LUPI, Luigi Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUPI, Luigi Alessandro

Calogero Farinella

Nacque a Genova nel 1752. Le uniche informazioni sulla famiglia riguardano il nome del padre, Pietro, e l'esistenza di almeno una sorella. Della formazione è noto solo che frequentò le scuole genovesi degli scolopi, dove forse seguì le lezioni teologiche di G.B. Molinelli, di ispirazione agostiniana e portorealista. L'ambiente fu per lui stimolante, per gli studi che vi si professavano e gli insegnanti, aperti alle recenti conoscenze scientifiche e filosofiche: con lui furono allievi delle Scuole pie di Genova molti protagonisti, dopo il 1797, della Repubblica democratica, da G. Sauli a E. Degola.

Appena ventenne il L. partecipò alle rituali celebrazioni per l'incoronazione a doge di G.B. Cambiaso, entrando a far parte della cerchia di intellettuali, musicisti ed esponenti delle professioni colte che trovarono nella ricchissima famiglia una munifica protezione; contribuì al volume miscellaneo in onore del Cambiaso con poesie, tra cui una lunga composizione in inglese, firmata Lewis L. (testimonianza forse di un soggiorno in Inghilterra).

Nel 1773 pubblicò (anonima e con il falso luogo di Amsterdam, ma probabilmente a Livorno) l'unica traduzione italiana del secolo XVIII de Il governo civile di J. Locke.

Il volume era dedicato a Girolamo Durazzo, personaggio di spicco dell'aristocrazia genovese e futuro doge della Repubblica Ligure (1802-05), di simpatie gianseniste, dedicatario di opere di argomento politico e sociale che, nell'insieme, formarono quasi un programma di governo degli ambienti novatori. Nella presentazione era detto che l'opera di Locke (l'edizione italiana seguiva la francese del 1755) era stata scelta perché sviluppava "con somma chiarezza, nettezza e brevità le leggi fondamentali d'un ben ordinato e ben regolato Governo d'uno stato", indicando a cittadini e magistrati i rispettivi obblighi. La lettura di Locke offerta dal L. si incentrava sui temi della libertà, del contratto sociale, del diritto di opporsi ad autorità illiberali: una linea in chiave antidispotica e "repubblicana" che si trasformava in una critica indiretta al governo genovese e alla sua involuzione oligarchica, ripresa negli anni seguenti dagli elementi più giovani e aperti del ceto aristocratico.

Successivo all'uscita del volume dovette essere un soggiorno romano volto a completare gli studi giuridici e ad approfondire il diritto canonico. Insieme con S. Biagini, poi tra i patrioti più radicali alla caduta della Repubblica oligarchica, a Roma il L. entrò in familiarità con i maggiori esponenti degli ambienti giansenisti e anticurialisti, compresi forse G. Bottari e la sua compagnia dell'Archetto. Sebbene giovanissimo, per qualche tempo fu segretario del cardinale M. Compagnoni Marefoschi, punto di riferimento romano dei seguaci della "sana dottrina" dopo la morte di D. Passionei. Il L. profittò largamente della fornitissima biblioteca del cardinale ed ebbe preziose occasioni di studiare le materie ecclesiastiche.

Nella primavera del 1779, mentre tornava in patria, si fermò a Livorno presso il giansenista Antonio Baldovinetti, preposto di Livorno, e strinse legami saldi e cordiali con i maggiori esponenti toscani di quel movimento: C. Astorri, F. De Vecchi e il vescovo di Pistoia S. de' Ricci, con cui entrò in corrispondenza e del quale seguì con simpatia e partecipazione le vicende. Rientrato a Genova entro fine maggio, da "figlio di famiglia" si dedicò totalmente alle imprese editoriali che impegnavano gli amici toscani o genovesi. Inviò così in Toscana i tomi delle "belle tesi del p. Molinelli" appena usciti, distribuì a Genova "i manifesti per la ristampa degli Opuscoli del celebre Davanzati" e discorse della "nuova edizione che si prepara costì del Catechismo di Mons. Bossuet" (Codignola, 1941-42, III, p. 42). Intensificò i rapporti con i giansenisti genovesi Molinelli, P.M. Del Mare, V. Palmieri e Degola; con quest'ultimo si rinsaldarono legami che avrebbero mostrato la loro piena convergenza di ideali e impegno politico-religioso durante la Repubblica democratica, quando il L. fu referente e protettore politico del gruppo degoliano. Riprese anche a frequentare il Durazzo, che lo introdusse nei circoli culturali promossi dal cugino Giacomo Filippo; entrò così a far parte dell'accademia di questo, che tra 1782 e 1787 fu luogo di incontro tra aristocrazia riformatrice e intellettualità borghese e delle professioni, e dove si elaboravano progetti per una nuova classe dirigente illuminata, come indicano i temi di discussione: scienza, storia patria e diritto. Su questo argomento, a lui congeniale, il 18 dic. 1783 il L. intervenne in accademia con una memoria di impostazione giusnaturalista, Del principio del diritto naturale ovvero della misura delle azioni umane.

