LUZZATTI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUZZATTI, Luigi. - Nacque a Venezia il 1( marzo 1841 da Marco ed Enrichetta Tedeschi, in una benestante famiglia israelitica. Il padre possedeva due fabbriche, una di coperte di lana e una per la pettinatura della canapa greggia.

Dopo aver frequentato la scuola elementare privata del maestro A. Ancona, nel 1850-51 passò al liceo S. Caterina, dove fu allievo di G. Zanella e G. Politeo.

Dal primo apprese il valore irrinunciabile della libertà di coscienza e della tolleranza religiosa, dal secondo il senso filosofico dell'antidogmatismo. Verso i sedici anni maturò una "presa di coscienza razionalistica e laica" (Berengo, 1994, p. 528), che lo portò ad allontanarsi dal giudaismo, cui fin dall'infanzia lo aveva indottrinato M. Soave. Nel medesimo torno di tempo si legò di amicizia con E. Castelnuovo e P. Cassani, E. Lattes e A. Errera, mentre più tardi (1861), auspice Zanella, divenne sodale di F. Lampertico, che influì sulla sua formazione e con il quale l'intesa personale durò tutta la vita.

Nel 1858 il L. si iscrisse alla facoltà politico-legale dell'Università di Padova, dove conobbe G. Tolomei, docente di diritto criminale, che si ispirava a un'antropologia aristotelico-tomistica; L. Bellavite, professore di diritto civile, che teorizzava il primato dell'etica sul diritto e sull'economia; A. Messedaglia, ordinario di economia politica e cultore di statistica, del quale divenne discepolo prediletto (poi amico) e sotto la cui guida studiò i problemi del credito, della produzione, della circolazione, della distribuzione e della finanza pubblica.

Laureatosi il 13 ag. 1863, dopo circa due mesi pubblicò il suo primo lavoro scientifico, La diffusione del credito e le banche popolari (Padova 1863), nel quale, rifacendosi a H. Schulze Delitzsch, propugnava la funzione sociale del credito, facendo confluire in un originale mixtum compositum esigenza di risparmio volontario e offerta di capitali a basso costo, accumulazione finanziaria e attenuazione del rischio, lotta all'usura e prospettive di sviluppo: il tutto entro una cornice teorica permeabile al volontarismo e allo storicismo, e dunque sostanzialmente antinaturalistica. Rispetto al modello schulziano, il L. introdusse il principio della responsabilità limitata al posto di quella illimitata, insistendo pure sul voto capitario, sui bassi tassi d'interesse, sul potenziamento delle riserve, sul frazionamento degli impieghi per settore e per destinatari.

Alla fine del 1863 si trasferì a Milano, dove prese a insegnare statistica ed economia politica all'Istituto tecnico superiore, partecipando nel contempo al dibattito politico nazionale. Pubblicò numerosi articoli nei giornali Il Sole e La Perseveranza, diffondendo le proprie idee sul credito e adoperandosi a tradurle in pratica: infatti, insieme con T. Zalli, fondò nel 1864 la Banca popolare di Lodi, prima banca popolare italiana.

Sempre nel 1864 sposò Amelia Levi, figlia di M. Levi e nel 1866, avvenuta la liberazione del Veneto, su proposta di Messedaglia e Tolomei, fu nominato professore straordinario di diritto costituzionale all'Università di Padova. Non accettò subito la nomina e per quasi un anno rimase nella metropoli lombarda, dove contribuì alla nascita dell'Associazione industriale italiana (1867) e prese posizione sulla necessità di misure atte a ripristinare la convertibilità metallica (il 1( maggio 1866 il ministro A. Scialoja aveva introdotto il corso forzoso della cartamoneta), contro ogni ipotesi di centralismo bancario.

Nell'ottobre 1867, cedendo alle insistenze di Messedaglia e Tolomei, accettò la cattedra patavina, entrando così a far parte del gotha intellettuale accademico veneto, allora filominghettiano, il che non gli impedì di mantenere una propria autonomia, come provano i suoi rapporti con Q. Sella, nonché i tentativi di mediare tra Sella e M. Minghetti.

Il rientro a Padova consentì al L. di riprendere le antiche frequentazioni veneziane e di allacciare nuovi rapporti con gli esponenti di maggiore spicco delle istituzioni culturali, amministrative ed economiche cittadine: divenne socio dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti e collaborò con i notabili moderati del Comune lagunare (giunte Giustinian e Giovanelli), della Provincia e della Camera di commercio. Da queste frequentazioni (specie con E. Deodati, vicepresidente della Provincia), oltre che da una convergenza (più tardi venuta meno) con F. Ferrara, trasse origine il progetto di istituire in Venezia una Scuola superiore di commercio (Ca' Foscari), alla cui definizione e realizzazione il L. diede un apporto decisivo sul piano degli obiettivi pedagogico-formativi, dei programmi di studio e persino della selezione del corpo docente.

Nel 1869, benché non ancora deputato (lo divenne nel 1871) e neppure in età parlamentare, fu nominato da Minghetti segretario generale del ministero di Agricoltura, industria e commercio. Nei mesi in cui ricoprì la carica (30 maggio - 28 nov. 1869) si occupò di credito agrario, di economia forestale, di istruzione industriale e professionale, di vigilanza sulle società commerciali e sugli istituti di credito, di riforma del codice di commercio, di politica doganale: ambiti operativi, questi, che lo assorbirono anche nel 1871-73, quando tornò alla segreteria generale dello stesso ministero con S. Castagnola.

