MATTIROLO, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATTIROLO, Luigi

Franco Cipriani

– Nacque a Torino il 26 luglio 1838 (non febbraio, come altrimenti sostenuto) da Felice, di professione ingegnere, e da Anacleta Perratone, benestante.

Nel 1858, appena ventenne, si laureò cum laude in giurisprudenza nell’Università di Torino, dove fu allievo di M. Pescatore, massimo studioso, insieme con il salentino G. Pisanelli, del processo civile nel periodo a cavallo dell’Unità d’Italia.

Già da studente il M. si mise in luce raccogliendo le lezioni di diritto giudiziario civile del suo maestro (v. M. Pescatore, Corso universitario dei giudizi civili. Lezioni raccolte e compendiate dallo studente Luigi Mattirolo, Torino 1857).

Poco dopo la laurea dette alle stampe una vasta dissertazione sulle prove, e in particolare sulla prova testimoniale (Alcuni cenni sulle prove in genere e più particolarmente sulla prova testimoniale nei giudizi civili e nei giudizi criminali, Torino 1862), che presentò, con l’aggiunta di quindici tesi vertenti su tutte le branche del diritto, per il concorso d’aggregazione al Collegio di giurisprudenza nella Università di Torino.

Già in quel primo lavoro, che si apre avvertendo che «le prove sono i mezzi di conoscere e di far conoscere la verità», il M. mostrò di avere una concezione liberale e garantistica sia del processo civile, sia di quello penale, battendosi per il rispetto dei diritti delle parti e contro gli arbitri del giudice e, in particolare, contro la tortura, precisando che «i codici di procedura non sono altro che una grande applicazione del sistema della legalità a tutela dell’equo e del giusto» (p. 13).

Divenuto avvocato e professore aggregato, dal 1862 insegnò per qualche anno istituzioni di diritto civile agli aspiranti procuratori e notai di Torino. Indi, fu incaricato d’insegnare dapprima, nel 1865-66, gli elementi di diritto civile e di procedura civile nella facoltà giuridica torinese, poi, nel 1869, il diritto e la legislazione militare nella Scuola superiore di guerra, dove proluse il 15 febbr. 1869, e infine, nel 1870, filosofia del diritto ancora nella facoltà giuridica torinese.

Due anni dopo, grazie, come egli tenne a dire nella sua prolusione, al «favorevole giudizio di Commissioni esaminatrici e [al]la fiducia del Governo», ebbe la cattedra di procedura civile e ordinamento giudiziario dell’Università di Torino, dalla quale proluse il 22 nov. 1872 con una lezione su Uno sguardo al diritto giudiziario, nella quale avvertì che «il potere giudiziario è parte essenzialissima dei pubblici poteri». Concetto che ribadì poco dopo, nel volume litografato manoscritto di Lezioni di procedura civile (relative all’a.a. 1872-73, s.l. né d.), sostenendo in apertura che «le attribuzioni dello Stato sono essenzialmente due: fare le leggi e farle eseguire», e deducendone che i poteri dello Stato sono pure due, il legislativo e l’esecutivo, e che l’esecutivo si scinde in due grandi rami, il giudiziario e l’amministrativo. Successivamente, tuttavia, il M. modificò quella sua opinione, affermando che il potere giudiziario si distingueva sia dal legislativo, sia dall’amministrativo o esecutivo stricto sensu (così già nelle Istituzioni di diritto giudiziario civile italiano, Torino 1888, p. 1).

Il M. fu uno dei più autorevoli docenti dell’ateneo torinese. Tra i suoi scolari vi fu L. Einaudi, che conservò sempre per lui una particolare deferenza, tanto che anni dopo ne tracciò un affettuoso ritratto: «diritto come un fuso ed elegantissimo», faceva lezione sempre alle quattro del pomeriggio ed era ammirato da tutti per «la perfezione della frase e il rigore del linguaggio giuridico» (cfr. L. Einaudi, Prefazione, in G. Solari, Studi storici di filosofia del diritto, Torino 1949, p. V).

Le sue opere maggiori sono le già ricordate Istituzioni di diritto giudiziario civile italiano, che ebbero due edizioni (la prima nel 1888, la seconda, interamente rivista e ampliata, nel 1899) e furono tradotte in spagnolo (Instituciones de derecho procesal civil, trad. di E. Ovejero, I-II, Madrid s.d.), e soprattutto il monumentale Trattato di diritto giudiziario civile italiano, che consta di sei vastissimi volumi (più un settimo per l’Indice, che fu curato da C. Lessona, discepolo di L. Mortara e futuro maestro di P. Calamandrei) ed ebbe cinque edizioni: la prima vide la luce a Torino tra il 1875 e il 1880, l’ultima uscì tra il 1902 e il 1906 (il V e il VI volume, essendo deceduto l’autore, furono curati da Lessona), fu ristampata nel 1931 e tradotta in spagnolo (Madrid, I, 1930, trad. di E. Ovejero y Maury; II, 1933, trad. di C. Bernardo de Queirós; III, 1934, trad. di E. Ovejero; IV, 1936, trad. di R. Garrido Juan).

