DAL VERME, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DAL VERME, Luigi (Alvise, Ludovico)

Michael E. Mallett

Figlio di Iacopo e di Cia degli Ubaldini, nacque intorno al 1390. Principale erede del padre, gli successe nei vasti patrimoni da questo posseduti in Lombardia e nel Veronese: conseguentemente la sua carriera militare risentì nettamente dei contrastanti vincoli di fedeltà che ne derivavano.

Poco sappiamo dei suoi primi anni. Siritiene generalmente che il D. si trovasse presso il padre a Venezia nel 109 quando questi morì e che fece al servizio dei Veneziani le sue prime esperienze militari. In realtà non ci sono testimonianze di una sua condotta veneziana in questo periodo, anche se non è da escludere che il D. possa aver operato al servizio del cugino Taddeo, principale capitano della Serenissima tra il 1405 e il 1411. Il nome del D., comunque, non compare tra quelli dei capitani veneziani che presero parte alla prima e alla seconda guerra ungherese (1411-1413 e 1418-1421), e certamente di breve durata fu la sua permanenza a Venezia nel 1415 quando partecipò, tra i cavalieri mantovani, al grande torneo tenutosi per onorare l'elezione del doge Tommaso Mocenigo. Peraltro, le fonti ricordano la sua presenza a Milano qualche tempo prima, nel 1413, e la prima testimonianza certa della sua attività militare si trova in fonti milanesi. Nel 1417-1419, infatti, egli, agli ordini del Carmagnola, ebbe il comando di guarnigioni prima in Liguria, poi nel Cremonese. Nel 1420 partecipò alla difesa di Bologna contro le truppe pontificie di Braccio da Montone. Il 19 giugno 1421, però, sottoscrisse proprio con papa Martino V la prima condotta di cui ci è giunta la documentazione, condotta che prevedeva un anno di ferma e un altro di beneplacito. Il contratto era per 100 lance: il che dimostra la buona fama raggiunta dal D. già a quell'epoca. Il D., dunque, fece parte delle milizie pontificie dopo la defezione di Braccio che era passato al partito aragonese: egli si mosse da Mantova, dove aveva firmato il contratto, verso Sud e probabilmente si unì alle forze filoangioine di Muzio Attendolo Sforza che operavano nel Regno. Non ci sono, tuttavia, testimonianze della sua presenza all'Aquila nel 1424. Nell'ottobre 1425 iniziò trattative con il papa per un'altra condotta, questa volta di 500 cavalli; ma le trattative non ebbero esito positivo, dato che il 9 febbr. 1426 egli venne assoldato con 200 lance da Venezia per la guerra che si andava profilando in Lombardia.

Per i successivi dieci anni il D. fu condottiero "marchesco", fu, cioè, uno dei capitani al servizio permanente di Venezia, prima agli ordini del Carmagnola, poi di Gianfrancesco Gonzaga. Partecipò all'assedio di Brescia nel 1426 e ottenne che nei trattati di pace conclusi tra Milano e Venezia nel 1426, 1428 e 1433 fosse inserita una clausola di garanzia dei suoi possedimenti milanesi. Durante questo periodo la base del D. fu il feudo e castello di Sanguinetto, ereditato, dal padre, dove svolse un ruolo essenziale nella difesa della zona meridionale del Veronese. Nel 1427 la sua condotta fu aumentata a 260 lance e 100 fanti ed egli prese parte alla grande vittoria del Carmagnola a Maclodio. Dopo la pace di Ferrara dell'aprile 1428 accettò una riduzione della condotta a 200 lance. Rimase, comunque, uno dei più intimi consiglieri del Carmagnola e nel 1429 fu presente a Venezia alla sua investitura del feudo di Chiari. Nello stesso periodo il D. sposò la figlia del condottiero, Luchina Bussone. Quando nel febbraio 1431 scoppiò di nuovo la guerra tra Milano e Venezia, il D. guidò, insieme con Piero Giampaolo Orsini, il primo attacco veneziano attraverso l'Oglio, conquistando Treviglio e Caravaggio. La sua condotta venne allora rinnovata per 300 lance ed egli divenne uno dei marescialli dell'esercito del Carmagnola. In autunno fu inviato con numerose truppe in Friuli per fronteggiare la minaccia degli Ungheresi.

