LA PORTA, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LA PORTA, Luigi

Fabio Zavalloni

Nacque a Palermo il 10 ott. 1830 da Filippo, medico appartenente all'alta borghesia di Ciminna (piccolo centro del Palermitano), e da Maria Sanfilippo.

Il L., come molti giovani delle famiglie borghesi, compì gli studi primari presso i gesuiti. Probabilmente fu proprio il contatto con un ambiente reazionario a indirizzarlo verso posizioni politiche improntate a un netto liberalismo democratico e progressista. D'altro canto, lo spingevano in tal senso le stesse tradizioni familiari, poiché il padre era stato deputato al Parlamento siciliano dall'ottobre 1814 al maggio 1815. Il L., assorbito dapprima dall'attività cospirativa, poi dalla carriera politica, non portò mai a termine gli studi inferiori: nonostante ciò, durante la lunga militanza parlamentare, mostrò competenza in numerose materie.

Al momento dello scoppio rivoluzionario del 1848, il L. operò una decisa scelta di campo, arruolandosi come volontario nella spedizione diretta in Calabria, capitanata dal generale I. Ribotti di Molières. Progettata dal governo siciliano con l'obiettivo di sollevare le popolazioni peninsulari contro il dispotismo borbonico, l'impresa si rivelò un fallimento. Arrestato nel luglio 1848, il L. fu condannato a quattordici mesi di reclusione, scontati a Nisida e al castello di Capua. Nel 1850, tornato a Palermo, entrò a far parte del comitato esecutivo siciliano, che cercava di promuovere un movimento insurrezionale antiborbonico.

Seguace di G. Mazzini e propugnatore di un programma politico imperniato su capisaldi cari al patriota genovese - quali la necessità dell'unità italiana e la predilezione per la repubblica -, il L. riuscì a far prevalere il proprio punto di vista all'interno del comitato (che si ramificò in molte province siciliane). Il manifesto programmatico, da lui stesso redatto insieme con V. Lentini Somma, ne fu testimonianza pregnante: il documento sancì infatti l'inserimento del movimento rivoluzionario siciliano, fino al 1848 ancora attardato su posizioni indipendentiste, nell'alveo del movimento risorgimentale italiano.

Arrestato nel dicembre 1851, il L. continuò a tessere le fila dell'organizzazione cospirativa dal forte di Castellammare, ove restò recluso fino al 1856, riuscendo persino a tenere contatti con esponenti dell'emigrazione quali R. Pilo e N. Fabrizi. Tornato in libertà, si recò a Ciminna, dove si era nel frattempo trasferita la sua famiglia, dopo la morte del padre.

Di lì, insieme con F. Bentivegna, diede vita a un Comitato rivoluzionario centrale, che riuscì a promuovere nel novembre 1856 una sollevazione in alcuni piccoli comuni del circondario palermitano. Presto sedato dall'esercito borbonico, il tentativo rivoluzionario costò al L. la condanna a morte. Sottrattosi all'arresto in maniera fortunosa, trovò rifugio nelle campagne fra Ventimiglia e Ciminna. Negli anni della latitanza riuscì, tuttavia, a mantenere i contatti con il comitato segreto esistente a Palermo, in cui militavano F. Riso e A. Starabba di Rudinì.

Nell'aprile 1860, il L., sull'onda della rivolta scoppiata a Palermo, cercò di promuovere un vasto movimento insurrezionale nelle zone intorno alla capitale. L'indubbia capacità organizzativa mostrata in quel frangente gli valse la nomina, da parte dei membri del comitato rivoluzionario di Palermo, a presidente del Comitato generale di insurrezione. Il L. riuscì ad arruolare un migliaio di uomini, con i quali cercò di fronteggiare la controffensiva dell'esercito borbonico (scontri di Gibilrossa e di Carini). Le improvvisate milizie del L., composte da contadini e sbandati, erano ormai prossime all'annientamento quando Pilo lo avvertì dell'imminente sbarco di G. Garibaldi in Sicilia, spronandolo a tenere desto lo spirito rivoluzionario. Il L. organizzò allora a Ciminna una nuova squadra d'insorti, con i quali (17 maggio 1860) mosse alla volta di Palermo, prendendo parte alla battaglia che segnò la liberazione della città. Il 27 maggio 1860 egli guidò i propri uomini all'assalto della postazione borbonica di porta Maqueda, ottenendo uno strepitoso successo e la nomina sul campo a tenente colonnello. Il L. seppe così guadagnarsi la stima e la considerazione di Garibaldi, che il 27 giugno 1860 lo nominò segretario di Stato per la Sicurezza pubblica.

