CARRER, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARRER, Luigi

Felice Del Beccaro

Nacque a Venezia il 12 febbr. 1801 da Pietro, commerciante, e da Margherita Dabalà. Mentre il padre, costretto a chiudere il negozio in Ruga di Rialto, si doveva trasferire a Sovilla, presso Nervesa (Treviso), dove aveva una piccola proprietà, il C. rimase a Venezia da uno zio materno per proseguire gli studi, sotto la guida di don Giovanni Insom. Ben presto si ricongiunse ai genitori; i ricordi di quella vita serena, in aperta campagna, sulle prime pendici del Montello, ricorre frequente nei suoi versi, in particolare nell'Innoalla Terra, scritto intorno al 1825, che risente di influssi fascoliani e che prelude a taluni modi che furono poi dell'Aleardi.

Nel 1814 il C. fu mandato a Treviso per frequentarvi il ginnasio, e mostrò interesse soprattutto per le lezioni di retorica impartite da G. Tavani. In quel medesimo tempo si manifestò nel ragazzo la vocazione alla poesia. Intanto, superate le ristrettezze economiche, la famiglia tornava a Venezia, dove il C. proseguì gli studi di umanità nel liceo di S. Caterina avendo a maestri, fra gli altri, P. Zabeo per la filosofia, P. Bordoni per la filologia e B. Zendrini per la matematica.

La prima componente della sua formazione letteraria appartiene agli studi classici, e sarà pressoché costante in tutta la sua opera. Del periodo giovanile sono pure le manifestazioni di amor patrio con un atteggiamento che fu già, seppure con altro sdegno e vigore, del Foscolo: la protesta per la sorte riservata a Venezia nel trattato di Campoformio.

L'esibizione, nel 1818 a Venezia, del famoso improvvisatore toscano T. Sgricci suscitò l'entusiasmo del C. e un desiderio di emulazione, specie nel genere tragico di cui dette infatti saggio nell'Accademiadegli Invulnerabili dove già in precedenza aveva letto alcune sue poesie. La tragedia allora improvvisata, La morte di Agrippina, e una seconda di evidente richiamo alfieriano, Saul, nonché altre improvvisazioni gli procurarono una rapida e vasta fama provocando, secondo il costume dell'epoca, numerosi inviti in case patrizie dove si tenevano accademie letterarie. Nel palazzo di I. Teotochi Albrizzi, presente lo stesso Sgricci, il C. improvvisò una tragedia sul tema di Medea.

In queste improvvisazioni, che ebbero per testimone anche Byron non meno entusiasta degli altri, era evidente l'influsso dell'Alfieri, come provano appunto le cronache del tempo. A proposito dell'improvvisazione dell'Atalia, L. Pezzoli scriveva nel 1818sulla Gazzetta privilegiata di Venezia che questa tragedia "era tutta lavorata sul gusto greco, ed emulava in vari tratti sublimi lo stile dell'Alfieri". Il successo però dovette esaltare esageratamente il C., se a un certo punto i cronisti si fecero guardinghi.

Per quasi due anni il C. percorse le province venete, salutato addirittura come il "redivivo Ovidio". Pubblicò anche un libretto di versi, Saggiodi poesie (Venezia 1919), che si situano nel tardo gusto arcadico con qualche coloritura romantica già indicata nell'aggiunta, sul frontespizio, del nome di Arminio accanto a Luigi. Questi versi furono più tardi ripudiati, così come le tragedie nate all'improvviso, fatta eccezione per La sposa di Messina, stesa sul modello dell'omonima tragedia di Schiller e rappresentata a Venezia, al teatro di S. Benedetto, dalla compagnia di G. Modena, il 18 dic. 1821e finita in un solenne fiasco.

Fattosi più cosciente dei propri mezzi, il C., stimolato da amici ed estimatori fra i quali V. Monti, cui era stato presentato dalla Teotochi Albrizzi, aveva ripreso gli studi alla facoltà di legge della università di Padova, dove si laureò senza peraltro servirsi del titolo professionalmente. Si dette invece con rinnovato impegno allo studio della letteratura italiana e classica, e della Bibbia per il contenuto poetico, e curò lo studio delle lingue straniere, in particolare del francese. Intanto, debole di costituzione, a ventidue anni si ammalò gravemente di tubercolosi, ma riuscì a ristabilirsi quel tanto che gli permise di riprendere gli studi interrotti.

