetto amoroso sono i tre libri di Elegie, composti sul modello di Properzio e di Tibullo nel 1522-25, in cui cantò in terza rima il suo rimpianto per Flora, lasciata in riva all'Arno, e per Cinzia, incontrata in Provenza. Un quarto libro di Elegie èdi soggetto sacro, trattato con abuso di mitologia. L'elemento mitologico è pure presente negli Inni, che non sono in fondo che odi in settenari, dove è evidente l'influsso di Pindaro.

La produzione lirica dell'A. include anche poesie di soggetto moraleggiante, dove l'A. ha accenti personali di sconforto e di dolore (per la esecuzione dei congiurati del 1522, per la morte del fratello Ludovico, avvenuta nel 1527, o per quella di Zanobi Buondelmonti). Espressione di una crisi religiosa nell'autunno del 1525 sono, oltre al quarto libro delle Elegie, anche un'egloga, una decina di sonetti, nonché sette salmi penitenziali.

A questo primo periodo dell'attività letteraria dell'A, appartengono alcune delle sue Egloghe. Così le due scritte per la morte di Cosimo Rucellai furono redatte certamente nel 1519. In altre, del periodo dell'esilio, il poeta lamenta le proprie disgrazie. Evidente nelle Egloghe l'ispirazione virgiliana, ma anche petrarchesca.

Influsso di Stazio si ha invece nelle diciassette Selve che compose nel 1527-28, dove tratta d'amore, nonché della morte del suo Buondelmonti, e dove l'esaltazione della Francia si alterna a severità verso la politica imperiale. Le Selve sono in versi sciolti; in ottave le Stanze; in terzine le sue tredici Satire, del triennio 1524-27. L'A. fu tra i primi a comporre in versi sciolti, metro questo che pretese di aver inventato e che certamente usava di già prima del 1520: in versi sciolti infatti condusse in gioventù una versione italiana dell'epitalamio di Catullo, ed in endecasillabi e settenari sciolti è pure la sua traduzione dell'Antigone di Sofocle, versione composta tra il 1520 ed il 1527.

Le opere dell'A. anteriori al 1532 includono pure quattro poemetti dedicati a Francesco I. Tre di questi, le favole di Narciso, d'Atlante e di Fetonte, sono di ispirazione ovidiana. Il quarto poemetto, Il Diluvio Ronzano, ha invece per soggetto l'inondazione della Valle Tiberina: il poeta coglie l'occasione per presentare Francesco I come il vero salvatore dell'Italia.

Eccettuata la versione dell'epitalamio catulliano, queste opere videro la luce a Lione nel 1532-33. Però, già prima di essere stampate, alcune di esse circolavano manoscritte, ed è interessante notare che frequenti sono le differenze tra il testo manoscritto e l'edizione; indirizzate prima ad altri, furono dedicate a Francesco I nella stampa.

L'attività lirica dell'A. si può dire che cessi dopo il 1532-33. L'incontro a Ferrara nel 1539-40 (o a Venezia nel 1541) con Beatrice Pio lo spinse però a comporre una ventina di sonetti amorosi in suo onore; altri sonetti ed una cinquantina di stanze scrisse più tardi per Elena Bonaiuti. A tale periodo appartengono pure gli epigrammi, scritti secondo la tradizione dell'Antologia greca; ne dedicò nel 1546la raccolta a Margherita, figlia di Francesco I: dopo aver circolato a lungo manoscritti, furono pubblicati postumi a Parigi nel 1587.

Nei suoi tre poemi fu soprattutto impegnato il secondo periodo della sua attività letteraria. Già verso la fine del 1530 l'A. stava progettando La Coltivazione; ma la composizione si protrasse fino al 1546,quando lo inviò alla delfina Caterina de' Medici, chiedendole di presentarlo a Francesco I. Il poema, in versi sciolti, gli era stato evidentemente suggerito dalle Api del Rucellai.

Circa due anni dopo la pubblicazione di La Coltivazione, l'A. dedicò, il I genn. 1548, a re Enrico Il il poema Girone il Cortese, di 3590 stanze divise in 24 libri, un rimaneggiamento, si può dire, del testo francese del Guiron le Courtois, poco più di un compito impostogli da Francesco I.