Nel 1792 stampò a Genova il De optima condendi, interpretandi, dicendique juris ratione liber singularis, la cui dedica (di ben 18 pagine) a Michelangelo Cambiaso, appena incoronato doge, ne esaltava le doti di legista e giudice.

I tre capitoli del volumetto esaminano le qualità richieste a chi opera nel campo della giustizia (legislatore, giureconsulto, giudice). Per il L. le leggi non possono sostituirsi ai costumi morali degli uomini, anzi solo un uomo con un istinto morale già formato può piegarsi alla "dolce forza della Legge" che lo lega ai suoi simili e alla società. Il L. esamina poi le leggi dei "primi tempi" (chi e per quali necessità le promulgò, quali caratteristiche dovevano avere "affinché per esse si conservi illesa la Repubblica; e si allettino, e alla vera virtù e felicità conducansi i cittadini"). Da attento lettore dei Principi di scienza nuova di Vico, attribuiva un ruolo primario alla religione e alle donne per fare sorgere l'"imperio familiare". Nel capitolo incentrato sulla figura del giureconsulto ammise un sia pur limitato spazio di interpretazione. In ultimo, mostrò profonde conoscenze di "amena letteratura" nel considerare la figura del giudice, che deve assommare le migliori qualità richieste al legislatore e al giureconsulto: "la perizia perciò delle leggi; l'intelligenza del jus naturale; l'approfondarsi nel loro spirito; l'esperienza; l'equità" erano le doti che dovevano assisterlo nel suo ufficio "sublime" (così gli Avvisi, 18 febbr. 1792, pp. 50 s.). In polemica con la complessità, litigiosità e incertezza del sistema giuridico della Repubblica oligarchica, il L. fece sua l'istanza illuminista di semplificazione legislativa e codificazione certa e non arbitraria. Conosceva da vicino il funzionamento della macchina giudiziaria genovese, grazie all'attività forense alla quale si era dedicato dagli anni Ottanta (come avvocato firmò alcune memorie processuali date alle stampe). In una Risposta del 1788 ribadiva che "il numero, e la lunghezza dei litigi quanto è pregiudiziale alla proprietà di ciascun cittadino, altrettanto è funesta al commercio, e rovinosa ai negozianti". Nell'esercizio legale fu collega degli avvocati L. Carbonara e B. Boccardi, con i quali strinse legami professionali e umani approfonditi quando tutti ricoprirono incarichi politici e amministrativi di primaria importanza.

Il L. fu pure coinvolto nelle disavventure giudiziarie di un commerciante francese, J.-A. Bouillod; questi, condannato ingiustamente per la denuncia di rivali in commercio, si era appellato al Senato genovese ottenendo la riapertura del processo, che però, a causa di un giudice corrotto, vide allungarsi penosamente i tempi. Esacerbato per una detenzione durata cinque anni (fino al 1793), il Bouillod prese a scrivere contro il governo e, dopo il 1789, a sostenere la rivoluzione. Portato davanti all'Inquisizione da una nuova denuncia (avrebbe letto libri empi ed eretici, negato il purgatorio e l'autorità del papa), il francese si rivolse anche a Cambiaso che, tra 1792 e 1793, propose per arbitro della causa il Lupi. Il giudizio del Bouillod sul suo operato fu però drastico: il L., con atteggiamento prudente e accomodante, non si sarebbe preso eccessiva cura del suo caso e sembrava mirare, più che a fare giustizia, a "conciliarsi la benevolenza dei grandi, a risparmiare la loro riputazione, ed a brigarne i favori". Tali accuse, pubblicate in francese (1796) e in italiano (1798), non ebbero comunque riflessi sulla sua carriera politica.