Dal gusto arcadico della prima gioventù, cui non fu estraneo l'influsso dell'opera di I. Vittorelli, il C. si orientò verso l'Alfieri e il Foscolo alimentando con ciò maggiormente il sentimento patriottico per rivolgerlo dagli interessi verso la terra natale all'idea unitaria. Fu un'evoluzione attuata tra il 1823 e il 1827. In questi anni influssi del romanticismo europeo, segnatamente di Bürger, del primo Schiller, di Byron, non gli fecero abbandonare l'ideale classico, né lo indussero a una completa e persuasa adesione alla poetica romantica, neppure nelle circostanze più stimolanti offertegli dalla frequentazione del salotto della Teotochi Albrizzi. La sua posizione risulta oscillante per qualche tempo, e diviene più personale e stabile dopo il 1834 con un esito di compromesso tra le due tendenze.

Nel 1822 necessità economiche avevano costretto il C. a lavorare su commissione per il tipografo-editore veneziano G. Tasso. Insegnò poi nel ginnasio comunale di Castelfranco Veneto fino alla fine del 1823. Tornato a Venezia, sempre preso dalla poesia e dagli studi, pubblicò, in tre volumi, i Saggisulla vita e sulle opere di CarloGoldoni (Venezia 1824-25).

Questi contengono un sommario piuttosto grossolano dei Mémoires senza interventi critici, una prolissa dissertazione sul teatro comico prima del Goldoni la cui falsariga è suggerita da P. Napoli Signorelli, Storiacritica dei teatri antichi e moderni (10 voll., Napoli 1813), e un esame superficiale delle opere (la stessa classificazione delle commedie è assai indicativa: familiari, romanzesche, popolari, eroiche, e… scritte in Francia), che conclude, con gli accademici Granelleschi, essere la lingua del Goldoni "la più abbietta e trasandata che dare si possa". Giova semmai rilevare che il classicismo pone il C., come altri della sua tendenza, nel ruolo di difensore delle glorie nazionali contro i giudizi negativi degli stranieri, in questo caso contro A. W. Schiegel, che del resto per altro verso ammirava, ed a favore del Goldoni e in genere contro le "nordiche novità", con l'aria di affermare che la prerogativa di criticare gli autori italiani spetta soltanto agli italiani.

Nel 1825 il C. accettò di dirigere a Padova la Stamperia della Minerva, curandone le edizioni di classici che arricchì di biografie e di commenti: si segnalano, fra queste, le Rime del Petrarca (1826). Intanto, nel settembre del 1825, sposava Brigida Palicalà, conosciuta poco tempo prima. Sempre a Padova pubblicò il Clotaldo (1826), una novella in versi sciolti elaborata in parte nel 1824, dove appareevidente l'influsso di Byron nello stile ridondante e nel tono concitato: vi si canta la lotta di Venezia contro il dominio straniero. Successivamente (1826-27) lavorò alla tragedia Giulia Cappelletti (la nota vicenda di Giulietta e Romeo di cui gli fu parziale modello L. Da Porto), che pubblicò più tardi nel secondo volume de Il Teatro contemporaneo italiano e straniero, 12 voll. (Venezia 1837-39). Nel 1827, anno in cui gli nacque l'unica figlia, Elena, scrisse una parte del poema La Fata vergine dove non mancanogli influssi di The Fairy Queen, di E. Spenser, e il cui primo canto, dei quindici composti (ma il poema non fu terminato), uscì nel 1840 a Venezia. Nello stesso tempo lavorava, in collaborazione con l'abate Fortunato Federici, alla compilazione del Dizionario della lingua italiana, 7 voll. (Padova 1827-30).

Questo eccesso di attività lo esaurì: consigliato al riposo fece brevi soggiorni a Recoaro, nel Trentino e sul lago di Garda. Alla fine del 1827 venne nominato coadiutore, cioè assistente, alla cattedra di filosofia dell'università di Padova, dove rimase fino al 1830. Di questo periodo è La Gerusalemme liberata col riscontro della Conquistata (Padova 1828). Intanto la moglie, di carattere difficile, gli complicava la vita; egli poi, strano e facilmente irritabile, aveva un concetto autoritario della sua funzione in famiglia. Nel 1831 pubblicò, a Padova, un volumetto di Poesie per nozze Papadopoli-Mosconi, e l'anno successivo, sempre a Padova, una raccolta di poesie con qualche componimento già inserito nel precedente volumetto. In questa raccolta fanno spicco le Odiamorose e vi si segue agevolmente la sua evoluzione dall'Arcadia al romanticismo; vi appaiono anche i primi saggi di ballate, una delle quali figurava già nella raccolta pubblicata nel 1819 e che risulta essere stata completamente rimaneggiata.

