D'AMATO, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

D'AMATO, Luigi

Giuseppe Armocida

Nacque a Campochiaro (Campobasso) il 27 genn. 1874, da Vincenzo e da Maria Anna Cassella. Iscrittosi alla facoltà di medicina nell'università di Napoli, frequentò già da studente l'istituto di patologia e la clinica medica e fu accanto ad A. Cardarelli, che lo ebbe sempre tra gli allievi prediletti. Conseguita la laurea nel 1897, nel '99 entrò come assistente alla seconda clinica medica dell'università di Napoli e dopo pochi anni, il 24 maggio 1902, conseguì la libera docenza in patologia speciale medica.

Sotto la guida del Cardarelli il D. percorse, in quella clinica, i gradi della carriera accademica. Diede precocemente buona dimostrazione delle sue qualità cliniche e didattiche, nonché delle sue capacità scientifiche, in numerose pubblicazioni. Nel 1905 conseguì una seconda libera docenza, in clinica medica, e divenne aiuto nell'istituto napoletano. La R. Accademia medico chirugica di Napoli lo aggrego come socio residente.

Nei primi anni di carriera tenne, nell'università, corsi pareggiati di materie obbligatorie, quale la patologia medica dimostrativa, e di materie complementari, quale la tecnica medica; tenne anche corsi liberi di semeiotica medica. Nel 1912 fu nominato, inoltre, medico dell'ospedale degli Incurabili.

Nel 1923 divenne professore di patologia e clinica medica nell'università di Messina, ove rimase fino al 1925, quando fu chiamato nuovamente all'università di Napoli e destinato a dirigere il secondo istituto di patologia medica dimostrativa, che era stato retto fino all'anno prima da R. Caporali.

Venne stabilizzato in quella sede nell'anno seguente e nominato professore di ruolo il 1° febbr. 1928. Era morto da poco, in età veneranda, il suo primo maestro; egli lo ricordò nella Commemorazione di A. Cardarelli (in Riforma medica, XLIII [1927], p. 250). Nel 1935 fu chiamato alla direzione della clinica medica dell'università napoletana, succedendo a G. Zagari: resse tale istituto per più di dieci anni, dedicandosi sempre all'attività clinica e sviluppando anche una vasta produzione scientifica, che diede al suo insegnamento i connotati di eccellente scuola di medicina.

Il D. ha lasciato numerose pubblicazioni scientifiche. Nei primi anni della sua carriera egli affrontò studi di epatologia, con lavori che analizzavano l'importanza del glicogene epatico e l'azione protettrice del fegato contro l'infezione carbonchiosa. Precoci furono anche i suoi interessi per gli studi sul ricambio, secondo una corrente di ricerca assai seguita a quell'epoca nella clinica medica. In collaborazione con G. Zagari compì una ricerca sulla eliminazione dell'acido urico e corpi affini, in rapporto a diverse condizioni fisiologiche. Risalgono a quell'epoca anche i suoi primi studi sul pancreas e sul diabete: si occupò della teoria tossica del diabete, della clinica e dell'anatomia patologica del diabete traumatico, del diabete insipido. Nel 1899 compì osservazioni sulle ossidazioni organiche in rapporto con il ricambio materiale, nel 1901 si occupò del ricambio materiale studiandolo in rapporto con un caso di diabete traumatico grave e nel 1903 diede i noti Cenni di patologia generale del ricambio materiale, pubblicati in appendice alla traduzione italiana dei trattato di H. Ribbert, Trattato di patologia generale (Milano 1903). In quegli anni le conoscenze sul diabete progredivano con rapidità e preparavano il terreno alla scoperta dell'insulina che, nel 1922, avrebbe trasformato le vedute su questa malattia; B. Naunyn aveva da poco pubblicato la nota monografia Der Diabetes mellitus (Wien 1898) e aveva messo a fuoco la condizione di acidosi nel coma diabetico. Il D. mise in evidenza che nelle forme gravi le alterazioni del ricambio glicidico sono connesse con quelle del metabolismo dei grassi e delle proteine. Risalgono a quell'epoca anche i suoi primi interessi per gli studi di ematologia; si occupò della funzione lipolitica del sangue e dei metodi per dosare i grassi.