La Rivoluzione francese trovò nel L. un partecipe spettatore. Ne discusse, tra gli altri, con il poeta G. Fantoni ascoltò rapito i resoconti di G. Sauli sull'impossibilità di "soggiogare [e] distruggere la Repubblica francese", fatti dopo una visita a quaranta dipartimenti francesi (Arch. di Stato di Massa, Fantoni, lettera del L. a Fantoni, 9 apr. 1794). Guardò con preoccupazione all'instabilità di quel paese e alla sua incapacità di darsi un regime pacifico e democratico: "non vorrei che lo scettro di Robespierre fosse passato in altre mani, e ne temo molto: perché veggo dopotutto molto arbitrario, e molta violenza" (ibid., 7 febbr. 1795). Scettico sulla capacità degli Italiani di darsi nuove strutture politiche, invitava alla prudenza finché la situazione non fosse maturata: "non so vedere ancora nell'interno dell'Italia alcun germe di propria rivoluzione a meno che ne sia riscaldato e sviluppato da un'azione esteriore" (ibid., 3 genn. 1795).

L'esperienza democratica in Liguria, protetta e imposta dai Francesi, schiuse al L. prospettive prima impensabili. Scelto da Napoleone Bonaparte e dai deputati del governo aristocratico che avviarono la nuova Repubblica Ligure come membro del governo provvisorio insediatosi il 14 giugno 1797, ricoprì più volte il ruolo di vice presidente e di segretario, facendo anche parte della Commissione sopra le Municipalità e, a turno, dei Comitati di corrispondenza interna, di polizia e delle relazioni estere. Ebbe modo di stringere legami con politici del partito moderato, come L. Carbonara e F.M. Ruzza.

Nell'agosto fu varata la nuova costituzione democratica, che con rigoroso giurisdizionalismo stabiliva la tolleranza per i culti religiosi non cattolici e rendeva la Chiesa ligure autonoma da Roma. Contro queste norme, ai primi di settembre scoppiarono sollevazioni controrivoluzionarie che portarono al ritiro del testo; il L., nominato tra i cinque componenti di una commissione incaricata di predisporre modifiche, fu inviato a Milano per sondare il Bonaparte, che ravvisò la necessità di rassicurare clero e popolo sull'intangibilità della religione cattolica. La commissione compì in breve il proprio lavoro, eliminando le parti più innovative e l'articolo che prevedeva l'incameramento dei beni della Chiesa. La lettera con la quale Bonaparte dava il benestare alla revisione costituzionale fu recata dal L. a Genova e da lui letta davanti ai Consigli legislativi. La nuova costituzione fu quindi approvata dai comizi popolari il 2 dicembre.

Eletto nel Consiglio dei Giuniori, il 17 genn. 1798 il L. ne inaugurò i lavori con un discorso che indicava le scadenze più urgenti, riassumibili nella necessità di organizzare dalle fondamenta lo Stato democratico: codificazione semplificata a tutela dei cittadini, per un sistema giudiziario efficace e snello; divisione amministrativa del territorio atta a superare le antiche disuguaglianze tra i centri liguri; sistema di finanze non gravoso, capace di favorire agricoltura, commercio e le classi indigenti; avvio delle scuole pubbliche; riorganizzazione della guardia nazionale. Il 17 febbraio entrò nella Commissione incaricata di redigere un piano di pubblica istruzione; è pure di quei mesi un Discorso( al Consiglio dei Sessanta sulla stampa, subito pubblicato (Genova 1798).

Più che essere strumento del Bonaparte e delle autorità francesi, come in genere è stato definito, il L. mostrò una naturale convergenza con le più profonde convinzioni del corso, volte a stabilizzare su basi moderate la Rivoluzione. Era consapevole degli esigui spazi in cui si muoveva la Repubblica Ligure: "se non ci mostriamo capaci di governarci; se le fazioni turbano l'ordine pubblico; se la tranquillità e il commercio, che formano la principal base della nostra sussistenza, sono compromessi, corriamo il grande pericolo o di essere sagrificati ai nostri nemici, e di essere sottoposti a un comando militare, o di perder fino al nome e all'esistenza politica" (Colucci, p. 463). Si mostrò radicale solo verso il ceto aristocratico e i nobili emigrati, contro i quali auspicò misure severissime.