Sempre nel 1832 il C. lasciò Padova, dove la Società della Minerva non gli rendeva abbastanza per vivere, e tornò a Venezia, separandosi dalla moglie per incompatibilità di carattere e mettendo la figlia in collegio. Ma a Venezia fu ancora costretto a un faticoso lavoro: fece traduzioni dal francese, e nel 1833 si accordò con l'editore Paolo Lampato per pubblicare il periodico La Moda, che trasformò poi nel Gondoliere, di carattere letterario con frequenti richiami civili e patriottici, e che in questa seconda veste riscosse un vivo successo. Nel 1834 l'editore Silvestri pubblicò, nella sua "Biblioteca scelta", una seconda edizione delle poesie del C.; questi però divenne addirittura popolare, in quel medesimo 1834, con la pubblicazione, presso il Lampato, di quattordici Ballate, alcune delle quali già note in precedenza perché comparse nel Gondoliere.

Prima del C. la ballata romantica era quasi sconosciuta in Italia, se si eccettuano i due componimenti del Bürger tradotti dal Berchet (1816). I maggiori autori del genere a cui egli si richiama appartengono all'area germanica: oltre il Bürger, l'Uhland e lo Schiller. Il C. predilige la tematica storico-leggendaria e la struttura polimetrica con profusione di colori e di facili ritmi. Il carattere popolareggiante e il movimento spigliato danno luogo ad effetti non privi di suggestione. La lode dei romantici fu pressoché unanime. Tra queste ballate incontrarono maggior successo Il cavallo di Estremadura, La sorella, La vendetta, La fuga, Jerolimina e qualche altra.

Da quella data il C. si dedicò di preferenza agli studi critici. La poesia satirica scritta per la morte della celebre cantante Maria Malibran (23 sett. 1836), allo scopo di riprovare l'esagerata ammirazione per l'artista, ha valore solo come indicazione dei suoi scarti di umore. Il contrasto tra l'occasione ferale e la satira è invero segno di cattivo gusto, così come l'avere concepito il componimento quale parodia del Cinque maggio del Manzoni: G. Mestica (Manuale della letteratura italiana nel secolo decimonono, II, 2, Firenze 1887, p. 715) ebbe a definirla con eccessiva severità "una sconcezza" morale ed artistica.

I meriti autentici del C. stanno nella sua attività critico-filologica più ancora che nell'opera poetica, sia pure quella delle celebri ballate; e in particolare nell'aver operato nel settore degli studi letterari a favore del risorgere della nostra cultura. E l'ufficio civile assegnato alle lettere gli veniva dal Foscolo e rappresenta un'attiva partecipazione al risorgimento della patria. Intraprese in quegli anni la realizzazione di un antico progetto: la "Biblioteca classica italiana di scienze, lettere ed arti" della quale furono pubblicati a Venezia, dal 1839 al 1841, ventisette volumi dei cento previsti, tutti con sue prefazioni e commenti. Sempre seguendo questo fine di diffusione e rinnovamento della cultura, curò poi, nel 1842, per conto dell'editore Tasso, una collana economica di "Scelte opere d'italiani illustri antichi e moderni" e diresse, per lo stesso editore, un'enciclopedia. Concepì e scrisse nel frattempo quella che è considerata la sua migliore opera in prosa: una storia romanzata di Venezia, Anello di sette gemme (Venezia 1838), fantasticamente identificata in sette delle più celebri donne veneziane, da Bianca Cappello a Gaspara Stampa, da Giustina Renier-Michiel a Caterina Cornaro.

Nel 1839 ci fu un ultimo tentativo di riunione con la moglie e con la figlia, ma fu di breve durata. Ancora solo, prese in affitto un piccolo appartamento nei pressi di S. Fantin e lì trascorse gli ultimi anni sostenuto dall'amicizia di Adriana Renier, moglie del noto medico P. Zannini, che gli abitava vicino e la cui casa era ritrovo di artisti e letterati fra i quali P. Canal, G. Capparozzo, G. Veludo. Nel 1840 si recò a Nervesa per riposarsi e visitare il padre che era tornato ad abitarvi. Di nuovo a Venezia, intraprese l'edizione delle opere complete del Foscolo valendosi di documenti messi a sua disposizione da E. De Tipaldo. Per la Vita di UgoFoscolo, premessa alle Prose e poesie edite e inedite diUgo Foscolo. (Venezia 1842), si servì anche dell'epistolario del poeta che egli, per primo, ordinò e dette alle stampe.

Nella pregevole biografia foscoliana il C. dà un ritratto critico del suo maestro ideale senza per questo mancare di obiettività. Il pensiero e le opere del Foscolo vengono esaminati con attenzione e spesso in polemica con gli analoghi studi del Pecchio e dell'Ugoni; ma, quel che più conta, con esiti talvolta stimolanti: "L'anima del Foscolo o la sua ispirazione che dir si voglia, era lirica, in ogni cosa…". Non altrettanto felice nel valutare le Grazie di cui non avvertì la segreta tensione poetica nello stesso modo che non la avverti, di lì a poco, il De Sanctis.