La principale preoccupazione del L. fu di rendere esecutivo il decreto dittatoriale del 17 giugno 1860, che disponeva lo scioglimento della Compagnia di Gesù, l'espulsione dei suoi membri e la confisca dei beni. Il L. cercò inoltre di porre un freno agli abusi e alle persecuzioni perpetrati dai cittadini palermitani nei confronti degli agenti del dissolto governo borbonico, improntando la sua azione al più rigoroso rispetto per i diritti fondamentali dei cittadini. L'atteggiamento garantista adottato in quel difficile momento divenne poi una costante del L. uomo politico.

L'esperienza ministeriale del L. fu comunque di breve durata: profondamente disgustato dalle lotte di potere, che videro protagonisti uomini come F. Crispi, G. La Farina e A. Depretis, preferì ritornare al servizio militare attivo e seguire Garibaldi nella conquista del Mezzogiorno continentale. Il L. ebbe il comando di un reggimento, distinguendosi nel fatto d'armi di Santa Maria Capua Vetere (19 sett. 1860), e, soprattutto, nella battaglia del Volturno (1° ott. 1860), quando, intervenendo con due compagnie del suo reggimento, impedì che le truppe di G. La Masa fossero travolte da un deciso contrattacco della cavalleria borbonica. Dopo lo scioglimento dell'Esercito meridionale, il L. fu inquadrato in quello regolare, mantenendo il grado di tenente colonnello.

La sua carriera militare fu di breve durata: all'inizio del 1862 non seppe infatti resistere all'invito dei vecchi compagni a partecipare alla lotta politica. Il L. si candidò così nel collegio di Girgenti, e lo stesso Garibaldi ne caldeggiò l'elezione inviando una lettera alla cittadinanza locale. Il 4 apr. 1862 il L. sconfisse in ballottaggio, per soli tre voti, il candidato reazionario B. Drago, sindaco della città. Fino al 1892, anno in cui fu nominato senatore, il L. fu ininterrottamente eletto deputato nel collegio di Girgenti.

Alla Camera, sedette a sinistra e partecipò instancabilmente ai lavori dell'assemblea, assumendo atteggiamenti non sempre in linea con quelli dei suoi amici di partito. Notevole competenza dimostrò nelle questioni di ordine finanziario e, in numerosi interventi, fu severo censore della politica economica dei governi della Destra. Tenace oppositore del corso forzoso e della tassa sul macinato, il L. rimproverava la scelta di colpire indiscriminatamente tutta la materia imponibile, con il risultato di deprimere l'economia nazionale.

Il L. dedicò estrema attenzione alla questione dell'ordine pubblico in Sicilia. Persuaso che uno Stato forte potesse garantire sicurezza e libertà ai propri cittadini grazie alle sole leggi ordinarie, senza ricorrere a provvedimenti restrittivi nei confronti dell'intera collettività, denunciò più volte in aula (in particolare nell'aprile e nel dicembre 1863 e nel giugno 1875) le leggi eccezionali di pubblica sicurezza con le quali i governi della Destra ressero la Sicilia dal 1862 in poi. Convinto che la soluzione del problema siciliano passasse per l'attuazione di un programma di radicali riforme economiche e amministrative, il L., nel dicembre 1863, insieme con altri diciannove colleghi (fra i quali A. Saffi, G. Nicotera, A. Bertani, G. Ricciardi), si dimise da deputato, in segno di protesta per l'estensione alla Sicilia della legge Pica.

Dopo il 1876, appoggiò in maniera convinta la politica finanziaria promossa dalla Sinistra (volta a conseguire una sostanziale perequazione del sistema tributario), ma non pose la necessaria attenzione al grave problema dell'aumento della spesa pubblica. Si mostrò, invece, in disaccordo col suo partito riguardo alla scelta protezionistica, che considerava dannosa agli interessi di molte industrie nazionali. Il L. riservò poi grande attenzione al tema della realizzazione della rete ferroviaria: sostenitore della linea privatistica cara alla Sinistra, si batté energicamente perché la Sicilia - e più in generale il Sud d'Italia - fossero dotati di infrastrutture, così da creare un vero mercato nazionale.

La questione ecclesiastica, che aveva rilevanti implicazioni in politica interna ed estera, fu un altro dei temi centrali nella sua attività parlamentare.