Quasi contemporaneamente, esaminando l'andamento della bilancia commerciale italiana dopo il trattato di commercio italo-francese del 1863, valutando le implicazioni negative del corso forzoso sull'importazione di merci estere, recependo le risultanze in itinere dell'Inchiesta industriale (della quale fu prima vicepresidente, poi, dal 1872, presidente), considerando la fondatezza delle istanze protezionistiche avanzate da numerosi produttori e riconoscendo la validità del metodo induttivo applicato all'economia, il L. mise in discussione i fondamenti del liberismo radicale manchesteriano ed elaborò la dottrina dello "statalismo sussidiario", uno dei cui primi banchi di prova fu la trattativa condotta nella primavera del 1873 con J. Ozenne, inviato francese, sulla quaestio delle materie prime, sollevata da A. Thiers, alla quale fecero seguito ulteriori negoziati (il L. vi svolse un ruolo di primo piano, essendogli stata nel frattempo affidata la presidenza della Commissione per la riforma della tariffa doganale), che portarono alla tariffa doganale semiprotezionistica del 1878 e al rinnovo dei trattati di commercio con Francia, Svizzera e Austria-Ungheria. Tale dottrina comportava tra l'altro l'adozione di un nuovo indirizzo di politica commerciale, inteso a bruciare ogni utopia di sviluppo speculare al teorema ricardiano dei costi comparati, il che si risolveva in una scelta di campo industrialista, per quanto non ancora del tutto lineare e coerente.

Ciò non sfuggì a Ferrara, che nell'agosto 1874 attaccò il L. e la "scuola lombardo-veneta" (spregiativamente definita "germanista", con esplicito riferimento all'asserita sua sudditanza nei confronti del Kathedersozialismus di Adolph Wagner e perfino di François-Noël Babeuf), in un celebre articolo pubblicato nella Nuova Antologia, al quale il L. rispose nella stessa sede, rivendicando il carattere sperimentalista e storicista della propria posizione, postulando l'esigenza di un nesso tra etica ed economia, e facendo notare che anche nella liberalissima Inghilterra si erano succeduti, tra il 1833 e il 1874, ben quindici "Factory and Workshops Acts", volti a tutelare la salute degli operai, specie donne e fanciulli. La polemica ebbe quale esito la nascita dell'Associazione per il progresso degli studi economici in Italia (fiancheggiata dal Giornale degli economisti) e della Società A. Smith: la prima, guidata dal L., interventista nei processi economici; diretta da Ferrara e rigidamente liberista la seconda: entrambe espressione di due diversi modi di concepire la crescita economica del Paese.

Nella logica dello "statalismo sussidiario", ma anche pragmaticamente attento alle congiunture della politica e al mutare degli schieramenti parlamentari, il L. collaborò con Minghetti alla preparazione e conseguente approvazione (1874) della prima legge bancaria italiana, in forza della quale fu istituito un consorzio formato dalle sei banche di emissione operanti nel Regno, cui si affidò il compito di emettere biglietti a corso forzoso per conto dello Stato, mentre ciascun istituto avrebbe potuto emettere per conto proprio biglietti a corso legale. Inoltre, dopo alcune iniziali esitazioni, il L. si batté a fianco di Sella per la nascita delle casse di risparmio postali (1875), mentre, in polemica con A. Rossi e, più tardi, d'intesa con B. Cairoli, promosse una legislazione per la tutela del lavoro femminile e minorile.

Caduta la Destra e rassegnato il mandato di negoziatore dei trattati commerciali, perché "intimamente legato con la fiducia ministeriale" (Memorie, II, p. 2), il L. si dedicò con rinnovato impegno a diffondere la cooperazione di credito e pose le basi dell'Associazione fra le banche popolari; intensificò l'attività giornalistica, intervenendo ripetutamente ne L'Opinione e redasse il programma per l'Associazione costituzionale di Venezia. Il presidente del Consiglio A. Depretis, pur non rinnovandogli sul piano formale quella "sorta di delega esclusiva" per la conduzione delle trattative commerciali concessagli da Minghetti, gli riconobbe di fatto un ruolo "assai vicino a quello di un ministro senza portafoglio" (Bonelli, 1985, pp. 44 s.), pressandolo con frequenti richieste di notizie, suggerimenti e consigli, non solo in materia doganale, bensì pure fiscale, finanziaria, monetaria e creditizia.

Particolarmente notevole fu l'apporto che il L. diede sul piano monetario nella fase di transizione dal corso forzoso al ripristino della convertibilità metallica (1880-83), quando il ministro delle Finanze A. Magliani gli affidò la guida della delegazione italiana alla conferenza monetaria internazionale di Parigi del 1881 (segretario B. Stringher), convocata su iniziativa della Francia e degli Stati Uniti, allo scopo di "riabilitare" l'argento, che aveva cominciato a deprezzarsi dai primi anni '70. A Parigi il L. sostenne la necessità di attribuire agli scudi d'argento il medesimo potere liberatorio riconosciuto alle monete d'oro, come dire il ricorso a una legge che imponesse di reimmettere in circolazione l'argento monetato.