L'Avarchide invece si rifà all'Iliade e all'Eneide. Non ancora cominciato nel 1548,la prima redazione del poema era tuttavia già pronta alla fine di settembre del 1554. Ma dopo averla completata l'A. continuò a limarla e, poiché disperava di condurre a termine la revisione, raccomandò al figlio Battista di pubblicarla dopo la sua morte e di dedicarla a Margherita, duchessa di Savoia e di Berry. Il titolo del poema deriva da Avaricum, l'antico nome della città di Bourges, dove si immagina nel 500 d.C. un conflitto tra i Celti cristiani ed i Germani pagani; per l'elemento romanzesco il poema si ispira al Lancelot du Lac.

Oltre questi poemi, si ricorda ancora la commedia Flora, che attinge all'Andria e al Phormio di Terenzio, non senza qualche prestito dal Decameron: in essa l'A. cercò di imitare in italiano, infelicemente, i metri dei comici latini.

Scarsa è l'opera in prosa dell'A.: una novella, certamente anteriore al 1531 ed ispirata dalla storia di Griselda del Boccaccio, l'orazione al popolo fiorentino del 1529, nonché varie lettere che non furono pubblicate dall'autore.

Le opere poetiche dell'A. anteriori al 1532 furono pubblicate in Opere toscane di Luigi Alamanni al Cristianissimo re Francesco Primo, 2 voll. (Lione 1532-33), raccolta che fu ristampata varie volte. Con altre opere furono edite in Versi e prose di Luigi Alamanni, a cura di Pietro Raffaelli, 2 voll. (Firenze 1859). La prima edizione de La coltivazione pubblicata a Parigi da Robert Estienne nel 1546fu seguita da varie altre; dodici ne uscirono durante il secolo scorso. Anche Girone il Cortese fu stampato varie volte dopo l'edizione parigina del 1548 e così pure l'Avarchide, dopo aver visto la luce per la prima volta a Firenze a cura dei Giunti nel 1570. Le Stanze scritte per Elena Bonaiuti, dopo essere state stampate a Venezia da Ludovico Dolce nel 1553, furono pubblicate in G. Pellegrini, Stanze sconosciute di Luigi Alamanni per Elena Bonaiuti, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXII (1913), pp. 289-335. Vi sono varie ristampe degli Epigrammi usciti per la prima volta a Parigi nel 1587, tra l'altro nell'edizione Raffaelli, che include pure la Flora, stampata per la prima volta a Firenze dal Torrentino nel 1556 e l'orazione ai Fiorentini, che era già stata stampata a Firenze nel 1529. La traduzione dell'Epitalamio di Teti e Peleo di Catullo fu pubblicata da A. Tambellini per le nozze Bonini-Gobbi (Rimini 1888). La novella fu pubblicata per la prima volta in Notizia de' novellieri italiani posseduti dal conte A. M. Borromeo, con alcune novelle inedite, Bassano 1794, pp. 65-107 e ristampata varie volte. Delle lettere tratta la biografia dell'A. scritta dal Hauvette, pp. 483-512.

Bibl.: H. Hauvette, Un exilé florentin à la Cour de France au XVIe siècle, L. A. (1495-1556), sa vie et son oeuvre, Paris 1903; Id., Nuovi documenti su L. A., in Giorn. stor. d. letter. ital., LI (1908), pp. 436-439; F. Flamini, Le lettere italiane alla corte di Francesco I, in Studi di storia letteraria, Livorno 1905, pp. 270 ss.; sulle opere: F. Caccialanza, Le Georgiche di Virgilio e la Coltivazione di L. A., Susa 1892; G. Naro, L'A. e la Coltivazione, Siracusa 1897; V. Gualtieri, Dei poemi epici di L. A., Salerno '888; E. De Michele, L'Avarchide di L. A., Aversa 1895; U. Renda, L'elemento brettone nell'Avarchide di L. A., in Studi di letteratura italiana, I, Napoli 1899; E. Martini-Chabod, Une "canzone" inédite de L. A. envoyée par le cardinal de Fermo au roi Francois I en 1539, in Bulletin italien, IX (1909), pp. 131-136; per l'atteggiamento politico: C. Corso, Un decennio di Patriottismo di L. A., Palermo 1898; R. v. Albertini, Das florentinische Staatsbewusstsein in Uebergang von der Republik zum Prinzipai, Bern 1955, pp. 76-80, 132-137, 142-145; C. Angeleri, Lo spirito di libertà di L. A, in Idea, VIII (1956), n. 45.

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