Anticlericale, contrario a una possibile conciliazione fra Chiesa e Stato, fu sostenitore convinto dell'impostazione giurisdizionalistica cara alla Sinistra. Conseguentemente, appoggiò senza riserve la legge sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico (varata nel 1867), nella quale vide non solo un sostegno alle esauste finanze statali, ma anche una grande affermazione sulla Chiesa del Sillabo. In merito alla questione romana, il L. condannò senza appello la convenzione di settembre (1864), vista come la rinuncia di diritto e di fatto dell'Italia a Roma e prova tangibile dell'asservimento della politica estera della Destra al volere di Napoleone III. Dopo la liberazione di Roma, il L. non si rassegnò mai all'approvazione della legge delle guarentigie (maggio 1871), che "veniva a costituire non la libertà della Chiesa, ma il privilegio della Chiesa cattolica a danno della libertà dei culti, l'autocrazia del papa, l'oligarchia dell'episcopato, il sacrificio del basso clero, il sacrificio dei diritti e delle prerogative dello stato" (Camera dei deputati, Discussioni, legisl. XII, sess. 1874-75, tornata del 17 marzo 1875, p. 2172).

All'indomani della "rivoluzione parlamentare" del marzo 1876 che portò la Sinistra al potere, il L. non ebbe il giusto riconoscimento all'indefessa attività profusa dai banchi dell'opposizione. Egli non seppe o non volle inserirsi nelle complesse dinamiche interne al suo partito, finendo per esserne emarginato. Così l'incarico più alto cui poté ascendere negli anni di governo della Sinistra fu la presidenza della commissione Bilancio, tenuta in maniera scrupolosa dal 1880 al 1892. Il 10 ott. 1892 giunse la nomina a senatore (che il L. aveva rifiutato nel 1871), ma le precarie condizioni di salute gli impedirono di partecipare con continuità ai lavori parlamentari.

Il L. si spense a Monte Porzio Catone, presso Roma, il 24 luglio 1894. In Senato fu commemorato dal presidente D. Farini.

Fonti e Bibl.: Presso il Museo centrale del Risorgimento di Roma si conservano lettere del L. a F. Crispi, G. Garibaldi, P.S. Mancini, D. Farini: bb. 43/85, 311/29, 630/16, 656/35. Testimonianze dei rapporti istituzionali intercorsi fra il L. (nel periodo in cui fu a capo della commissione Bilancio della Camera), Depretis e Crispi, presso l'Arch. centr. dello Stato, Carte Depretis e Carte Crispi (per la consultazione si rinvia ai rispettivi inventari). Palermo, Deputaz. di storia patria, Carte Crispi, b. 153, f. 1600 (14 lettere inviate da Crispi al L.). Si vedano poi: Alcuni fatti e documenti della rivoluzione dell'Italia meridionale del 1860 riguardanti i Siciliani e La Masa, in Il Risorgimento in Sicilia, I (1965), pp. 581-767; Ed. naz. degli scritti editi ed inediti di G. Mazzini (v. Indici, II, Imola 1972, ad nomen); Lettere di R. Pilo, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad ind.; Ed. nazionale degli scrittidi G. Garibaldi, XIII, Epistolario, VII, marzo - dicembre 1862, a cura di S. La Salvia, Roma 1986, pp. 272 ss. Essenziale il contributo di G. Portalone Gentile, Un democratico siciliano: L. L., Palermo 1980. Altri riferimenti in: G. Oddo Bonafede, I Mille di Marsala…, Milano 1863, pp. 53-366; F. Guardione, La spedizione calabro-sicula, in Memorie della rivoluzione siciliana dell'anno 1848, II, Palermo 1898, p. 93; G.C. Abba, Cose garibaldine, Torino 1907, p. 80; C. Albanese, I siciliani per l'unità e l'indipendenza italiana, Palermo 1938, pp. 23 s.; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-74), Torino 1954, ad ind.; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad ind.; F. Brancato, Storia della Sicilia post-unificazione, I, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d'Italia, Bologna 1956, ad ind.; G. Cerrito, Radicalismo e socialismo in Sicilia, 1860-1882, Messina-Firenze 1958, ad ind.; R. Mori, La questione romana, 1861-1865, Firenze 1963, ad ind.; G. Falzone, Storia della mafia, Milano 1978, p. 134; Id., Sicilia 1860, Palermo 1978, pp. 32, 204; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, I, I caratteri originari e gli anni della unificazione italiana, Palermo 1984, pp. 218, 223; V. Graziano, Ciminna, memorie e documenti, a cura di F. Brancato, Palermo 1987, pp. 77-86.

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