CANTARELLI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANTARELLI, Luigi

PP. Treves

Nacque a Udine il 12 settembre 1858 da Giuseppe e da Elisa Spongia, di famiglia cattolicissima, e tuttavia illuminata ed umanistica, soprattutto dalla parte materna degli Spongia, illustri nell'esercizio dell'arte medica e nell'insegnamento presso l'ateneo patavino (alla memoria del nonno paterno, Gian Filippo, già preside della facoltà di medicina, il C. volle consacrata la sua prima prolusione universitaria, la prelezione del 1886 al corso libero di storia romana nell'università di Roma, sul tema "La rivolta di Vindice"). Studiò a Venezia e a Firenze, quindi si iscrisse alla facoltà di lettere delle università di Pisa e di Roma, qui laureandosi con una tesi "antiquaria" sui Latini Iuniani nel 1881. Insegnante di storia nell'istituto tecnico di Roma, rinunziò al posto nel 1884, per assumere la carica di revisore dei resoconti parlamentari della Camera dei deputati. Esercitò l'ufficio sino al 1920 (in quest'ambiente soprattutto, o dapprima, legandosi di intrinseca, ininterrotta amicizia con G. Mosca): non senza, tuttavia, tentar nel contempo varie sperienze universitarie. Libero docente nell'86, ebbe dal 1906 l'incarico (nella medesima università romana) di storia ed istituzioni politiche del Basso Impero, poi continuatogli, nel primo dopoguerra, quale incarico specifico di storia bizantina. L'esercitò fin quando la vecchiaia e una grave infermità, resa più penosa dalla sua solitudine di celibe, superstite ormai da parecchi anni alle persone più care della sua famiglia, non lo costrinsero a lasciare de facto la scuola. Morì a Roma il 2 apr. 1931, e fu commemorato ai Lincei da V. Scialoia e G. Mosca.

L'ascrizione ai Lincei (prima come socio corrispondente, quindi come socio nazionale), nonché l'appartenenza ad enti culturali e accademie italiane e straniere (ad es., la Pontificia accademia di archeologia, l'Istituto archeologico germanico, la Commissione archeologica municipale di Roma del cui Bullettino fu assiduo collaboratore e praticamente direttore fino agli anni suoi ultimi) rappresentano retrospettivamente quasi un compenso alla sua costante sfortuna accademica. Perché, sebbene in vari concorsi universitari ottenesse "buone eleggibilità" (così il Mosca, p. 254), non si conquistò mai una cattedra, nonostante le cortesi relazioni colBeloch e il Pais o le amichevoli citazioni che di suoi scritti fece talvolta il De Sanctis (per es., Atthis, 2 ediz., Torino 1912, pp. 321n. 1; 451 n. 3).In altri termini, né "l'illustre prof. Beloch" (così il C., in Boll. di fil. class., IV [1898], p. 4 n. 3 dell'estr.; e cfr. in Rend. d. Acc. dei Lincei, classe di scienze morali, n.s. XXXII [1923], p. 172 n. 3) né il Pais, più volte recensito con cauto elogio dal C., che sovente scrisse nella rivista pisana da lui diretta, né il De Sanctis, che del C. condivideva la professione cattolica e le amicizie romano-ecclesiastiche, ritennero il C. sufficientemente dotto, cioè sufficientemente "scientifico" per essere meritevole d'una cattedra, alla quale periodicamente, invece, innalzavano o s'industriavano d'innalzare i propri discepoli. Effettivamente, per le circostanze medesime della sua vita e il suo sostanziale "autodidattismo", per non avere appartenuto mai ad alcuna "scuola" (od eventualmente ad una scuola "straniera"), il C. non poteva, e non può, definirsi uno storico "scientifico".