Nel 1885, dovendosi decidere sul rinnovo o meno dell'Unione monetaria latina, della quale l'Italia faceva parte con la Francia, il Belgio, la Svizzera e la Grecia, il L. fu nuovamente a capo della delegazione italiana. Durante i lavori, la difficoltà di raggiungere un accordo sulla liquidazione degli scudi d'argento indusse il Belgio ad abbandonare il negoziato e a non sottoscrivere il testo conclusivo del 6 novembre. Solo in un secondo momento, per ragioni di convenienza politico-economica, Bruxelles tornò sui suoi passi e firmò un atto addizionale (12 dic. 1885), che garantì al Belgio significativi vantaggi rispetto alle condizioni già pattuite. Il L. seppe trarne giovamento, perché chiese e ottenne per l'Italia l'applicazione del principio della "nazione più favorita".

Nel corso degli anni '80, di fronte agli effetti devastanti della crisi agraria, il L. condivise le responsabilità politiche della svolta protezionistica del 1887 (fu lui a presentare alla Camera la relazione della commissione parlamentare sul nuovo progetto di tariffa generale), non solo per "difendere" l'agricoltura nazionale dalla caduta dei prezzi e dalla concorrenza dei grani americani e russi, ma pure per accrescere le entrate dell'Erario e, soprattutto, per sostenere l'industria, segnatamente siderurgica, oltre che metallurgica, meccanica e tessile.

L'opzione protezionista si spiega anche alla luce delle personali e variegate relazioni del L. con i maggiori esponenti del mondo imprenditoriale, finanziario e bancario italiano, tra i quali V.S. Breda (patron dapprima della Società veneta per imprese e costruzioni pubbliche, poi della Società anonima degli altiforni, fonderie e acciaierie di Terni, dal L. messo in rapporto con A. de Rothschild), E. Cantoni (titolare dell'omonimo cotonificio), A. Rossi (influentissimo industriale laniero di Schio), G. Grillo (direttore generale della Banca nazionale nel Regno d'Italia e, per breve tempo, anche della Banca d'Italia, con il quale, specie dal 1885 al 1891, più volte si consultò sui problemi dei cambi e dei corsi internazionali della rendita), B. Tanlongo (governatore della Banca romana, a lui legato da vincoli di amicizia).

Divenuto presidente della giunta centrale del Bilancio (1886-91), il L. criticò il ministro Magliani per la sua politica di deficit spending, imputandogli di aver portato il bilancio dello Stato al limite di rottura dell'unità fiscale, dato che, sommando le due categorie delle entrate e delle spese effettive con il movimento dei capitali, aveva fatto registrare come avanzo generale ciò che in realtà era un disavanzo. Gli rimproverava, inoltre, di trattare le spese dei ministeri della Guerra, della Marina e dei Lavori pubblici come straordinarie e di computarle fuori bilancio, fronteggiandole interamente con il debito pubblico, pur sapendo che si trattava di spese ricorrenti; donde l'urgenza di puntare alla conversione e al successivo ammortamento del debito pubblico, adottando una politica di rigore e di risanamento. Quando però, caduto il secondo governo Crispi e subentratogli il primo governo Rudinì (9 febbr. 1891 - 15 maggio 1892), il L. assunse la responsabilità del Tesoro (con l'interim delle Finanze, dal 22 apr. 1892), non fu all'altezza della situazione.

Infatti, se in sede programmatica dichiarò che avrebbe assorbito ogni spesa nella parte effettiva del bilancio e che non avrebbe derogato da una politica di severe economie, a consuntivo di anno finanziario fu costretto a riconoscere che gli esiti auspicati non erano stati raggiunti. Per non dire del fatto che si assunse la responsabilità di non rendere pubbliche le già accertate (e a lui note) irregolarità della Banca romana, di limitarsi a prorogare il privilegio dell'emissione e di abolire la riscontrata. Perduto il ministero (1892), il L. combatté il progetto giolittiano che avrebbe dato vita alla Banca d'Italia (l. 10 ag. 1893, n. 449) e osteggiò le modifiche apportate al quadro istituzionale bancario da S. Sonnino nel 1894-95.

Tornato alla guida del Tesoro nel terzo, quarto e quinto governo Rudinì (1896-98), quando ormai si avvertivano i primi segni dell'inversione del ciclo economico mondiale, il L. mise a punto una strategia volta a stringere nuove convenzioni con la Banca d'Italia, a favorirne il risanamento patrimoniale, ad accelerarne gli smobilizzi, a rendere più rigorosa la politica delle riserve, a meglio garantire i portatori dei biglietti. Si adoperò pure per il salvataggio del Banco di Napoli, che versava in gravi difficoltà per aver consumato sia il suo capitale sia la massa di rispetto.

Tra gli ulteriori provvedimenti finanziari ascrivibili al L. tra il 1896 e il 1898, vanno menzionati il contenimento degli oneri pensionistici relativi agli impiegati dello Stato e alcune conversioni del debito pubblico, tra le quali una sul valore del debito stesso e un'altra sulla spesa per interessi. Per ciò che attiene al controllo sulla gestione dei bilanci, sua fu l'iniziativa del r.d. 4 genn. 1897, n. 2, che faceva obbligo al ragioniere capo di ogni ministero di redigere all'inizio del mese un prospetto che contenesse, suddivisi per capitolo, tutti gli impegni assunti in relazione ai relativi stanziamenti. Non può infine essere dimenticato che il L. fu il vero artefice dell'accordo commerciale tra Italia e Francia del 21 nov. 1898, che pose fine alla guerra doganale tra i due Paesi.

