MENABREA, Luigi Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MENABREA, Luigi Federico

Pier Angelo Gentile

MENABREA, Luigi Federico (Louis-Frédéric). – Nacque a Chambéry il 6 sett. 1809 dall’avvocato Ottavio Antonio e da Margherita Pillet.

All’età di otto anni entrò nel locale collegio dei gesuiti dove si formò nel clima intellettuale savoiardo della Restaurazione, in particolare sotto la guida dell’abate L. Rendu, futuro vescovo di Annecy, e del dotto G.-M. Raymond. Dotato di talento per le materie scientifiche, dall’ottobre del 1828 proseguì gli studi all’Università di Torino, iscrivendosi alla facoltà di scienze. Tra gli allievi prediletti di G. Plana e G. Bidone, conseguì dapprima la laurea in ingegneria idraulica, il 30 giugno 1832, poi quella in architettura civile il 17 genn. 1833.

Segnalatosi agli occhi di re Carlo Alberto, ottenne motu proprio dal sovrano il 26 marzo 1833 il brevetto di luogotenente nello stato maggiore del genio. Superati gli esami presso l’Accademia militare di Torino, come sostituto del dimissionario tenente C. Benso conte di Cavour, venne assegnato per un breve periodo al gruppo di lavoro impegnato nella ricostruzione del forte di Bard. Ottenuta la libera docenza in matematica nel dicembre del 1835, a Torino fu insegnante di meccanica applicata, balistica, geometria e geodesia nella scuola d’applicazione e di geometria descrittiva all’Accademia militare.

I successi in campo scientifico giunsero all’inizio del 1839, allorché in seguito alla presentazione di una memoria relativa al calcolo della densità della Terra (Calcul de la densité de la Terre: suivi d’un mémoire sur un cas spécial du mouvement d’un pendule, Turin 1839) ottenne la nomina a membro residente della classe di scienze matematiche e fisiche presso l’Accademia delle scienze di Torino, istituzione che subito lo incaricò di esaminare per conto del governo le richieste di brevetti.

Promosso al grado di capitano il 13 marzo 1839, negli anni Quaranta fu impegnato in una intensa attività di ricerca.

Convinto sostenitore della macchina calcolatrice di C. Babbage, per cui un suo articolo fu dallo stesso scienziato inglese fatto tradurre da Ada Byron (Sketch of the analytical engine invented by Charles Babbage, London 1843), il M. pubblicò studi sul movimento del pendolo composto, sulle quadrature (Mémoire sur les quadratures, Turin 1844) e poi, in successione, fino al 1847, tre memorie in difesa della serie di J.L. Lagrange (Relazione sopra una memoria del sig. prof. F. Chio intorno alla convergenza e le proprietà della formola di Lagrange, s.l. 1843; Études sur la série de Lagrange, Turin 1844-47 e Observations sur la veritable interprétation de la série de Lagrange, ibid. 1847) criticata dai matematici F. Chiò e A. Genocchi, fautori del metodo analitico di A. Cauchy.

Nobilitato il 30 dic. 1843 insieme con il fratello Leone, avvocato e storico, il 10 ott. 1846 il M. ottenne la nomina a professore effettivo di scienze delle costruzioni e geometria pratica presso l’Università di Torino, diventando da allora maestro di una schiera di illustri ingegneri come G. Sommeiller, S. Grattoni, S. Grandis, B. Brin, Q. Sella. L’esordio nella vita pubblica avvenne con un’effimera collaborazione a La Concordia di L. Valerio.