È probabile che il D. risentisse dell'arresto e condanna del Carmagnola. Secondo alcune narrazioni egli stesso sarebbe stato imprigionato in quel periodo: alcuni storici sono arrivati ad attribuire il suo abbandono del servizio veneziano nel 1436 all'atmosfera di sospetto che lo avrebbe circondato a Venezia dopo la caduta dei Carmagnola. Mancano, tuttavia, nelle fonti, sicure testimonianze sia di un suo arresto nel 1432, sia di una particolare avversione contro di lui da parte dei governo e dell'oligarchia veneziani. Il D. fu infatti nel ristretto gruppo di condottieri che nel marzo 1432 vennero avvisati dell'arresto del loro generale e furono sollecitati a confermare la loro fedeltà alla Serenissima, e spettò a lui l'onore di consegnare i vessilli e il bastone del comando a Gianfrancesco Gonzaga dopo l'esecuzione del Carmagnola. Inoltre nel 1433 era ancora uno dei governatori dell'esercito, mentre nell'autunno dello stesso anno fu creato conte di Sanguinetto dall'imperatore Sigismondo che rientrava da Roma. Infine, nella smobilitazione dell'esercito che seguì la conclusione della seconda pace di Ferrara (1433), egli fu uno dei capitani espressamente indicati dal Senato veneziano come impegnati in servizio permanente.

In questo periodo il sistema veneziano di riduzione automatica della consistenza numerica delle compagnie in tempo di pace cominciava a infastidire alcuni dei principali condottieri della Serenissima. Nel novembre 1435 il D. ricevette l'ordine di ridurre la sua compagnia da 1000 cavalli e 200 fanti a soli 900 cavalli ed egli protestò vivacemente contro tale disposizione. Il Senato, però, non modificò la sua delibera e l'insoddisfazione del D. si fece da allora sempre più manifesta. Il momento decisivo si ebbe nella primavera del 1436: il D. - che doveva essere ormai consapevole delle scarse possibilità di ulteriore avanzamento nell'esercito veneziano, sempre più istituzionalizzato, e che cominciò probabilmente a temere per i suoi possedimenti milanesi di fronte alla crescente tensione tra Venezia e Milano -ricevette l'offerta di mettersi al servizio di Filippo Maria Visconti. La proposta gli fu avanzata dal cognato Guarniero Castiglioni con lettera del 5 marzo 1436; conteneva l'offerta di una condotta più consistente, garanzie per i patrimoni da lui già posseduti nel Milanese, promesse di nuovi feudi, e prospettava anche la possibilità di realizzare le sue ambizioni territoriali con conquiste nel Veronese. Per giorni il D. negoziò una condotta di 500 lance e 300 fanti con i Milanesi e il 23 maggio fu investito dei feudi di Bobbio, Voghera e Castel San Giovanni. La notizia delle trattative suscitò a Venezia grande preoccupazione, ma per alcuni mesi non si riuscì a capire quali fossero le effettive intenzioni del Dal Verme. Questi passò l'estate in Lunigiana combattendo contro i Fiorentini a fianco delle truppe milanesi comandate da Cristoforo di Lavello: secondo alcune fonti egli era stipendiato dagli esuli fiorentini. In Lunigiana ricevette da Filippo Maria Visconti l'ordine di far sembiante di dirigersi a Sud per prendere servizio nel Regno. Voci sulla sua prossima partenza raggiunsero Venezia e indussero il governo a rinviare ogni azione precipitosa contro il D. e contro i suoi possedimenti nel Veronese. Tuttavia, all'inizio del 1437 apparve ormai palese a tutti l'impegno del D. al servizio di Milano: in febbraio egli e Niccolò Piccinino vennero sconfitti a Barga da Francesco Sforza e dai Fiorentini. A maggio furono confiscati Sanguinetto e le altre terre veronesi, nonché il suo palazzo di Venezia: le terre vennero messe all'asta. Nel corso dell'anno successivo il Consiglio dei dieci giunse a prendere in esame proposte di assassinare il D., che era ormai pienamente impegnato nella lotta contro i Veneziani. Aveva avuto quindi inizio la sua nuova attività di capitano milanese.

