LONGO, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LONGO, Luigi

Giuseppe Sircana

Nacque a Fubine Monferrato, presso Alessandria, il 15 marzo 1900 da Giuseppe e da Lucia Gotta, in una famiglia di viticoltori che la crisi agricola e l'aumento dei prezzi delle uve nei primi anni del secolo avevano ridotto in povertà. Per migliorare le proprie condizioni, nel 1907 la famiglia si trasferì a Torino, dove il padre del L. aprì una mescita nel quartiere operaio della Barriera di Milano e il L. fu avviato agli studi tecnici presso l'istituto Sommeiller. Il suo rendimento scolastico ne incoraggiò l'iscrizione alla facoltà d'ingegneria del Politecnico, i cui corsi dovette tuttavia interrompere nel 1917, allorché, dopo Caporetto, fu chiamato alle armi. Arruolato nel 7° reggimento bersaglieri di stanza a Clusone, nel Bergamasco, al termine della guerra frequentò la scuola allievi ufficiali di Parma e prestò servizio a Cosenza prima di essere congedato nel febbraio 1920.

L'esperienza della vita militare mise in crisi il tradizionale sistema di valori borghesi ai quali il L. aveva sempre fatto riferimento, portandolo, attraverso la lettura della stampa socialista e dei classici del marxismo, a una presa di coscienza sociale e politica.

Appena tornato a Torino, oltre a riprendere gli studi il L. decise di iscriversi alla Federazione giovanile socialista e si schierò con la frazione comunista di A. Bordiga. Nel 1921 partecipò al congresso di Livorno e alla fondazione del Partito comunista d'Italia (PCd'I); fu eletto nel comitato centrale della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI) e fu incaricato di organizzare in Piemonte squadre armate di difesa contro la dilagante violenza fascista. Curatore sulle pagine dell'Ordine nuovo della rubrica "Tribuna dei giovani", il L. collaborò con Bordiga alla stesura delle tesi del secondo congresso del PCd'I, che si tenne in Roma dal 20 al 24 marzo 1922. Nel novembre dello stesso anno si recò a Mosca per partecipare, come delegato giovanile, al IV Congresso dell'Internazionale comunista (IC).

Al rientro in Italia, dopo un breve soggiorno a Roma per dirigere la FGCI, si stabilì a Milano. Assunto lo pseudonimo Luigi Galli (mutato poi in Gallo), il L. si dedicò all'attività di propaganda e all'organizzazione dei giovani comunisti, ma nel maggio 1923 fu arrestato con l'accusa di cospirazione contro la sicurezza dello Stato. Rinchiuso nel carcere di S. Vittore, e poi in quello romano di Regina Coeli, fu scarcerato senza processo nel marzo 1924. Rientrato a Milano, riprese subito l'attività clandestina come coordinatore dei giovani comunisti per l'Italia settentrionale e in tale veste svolse un ruolo rilevante nelle lotte che dividevano il gruppo dirigente del PCd'I.

Fautore della "bolscevizzazione" del partito, anche dopo la rottura con Bordiga sancita dal Congresso di Lione (20-26 genn. 1926), il L. si mantenne su posizioni radicali. Sempre nel 1926 si recò a Mosca per partecipare ai lavori dell'Internazionale giovanile comunista (KIM), dove espresse pieno sostegno alla lotta di J. Stalin contro L. Trotski.

Tra i dirigenti del PCd'I il L. si caratterizzava come l'interprete fedele della linea dell'Internazionale volta a imprimere all'opposizione al fascismo una connotazione di classe attraverso la formula del "governo operaio e contadino". Entrò, dunque, in contrasto con P. Togliatti (divenuto nel 1927, dopo l'arresto di A. Gramsci, segretario del partito) che pensava invece al superamento del fascismo attraverso una fase intermedia di alleanza con le forze democratico-borghesi. Nell'aprile 1927 il L., che da febbraio si era stabilito a Parigi, fu cooptato nella segreteria del PCd'I come garante della linea dell'IC, sostenuta dai giovani e condivisa infine da Togliatti.

Fu così avviata la cosiddetta "svolta" che, capovolgendo l'orientamento degli ultimi anni, riteneva maturi i tempi per la caduta del fascismo e l'avvento, senza passaggi intermedi, della dittatura del proletariato.

Ciò implicava l'intensificazione della lotta in Italia e a tal fine, verso la metà del 1927, il L. si trasferì in Svizzera dove insegnò, con Togliatti e R. Grieco, nella scuola politica di addestramento quadri di Liestal e fu tra gli organizzatori della conferenza di Basilea.

Protagonista della lotta agli oppositori della svolta (A. Tasca, P. Tresso, A. Leonetti, P. Ravazzoli e I. Silone), di cui ottenne l'espulsione dal partito, il L. fu oggetto delle sollecitazioni dell'IC perché continuasse la lotta contro Togliatti, fino a prenderne il posto, ma preferì essere un "secondo" fornito di autorità piuttosto che un "primo" imposto dall'esterno e osteggiato dal partito.