P. Pecorari

Negli anni di fine secolo, il L. non condivise l'analisi del sistema parlamentare e la proposta del Torniamo allo Statuto di Sonnino, che accusò di voler "sostituire al Governo di Gabinetto, quale si esplicò in Italia dal 1848 sino a oggi, l'istituto imperiale del Cancelliere irresponsabile dinanzi al Parlamento, fingendo di ignorare che le maggiori sventure, le quali hanno colpito il nostro paese, si devono alla violazione della volontà retta e sana delle Camere" (Il ministro Luzzatti agli elettori del collegio di Abano, in L'Opinione liberale, 18 marzo 1897).

In Parlamento non fu, inizialmente, un oppositore aperto del secondo ministero Pelloux (14 maggio 1899 - 24 giugno 1900) anche per la presenza nel governo, come ministro degli Affari esteri, di E. Visconti Venosta, che rappresentava la continuità della politica di buoni rapporti con la Francia, sostenuta negli anni precedenti da A. Starrabba marchese di Rudinì e dallo stesso L., nominato membro dell'Institut de France, al posto rimasto vacante per la morte di W. Gladstone. Quando però il ministero presentò alla Camera il d.l. 22 giugno 1899 con norme restrittive dei diritti statutari, il L. assunse una netta posizione critica in nome dei "sommi princípi costituzionali" (Memorie, II, p. 559): il 2 marzo votò contro il ministero, passando così all'opposizione.

Rieletto alla Camera nel 1900, sostenne il ministero Saracco, collaborando in maniera decisiva a far approvare una nuova legge sull'emigrazione quando ormai gli italiani censiti all'estero raggiungevano 1/10 della popolazione totale. La legge introdusse sostanziali novità nella normativa, rivelandosi efficace per il controllo e la tutela dell'emigrante (l. 31 genn. 1901, n. 23). Nella Camera all'inizio del '900 - quando il "gruppo" costituito intorno a Rudinì non aveva più la precedente caratterizzazione organizzativa, pur mantenendo una fisionomia unitaria per le comuni posizioni laiche di "conservatori ma liberali" dei suoi componenti, per la comune concezione dei rapporti fra Stato e Chiesa e per la tradizionale francofilia - il L. passò all'opposizione del ministero Zanardelli (15 febbr. 1901 - 3 nov. 1903), nel quale Rudinì aveva cercato, senza successo, per l'opposizione dei radicali, di farlo inserire come ministro del Tesoro.

Da parlamentare continuò a occuparsi delle più rilevanti tematiche sociali; promosse importanti normative nei settori del credito, della cooperazione e un'innovativa legislazione sociale che ebbero una vasta eco internazionale. Contribuì poi in modo decisivo all'elaborazione della legge che istituì l'Ufficio e il Consiglio superiore del lavoro. Nel 1902 presentò una proposta di legge, che venne sottoscritta da altri deputati, per favorire la costruzione di case popolari: la legge che ne derivò - tenendo presente la legislazione vigente in Belgio, Francia, Gran Bretagna e negli Imperi centrali - fu la prima legge organica in materia (l. 31 maggio 1903, n. 254). Derivarono da questa normativa la l. 8 luglio 1904 sulle aree fabbricabili e la nascita degli Istituti autonomi per le case popolari, che favorirono la proliferazione del movimento cooperativo nel settore edilizio e che contribuirono a risolvere alcuni problemi derivanti dalla crescita demografica verificatasi in quel periodo nelle maggiori città.

Il L. prese pure l'iniziativa per l'istituzione della Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e vecchiaia degli operai e della Cassa nazionale infortuni, presentando alla Camera, nel 1904, un apposito disegno di legge. Con l'obiettivo di far intervenire lo Stato a sostegno degli emigranti sostenne l'assegnazione delle rimesse al Banco di Napoli, per dare "al denaro degli emigrati una sicurezza uguale a quella goduta dai fondi del Tesoro stesso all'estero" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XX legislatura, 1a sessione, Documenti - Disegni di legge e relazioni, n. 204, p. 8). Il provvedimento autorizzò il Banco di Napoli ad accollarsi il servizio e la sua organizzazione (l. 4 febbr. 1901, n. 29); in tal modo, con l'apertura di una filiale a New York, fu la prima banca italiana a operare nel continente americano.

Frutto di un'altra proposta di legge del L. fu l'assegnazione al Banco dell'esercizio del credito agrario nel Mezzogiorno continentale e in Sardegna. Con l. 7 luglio 1901, n. 334, la Cassa di risparmio, annessa al Banco, fu autorizzata a impiegare una parte delle sue risorse per il credito a consorzi e a istituti agrari. La sua opera nel campo della mutualità del credito, specialmente agrario, attivò in Italia altre importanti iniziative ed ebbe una vasta eco all'estero: fu presa a esempio dapprima in India, poi in Egitto.