Distanziatosi dal gruppo democratico, allo scoppio della prima guerra d’indipendenza fu incaricato da C. Balbo di una missione diplomatica presso i governi provvisori di Parma e Piacenza e di Modena e Reggio. Dal 25 marzo al 20 luglio 1848 si fece promotore negli ex Ducati del sostegno sardo contro le mire egemoniche austriache e le tendenze centrifughe rispetto alla costituzione di un regno dell’Alta Italia. Nominato commissario regio presso le truppe pontificie del generale G. Durando, riuscì a mobilitare dalle terre emiliane un contingente costituito da 2200 regolari e 1000 volontari. Eletto deputato il 26 giugno 1848 nel collegio di Verrès, la sua elezione fu annullata perché dal 29 luglio fu impegnato nella riorganizzazione dell’esercito sardo in veste di primo ufficiale al ministero della Guerra. Durante tale periodo il M. ottenne un avanzamento di carriera: dopo essere stato insignito «per mano regale al quartier generale di Roverbella» (Bulferetti, p. 209) il 5 luglio della croce di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per la missione in Emilia, il 26 agosto venne promosso al grado di maggiore. Il 23 settembre passò al ministero degli Esteri sempre come primo ufficiale, conservando l’incarico fino al dicembre, allorché V. Gioberti lo dispensò dalle funzioni mantenendogli grado e prerogative. Intanto il 30 sett. 1848 era stato rieletto deputato per il collegio di Verrès. Membro straordinario del Consiglio del genio dal 5 genn. 1849, alla nomina del gabinetto De Launay riprese le funzioni di primo ufficiale nel ministero degli Esteri, carica che mantenne fino al 14 marzo 1850, oramai sotto il ministero d’Azeglio, quando il M. si dimise coerentemente con il voto contrario da lui dato alla legge sulla soppressione del foro ecclesiastico, episodio che lo fece subito diventare «oggetto di vessazione nei fogli periodici degli avversari politici e persino in Parlamento» (ibid., p. XVIII). Sconfitto pesantemente a Verrès nel gennaio del 1849, nelle suppletive del 20 marzo venne eletto alla Camera per il collegio di Saint-Jean-de-Maurienne, distretto che lo votò ininterrottamente dalla II alla VI legislatura.

Rifiutata la legazione di Madrid offertagli da M. d’Azeglio, venne promosso colonnello il 10 agosto.

Esponente della destra savoiarda, il M. fu assiduo ai lavori parlamentari, anche se «schieratosi fra quelli che o per timorata coscienza, o per grettezza municipale, o per paura di catastrofi osteggiavano l’indirizzo politico per il quale il Piemonte si faceva vessillifero di nazionalità, tardi entrò in quel giro d’uomini e di idee con che fu fatta leva ai tristi governi della penisola» (Atti parlamentari, Senato, Discussioni, tornata del 28 maggio 1896). Durante le sedute che sancirono la nascita del connubio, prendendo spunto dall’intervento del M. che aveva denunciato il «veleggiare» del ministero verso altri «lidi parlamentari», Cavour lo accusò di «essere a capo di coloro che […] si preoccupano delle idee di conservazione, a tal punto da dimenticare i grandi principii di libertà» (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, tornata del 5 febbr. 1852). Sebbene il M. fosse avverso alla politica liberale specialmente in materia religiosa – votò contro le leggi sul matrimonio civile (discorso alla Camera del 28 giugno 1852) e la soppressione degli ordini contemplativi – non arrivò mai tuttavia al punto di schierarsi con l’estrema destra dei cosiddetti «arrabbiati».

