GUELPA, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUELPA, Luigi

Giuseppe Monsagrati

Nacque a Biella il 22 dic. 1843 da Giuseppe, notaio, e da Giovannina Lombardi. Cresciuto in una famiglia borghese, ricevette la prima istruzione in seminario; quindi, mentre frequentava a Torino i corsi di giurisprudenza, continuò a coltivare e ad approfondire gli studi storici e filosofici che lo avevano appassionato già nell'adolescenza: importante, in questa fase, si rivelò per lui l'influsso di Domenico Berti, i cui corsi di storia della filosofia seguì per qualche tempo all'Università di Roma e che molti anni dopo, in un intervento alla Camera, avrebbe ricordato con gratitudine come l'"incoraggiatore dei giovani" dal quale aveva imparato "a trattare con audace libertà di parola ogni argomento" (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, leg. XVII, seduta del 20 apr. 1891). Da Berti e dalla sua visione di stampo giobertiano della storia e del primato dell'Italia in campo umanistico certamente derivarono al G. le idee che, nominato insegnante di storia e geografia nel liceo di Biella più tardi parificato, sviluppò in una Orazione inaugurale che vi tenne il 6 giugno 1875 in occasione del conferimento di alcuni premi agli alunni più meritevoli.

Pubblicato a Biella nel 1875 con il titolo Il classicismo e l'ufficio degli studi classici nella storia della civiltà, il discorso si qualificava, in tempi di positivismo trionfante, come un'affermazione risoluta del valore formativo degli studi umanistici. Di notevole per la conoscenza degli orientamenti del G. in questa prima fase della sua vita c'erano i ripetuti riferimenti alle opere di scrittori provenienti dal mondo cattolico quali T. Mamiani, C. Balbo e V. Fornari, quest'ultimo ricordato come autore di una "vita di Gesù Cristo non famosa perché cristiana e non ereticale"; del resto la stessa religione vi era presentata come un'esperienza che, lungi dal contrastare gli studi classici, "più ferventi li rende" (p. 28).

Su questa sua formazione il G. innestò successivamente gli apporti del pensiero mazziniano cui prese ad accostarsi quando la situazione degli operai nel Biellese portò alla luce l'insieme di problemi che intorno al 1877 avrebbe provocato le prime, clamorose astensioni dal lavoro e denunziato l'insostenibilità di una condizione di sfruttamento in cui già si intravedevano i prodromi della lotta di classe. Impegnato spesso come avvocato nella difesa degli operai lanieri in sciopero sottoposti a misure come il domicilio coatto, il G. si fece presto banditore dell'associazionismo mazziniano, si collegò al movimento delle cooperative biellesi (di cui nel 1888 promosse la federazione) e propugnò una prospettiva di collaborazione tra il capitale e il lavoro come unico mezzo per realizzare l'elevazione morale e materiale del lavoratore e per assicurare la pace sociale. Il desiderio di dare uno sbocco concreto alle proprie proposte lo portò a convergere sulle posizioni di F. Cavallotti e ad abbracciarne il programma, mettendo a frutto anche le esperienze di giornalista fatte durante gli anni dell'università e, successivamente, come direttore del supplemento letterario all'Eco dell'industria di Biella: nel 1881 fondò infatti un foglio bisettimanale, La Sveglia, che fu l'organo della democrazia biellese e che fino al 1885 ebbe un indirizzo operaista per assumere toni più esplicitamente radicali tra il 1885 e il 1886. Più tardi il G. avrebbe comunque tenuto a precisare di essere stato "cavallottiano sì, ma radicale mai" (Petrini, p. 100). Ciò non toglie, però, che quando nel 1886 B. Cairoli arrivò a Biella per inaugurare il monumento a G. Garibaldi il G. lo salutasse come "il salvatore del più cavalleresco, del più leale dei Re, di Umberto I nostro amatissimo Sovrano" (Trivero, p. 350), ed era qui la conferma che del mazzinianesimo egli aveva colto più i contenuti sociali che quelli strettamente politici.

Con la fondazione della Sveglia ebbe inizio il periodo di più forte impegno politico del G. che, facendo del giornale il luogo di raccolta e discussione di forze che andavano dai radicali agli anarchici, riuscì a costruirsi la base che nel 1890 lo avrebbe portato in Parlamento.