Al principio del '900, senza incarichi di governo, il L. continuò l'insegnamento di diritto pubblico, promosse la ripresa del vecchio Archivio di diritto pubblico fondato nel 1891 a Palermo da V.E. Orlando, con il quale pubblicò a partire dal 1902 l'Archivio del diritto pubblico e dell'amministrazione italiana, che costituì un'importante, autonoma presenza nel settore giuspubblicistico e che continuò nel 1909 come Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia.

Sul piano politico, il L. indicò fin dal 1901 il "problema nuovo" della politica estera italiana: quello del coordinamento fra il rinnovo della Triplice Alleanza e i "nuovi, amichevoli rapporti fra l'Italia e la Francia" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXI legisl., 1a sessione, Discussioni, tornata dell'11 giugno 1901, p. 5006), che vennero definiti l'anno successivo negli accordi Prinetti-Barrère, con l'attivo contributo del L., di Rudinì e di Visconti Venosta.

Pure all'opposizione, il L. ebbe incarichi di particolare importanza. Il suo prestigio era altissimo, in Italia e all'estero, negli ambienti culturali e in quelli finanziari, in quelli politici e parlamentari; vasta, di carattere internazionale e di diversa composizione politica era anche la cerchia delle sue relazioni: in Gran Bretagna, in Belgio, in Spagna, in Germania, in Turchia (dal 1909, con gli esponenti dei Giovani Turchi) e soprattutto in Francia.

Queste sue relazioni e i rapporti, da tempo consolidati, in Italia, con i principali esponenti dei settori produttivi, motivarono la scelta del presidente del Consiglio G. Zanardelli di affidargli le trattative per il rinnovo dei trattati di commercio che scadevano il 31 dic. 1903. Il L., convinto che fra la fine del 1903 e il giugno 1904 si sarebbe avuta "la più grande controversia doganale che ricord[asse] la storia moderna, maggiore di quella che si agitò dal 1838 al 1846 pel libero scambio dei cereali" (Le nuove controversie doganali inglesi, in Nuova Antologia, 1( nov. 1903, p. 12) e contrario alla prospettiva di uno "Zollverein europeo contro l'America" (Memorie, III, p. 163), si batté a favore di una "rinnovazione a lunga scadenza dei trattati attuali, senza discostarsi troppo dai vecchi princìpi" (ibid., p. 166), sottolineando l'importanza dei problemi di politica commerciale: "La triplice alleanza fu conclusa per la prima volta, in pace, nel 1882 mentre il primo trattato di commercio con l'Austria-Ungheria lo abbiamo nel 1866 e rinnovato poi nel 1878. Quindi si può vivere con l'Austria-Ungheria senza la triplice alleanza, ma non si possono avere rapporti di buon vicinato, senza un trattato di commercio e di navigazione" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXI legisl., 1a sessione, Discussioni, tornata dell'11 giugno 1901, p. 5003).

Nominato di nuovo ministro del Tesoro nel secondo ministero Giolitti (3 nov. 1903 - 12 marzo 1905) e ad interim delle Finanze (fino al 24 nov. 1904), il L. sostenne il progetto, che aveva condiviso con Stringher, per la costruzione della banca centrale italiana, e tutte le iniziative tendenti al rafforzamento delle banche di emissione che indicò, dopo la crisi del 1907, come le sedi idonee a realizzare forme di cooperazione internazionale e necessarie per affrontare i nuovi problemi, già allora emergenti, del XX secolo. Il suo obiettivo principale fu costituito comunque dalla conversione della rendita 5% lordo, che però dovette rinviare a dopo il primo semestre 1904, periodo che aveva inizialmente previsto per l'operazione: lo scoppio della guerra russo-giapponese e le ripercussioni del conflitto sui mercati finanziari lo obbligarono a dare la precedenza all'esercizio di Stato delle ferrovie rispetto alla conversione.

In tale prospettiva difese con intransigenza la solidità del bilancio, si oppose a una politica di sgravi sostenendo la necessità di rinviare la riforma tributaria a un periodo successivo alla conversione, migliorò l'organizzazione del ministero del Tesoro. La soluzione data al problema ferroviario - senza far ricorso a nuovi titoli di debito - non compromise la solidità della finanza né "la politica di preparazione" alla conversione che fu caratterizzata, fra l'altro, dal positivo esito di una serie di conversioni "minori" e da interventi di sostegno al cambio e alla rendita, avvalendosi dei consigli del direttore centrale della Banca commerciale italiana, O. Joel, d'intesa con Stringher. La conversione era resa possibile dal prolungato attivo della bilancia dei pagamenti, dalla flessione dei tassi di interesse in Europa, dall'aumento delle riserve metalliche degli istituti di emissione (complessivamente, le loro riserve superavano nel 1906 quelle della Banca d'Inghilterra), dall'andamento favorevole del cambio della lira, che giunse a far aggio sull'oro e sulla sterlina, dal rafforzamento della Banca d'Italia e dal consolidamento dei suoi rapporti con il Tesoro, dal massiccio rientro in Italia dei titoli di Stato. L'evoluzione delle vicende internazionali non consentì di realizzare la conversione neppure nel secondo semestre del 1904.