Nei successivi tre anni la guerra in Lombardia raggiunse il massimo di intensità. Quando Niccolò Piccinino invase il Bresciano all'inizio dell'estate del 1438, il D. era al suo fianco come comandante in seconda. Aveva il compito specifico di congiungere le proprie forze con quelle del marchese di Mantova, Gianfrancesco Gonzaga, il quale aveva concluso una lega con Milano il 26 giugno. Sia il D., sia il marchese di Mantova avevano messo gli occhi su Verona; e nonostante che nel trattato tra Milano e Mantova fosse stata esplicitamente garantita al D. la restituzione dei possedimenti veronesi confiscatigli dalla Serenissima, rimaneva su questo punto una grande rivalità tra i due. Dall'incontro di Marmirolo del 18 agosto il Gonzaga trasse l'impressione che il D. sarebbe stato comunque favorito dal Visconti in caso di spartizione di territori veronesi conquistati dai loro eserciti. Nel frattempo il D. assediò e conquistò Valeggio e Lazise e partecipò al tentativo di prevenire la fuga da Brescia dell'esercito veneziano del Gattamelata. Fallito lo scopo, egli raggiunse il Piccinino che assediava Brescia e guidò una delle colonne milanesi attraverso cuniculi sotterranei, nel tentativo di prendere d'assalto la città compiuto il 30 novembre. Nel 1439 prese parte con 1000 cavalli all'attacco sferrato contro il Veronese ed era a fianco dei Piccinino e del Gonzaga quando nel novembre quasi riuscirono a conquistare Verona. Dopo la partenza del Piccinino per la Toscana all'inizio del 1440, il D. prese il comando dell'esercito milanese in Lombardia e nel giugno fu sconfitto dallo Sforza a Romanengo. In autunno il D. e il suo esercito furono costretti alla difensiva; nel dicembre egli fu nominato commissario milanese a Lodi con il compito di tenere la linea dell'Adda. È comunque, da attribuire al D. - il quale sembra fosse un esperto nella conduzione di guerre d'assedio - l'ultima grande vittoria milanese della guerra, la conquista di Lovere avvenuta il 24 apr. 1441. A questa data stavano ormai per iniziare i negoziati che dovevano portare alla pace di Cavriana del novembre, pace alla quale il Visconti sembra aver aderito per le sollecitazioni dei suoi principali condottieri, tra i quali il D. che chiedeva il possesso della città di Tortona.

Nonostante la tregua temporanea, il D. fu attivo in Umbria nel 1442 contro Francesco Sforza e nell'agosto 1443 guidò la spedizione milanese, composta di 4.000 cavalli, per soccorrere la fazione anti'bentivogliesca a Bologna. Il 14 agosto fu sconfitto a Ponte Polledrano da Annibale Bentivoglio e costretto a ritirarsi. In seguito a questo episodio Filippo Maria Visconti non gli consentì di riunirsi al Piccinino nelle Marche contro lo Sforza: il D. rimase perciò inattivo per circa due anni a Milano. In questo periodo egli fu una delle più importanti figure della corte milanese e uno dei più intimi consiglieri del duca. Nel 1445 Filippo Maria cominciò a prepararsi per una nuova guerra in Lombardia e incaricò il D. di assumere il comando dell'esercito ferrarese nel quadro della nuova alleanza che si andava costituendo in funzione antiveneziana. Ma nella primavera del 1446 il D. fu richiamato con la maggior parte delle forze milanesi per partecipare all'assedio della guarnigione di Francesco Sforza a Cremona. L'assedio rinnovò le ostilità tra Milano e Venezia. Il 28 settembre il D. si trovava nel campo milanese di Casalmaggiore e fu uno dei pochi condottieri milanesi che riuscirono ad evitare la cattura in seguito alla grande vittoria di Michele Attendolo e dei Veneziani. Il 19 giugno 1447 fu di nuovo sconfitto dai Veneziani in Brianza. Subito dopo questa sconfitta ebbero inizio negoziati segreti, condotti dal provveditore veneziano Gherardo Dandolo, per far tornare il D. al servizio di Venezia.