Le posizioni politiche costituirono però un ostacolo all’avanzamento di carriera: il voto di astensione dato al trattato di alleanza per la guerra in Crimea costò al M. il risentimento del ministro della Guerra A. Ferrero Della Marmora, che non lo chiamò a far parte del contingente in partenza per quella spedizione. Ciò non gli impedì di proseguire con successo l’attività scientifica: nel 1857 arrivò a formulare il suo celebre principio di elasticità, pubblicato come memoria (Nouveau principe sur la distribution des tensions dans les systèmes élastiques) nei Comptes-rendus de l’Académie des sciences di Parigi (poi, in volume a parte, Paris 1858). All’epoca delle tornate elettorali del 1857 il M. era riconosciuto oramai come uno fra gli uomini di punta della destra conservatrice, tanto che, rotto il connubio, si pensò addirittura a una combinazione ministeriale Cavour-Menabrea. Sotto l’impressione dell’attentato di F. Orsini, nell’ultimo discorso tenuto in veste di deputato nell’aprile del 1858, il M., nominato il 25 marzo ispettore e membro del Consiglio superiore del genio, appoggiò la legge per la repressione della cospirazione contro i sovrani e l’apologia dei crimini politici. Collaboratore dell’esecutivo per quanto riguarda il sostegno per il traforo delle Alpi e presidente della commissione per la formazione del nuovo catasto, nel maggio del 1858, a norma delle determinazioni del congresso di Parigi, fu designato dal governo membro della commissione per la messa in opera della libera navigazione sul Danubio, ruolo che svolse con grande competenza. Meritatosi la fiducia di Cavour, per la collaborazione con i liberali si attirò aspre critiche da parte dei colleghi della destra savoiarda.

Il 22 apr. 1859, alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza, venne promosso al grado di maggiore generale. Comandante superiore del genio, dal 20 al 30 apr. 1859 progettò e coordinò i lavori di fortificazione lungo la Dora Baltea al fine di impedire l’avanzata delle truppe austriache verso Torino e favorire, nel contempo, il congiungimento dell’esercito francese con quello sardo. Deciso a non perdere l’appoggio del M., fortemente legato alla terra d’origine, Cavour propose il suo nome al laticlavio «per togliere alla deputazione savoiarda il suo campione più temibile» (lettera di Cavour ad Arese, 28 febbr. 1860). Nominato senatore il 29 febbr. 1860, il M. votò per la cessione della Savoia alla Francia optando quindi per la nazionalità italiana. A Torino oramai da 27 anni (fece tra l’altro parte del Consiglio comunale dal 1848 al 1850, e poi di nuovo dal 1860 al 1864), sposato dal 5 luglio 1846 con Carlotta Richetta, dei conti di Valgoria, il M. «ne pouvait envisager son avenir ailleurs que dans le pays avec lequel – sans oublier pour autant la Savoie – il avait tant de liens» (Guichonnet, pp. 79 s.).

All’attività politica continuò ad affiancare quella militare. Nuovamente membro del Consiglio e del Comitato superiore del genio, ispettore generale nella stessa arma dal settembre del 1859, il M. venne promosso luogotenente generale il 7 sett. 1860 in occasione della campagna nell’Italia centrale e nel Mezzogiorno. Organizzata la difesa di Bologna, con le truppe del genio inquadrate nella 4ª e 5ª divisione condusse gli attacchi ad Ancona e Capua, dirigendo infine l’assedio di Gaeta in concorso con il generale E. Cialdini. Nominato commendatore e poi grande ufficiale dell’Ordine Mauriziano nel giro di pochi mesi (10 ott. 1860; 29 dic. 1860), grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia (3 ott. 1860) e poi gran croce (1° apr. 1861), divenne aiutante di campo onorario di Sua Maestà il 9 giugno 1861. Insignito della medaglia d’oro al valor militare per essersi distinto durante l’assedio e la presa di Capua, il 9 nov. 1861 gli fu concesso motu proprio da Vittorio Emanuele II il titolo trasmissibile di conte.

All’apice della carriera e degli onori, presidente del Comitato del genio dal 28 febbr. 1861 e membro del consiglio dell’Ordine militare di Savoia, il 12 giugno ebbe l’incarico di ministro della Marina nel primo gabinetto Ricasoli. In tale ruolo si impegnò nei difficili compiti di sciogliere l’armata meridionale di G. Garibaldi, amalgamare la flotta da guerra napoletana con quella sarda, migliorare la condizione dei porti militari, realizzare l’arsenale di La Spezia. Dal 23 genn. 1862 fu membro della Commissione permanente a difesa generale dello Stato. Caduto il governo Ricasoli il 3 marzo, tornò nuovamente al governo l’8 dicembre in veste di ministro dei Lavori pubblici nei governi guidati da L.C. Farini e poi da M. Minghetti (dal 22 al 25 genn. 1863 tenne l’interim della Marina).