Nel 1930, rientrato a Parigi, fu infatti nominato responsabile di un settore nevralgico come l'organizzazione, sul quale riferì al IV Congresso del partito (Colonia, 14-21 apr. 1931). Confermato membro del comitato centrale e dell'ufficio politico, nel 1933 fu designato a rappresentare a Mosca il PCd'I in seno all'esecutivo dell'Internazionale.

Nel 1934 tornò a Parigi, dove riprese il suo posto nell'ufficio politico e fu incaricato - lui, che era stato tra i più tenaci sostenitori della lotta al "socialfascismo" - di lavorare al recupero dei rapporti con i socialisti. Fu estensore, con P. Nenni, del primo manifesto unitario e fece parte, con G. Di Vittorio ed E. Gennari, della delegazione comunista che condusse le trattative approdate, il 9 ag. 1934, al patto di unità d'azione con il Partito socialista italiano (PSI). La strategia del fronte comune di lotta antifascista orientò da allora l'agire politico del L., che nel 1936 fu tra i primi ad accorrere in Spagna a sostegno della Repubblica.

Partecipò, ad Albacete, all'organizzazione e all'inquadramento delle migliaia di volontari provenienti da 52 Paesi. Commissario politico della II brigata internazionale combatté a Madrid e a Pozuelo de Alarcón, dove rimase ferito e nel dicembre del 1936 fu promosso ispettore generale di tutte le brigate internazionali. Alla loro testa il L. prese parte a molte battaglie, dal fronte di Guadalajara all'Estremadura, e acquisì un'esperienza politico militare che gli sarebbe tornata preziosa qualche anno più tardi in Italia.

Rientrato in Francia dopo la sconfitta della Repubblica spagnola, nel 1939 il L. fu internato nel campo di Vernet d'Ariège e, nel maggio 1941, come altri ex-combattenti di Spagna, fu consegnato dal governo Pétain alle autorità italiane e da queste inviato al confino nell'isola di Ventotene. Appena liberato, il 30 ag. 1943, il L. presentò, a nome del suo partito, un "Promemoria urgente sulla necessità di organizzare la difesa nazionale contro l'occupazione e la minaccia di colpi di mano da parte dei tedeschi" al Comitato delle opposizioni costituitosi a Roma. Dopo aver partecipato alla tentata difesa della capitale partì alla volta di Milano, dove assunse il comando delle brigate d'assalto Garibaldi. Membro del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) e vicecomandante, insieme con F. Parri, del Corpo volontari della libertà (CVL) con il nome di battaglia di Italo, il L. vide crescere intorno a sé prestigio e autorevolezza, al punto da essere da taluni considerato l'effettivo leader dei comunisti italiani.

La direzione del Partito comunista italiano (PCI) faceva allora riferimento a due "centri": uno a Roma, guidato da G. Amendola e da M. Scoccimarro, e l'altro a Milano, guidato dal L. e da P. Secchia. Il gruppo romano, confidando nella rapida avanzata delle truppe alleate, rifiutava qualsiasi accordo con P. Badoglio e la monarchia, mentre i dirigenti comunisti impegnati nella Resistenza praticavano, in nome della priorità della guerra ai nazifascisti, intese sul piano politico-militare con le forze monarchico-badogliane.

La dialettica tra i due centri divenne più vivace quando Scoccimarro, mentre Togliatti era ancora a Mosca, dichiarò che la direzione del partito era ormai in Italia e sollecitò il L. a trasferirsi a Roma non appena la capitale fosse stata liberata. Ancora una volta il L. rifiutò la candidatura a capo del PCI e, al rientro di Togliatti in Italia nel marzo 1944, aderì alla cosiddetta svolta di Salerno.

Il ruolo del L. come capo militare e politico della Resistenza risaltò particolarmente in due circostanze. La prima fu quando, in prossimità dell'inverno 1944, il generale britannico H. Alexander invitò i partigiani ad abbandonare le montagne e ad attendere nelle loro case l'arrivo della primavera: il L. "interpretò" a suo modo il messaggio del capo delle forze alleate impartendo la direttiva di scendere a valle, rifugiarsi nelle case dei contadini e continuare a combattere. L'altro momento fu quando, il 27 apr. 1945, il L. assegnò a W. Audisio la missione di eseguire la sentenza di morte emessa dal CLNAI nei confronti di B. Mussolini.