Secondo eletto con più di 10.000 voti nel collegio di Cossato, sollecitò a più riprese, tanto nel dibattito alla Camera quanto nelle interpellanze al governo, misure anche piccole di intervento a favore dei lavoratori. Particolarmente importante in questo senso fu l'interpellanza con cui il 14 febbr. 1891 chiese al governo se tra i progetti in preparazione ve ne fosse uno riguardante "la legislazione sociale". Trattato in precedenza nella stessa sede da D. Berti (1885) con una serie di proposte sulla responsabilità dei datori di lavoro ai fini assicurativi, l'argomento era ora sviluppato in forma più compiuta dal G. che, mettendo in guardia la Camera sulla necessità di non farsi cogliere di sorpresa dall'avanzata delle classi lavoratrici, evidenziava l'urgenza di provvedimenti che, riconoscendo loro il diritto di veder soddisfatti i bisogni primari (casa, alimentazione, istruzione, assistenza medica, difesa dalla disoccupazione e libertà dall'usura), favorissero l'armonia delle classi evitando al paese pericolose contrapposizioni. A completare la sua proposta, che la Camera e il governo presero in considerazione il 26 genn. 1892 senza darvi seguito, il G. chiedeva la costituzione di una "Commissione del lavoro" capace di esercitare "a nome dello Stato, questo temperamento equo fra l'individualismo che prepuote e la collettività che è in condizione inferiore": tesi non dissimili avrebbe esposto nel comizio romano dell'11 ott. 1891 con cui avrebbe dato un impulso decisivo alla costituzione della Camera del lavoro, il cui patto federativo sarebbe stato sottoscritto l'8 maggio 1892 alla sua presenza: il tutto nel quadro di un'iniziativa che si collegava alla fondazione del Partito socialista in vista della quale proprio il G. riunì a Biella nel luglio 1892 i rappresentanti di 22 società operaie per parlare di organizzazione e procedere alla nomina dei delegati al congresso di Genova. La rottura con gli anarchici che ne scaturì rivelò come la sua idea di democrazia non si prestasse a compromessi di comodo.

Era infatti, la sua, una posizione che, rifuggendo da ogni avventurismo, poneva in primo piano la politica delle riforme sociali non come svuotamento delle aspirazioni del quarto stato ma come assunzione da parte delle forze progressiste di un'iniziativa concreta intesa a portare la giustizia sociale là dove mancava. Nacque probabilmente da qui, non meno che dal timore di un ritorno di F. Crispi al potere, il passo che il G. compì accostandosi, dopo essere stato rieletto, al governo Giolitti. Incurante dell'attrito che ne sarebbe sorto con Cavallotti, il quale temeva una possibile convergenza di altri radicali verso l'area ministeriale e moderata, l'11 sett. 1893 il G. sollecitò con una lunga lettera Giolitti ad allargare la propria maggioranza a sinistra inaugurando una linea di riformismo sociale alla base del quale avrebbe dovuto porre l'imposta progressiva. Sapeva che dall'attuazione di questo programma sarebbe dipeso anche il suo futuro di deputato: non facendosene nulla, nelle elezioni del 1895 fu battuto e si congedò dagli elettori del collegio di Cossato con una lettera in cui diceva tra l'altro: "Io rappresentavo un elemento di conciliazione fra capitale e lavoro; la successione spetta ora ad un giovane seguace delle dottrine di Carlo Marx" (Rigola, p. 152).

Tornato alla vita professionale con un impegno che lo induceva ad accettare la difesa di quanti, stando all'opposizione, fossero colpiti dalle misure repressive dell'età crispina e di fine secolo (nel 1897 toccò al socialista O. Morgari affidarsi a lui), il G. poté riprendere anche l'attività degli studi svolgendola naturalmente in coerenza con le proprie idee politiche: chiamato spesso a ricordare gli uomini del Risorgimento, come conferenziere si era distinto per un discorso su Giordano Bruno e l'idea anticlericale italiana. Conferenza tenuta all'Associazione democratica subalpina la sera del 21 febbr. 1885 (Torino 1885) nel quale la lezione venutagli a suo tempo da D. Berti era riveduta alla luce della dottrina mazziniana, sì che Bruno diventava colui che aveva posto "per il primo il concetto della vita come missione" (p. 71) dando alla libertà di pensiero un contenuto non di miscredenza ma di conciliazione tra materia e spirito. Come studioso invece, il G. aveva prodotto un lungo saggio su Mentana. Studio storico (Novara 1889; 2ª ed., Torino-Roma 1891), in cui, sorvolando completamente sul conflitto che nel 1867 aveva opposto Mazzini a Garibaldi, aveva, con l'esempio di un episodio capace di risvegliare la coscienza laica nazionale, richiamato i giovani alla ripresa degli antichi ideali di lotta.