Nel nuovo ruolo, detenuto fino alla fine del 1864, il M., nonostante le disastrose finanze pubbliche, inaugurò un grande progetto infrastrutturale realizzatosi con la creazione di una base navale militare a Brindisi e la messa in opera di 2000 km di ferrovie. Fu inoltre durante il suo dicastero che si realizzò la prima serie di francobolli delle Poste italiane.

Nel 1864 venne incaricato da Vittorio Emanuele II di una missione presso Napoleone III al fine di ridiscutere i termini della convenzione di settembre, specialmente l’articolo riguardante il trasferimento della capitale d’Italia, ma la missione si risolse in un nulla di fatto. Collaboratore nel 1865 di C. Cadorna nell’elaborazione delle leggi di «unificazione amministrativa» del Regno e nella redazione dei nuovi codici, nel 1866 il M. partecipò alla terza guerra di indipendenza in veste di comandante supremo del genio contribuendo alla fortificazione della linea sul Mincio. Cessate le ostilità, il 3 luglio venne designato come plenipotenziario per la firma della pace e il 4 novembre ottenne il collare dell’Annunziata; consegnò poi al re l’antica corona ferrea lombarda insieme con i risultati del plebiscito delle popolazioni venete. Intimo oramai di Vittorio EmanueleII, il 2 genn. 1867 ebbe la nomina di primo aiutante di campo del re, ruolo che contribuì a renderlo partecipe della politica personale condotta dal sovrano.

Alla caduta del secondo ministero Ricasoli nel marzo del 1867, il re avrebbe voluto affidargli l’incarico di procedere alla formazione di un nuovo governo, ma l’improvvisa morte del figlio Ottavio, avvenuta il 5 aprile, indusse il M. a declinare il compito, e il governo fu costituito da U. Rattazzi. L’assunzione della carica di primo ministro fu però solo rimandata. Dopo il disastro di Mentana e sotto la minaccia di uno scontro con la Francia, il 26 ott. 1867, Vittorio Emanuele II, dopo il fallimento di E. Cialdini, impose al M. di formare un gabinetto.

Nato nel giro di poche ore in un momento di estrema crisi, il primo ministero Menabrea segnò una rottura tra la prassi parlamentare di supremazia della Camera, consolidata da Cavour, e la norma costituzionale ripristinata dal monarca (Guichonnet, p. 83). Nel clima pesante provocato dall’arresto di Garibaldi, il M., che aveva mantenuto per sé i dicasteri della Marina e degli Esteri, venne tacciato di essere a capo di un governo di corte dalla natura extraparlamentare, i cui membri professavano un culto quasi fanatico della monarchia. Costituito esclusivamente da senatori, alti funzionari e notabili, il governo, presentatosi alla Camera il 5 dic. 1867, fortemente sbilanciato a destra, fu violentemente attaccato dalle forze democratiche e fu di brevissima durata, cadendo (primo caso in assoluto) per la sfiducia parlamentare sancita il 22 dic. 1867 su un ordine del giorno rigettato per due soli voti.

Nonostante le dimissioni e l’impopolarità, il re incaricò il M. di formare il nuovo governo.