Fu attento anche alle recenti acquisizioni in tema di malattie infettive. Aveva già pubblicato, in collaborazione con D. Pace, un lavoro su Le vaccinazioni antirabbiche nel triennio 1898-1900 (Napoli 1901), quando portò al congresso di medicina interna, nell'ottobre 1903, una relazione sull'eziologia della rabbia, alla quale seguirono altri studi sui corpi del Negri in rapporto all'eziologia e alla diagnosi di questa malattia; nelle ricerche sui corpi del Negri aveva notato che questi non si comportavano sicuramente come esseri viventi. Si occupò inoltre delle infezioni sifilitiche, del tifo e delle infezioni tifosimili.

Il fegato e la patologia epatica furono sempre tra gli argomenti più studiati dal D'Amato. Egli aveva dedicato a questo tema già alcuni lavori all'inizio della sua carriera; vi tornò nel 1913 con un'ampia relazione al congresso di medicina interna di Roma, nella quale trattò della patogenesi della calcolosi biliare, con osservazioni originali. Studiò la importanza del fegato nella patogenesi della calcolosi biliare, documentando sperimentalmente che la precipitazione della colesterina è facilitata dalla alterata composizione chimica della bile. Nel 1925 fu relatore al congresso di medicina interna a Roma sull'anatomia patologica e sulla patogenesi delle cirrosi epatiche.

Nel 1932 il consiglio direttivo della Società italiana di medicina interna gli affidò nuovamente l'esarne dell'importante argomento, suggerendo di studiarlo in comune con la Società di chirurgia; il tema fu così portato all'attenzione dei due distinti congressi di medicina e di chirurgia (questa scelta rispecchiava l'indirizzo di fondo di larga parte degli ambienti clinici e scientifici rivolti in quegli anni a ricerche di interesse comune medico e chirurgico nel campo della patologia epatica). Egli diede una relazione assai ampia e articolata, poi raccolta in un volume (Le epatiti croniche, Roma 1932). In essa compendiò le principali conoscenze dell'epoca sulla eziologia e sulla anatomia patologica delle epatiti croniche, delle cirrosi epatiche e inoltre della tubercolosi del fegato e delle epatiti malariche. Diede una classificazione. delle cirrosi, studiandole in rapporto con il pancreas e con la milza e tenendo conto delle ricerche, anche proprie, di patologia sperimentale e di istogenesi della cirrosi: sulla scorta dei risultati delle ricerche condotte dalla sua scuola in collaborazione con V. Tramontano, dell'istituto di anatomia patologica, egli concludeva che tutte le sostanze tossiche che esplicano un'azione più sclerotizzante sul fegato agiscono dapprima sugli elementi epiteliali e sugli elementi reticoloendoteliali, mentre solo in un secondo tempo si determina la proliferazione del connettivo, lasciando inalterati i vasi biliari. Notava che, sperimentalmente, non si era riusciti a riprodurre il quadro anatomo-patologico e clinico della cirrosi. Nella discussione che opponeva i sostenitori dell'indirizzo interstiziale e quelli dell'indirizzo epiteliale, il D., in base alle sue osservazioni, riteneva che la maggior parte delle sostanze tossiche esplicassero una azione complessa, contemporaneamente a livello epiteliale e mesenchimale, ma più intensamente sul primo o sul secondo settore a seconda delle varie sostanze tossiche che erano in causa.

Tra gli altri campi che il D. seguì con interesse, si segnala quello della patologia dei vasi sanguigni. In ricerche sulla cosiddetta ateromasia sperimentale, egli sostenne, sulla scorta di proprie indagini sperimentali, e contrariamente alle opinioni più diffuse, che l'adrenalina agisce non soltanto con il meccanismo dell'ipertensione arteriosa, ma anche attraverso una funzione più complessa di "veleno vasale".