Nominato plenipotenziario presso il governo francese, il 3 apr. 1798 si trovava a Parigi; il 6 ebbe l'udienza di presentazione. Le delicatissime "speciali incombenze" del L. riguardavano il rafforzamento dei vincoli con la Francia tramite un trattato di alleanza, ma insieme ritagliando per la Liguria un ruolo meno subalterno e ottenendo protezione navale dai continui assalti dei corsari barbareschi. Cercò di conservarne l'autonomia contro i tentativi di aggregarla alla Cisalpina in un primo nucleo statale italiano, e si fece interprete del desiderio del governo di profittare dell'appoggio francese per estendere i confini della Liguria, perorando l'annessione prima di territori alla destra del Po poi di Lunigiana, Massa e Piacenza. Per tali richieste Ch.-M. Talleyrand lo accusò di essere "bien affamé".

In realtà, il L. era consapevole che l'autonomia non poteva basarsi su integrazioni territoriali ma su un saldo accordo con la Francia e sulla stabilità delle strutture statali e dell'economia, senza i quali il governo francese avrebbe avuto facoltà di intervenire d'imperio nelle questioni interne. Fu guardingo verso la situazione politico-sociale dell'alleato, anche per rigorismo religioso: trovava la Francia piena "di raggiri, d'intrighi, d'interesse, d'ambizione, di egoismo e d'immoralità" (Colucci, p. 489). A Parigi strinse amicizia con italiani, come il poeta G.B. Casti e fuorusciti liguri, con alcuni dei quali (G.C. Serra, A. Bianchi) ebbe non pochi problemi per difformità di vedute che non semplificarono il suo ruolo diplomatico; entrò pure in contatto con il vescovo costituzionale H. Grégoire, spinto dalle forti raccomandazioni di Degola che dall'incontro dei due attendeva grandi benefici per la Chiesa ligure e la sua riforma.

Nominato membro del Direttorio esecutivo, il L. fu richiamato in patria e il 10 giugno 1799 ottenne l'udienza di congedo. Divenuto vicepresidente, il 26 luglio firmò un primo ordine di sospensione del foglio radicale di tendenza unitaria Il Redattore italiano, imposto dai Francesi per le critiche che muoveva loro; ormai l'autonomia del governo ligure tendeva a ridursi al soddisfacimento di richieste di finanziamenti e di marinai per la flotta.

L'operato del L. fu considerato molto severamente dai critici del governo. La livida satira di L. Serra lo raffigurò in preda a "pensier cupi" e intento a distillare "versatile di Machiavello l'infernal politica", avido di cariche ma anche isolato ("solo senza partito, detestato, avvilito"). Opposti i giudizi degli intimi e degli amici giansenisti. Per Boccardi "ai talenti ed a una cultura non commune unisce una sensibilità ed una delicatezza di spirito che fa le delizie de' suoi amici". Degola ne stimava capacità e intelligenza ("homme d'un caractère aimable, plein de vertu et de connaissance même dans le droit Canon" (Codignola, 1941-42, III, p. 264); il L. ricambiò l'amicizia, appoggiando le istanze gianseniste e nel 1797 difendendo i degoliani contro il campione del clero reazionario genovese, L. Lambruschini. Come presidente dei Sessanta il 21 marzo 1798 promosse la "savia deliberazione" di sopprimere le bolle beneficiarie nel territorio ligure, primo passo sulla strada dell'affidamento delle cariche ecclesiastiche tramite l'elezione dei fedeli e dell'organizzazione civile del clero, che voleva ricalcata su quella francese. Nel 1799 lo scolopio giansenista O. Assarotti ricorse al suo appoggio per riportare disciplina tra i confratelli.

Messo da parte con il colpo di Stato del 7 dic. 1799, con cui i Francesi sciolsero il Corpo legislativo e il governo, il L. ritornò sulla scena politica il 2 luglio 1800, quando il proconsole e ministro di Francia J.-F.-A. Dejan lo incluse nella Commissione straordinaria di 7 membri che doveva reggere provvisoriamente la Liguria; il ritorno fu però brevissimo, perché pochi giorni dopo egli non figurò nel decreto di nomina definitivo. Nel 1801 fu per qualche tempo commissario del governo a Novi. Dopo l'adozione della nuova costituzione che sanciva una struttura statale fortemente autoritaria e censitaria, nel giugno 1802 il Bonaparte lo nominò nel nuovo Senato della Repubblica ligure; divenne anche ministro alle relazioni estere.