Negli ultimi anni la riflessione storico-politica del G. fu tutta dettata dall'esigenza di perpetuare la tradizione mazziniana come contraltare alla diffusione del marxismo.

Due i contributi principali in tal senso: il corso tenuto all'Università di Genova nel 1902 (La mente, la dottrina e l'opera di G. Mazzini nella storia della civiltà del sec. XIX. Sommario, Biella 1902) per un totale di 21 lezioni, l'ultima delle quali dedicata appunto al confronto con il materialismo e l'internazionalismo marxiani, e la conferenza tenuta a Genova l'11 giugno 1905 nell'aula magna dell'Università sul tema Dio, umanità, patria, quali elementi integratori del pensiero politico di G. Mazzini (poi pubblicata nel volume Mazzini del Comitato per la celebrazione del I centenario della nascita, Genova 1906, pp. 81-143): anche qui l'adesione convinta al pensiero mazziniano poggiava sulla certezza che "il materialismo è la filosofia delle epoche di decadenza, mentre l'idealismo è la filosofia delle epoche di iniziativa e di grandezza degli individui, dei Popoli, dell'Umanità" (p. 141).

Il G. morì a Biella il 18 dic. 1911. Lo commemorò il concittadino R. Rigola, l'organizzatore sindacale riformista che nell'Autobiografia ne avrebbe ricordato la coerenza: "Se egli fosse stato più accomodante, gli sarebbe stato facile passare al socialismo temperato, nell'ora in cui la democrazia borghese volse al tramonto […]. Ma non lo fece per fedeltà al suo idealismo mazziniano" (Rigola, p. 74).

Altri scritti del G.: Icanti di Stefano Mina. Studio critico, Torino 1869; Appunti sulla mente del medico Bartolomeo Sella e sull'opera di beneficenza da lui istituita, Roma 1872; La leggenda in Noli [serie di articoli per il supplemento letterario all'Ecodell'industria, 1879]; I benefattori del Comune di Cossato. Discorso, Biella 1886; Cassa di temperanza, ibid. 1886; Epitalamio [per nozze Bellia-Faà], ibid. 1897; Contributo allo studio della teoria sulla popolazione agricola. Relazione, Torino 1898; Sulle cause dell'eccessiva emigrazione della popolazione agricola nelle città e sui rimedi più opportuni per evitare lo spopolamento delle campagne e l'eccessivo addensamento nelle città. Relazione, ibid. 1898; Per i biellesi caduti nelle battaglie della patria. Commemorazione tenuta il 26 giugno 1904…, Biella 1904.

Fonti e Bibl.: Quaranta lettere del G. a Cavallotti, relative agli anni 1881-97, sono conservate in Milano presso la Fondazione G. Feltrinelli; una lettera in Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte Morgari, b. 8/11/2/16; altre due ibid., Pubblica Istruzione, Divisione scuole medie, b. 343; Atti parlamentari, Camera, legislatura XVII, Documenti, n. 296; Discussioni, legislature XVII e XVIII (per la consultazione si vedano gli indici presenti nell'ultimo volume di ogni legislatura). R. Rigola, R. Rigola e il movimento operaio nel Biellese. Autobiografia, Bari 1930, pp. 69, 72-76, 124, 137, 152; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad ind.; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, I, L'Italia di fine secolo 1885-1900, a cura di P. D'Angiolini, Milano 1962, ad ind.; S. Trivero, L. G. e Benedetto Cairoli, in Il Biellese nell'epopea del Risorgimento, Biella 1960, pp. 347-353; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, ad ind.; Id., F. Cavallotti, Torino 1976, ad ind.; G. Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei tessili (1860-1900), in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, diretta da A. Agosti - G.M. Bravo, I, Bari 1979, pp. 85 s.; L. Petrini, Biella 1881, Biella 1981, pp. 100, 198; M. Casella, Roma fine Ottocento. Forze politiche e religiose, lotte elettorali, fermenti sociali (1889-1900), Napoli 1995, ad ind.; M. Neiretti, Le radici e il fondamento: dall'opinione pubblica alla forma partito nel Biellese di fine Ottocento, in Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento, a cura di P. Audenino, Milano 1995, pp. 284-287; S. Sepe, Le amministrazioni della sicurezza sociale nell'Italia unita (1861-1988), Milano 1999, p. 107; Ilmovimento operaio italiano. Diz. biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, s.v. (R. Calvetti).

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