La morte di Filippo Maria Visconti provocò gravi tensioni tra i capitani milanesi. All'inizio il D. si schierò col partito favorevole ad un governo dell'Aragonese, ma quando questa prospettiva venne bloccata dalla pressione popolare, dichiarò la sua lealtà alla Repubblica ambrosiana e persino abborò al nuovo regime i 18.000 ducati di arretrato che gli erano dovuti. Tuttavia egli era in realtà favorevole allo Sforza, al cui fianco partecipò all'assedio e alla conquista di Piacenza. Nel 1448 fu ancora con lo Sforza nella vittoria di Caravaggio e lo seguì anche nel passaggio al servizio di Venezia dopo questa battaglia. Il 6 marzo 1449, durante l'assedio di Monza difesa dalle truppe milanesi di Carlo Gonzaga, fu gravemente ferito ad un ginocchio da un colpo di scoppietto. Morì sei mesi dopo, il 4 sett. 1449, a Melzo (Milano): le fonti sono discordi sulla causa della morte, che alcune attribuiscono alla ferita, altre a una febbre estiva contratta sul campo dopo che era perfettamente guarito dalla ferita. Fu sepolto in S. Lorenzo a Voghera.

Il D. si era sposato due volte, la prima' nel 1408 con Valpurga di Francesco Scotti, figlia del suo tutore, la seconda nel 1429 con Luchina di Francesco Bussone che gli portò in dote la somma di 5.000 ducati. Ebbe due figli legittimi, Pietro e Taddeo, e due figlie, Antonia e Caterina. Antonia sposò nel 45, Sforza Sforza, figlio di Francesco, con una dote di 10.000 ducati, secondo il contratto concluso dal D. e da Francesco Sforza nel 1448 dopo Caravaggio; Caterina andò in moglie ad Antonio Secchi. Il D. ebbe almeno due figli illegittimi, Giovanni - che fu legittimato dall'imperatore Sigismondo quando investì il D. della contea di Sanguinetto - e Iacopo che fu ucciso a Molinella nel 1467.

Il D. fu titolare di vastissimi patrimoni fondiari. Oltre ai feudi paterni nel Piacentino, che gli furono confermati nel 1421 da Filippo Maria Visconti, ricevette nel 1436 i feudi, vasti e di grande importanza strategica, di Bobbio, Voghera e Castel San Giovanni. Dopo questa data stabilì la sua residenza principale nel castello di Voghera: qui ebbe la sua corte e in questa città la famiglia Dal Verme restò molto influente fino al secolo XVIII. Quanto ai suoi beni siti nel dominio veneziano, i possedimenti veronesi vennero venduti dopo la loro confisca da parte del governo della Serenissima nel 1437, mentre il suo palazzo di campo S. Polo a Venezia fu dato nel 1439 al Gattamelata e il suo feudo di Sanguinetto venne alla fine concesso ad un parente del Gattamelata, Gentile da Leonessa, e da questo passò al genero Bertoldo d'Este.