Era, anzitutto, in bene e in male, assai più "letterato", assai più inchinevole alle citazioni poetiche e alle grazie stilistico-letterarie, che ad uno "storico scientifico" non si convenisse. Inoltre, quant'era ossequiente alla scienza germanica, non ne era fanatico; non era esclusivista: e si era formato, primamente, su filologi e scrittori "nostrali", che non si peritò di rammentare più volte e cui si mantenne fedele. Una sua memoria oraziana sull'ode di Archita (ora in Studi, pp. 3 ss.) ricorda, sia pure criticamente, gli scritti del Trezza e ne deriva materia a un giudizio tipicamente letterario, quasi ad un parallelo e contrario fra Orazio e l'Amleto shakespeariano. Citò, dimenticatissimi e condannati dal dotto vulgo accademico, Vannucci, Bertolini e monsignor Mirabelli (cfr., rispettivamente, Studi, pp. 178 n. 4; 89 n. 2; 84 n. 49). Elogiò l'antiquario modenese C. Cavedoni (cfr. Rend. d. Acc. dei Lincei, classe di scienze morali, n.s., XXXII [1923], p. 165 n. 4) e l'archeologo romano C. L. Visconti ("l'uomo gentile, il perfetto gentiluomo che mi onorava del nome di amico e al quale mi lega gratitudine imperitura, perché da lui appresi l'epigrafia romana"; così nella memoria su Le fonti per la storia dell'imperatore Traiano, in Studi e documenti di storia e diritto, XVI[1895], p. 218 n. 2; e cfr. l'appendice di C. L. Visconti alla memoria del C. su Didio Giuliano, in Bull.d. commiss. arch. comun. di Roma, XI[1884], pp. 98 ss.). Dettò il necrologio del linguista e storico del Basso Impero G. Morosi (in Riv. di filol. e d'istruzione classica, XVIII [1890], pp. 461-464). E questo, pur mentre, nella Roma dove già cominciava a primeggiare l'antimommseniano Beloch, il C. si aggregava ai "ragazzi capitolini" dell'Istituto arch. germ., celebrandone con gratitudine le dotte riunioni epigrafiche del venerdì pomeriggio nel necrologio di Guglielmo Henzen (cfr. La Gazzetta del Popolo, 6 febbr. 1887), o mentre in taluni articoli del Roman Herald, a un pubblico evidentemente cosmopolitico, dava notizie di scoperte epigrafiche e papirologiche, dal discorso neroniano le Istmie del 67 al Vangelo secondo s. Pietro (8 marzo 1890 e 9-10 marzo 1894, rispettivamente).

Il suo maestro più vero, e il suo modello ideale, dovette, però, essere Mommsen. Il Mommsen, tuttavia, tecnico e quindi minore, il Mommsen epigrafista, giurista e antiquario, più che il Mommsen propriamente "storico". Anzi, le vedute "storiche" del tardo Mommsen spesso combatté o corresse o viemmeglio precisò. Ad esempio, allorquando, nella memoria su Vindice e la critica moderna (dalla Riv. di fil. e d'istr. class., XVI[1888], rist. in Studi, pp. 69 ss.) - richiamata non senza lode o consenso all'attenzione degli studiosi da B. W. Henderson (The life and principate of the emperor Nero, London 1901, pp. 496 s.) e da S. Mazzarino (nel volume miscellaneo edito dall'Accademia dei Lincei, Roma 1973, La Gallia romana, pp. 39 ss.) - negò alla insurrezione di Vindice carattere di movimento potenzialmente od intenzionalmente restaurativo dell'antica res publica senatoria; o quando altrimenti dal maestro germanico interpretò l'elogio funebre di Matidia maggiore (cfr. Gli scritti latini di Adriano imperatore, estr. da Studi e documenti di storia e diritto, XIX [1898], pp. 12, 16 ss.; e il ribadimento, a recensione degli Scritti giuridici del Mommsen, in Atene e Roma, VIII [1905], col. 57). Dello stesso concetto, o pseudoconcetto, mommseniano di diarchia vide subito il carattere tecnico strumentale più che non propriamente giuridico e certamente non storico (cfr. Bull.d. commiss. archeol. comun. di Roma, XVII [1889], pp. 11 s.; Studi, pp. 181 ss., 261 ss.), anticipatamente risolvendo così le obiezioni degli anti mommseniani Beloch e De Sanctis (cfr. G. Pasquali, Pagine stravaganti, II, Firenze 1968, pp. 388 ss.; G. De Sanctis, Scritti minori, II, Roma 1970, pp. 463 s.). E non è certo "mommseniano" (ma di origine, se mai, francese; ed è invero assai frequente nel C. la menzione di insigni ottocentisti francesi, Taine, Renan, Duruy, Fustel, Boissier, Amédée Thierry sopra tutti) il simpatico e umanissimo ritratto di Cicerone nell'"aureo medaglioncino" dedicato all'evanescente, languida e soave figura della figlia di Attico (prima in opuscolo, Roma 1898, quindi in Studi, pp. 167 ss.).