Sebbene più moderato della precedente compagine, per l’alleanza della Destra con il cosiddetto «terzo partito» di A. Mordini e A. Bargoni, al governo che prese forma il 5 genn. 1868 mancò l’appoggio dei grandi statisti piemontesi come Q. Sella e G. Lanza, così come degli influenti rappresentanti della «consorteria». Formato quasi esclusivamente da ministri settentrionali, il governo si attirò inoltre le aspre critiche dei latifondisti e dei radicali del Mezzogiorno. Il programma del M. fu incentrato principalmente sulle riforme dell’amministrazione e sul risanamento delle disastrate finanze dello Stato. Fu in quel contesto che venne approvata l’impopolare tassa sul macinato. Fortemente osteggiato dalla «permanente» piemontese, il secondo governo Menabrea non riuscì a controllare il divario crescente tra paese reale e paese legale. All’interno della compagine ministeriale, alla fine dell’anno C. Cadorna fu costretto a dimettersi da ministro dell’Interno per la bocciatura del suo progetto di decentramento amministrativo, così come la riattivazione dell’imposta di ricchezza mobile e l’applicazione della tassa sul macinato provocarono numerose rivolte e sanguinose repressioni nel paese. In fatto di politica estera poi, il M. non riuscì a condurre in porto la triplice alleanza con Francia e Austria, accordo che avrebbe portato alla soluzione «morale» della questione romana come lui auspicava.

Nonostante la fiducia accordatagli, il M. decise di dimettersi il 3 maggio 1869 con il proposito di formare un esecutivo più solido. La compagine presentatasi il 13 maggio si trovò però ben presto investita dai sospetti di illeciti e speculazioni provocati dall’approvazione della legge sulla Regia cointeressata dei tabacchi. Il M., che optava per uno scioglimento della Camera cui il sovrano si opponeva decisamente, alla riapertura della sessione parlamentare si trovò in una situazione pressoché insostenibile: le defezioni di diversi ministri e soprattutto l’elezione di G. Lanza alla presidenza della Camera sul candidato ministeriale A. Mari segnarono la fine della sua esperienza come presidente del Consiglio; il M. rassegnò le dimissioni al re il 23 novembre. L’allontanamento dal ministero si accompagnò a quello dagli ambienti di corte: in seguito al veto posto dal nuovo presidente G. Lanza sui ministri-cortigiani, il M. fu costretto a lasciare il 15 dicembre il comando della casa militare.

Dopo questo pesante ostracismo politico egli si dedicò a un’intensa attività diplomatica, che nei primi anni Settanta lo portò a ricoprire importanti incarichi onorifici, come nel 1873 quando fu inviato come rappresentante del governo a Stoccolma per l’incoronazione di Oscar II o nel 1874, quando a Venezia ricevette per conto di Vittorio Emanuele II l’imperatore Francesco Giuseppe in visita ufficiale in Italia.

Ritornato a svolgere le funzioni di senatore, a seguito dell’occupazione di Roma il M. aveva preso definitivamente le distanze dalla destra clericale votando il 13 maggio 1871 a favore della legge delle guarentigie. Presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ordine dell’Annunziata e della Consulta araldica, il 10 dic. 1875, in memoria della sua partecipazione alla seconda guerra d’indipendenza, Vittorio Emanuele II gli conferì il titolo di marchese di Val Dora.

Personaggio rinomato a livello internazionale, uno degli ultimi atti del secondo governo Minghetti fu quello di nominare il M. ambasciatore a Londra il 4 apr. 1876, scelta confermata il 14 dalla nuova maggioranza presieduta da A. Depretis. Nella capitale inglese il M. svolse la sua missione per più di sei anni, circondato dalla stima come soldato, politico e studioso. L’11 nov. 1882 venne destinato all’ambasciata di Parigi, dove soggiornò per quasi un decennio, fino agli inizi del 1892 allorché ottenne il congedo.

Socio di numerose accademie scientifiche italiane e straniere, ricevette le lauree honoris causa in civil law dalle Università di Oxford e Cambridge. Nonostante questi prestigiosi riconoscimenti, culmine di una straordinaria carriera, la vecchiaia del M. fu amareggiata dalle accuse di avere patrocinato nel 1891 presso il presidente del Consiglio, F. Crispi, la nomina a cavaliere di gran croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro dell’affarista Cornelius Herz, dal quale aveva ricevuto alcuni favori mentre era ambasciatore a Parigi.