Fonti e Bibl.: Ad eccezione dell'utilissima ricostruzione della carriera del D. fino alla morte di Filippo Maria Visconti nel 1447 inserita da F. Fossati come nota nella edizione della Vita Philippi Mariae III Ligurum ducis deL Decembrio da lui curata (in P. C. Decembrii Opuscula historica, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XX, 1, pp. 74-82), manca una biografia completa del Dal Verme. La ricostruzione del Fossati costituisce un sicuro miglioramento rispetto a quella di P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Dal Verme, tav. II. Testimonianze di molte delle sue condotte con Venezia si trovano in I libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1883, ad Indicem. La condotta milanese del 1436 è stata edita da G. Comaggia Medici, Per la condotta di L. D. ai servigi del duca Filippo Maria, in Arch. stor. lomb., s. 6, X (1933), pp. 193-201. Documenti sul D. si trovano anche in L. Osio, Documenti diplom. tratti dagli archivi milanesi, Milano 1872, III, 2, ad Indicem e Inventari e regesti del R. Archivio di Stato in Milano, II, 1, Gli atti cancellereschi viscontei, Milano 1920, 1, pp. 55 s., 62, 125, 149; II, pp. 109, 150, 202, 205, 212, 214. Notizie sul D. si trovano anche in molte cronache; in particolare si vellano M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, ad Indicem;Iohannis Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae Commentarii, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, ad Indicem; La Cronaca di Cristoforo da Soldo, ibid., XXI, 3, a cura di G. Brizzolara, pp. 16, 47, 53, 61; B. Corio, Storia dt Milano, Milano 1856, II, pp. 649, 694, 736; III, pp. 13, 16, 23 s., 27, 31, 48, 55, 59, 103, 115, 118 ss., 141; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, Firenze 1867-73, II, p. 381; Cronaca di Anonimo veronese dal 1446 al 1488, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 7, 10. Del D. si sono interessati G. Dalla Corte, Dell'istoria di Verona, Verona 1744, III, pp. 25, 46 s., 72; G. V. Boselli, Storie Piacentine, V, 2, Piacenza 1976 (ed. anast.), pp. 176 s.; G. Eroli, Erasmo Gattamelata da Narni: suoi monumenti e sua famigha, Roma 1877, pp. 110, 113, 116, 134; A. Battistella, IlConte Carmagnola, Genova 1880, pp. 350-370 Passim; Id., Ritagli e scampoli: aneddoti e appunti stor. documentati, Voghera 1890, pp. 93 ss., 97 s.; R. Fulin, Errori vecchi e documenti nuovi, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, s. s, VIII (1881-1882), pp. 1106 ss.; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino 1893, II, pp. 27, 8 s.; G. Romano, Contributi alla storia della ricostituzione del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti (1412-21), in Arch. stor. lomb., s.3. VII (1897), p. 137; F. Tarducci, L'alleanza Visconti-Gonzaga del 1438 contro la Repubblica di Venezia, ibid., XI (1899), pp. 274 s., 280, 294, 309 s., 311, 315, 325, 327; A. Giulini, Di alcuni figli meno noti di Francesco Sforza, ibid., s. 5, III (1916), p. 34; L. Bignami, Condottieri viscontei e sforzeschi, Milano 1934, pp. 75-78; C. Argegni, Condottieri, capitani e tribuni, Milano 1936, I, pp. 224 s.; L. Simeoni, Le Signorie, Milano 1950, I, ad Indicem; E.Nasalli Rocca, Problemi stor. di Bobbio nell'età moderna, in Arch. stor. lomb., s. 8, III (1953), pp. 257-259; B. Resti, Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, ibid., V (1954-1955), p. 235; F. Cognasso, Ilducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI,Milano 1955, pp. 284, 319, 330-332, 344, 348, 352, 377; Id., La Repubblica di S. Ambrogio, ibid., pp. 400, 428, 442; G. Soranzo, L'ultima campagna dei Gattamelata al servizio della Repubblica veneta, in Arch. ven., LX-LXI (1957), pp. 87 ss., 107; P. Partner, The Papal State under MartinV, London 1958, pp. 69, 155, 156 n., 213; G. Manfredi, Storia di Voghera, Voghera 1968, pp. 258-66; M. E. Mailett. Signori e mercenari: la guerra nell'Italia del Rinascimento, Bologna 1983, pp. 201, 223; M. E.Mallett-L R. Hale, The military organisation of a Renaissance State: Venice, c. 1400-1619, Cambridge 1984, pp. 38, 164, 182, 190, 198, 205. Per la discussione sulla sorte delle proprietà veronesi del D. sivedano: L. Puppi, La villa Garzoni ora Carraretto a Pontecasole di Jacopo Sansovino, in Boll. del Centrointern. di studi d'architettura A. Palladio, XI (1969), p. 107; Id., Funzioni e originalità tipologica delle ville veronesi, in La villa nel Veronese, a cura di G. F. Viviani, Verona 1975, p. 89; G. M. Varanini, Il distretto veronese nel Quattrocento, Verona 1980, pp. 67 s., 93 s., 101, 110; G. Soldi Rondinini, La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), in Verona e il suo territorio, IV,Verona 1981, pp. 88 ss.

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