Rieletto nelle elezioni dell'ottobre 1904, il L., che aveva negato la fiducia a entrambi i governi Fortis, accettò invece l'incarico di ministro del Tesoro nel primo ministero Sonnino (8 febbraio - 29 maggio 1906), proprio per realizzare la conversione della rendita. In questa prospettiva sostenne la candidatura di Visconti Venosta come rappresentante dell'Italia alla conferenza di Algeciras (1906) - gradita dalla Francia, il cui ruolo era importante per la riuscita della conversione della rendita - e incaricò Stringher di riprendere le trattative a Parigi con la casa Rothschild. Le dimissioni del ministero e la formazione del terzo governo Giolitti (29 maggio 1906 - 11 dic. 1909) ne provocarono temporaneamente l'interruzione.

Il L., non più al governo, continuò a seguire, per incarico di G. Giolitti, insieme con il ministro A. Majorana, le difficili trattative condotte da Stringher a Parigi; riprese il 13 giugno, si conclusero il 20 successivo mediante la stipula di un contratto con un imponente gruppo finanziario francese, tedesco e britannico, riunito in consorzio. L'operazione della "grande conversione" fu realizzata dal Tesoro, secondo le indicazioni del L., con il concorso di un consorzio bancario internazionale, presieduto dalla casa Rothschild di Parigi. La conversione del consolidato 5% lordo (8 miliardi e oltre 100 milioni), il cui saggio venne ridotto al 3,75% per un quinquennio e poi, automaticamente, al 3,5% (l. 29 giugno 1906, n. 262 e r.d. 29 giugno 1906, n. 268), fu un successo, anche per le esigue richieste di rimborso da parte dei portatori nazionali ed esteri; consentì una importante riduzione dell'incidenza degli interessi sul debito fluttuante e consolidato - 20 milioni all'anno nel primo quinquennio e 40 milioni in seguito - e rappresentò l'ultimo atto di una "lunga operazione di riacquisto, da parte dell'Italia, della propria autonomia finanziaria" (De Cecco, pp. 39 s.).

Il L. continuò le collaborazioni giornalistiche, specialmente nel Corriere della sera, occupandosi dei più rilevanti problemi del periodo: nel 1907, durante la grave crisi economica, propose una Camera di compensazione internazionale (Clearing House) per frenare le speculazioni e per diminuire gli indesiderati trasferimenti di moneta da un Paese all'altro; nel 1908 elaborò un progetto di conferenza internazionale per la pace monetaria e negoziò con successo un nuovo accordo per l'Unione monetaria latina. Inoltre si occupò di importanti iniziative legislative (Magistrato alle acque, 1907; nuova legge di protezione forestale, 1907 e 1910; legge per la limitazione a 12 anni di età minima per il lavoro dei fanciulli, 1907). Continuò i corsi di diritto costituzionale all'Università di Roma con particolare attenzione ai temi della libertà religiosa, anche in riferimento alla legislazione in materia negli altri Stati europei, negli Stati Uniti e in quelli dell'America latina e riunì i suoi scritti religiosi nel volume La libertà di coscienza e di scienza. Studi storici costituzionali (Milano 1909).

Il L.- "un deista che sente e ammira l'idea religiosa in qualsiasi prisma se ne franga la luce, ma ne distingue le spirituali ascensioni traverso la storia" (come si definiva in una lettera a mons. G. Bonomelli del 18 sett. 1903; in Memorie, III, p. 114) - tenne importanti contatti con gli esponenti del movimento modernista e con lo storico protestante P. Sabatier, al quale lo legava il comune interesse di ricerca per s. Francesco d'Assisi. Significativi sono inoltre il suo interesse per "la questione biblica" nel settore degli studi religiosi, per i tentativi di rinnovamento in campo ecclesiastico e nei dibattiti sui problemi teologico-critici che caratterizzavano l'inizio del '900 e i suoi convincimenti circa il ruolo del cristianesimo nella vita civile (Zambarbieri, 1994, p. 501).

Dopo la morte di Rudinì (1908) il L. cercò, con C. Fani, di riorganizzare il "gruppo" parlamentare con esponenti dei settori di Centro e di Destra della Camera dei deputati, ma senza successo, né prima delle elezioni del marzo 1909, né durante il secondo ministero Sonnino (11 dic. 1909 - 31 marzo 1910), al quale partecipò come ministro di Agricoltura, industria e commercio con l'obiettivo, fra l'altro, di costituire il ministero del Lavoro e di dargli "la piattaforma sulla quale svolgere l'azione riformatrice compresa nel suo programma" (Memorie, III, p. 355), in particolare l'istituzione di una "banca del lavoro" (con r.d. 15 ag. 1913, n. 1140 nacque poi l'Istituto nazionale di credito per la cooperazione).

Dopo le dimissioni del breve governo Sonnino, il L. ebbe l'incarico di costituire il ministero. "Lo stragrande voto di fiducia del 28 aprile, il più largo nella storia parlamentare italiana, costituì, anziché la forza, la debolezza del gabinetto [(]. La confusione parlamentare, per la quale si erano visti votare amici ed avversari del ministero, era di per sé insidiosa, ma in particolare doveva indebolire la sua posizione sulla sinistra, ove si mirava alla differenziazione dei partiti quale obiettivo irrinunciabile" (Ullrich, II, p. 677).