Di scuola mommseniana è, peraltro, come la rinunzia a scrivere, o il proposito di non scrivere, libri (la raccolta di non poche sue memorie nel vol. Studi romani e bizantini, Roma 1915, è probabile avesse carattere occasionale concorsuale, o nascesse, comunque, da un atto di pietas, dal desiderio di render omaggio alla memoria della sua culta ed elettissima sorella Elisina Viero, tra le fondatrici del Circolo femminile di cultura, ed amica della scrittrice, anche di cose romane, Teresa Venuti), così, e più ancora, la dedizione a lavori di carattere catalogico-compilatorio, fra il prosopografico e l'antiquario. Nascono, invero, di qui, e con questo animus, gli scritti, più noti perché più sfruttati a mero fine di consultazione erudita, ma assai meno indicativi o rivelatori della personalità del C.: La diocesi italiciana da Diocleziano alla fine dell'Impero d'Occidente (Roma 1903, estr. da Studi e documenti di storia e diritto, XXII [1901]); Annali d'Italia dalla morte di Valentiniano III alla deposizione di Romolo Augustolo (Roma 1896; estr. da Studi e documenti di storia e diritto, XVII [1896]); la serie dei prefetti d'Egitto (nelle Mem. d. Acc. dei Lincei, classe di scienze morali, XII [1906], pp. 17-120; XIV [1911], pp. 311-358, 385-440), cui fanno corona gli articoli sui prefetti di Costantinopoli (in Rend. d. Acc. d. Lincei, classe di scienze morali, s. 5, XXVI [1917]; XXVII [1919]; XXX [1921]), sulle relazioni economico-vinarie fra Roma e la Gallia (in Bull. d. commiss. archeol. comun. di Roma, XLIII [1915], pp. 41 ss., 279 ss.), ecc.

Isolato, ma non "arretrato", dunque, il C. (se non si voglia considerare, come i suoi contemporanei e colleghi probabilmente giudicavano, arretratezza certa passione ottocentesca per lo scrivere "bene", certo gusto di anche troppo abbondevoli citazioni dall'Alighieri e dal Manzoni, dal Giusti, dal Byron e dal Leopardi, non però mai dal Carducci) e vigile, anzi, a seguire il volgere delle generazioni e degli studi, né in questo impacciato o impedito mai dalla sua non angusta ortodossia. Se, nel rievocar la secentesca polemica fra il Sirmond e il Gotofredo, parve compiacersi che la ragione stesse dalla parte del Sirmond, in quanto "la consueta lucidità di mente "dell'antagonista" rimase in questa polemica offuscata dall'ardore calvinista che lo portava ad interpretare i canoni del primo concilio di Nicea nel senso più sfavorevole al vescovo di Roma" (Studi, p. 260), con pari sincerità riverì mons. Duchesne e criticò il futuro cardinale Baudrillart (cfr., rispettivamente, la dedica dello scritto "linceo" del 1923 su Gallione proconsole di Acaia e San Paolo e Historia, II[1928], pp. 188-190). Con verità di dolore, ma con altrettanta verità di giudizio, presentò postumi gli scritti storici ed archeologici del suo discepolo Adalberto Garroni, caduto in guerra nel '17 (alla cui "pura memoria" G. Pasquali avrebbe poco di poi dedicato l'Orazio lirico; cfr. A. Garroni, Studi di antichità, Roma 1918, con notizia biografica e ragguaglio degli scritti a cura di L. Cantarelli). Presentò e postillò (cfr. Bullettino d. commissione archeol. comun. di Roma, XLVII [1919], pp. 11-15) una memoria di Jean Colin, allora stipendiario a palazzo Farnese, associandone l'opera al magisterio di Antonio Héron de Villefosse (di cui dettò un commosso necrologio: ibid., pp. 225-228). Né gli sfuggì l'attività storiografica dell'Omodeo: fu anzi, tra i primi ad avvertire che questa, "per quanto voglia essere indipendente, mi pare non sappia liberarsi dalla influenza del Loisy" (cfr. il citato saggio "linceo" su Gallione, pp. 169-171). Né rimase chiuso nella sua cerchia professionale o professorale, se in un tardo scritto Le iscrizioni funerarie del cardinale Guglielmo Fieschi, in Bull. d. comm. archeol. comun. di Roma, L [1923], pp. 155 s.) rivendica la verità del giudizio dantesco - Inf., X, 101 - sul cardinale Ottaviano. Non fu quindi, mai, nonostante qualche dolorosa debolezza (quale attesta, per es., l'opuscolo moralistico Isegni della vecchiezza in una epistola di Seneca a Lucilio, Roma 1921, spec. pp. 12-14), un laudator temporis acti se puero, ma uno studioso che alla sua solitudine esistenziale seppe trovare sbocco e conforto nel senso della storia e nella umanità delle lettere. Uno studioso, pertanto, da riscoprire e da rivendicare come testimone autorevole di quella generazione di antichisti italiani che, impartecipi o per situazione cronologica o per motivi ideali tanto dello storicismo risorgimentale quanto del germanizzante Historismus postunitario, si trovarono quindi costretti alla sterilità ed al silenzio.

Fonti e Bibl.: Del C., tranne G. Mosca, Commemorazione del socio L. C., in Rend. d. Acc. d. Lincei, classe di scienze morali, s. 6, VII (1931), pp. 253-256, manca una bibliografia degli scritti, né sembra esistere una biografia.

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