Ritiratosi nella sua proprietà di Saint-Cassin alle porte di Chambéry, il M. vi morì il 25 maggio 1896.

Fonti e Bibl.: Gli atti di nascita e morte sono conservati rispettivamente presso l’Archivio dipartimentale della Savoia a Chambéry e l’ufficio dello Stato civile del Comune di Saint-Cassin. Per i numerosi incarichi: Arch. di Stato di Torino, Indici patenti controllo Finanze, ad nomen; Roma, Arch. centrale dello Stato, Real Casa, Serie speciale, b. 103, f. 7; Torino, Arch. storico dell’Università, Fondo esame di architetto e ingegnere civile, idraulico e matematica, Verbali, X, D 9, pp. 129, 190 e Registri della corrispondenza; per la missione nei Ducati del 1848, Arch. di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’estero, Missioni diplomatiche speciali e temporanee, anno 1848, m. 5. Non esistendo un archivio personale, lettere autografe del M. sono disponibili in: Arch. di Stato di Torino, Corte, Legato Umberto II, I versamento, m. 61; Roma, Arch. centrale dello Stato, Bastogi, Depretis, Visconti Venosta, Crispi, Fambri, ad nomen; Forlì, Biblioteca A. Saffi, Fondo Piancastelli, ad nomen. Ricostruzioni delle opere ossidionali e numerosi cimeli del M. sono conservati a Roma, nel Museo dell’Istituto storico e di cultura dell’arma del genio. Oltre agli Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature I-VI, ad indices e Senato del Regno, Discussioni, legislatura VI, ad ind., preziosa fonte è rappresentata dal volume autobiografico L.F. Menabrea, Memorie, a cura di L. Briguglio - L. Bulferetti, Firenze 1971. V., inoltre, Documenti diplomatici italiani, s. 2, VI-XXIV, Roma 1982-96, ad indices; Ed. nazionale delle opere di C. Cavour, Epistolario, VIII-X, XII-XVIII, Firenze 1983-2008, ad indices; M. d’Azeglio, Epistolario, V, 8 maggio 1849 - 31 dic. 1849, a cura di G. Virlogeux, Torino 2002, ad ind.; VI, 2 genn. 1850 - 13 sett. 1851, a cura di G. Virlogeux, ibid. 2007, ad ind.; J.F. Borson, Notice chronologique sur le général M., marquis de Val Dora, in Mémoires de l’Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie, s. 4, IX (1901), pp. 67-123; M. Mari, L’arresto di Garibaldi e il ministero Menabrea, Firenze 1913, passim; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Roma-Bari 1951, ad ind.; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, I, Palermo 1955, pp. 314-338; R. Mori, La questione romana (1861-1865), Firenze 1963, ad ind.; Id., Il tramonto del potere temporale. 1866-1870, Roma 1967, ad ind.; L. Duranti, L.F. M. presidente del Consiglio, in Rass. storica del Risorgimento, LXII (1975), pp. 17-37; V. Calabrese, L.F. M., in Memorie storiche militari, Roma 1981, pp. 261-319; S. Furlani, L.F. M., in Il Parlamento italiano 1861-1988, III, Milano 1989, pp. 351-371; A. Berselli, Luigi Carlo Farini, Marco Minghetti, L.F. M., Roma 1992, pp. 139-182; B. Baldini, Lieutenant-général Louis-Frédéric Ménabréa: le savant, le soldat, l’homme politique et de gouvernement, le diplomate, in Mémoires de l’Académie de Savoie, s. 7, XI (1998), pp. 51-59; P. Guichonnet, Louis-Frédéric Ménabréa, ibid., pp. 61-100; U. Levra, Introduzione a E. Bertolè Viale, Lettere dalla Crimea 1855-56, Torino 2006, ad ind.; Repertorio biografico dei senatori dell’Italia liberale. Il Senato subalpino, a cura di F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, II, Napoli 2005, pp. 615-624.

P. Gentile

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