Dopo la Liberazione il L. si adoperò per favorire la transizione del PCI dalla fase cospirativa e combattente a quella della legalità democratica, auspicando l'immissione dei partigiani nei ranghi dell'Esercito e della polizia. Al V Congresso del PCI (Roma, 29 dic. 1945 - 5 genn. 1946) sostenne la tesi della fusione con il PSI e fu eletto, insieme con Secchia, vicesegretario del partito. Membro della Consulta nazionale e poi dell'Assemblea costituente, sedette ininterrottamente alla Camera dei deputati in tutte le successive legislature.

Stretto collaboratore di Togliatti, diede un originale contributo alla costruzione del "partito nuovo" e all'elaborazione della "via italiana al socialismo", riversandovi l'eredità ideale e politica della Resistenza.

Nel settembre 1947 partecipò in Polonia alla riunione costitutiva del Cominform, presso cui divenne delegato permanente del PCI. Nel 1951, allorché Stalin propose a Togliatti di trasferirsi a Praga per dirigere questo organismo di collegamento tra i partiti comunisti, il L., con Secchia e quasi tutti i dirigenti del partito, accolse la proposta malgrado la contrarietà dello stesso Togliatti. Sostenitore senza riserve dell'intervento sovietico in Ungheria nel 1956, alla conferenza dei partiti comunisti (Mosca 1960) il L. si dichiarò contrario alla "scomunica" nei confronti del partito cinese.

Al tema dei rapporti con la Cina e tra i partiti comunisti era appunto dedicato il Memoriale di Jalta, stilato nell'estate 1964 da Togliatti in vista dei colloqui che avrebbe dovuto sostenere con i dirigenti sovietici. L'improvvisa morte del segretario generale del PCI, il 26 ag. 1964, fece ricadere sul L., chiamato a succedergli, la responsabilità di rendere noto quel documento, che i dirigenti del Cremlino avrebbero voluto mantenere riservato. Con la pubblicazione del Memoriale il PCI riaffermava le idee di Togliatti sul policentrismo e sulle vie nazionali al socialismo e il L. caratterizzava l'inizio della sua segreteria con un segno di grande apertura. Con tutti i limiti dovuti alla riconfermata fedeltà all'URSS e al suo primato muoveva i primi timidi passi quel processo lento e tormentato di affrancamento del PCI dal sistema sovietico, nel quale il L. avrebbe avuto un ruolo ora di sollecitazione, ora invece frenante.

Agì da stimolo nel 1968, quando manifestò simpatia nei confronti della "primavera di Praga" e sottoscrisse la dichiarazione di grave dissenso del PCI per l'intervento sovietico che pose fine a quell'esperienza. Non meno importante fu l'avvio dei contatti con i partiti socialdemocratici europei, destinati a divenire, molti anni dopo, i naturali interlocutori politici di un PCI affrancato da Mosca.

Il 27 ott. 1968 il L. fu colpito da ictus cerebrale e, pur patendo una parziale riduzione nei movimenti, rimase ancora quattro anni alla guida del partito. L'aggravarsi delle condizioni di salute lo indusse a proporre al XII Congresso del PCI (Milano, 12-17 marzo 1972) l'elezione a segretario generale di E. Berlinguer. Nominato presidente, il L. non mancò di esternare le sue opinioni, talvolta in contrasto con quelle del suo successore e con la maggioranza del partito.

Avanzò riserve sulla formula del "compromesso storico", criticò l'accentuazione dei motivi di dissenso nei confronti dell'URSS e si dissociò dalla condanna dell'intervento sovietico in Afghanistan, espressa nel 1979 dalla direzione del PCI.

Il L. morì a Roma il 16 ott. 1980.

Si ricordano fra le sue opere: Gli inganni e le menzogne di Giustizia e libertà, s.l. 1931; Il libro giallo della socialdemocrazia italiana, Parigi 1933; Lo stakanovismo nella costruzione socialista, ibid. 1936; Garibaldini in Spagna, Madrid 1937; Per la creazione del partito unico della classe operaia e dei lavoratori, Roma 1946; Un popolo alla macchia, Milano 1947; Sulla via dell'insurrezione nazionale, Roma 1954; Le Brigate internazionali in Spagna, ibid. 1956; Revisionismo nuovo e antico, Torino 1957; Il miracolo economico e l'analisi marxista, Roma 1962 (con G. Longo); Sui fatti di Cecoslovacchia, ibid. 1968; La politica comunista, ibid. 1969 (con E. Berlinguer); Tra reazione e rivoluzione. Ricordi e riflessioni sui primi anni di vita del PCI, Milano 1972 (con C. Salinari); I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma 1973; Chi ha tradito la Resistenza, ibid. 1975; Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, Milano 1976 (con C. Salinari); Continuità della Resistenza, Torino 1977; Opinione sulla Cina. Dalle polemiche sul revisionismo al dopo-Mao, Milano 1977; La nostra parte. Scritti scelti 1921-1980, a cura di R. Martinelli, Roma 1984; Essere comunisti, ibid. 1986.

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