Ancora al Foscolo il C. si richiamò progettando una storia della letteratura italiana - non potuta realizzare - intesa come evoluzione del pensiero e quindi come espressione della società nazionale, che è concetto romantico, cui non è certo estraneo il foscoliano Discorso sultesto della Divina Commedia.

Nel saggio preliminare Del come scrivere una nuova storia della letteratura siconferma letterato-filologo "di buona educazione classica, ma con sensibilità anche per i problemi storici e metodologici e con apertura verso le manifestazioni della letteratura moderna, sia italiana sia straniera" (Puppo). Lo apparenta al Foscolo anche la sfiducia nella funzione della critica: "La critica non altro può produrre ch'effetti passivi, ossia indurre il disprezzo per certi autori e certe opere; ma formare altri autori, dar vita ad altre opere, non è in suo potere". La sua concezione romantica della letteratura lo pone contro l'erudizione settecentesca esemplata dal Tiraboschi. Nel saggio citato indica pure A. W. Schlegel delle lezioni sulla letteratura drammatica quale modello per realizzare una storia letteraria dove le diverse epoche coincidano con quelle della storia civile e religiosa.

Gli ultimi anni del C. furono segnati da continue difficoltà e da delusioni. Dopo molte richieste gli fu assegnata, nel 1842, la cattedra di lettere e geografia alla scuola tecnica di Venezia, che portò avanti per due anni finché glielo permise la grave malattia che lo insidiava. Fu eletto socio effettivo dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, del quale divenne anche vicesegretario; così pure l'Ateneo veneto, di cui era socio, lo volle dapprima segretario e poi vicepresidente. Ma la sua aspirazione maggiore era, in quel tempo, compatibilmente con le sue condizioni fisiche, quella di diventare conservatore e direttore del Museo Correr. Dopo molte e talvolta aspre opposizioni, fra cui quella del governatore austriaco, che lo sapeva oppositore politico, ebbe la nomina nel 1846. Intanto l'editore Tasso dava alle stampe, in due volumi, un'edizione completa delle poesie e prose edite e inedite (Venezia 1845-46).

Tra le prose meritano attenzione i Discorsetti morali, i Trattatelli estetici e la Mitologia del sec. XIX.Poligrafo disponibile verso ogni genere letterario, il C. scrisse anche romanzi: uno epistolare, Osanna, di evidente derivazione foscoliana, Serafina, e l'Amoreinfelice di Gaspara Stampa (Venezia 1851),ristampa riveduta ed accresciuta di una delle vite romanzate dell'Anellodi sette gemme.Non vanno dimenticate le traduzioni, in particolare quelle dei classici latini: Catullo, Orazio, Ovidio, Fedro e Lucrezio.

Nel '47 la morte della figlia gli causò una forte prostrazione e gli ispirò una serie di sonetti. Riavutosi dallo sconforto, si occupò dell'organizzazione del congresso degli scienziati italiani che ebbe luogo a Venezia nel settembre del medesimo anno, collaborando fra l'altro, con un articolo sulla letteratura e sul dialetto veneziano, all'opera in due volumi Venezia e le sue lagune che il comune veneziano offrì ai congressisti.

Insorta la città contro il dominio austriaco (17 marzo 1848), scrisse poesie fervide di amor patrio che furono pubblicate di lì a poco nella Gazzetta di Venezia del 31 marzo e 1º aprile. Ma un tale intervento, con il rammarico pubblicamente espresso che la salute precaria gli impedisse di prender parte all'azione, determinò poi, nel 1849, le restaurate autorità austriache a privarlo dell'ufficio di conservatore del Museo Correr e a infliggergli la censura. Costretto a sconfessare quelle poesie, ottenne la revoca dei provvedimenti con la mediazione di alcuni amici influenti. Ridotto allo stremo delle forze, trascorse lunghi mesi di quasi assoluta inattività.

Si spense a Venezia il 23 dic. 1850, assistito dalla Zannini Renier, alla quale legò tutti i suoi manoscritti, fra cui un copioso carteggio rimasto ancora in parte inedito.

Delle edizioni delle opere si citano: quella con cenni biografici a cura di F. Prudenzano (Napoli 1852); Poesie (Firenze 1854); Prose, 2 voll. (ibid. 1855); Racconti (ibid. 1857); Scritti critici, a cura di G. Gambarin (Bari 1969).

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