Il L. fece anche parte, dalla sua costituzione nel 1798, dell'Instituto Ligure, la nuova accademia statale; fu confermato nel 1800, sebbene la sua attività in quell'organismo fosse quasi nulla. In compenso ebbe qualche influenza nella riorganizzazione dell'Università genovese varata il 3 nov. 1803, o almeno nella nomina di alcuni docenti: su sua indicazione ottennero le cattedre di eloquenza latina e italiana e di diritto canonico l'ex tribuno della Repubblica Romana F. Gagliuffi, probabilmente incontrato a Parigi, e il giansenista e democratico S. De Gregori.

Il L. morì a Genova il 15 ott. 1804. Ai solenni funerali decretati dal governo il 18 successivo concorse una grande folla, come scriveva la locale Gazzetta, che del L. celebrava i "rari talenti nella carriera diplomatica", i "suoi lumi, le sue private virtù, la purità e fermezza della sua condotta nelle più difficili circostanze".

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Massa, Arch. privato Fantoni, b. 272; Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, 1957; Repubblica Ligure, 156; Genova, Arch. stor. del Comune, Decessi 1796-1805, Uomini; Ibid., Biblioteca civica Berio, m.r. V.2.13: Leggi e decreti, III, cc. 72v-74; Ibid., Biblioteca Durazzo, Mss., 266 (B.VII.20); Ibid., Biblioteca universitaria, Carteggio Federici (1 autogr.); Raccolta di vari componimenti poetici per l'elezione e solenne coronazione del ser.mo G.B. Cambiaso(, Genova 1772, pp. CXCIV s., CCLXIII s., CCLXXI-CCLXXIII; G. Fantoni, Epistolario (1760-1807), a cura di P. Melo, Roma 1992, ad indicem. Alle memorie legali del L. elencate in Bottaro Palumbo, p. 1346 (dove la data 1781 di una memoria va corretta in 1784), va aggiunta la Risposta per il signor Giovanni Merello(, Genova 1788, firmata dal L., Carbonara e Boccardi. Inoltre: Il Censore, 16 nov. 1797, p. 11; Annali ecclesiastici (Genova), 19 maggio 1798, p. 100.

J.A. Bouillod, Persecuzione di un francese costretto a litigare sotto il governo oligarchico di Genova, Genova 1798, pp. 233-236; Registro delle sessioni del governo provv. della Repubblica di Genova, Genova 1798; Gazzetta nazionale della Liguria, 17 febbr. 1798, p. 300; ibid., 20 ott. 1804, p. 146; G.C. Di Negro, Vita( scritta da esso, Genova 1854, p. 17; G. Colucci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese. Corrispondenze inedite degli ambasciatori genovesi a Parigi e presso il Congresso di Rastadt, Roma 1903, III, pp. 441-653; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836), in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXI (1932), ad ind.; Id., Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), ad ind.; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, I-III, Firenze 1941-42, ad ind.; Id., Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, p. 207; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, ad ind.; S. Rotta, Idee di riforma nella Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, in Movimento operaio e socialista in Liguria, VII (1961), 3-4, p. 263; G. Assereto, La Repubblica Ligure. Lotte politiche e problemi finanziari (1797-1799), Torino 1975, ad ind.; M.G. Bottaro Palumbo, La prima traduzione italiana del "Secondo Trattato": "Il governo civile di Mr Locke(", Amsterdam, 1773, in Miscellanea storica ligure, XX (1988), 1, pp. 1313-1346; L. Serra, Satire politiche, a cura di M.C. Tronfi - E. Villa, Genova 1994, ad ind.; L. Rossi, Mazzini e la Rivoluzione napoletana del 1799. Ricerche sull'Italia giacobina, Manduria 1995, ad ind.; G. Assereto, Le metamorfosi della Repubblica. Saggi di storia genovese tra il XVI e il XIX secolo, Savona 1999, ad ind.; Id., La seconda Repubblica Ligure (1800-1805). Dal "18 brumaio genovese" all'annessione alla Francia, Milano 2000, ad ind.; Diario genovese. Il manoscritto di Nicolò Corsi (1797-1809), a cura di M. Milan, Genova 2002, pp. 218, 310 s.; A. Ronco, Storia della Repubblica Ligure 1797-1799, Genova 2005, ad indicem.

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