Il L., che assunse anche la responsabilità del dicastero dell'Interno, cercò di caratterizzare il suo governo, basato su una coalizione fra "giolittiani" e radicali, con un programma economico e sociale e con un indirizzo di politica ecclesiastica sintetizzato nella formula "libera Chiesa nello Stato sovrano", che furono interpretati come un segno di cambiamento, ma che perseguivano soprattutto il tentativo di riunire le forze liberali affini, favorendo la differenziazione dei partiti.

Esponendo alla Camera il programma del governo, il L. propose una riforma della legge elettorale politica e si impegnò a "riassumere in un disegno di legge" per la riforma del Senato il progetto che il Senato stesso avrebbe elaborato. Il testo redatto da una speciale Commissione senatoriale, relatore G. Arcoleo, che fissava a 350 i componenti, di cui 120 di nomina regia e gli altri elettivi sulla base di categorie professionali, non ebbe però esito positivo, perché fu ritenuto che modificasse troppo la fisionomia e il ruolo del Senato. Per la Camera il L. presentò, il 29 nov. 1910, emendamenti al disegno di legge di Giolitti, relativi alla riforma della procedura elettorale.

Nella seduta del 21 dic. 1910, il L. presentò poi il disegno di legge "Estensione del suffragio elettorale e altre modificazioni della legge elettorale politica": prevedeva il riconoscimento del diritto di voto a tutti coloro che dimostrassero "di saper leggere e di saper trascrivere un brano di stampato, di saper leggere e scrivere i numeri" e l'introduzione del voto obbligatorio. Per quanto riguardava il sistema elettorale, il L. si limitò alla presentazione di "Prime linee d'un disegno di legge per introdurre nella legislazione italiana il principio della rappresentanza proporzionale".

I disegni di legge incontrarono diffuse riserve e ostilità. Aumentarono poi, nella maggioranza che sosteneva il ministero, le opposizioni per gli interventi del L. in favore dei "blocchi popolari" o "liberali popolari" nelle elezioni amministrative, per le posizioni tenute dal governo in occasione della durissima lotta fra le organizzazioni bracciantili socialiste e i mezzadri repubblicani in Romagna e, in generale, per la tutela dell'ordine pubblico in occasione degli scioperi ferroviari, agrari e industriali della primavera 1910.

L'intervento di Giolitti alla Camera, il 18 marzo 1911, a favore del suffragio quasi universale maschile, provocò un cambiamento di posizioni e di schieramenti e dunque la crisi del ministero Luzzatti, durante il quale era stato accelerato l'iter del disegno di legge "Provvedimenti per l'istruzione elementare e popolare" (divenuto poi l. 4 giugno 1911, n. 487) ed era stata definita la soluzione al problema degli aiuti all'industria marittima. La posizione assunta da Giolitti obbligò l'opposizione costituzionale a ripensare tattica e prospettive di alleanza, l'Estrema Sinistra a "ridefinirsi" anche in relazione a un programma di governo nel quale figuravano il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita - il L. non partecipò né al dibattito sul relativo disegno di legge, né alla votazione dell'11 maggio 1912 per deliberare il passaggio alla discussione degli articoli - e il suffragio quasi universale maschile.

La guerra di Libia - di cui il L. valutò inizialmente con preoccupazione gli aspetti militari, gli oneri finanziari e le possibili ripercussioni internazionali, ma che poi sostenne - contribuì a modificare ulteriormente gli schieramenti parlamentari prima del voto sulla riforma della legge elettorale politica. Analizzando il sistema parlamentare il L. indicò la sua preoccupazione nella prospettiva del suffragio quasi universale maschile (l. 30 giugno 1912, n. 665) e i problemi del futuro: "salvare i Parlamenti dal despotismo degli elettori muniti del suffragio più largo - annotò nel 1911 - gli elettori dal despotismo dei Parlamenti, sovratutto di salvare le libertà costituzionali dagli uni e dagli altri" (Le cure costituzionali, in Nuova Antologia, 16 dic. 1911, p. 648).

Nelle elezioni del 1913, il L. fu rieletto con l'appoggio dell'Unione cattolica elettorale italiana. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel dibattito su intervento o neutralità fu più vicino a Giolitti che ad A. Salandra, ma con forti accenti patriottici. "Da questo diluvio universale che scuote le fondamenta dell'Europa, un grande pensiero consolatore emerge ed è che, se si perdette la visione dell'umanità, il culto della patria si avviva e si purifica (scrisse l'11 ag. 1914). Infatti non vi sono più partiti, cessano le divisioni; gli stessi socialisti e sindacalisti più ribelli, contraddicendo alla solennità delle loro deliberazioni, marciano alla frontiera. Una breve analisi dei principali paesi basta a dimostrarlo" (Grandi italiani, grandi sacrifici per la patria, Bologna 1924, p. 311). Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, sostenne la scelta con grande impegno, condividendo i fini della "nostra guerra".