Nel 1939 presentò, al XLV congresso della Società italiana di medicina interna a Napoli, una relazione in cui trattò, insieme con G. Bossa, il tema della lipoidosi, uno dei più oscuri argomenti allora dibattuti sul tappeto scientifico; la relazione venne stampata in un volume (Le lipoidosi, Roma 1939). Nella semeiotica egli portò un contributo di grande valore con il "segno di D'Amato" o "segno del rischiaramento paradosso dell'ottusità vertebrale", che rovesciava un criterio classico, consolidato ma errato, della semeialogia dei versamenti pleurici liberi. Egli notò che il liquido endopleurico, indipendentemente dalla presenza di gas, nei cambiamenti di decubito si sottrae alle leggi di gravità e si dispone nel seno costale anteriore e nella regione ascellare, mentre gli autori precedenti ritenevano che andasse a occupare il seno costovertebrale: perciò, quando il paziente decombe sul lato sano si rileva attenuazione o scomparsa dell'ottusità vertebrale, poiché il polmone si avvicina alla colonna vertebrale e convibra alla percussione. Inoltre, si definisce "segno di D'Amato e "segno di Cardarelli" la trasmissione più o meno intensa del soffio laringotracheale sullo sterno nelle affezioni del mediastino.

Ma il D. legò il suo nome principalmente a un altro settore di ricerca, quello delle reazioni immunitarie specifiche. Egli propose una reazione emoclasica, che venne chiamata "reazione di D'Amato", basata sull'osservazione che con l'iniezione di dosi minime di speciali sostanze era possibile provocare una reazione emoclasica per ciascuna malattia con variazioni morfologiche del sangue periferico e variazioni della crasi plasmatica. Fino dal 1921, infatti, aveva osservato che l'inoculazione sottocutanea di tubercolina in un malato di tubercolosi determinava in poco tempo una netta diminuzione del numero dei leucociti, che poi tornavano di nuovo alla norma in circa un'ora. Analoghi risultati osservò iniettando bijoduro di mercurio nei luetici e altre specifiche sostanze nei malati di tifo e di brucellosi. La "reazione di D'Amato" fu accolta favorevolmente ed ebbe ampia diffusione a scopo diagnostico non solo applicata alle malattie già citate, ma, ripresa in seguito da altri autori, anche alle echinococcosi, alle annessiti gonococciche, ai tumori. Il D. si occupò inoltre di molti altri argomenti di clinica e di patologia: della patogenesi dell'asma bronchiale, di quella della malattia di Thomsen per la quale formulò l'ipotesi di una alterazione funzionale della sostanza muscolare contrattile, del morbo di Reichmann e delle gastriti.

Curò il capitolo Emottisi, tosse, espettorato nella tubercolosi polmonare, per l'opera di L. Devoto, Trattato italiano della tubercolosi (Milano 1931). Tradusse e annotò il volume di I. Nocht, Trattato delle malattie infettive (ibid. 1936). Collaborò all'opera di A. Ceconi, Medicina interna (Torino 1932) per la parte delle malattie delle pleure del mediastino e del diaframma.

Alla fine della sua attività scientifica, poco prima della morte, a coronamento di una serie di ricerche sulla fisiopatologia dei gangli nervosi intracardiaci e sull'angor coronarico, pubblicò l'interessante studio Sulle angine di petto riflesse, in La Riforma medica, LXV (1951), 41, pp. 1109-12.

Il D. raccolse intorno a sé un rilevante numero di allievi; continuatore dell'indirizzo clinico della scuola napoletana del Cardarelli, seppe riunire le qualità dell'osservatore semeiologo con l'attenzione alle tecniche modeme di laboratorio. Fu sempre attivo nelle relazioni con gli altri ambienti scientifici italiani e internazionali. Fu condirettore dei periodici La Riforma medica, Diagnostica e tecnica di laboratorio e La Clinica medica italiana.

Appartenne alle più importanti accademie medico-chirurgiche d'Italia e fece parte del Consiglio nazionale delle ricerche. Nel 1939 fu nominato senatore. Nel 1946 lasciò l'insegnamento; sulla cattedra gli successe G. Di Guglielmo.

Morì a Napoli il 22 novembre del 1951.

Bibl.: Necrol. in La Riforma medica, LXV (1951), 48, pp. 1297 s.; G. P. Arcieri, Figuredella medicina contemp. ital., Milano 1952, pp. 58-61.

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