Intorno al 1880, con la scomparsa di Pescatore e di Pisanelli, il M. divenne il «pontefice massimo» dei «proceduristi» italiani e il suo enciclopedico e informatissimo Trattato, scritto con stile chiaro ed elegante, rappresentò per lunghi anni il punto di partenza di ogni studio sul processo civile.

Il M. propugnò la necessità della formazione di una scuola italiana del diritto e combatté sia chi si atteneva pedissequamente ai francesi, sia quanti, specie dopo l’ingresso dell’Italia nella Triplice Alleanza nel 1882, si mostrarono «attratti dalla smania di imitare servilmente i tedeschi» (Trattato, cit., I, p. 15).

A suo avviso, il diritto giudiziario constava di tre parti: l’ordinamento giudiziario, il diritto delle prove e il diritto processuale. In particolare, egli insegnava che «il procedimento giudiziario rappresenta il bisogno di sostituire il sistema della legalità alla licenza e all’arbitrio dei privati e del giudice» (Istituzioni, cit., p. 160); e considerava il processo civile come «una discussione legittima, che due o più persone fanno sopra una controversia concernente i loro diritti, davanti a un giudice competente», una discussione che aveva il suo naturale compimento nella sentenza definitiva del giudice ovvero in «altri modi», «che potremmo chiamare speciali», e cioè l’amichevole componimento, la perenzione e il recesso (Trattato, cit., I, p. 46; III, p. 857). A suo giudizio, l’ordinamento doveva sforzarsi di assicurare che i diritti delle parti trovassero in sede giudiziaria la migliore tutela possibile, nel rispetto della parità di trattamento, del contraddittorio e della più piena libertà di discussione.

Il M. fu un legalitario e il massimo esponente di quella scuola che S. Satta definì «legalistico-formalistica» (cfr. Attualità di Lodovico Mortara, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova 1968, p. 461). Egli appartenne alla generazione impegnata, dopo l’Unità nazionale, a far conoscere agli Italiani la realtà e le leggi del nuovo Stato: perciò le sue Istituzioni e il suo Trattato avevano nel titolo l’aggettivo «italiano», che sarebbe scomparso nelle opere degli studiosi successivi. Egli, quindi, seguì l’indirizzo esegetico, anche se non mancò di mostrare, nella trattazione dei problemi del processo, sensibilità critica.

Il primato del M. si attenuò con l’avvento, negli ultimi anni dell’Ottocento, di L. Mortara, che egli considerò un suo continuatore, ma che in realtà fu anche un grande riformista. Il superamento della sua opera si ebbe invece con l’affermazione della nuova scuola processual-civilistica italiana e, in particolare, con G. Chiovenda, che nel 1931, nel polemizzare con Mortara, si spinse sino ad affermare che il Trattato del M. aveva sostanzialmente «addormentato» la dottrina col suo «tesoro di massime giudiziali» (G. Chiovenda, Antonio Castellari, in Riv. di diritto processuale civile, VIII [1931], p. 377).

Tale giudizio, paradossalmente espresso proprio nell’anno in cui il classico Trattato del M. veniva ristampato in Italia e tradotto in spagnolo, è tanto polemico e severo, quanto manifestamente ingiusto; stante, tuttavia, l’autorità di Chiovenda, pesò per lunghi anni sull’opera del Mattirolo. Si dovette infatti attendere il 1967 affinché una voce autorevole, quella di S. Satta, riabilitasse e rimettesse in onore il contributo del M. (cfr. S. Satta, Attualità di Lodovico Mortara, cit.).

Nominato grand’ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1893, il M. fu preside della facoltà giuridica torinese dal 1893 al 1895, rettore dell’Università di Torino dal 1894 al 1896 e componente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.

Il M. morì a Torino il 12 marzo 1904.

Opere principali, oltre a quelle già citate: Elementi di diritto civile e di procedura civile. Programmi… R. Università di Torino 1865, Torino 1866; Prolusione al corso di diritto e di legislazione militare alla Scuola superiore di guerra, ibid. 1869; Principii di filosofia del diritto, Torino-Napoli 1871.

Fonti e Bibl.: C.P. Gariazzo, L. M., in Annuario della R. Università di Torino 1904-1905, Torino 1905, pp. 157 ss., in cui può leggersi anche la «circolare» in onore del M., redatta dal preside, F. Ruffini, e approvata dalla facoltà giuridica torinese il 28 giugno 1904; M. Taruffo, La giustizia civile in Italia dal ’700 a oggi, Bologna 1980, pp. 145 s.; G. Roddi, Matteo Pescatore, giurista (1810-1879). La vita e l’opera, Torino 1986, p. 30; F. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi. La procedura civile nel Regno d’Italia (1866-1936), Milano 1991, pp. 28-32; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico (1860-1950), Milano 2000, ad ind.; F. Cipriani, Ricordo di L. M., in Id., Scritti in onore dei patres, Milano 2006, pp. 19-22.

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