Tra la fine del 1914 e il 1919 non ebbe responsabilità di governo, anche per l'ostilità di Sonnino, ministro degli Esteri, che non lo volle come collega nei ministeri Salandra, Boselli, Orlando. In quegli anni fu comunque operosamente attivo: fra l'altro, contribuì nel gennaio 1916 alla pubblicazione di un Pro-memoria sulla Dalmazia per il governo e gli Alleati; partecipò alla conferenza internazionale del commercio (Parigi, 27-29 apr. 1916), trattando il tema della Pace monetaria e presentando la proposta di creare "una Camera di compensazione" fra le Banche di emissione di Francia, Gran Bretagna, Italia e Russia. Dopo Caporetto, costituì il Comitato parlamentare veneto per l'assistenza ai profughi di guerra, del quale fu per otto mesi alto commissario, svolgendo una vasta, benefica attività. A più riprese intervenne sulla stampa e in Parlamento, in difesa del diritto di nazionalità e in particolare degli Armeni, dei cui problemi continuò a occuparsi negli anni Venti.

Finita la guerra, non venne nominato componente della delegazione italiana alla Conferenza di pace. Il L. difese tuttavia sulla stampa e in Parlamento l'italianità della Dalmazia, le irrealistiche richieste del governo ("Patto di Londra più Fiume") e l'operato del presidente del Consiglio V.E. Orlando. Durante l'impresa fiumana tenne amichevoli rapporti con G. D'Annunzio, ma si rassegnò poi ad accettare il trattato di Rapallo (12 nov. 1920) e presentò alla Camera - dov'era stato rieletto nel 1919 nelle liste del partito liberale - l'ordine del giorno a favore della sua approvazione.

Il L. ebbe l'ultimo incarico governativo come ministro del Tesoro nel gabinetto Nitti (14 marzo - 21 maggio 1920). Ribadì in quei mesi le sue critiche alle principali clausole finanziarie del trattato di pace di Saint-Germain; ripropose alla conferenza di Genova (10 aprile - 19 maggio 1922) la costituzione di una Camera internazionale di compensazione per mitigare l'asprezza dei cambi e per favorire la collaborazione delle banche d'emissione europee, anche mediante periodiche conferenze internazionali.

Poco dopo aver compiuto 80 anni (e il 50o anniversario di attività parlamentare), il L. fu nominato senatore del Regno (10 apr. 1921), alla vigilia delle elezioni politiche. Critico sugli effetti del sistema proporzionale, che giudicava negativamente per le divisioni che provocava, sostenne, fin dal 1921, che "i tempi difficili impongono a coloro che amano il proprio paese l'obbligo patriottico di unirsi". In tale prospettiva, accettò l'ascesa al potere di B. Mussolini e non passò all'opposizione neppure dopo le elezioni del 1924 e il delitto Matteotti; fu critico nei confronti della scelta dell'Aventino fatta da quasi tutti i gruppi di opposizione alla Camera, ritenendo l'abbandono dell'aula contrario ai doveri della rappresentanza parlamentare; non firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti; sostenne con la sua attività pubblicistica la "battaglia del grano" (1925) e le scelte di politica economica e finanziaria del fascismo.

Il L. continuò a essere operoso anche gli ultimi anni di vita: nell'agosto 1922 inaugurò l'Università della cooperazione, da lui concepita e voluta; nel 1924 concorse a fondare l'Istituto nazionale di igiene, assistenza e previdenza; l'anno successivo continuò a occuparsi dei problemi della cooperazione anche come presidente onorario della Confederazione generale della cooperazione italiana.

Dopo una breve infermità, il L. morì a Roma il 29 marzo 1927. P.L. Ballini

Opere: Lo Stato e la Chiesa nel Belgio con alcune applicazioni alla questione religiosa in Italia. Saggio storico-critico, Milano 1867; L'inchiesta industriale e i trattati di commercio, Roma 1878; Grandi italiani, grandi sacrifici per la patria, cit.; Dio nella libertà. Studi sulle relazioni tra lo Stato e le Chiese, Bologna 1926; Memorie autobiografiche e carteggi, I, 1841-1876, ibid. 1930; I problemi della terra. Economia e politica dell'agricoltura, ibid. 1933; Memorie tratte dal carteggio e da altri documenti, II, 1876-1900, ibid. 1935; L'ordine sociale, ibid. 1952; Problemi della finanza, Milano 1965; L'attività giornalistica, a cura di A. De' Stefani - F. De Carli, ibid. 1966; Memorie, III, 1901-1927, a cura di E. De Carli - F. De Carli - A. De' Stefani, ibid. 1966; La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. Pecorari, Venezia 1997.

Fonti e Bibl.: Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere e arti, Arch. Luigi Luzzatti (1841-1927), Corrispondenza, bb. 1-91; Atti, b. 192; Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte Luigi Luzzatti; Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, I-III, a cura di P. D'Angiolini - G. Carocci - C. Pavone, Milano 1962, ad ind.; Epistolario di Quintino Sella, II, 1866-1869, a cura di G. Quazza - M. Quazza, Roma 1984, ad ind.; F. Lampertico, Carteggi e diari 1842-1906, II, F-L, a cura di R. Camurri, Venezia 1998, pp. 594-702; P. Molmenti, Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di L. L., in Nuova Antologia, 1( maggio 1926, pp. 3-12; T. Tittoni, L. L., ibid., 16 apr. 1927, pp. 385-391; V.E. Orlando, L. L., in Riv. di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia, s. 2, XIX (1927), pp. 185-190; G. Alessio, Commemorazione del m.e. L. L., in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXXXVII (1927-28), parte I, pp. 17-91; O. Fantini, L. 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