TORELLI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TORELLI, Luigi

Giuseppe Ferraro

TORELLI, Luigi. – Nacque a Villa di Tirano (Sondrio), nell’alta Valtellina, il 3 febbraio 1810, secondogenito di Bernardo e di Luigina Guicciardi.

Con il fratello Francesco crebbe in una famiglia di origini agiate, tra le più importanti della nobiltà lombarda del tempo, pienamente inserita nei ranghi dell’amministrazione e della politica asburgica: il padre (insignito di un titolo nobiliare nel 1816) fu giudice di pace a Chiavenna, poi cancelliere presso la pretura di Tirano prima di impegnarsi in attività commerciali; la madre vantava una parentela con Alessandro Manzoni.

All’età di sette anni, Torelli fu collocato alla scuola dell’arciprete Casanova a Menaggio, dove ricevette una solida educazione morale e la preparazione scientifica che caratterizzò la sua formazione successiva. Dal 1820 al 1826 frequentò il ginnasio al collegio convitto di Sondrio. Completò i suoi studi al collegio Teresiano di Vienna, come gran parte dei figli della nobiltà austriaca, dove seguì corsi di filosofia e di diritto, approfondendo anche lo studio della lingua tedesca. L’esperienza al Teresiano gli permise non solo di acquisire grandi competenze nell’amministrazione statale, ma anche di avvicinarsi a un ambiente culturale e politico effervescente e transnazionale, che molto ne influenzò il pensiero e gli ideali. In collegio strinse amicizia con alcuni giovani profughi polacchi impegnati a perorare la causa dell’indipendenza nazionale. Nel 1830, allo scoppio della rivoluzione, sostenne economicamente la loro fuga per prendere le armi in difesa della patria. L’anno successivo conobbe il figlio di Napoleone, il duca di Reichstadt, che progettò di far scappare dal collegio di Vienna immaginandolo alla guida di un moto nazionale in Italia. Avuta poi notizia dei moti di Romagna vendette gli arredi della sua stanza per andare in soccorso agli insorti.

Nel 1832, terminati gli studi, partì per un viaggiò di due mesi che toccò la Boemia, la Sassonia, la Baviera, l’Ungheria e infine la Svizzera, da cui fece ritorno a Tirano. Una volta rientrato in Lombardia accettò senza grandi entusiasmi un impiego negli uffici del Governatorato, prima a Milano e poi a Mantova, che abbandonò all’incirca tre anni dopo per frequentare l’Università di Pavia, dove si laureò a pieni voti in giurisprudenza.

Nel 1836, durante l’epidemia di colera che colpì Tirano, prese le redini del governo del Comune lasciato vacante dagli amministratori e seppe gestire con successo l’emergenza. Per il suo impegno fu premiato dal governo austriaco con una medaglia d’oro al valore civile, consegnatagli nel 1838 per mano dello stesso imperatore Ferdinando I, che poi avrebbe donato per finanziare le Cinque giornate di Milano.

Per conoscere meglio l’Italia nel 1841 visitò Torino, Genova, Bologna, Firenze e Roma. Nel 1843 fu tra i partecipanti al V Congresso degli scienziati italiani tenutosi a Lucca, crocevia dei migliori pensatori del tempo. In questo contesto ebbe modo di incontrare don Enrico Tazzoli, futuro martire di Belfiore. Ad allora risale anche il suo incontro con Carlo Alberto, di cui Torelli divenne grande ammiratore e con cui intrattenne una lunga corrispondenza sulla situazione lombarda.

Nel 1844 si unì in matrimonio con Maria Beldoni Branduardi, figlia di un’ottima famiglia di Monza, da cui ebbe quattro figli: Bernardo, Luigia, Teresa e Domenico. Trasferitosi stabilmente a Milano i suoi ideali politici e culturali giovanili si concretizzarono in azione intellettuale e politica. Nel 1845 scrisse Pensieri sull’Italia di un anonimo lombardo, pubblicato l’anno successivo a Losanna (poi ripubblicato nel 1853 a suo nome) in cui espose il suo progetto federalista rimarcando la necessità di porre fine al potere temporale dei papi. Le sue posizioni furono anticipatrici dei tempi e si scostarono da quelle di Cesare Balbo e Vincenzo Gioberti, coraggiosamente sostenute tra l’altro in un momento storico-politico dove forte era l’ammirazione verso la figura di Pio IX. Pur essendo un moderato, oltre che un fervente cattolico – dunque lontano da qualsiasi atteggiamento anticlericale – Torelli mostrò di aver ben chiara la differenza tra la sovranità temporale e quella religiosa e fu nettamente contrario a qualsiasi strategia che utilizzasse il peso politico del Papato ai fini dell’indipendenza italiana. Fu in questo periodo che entrò in contatto con la Società agraria torinese, che gli permise di stringere rapporti anche con il conte di Cavour. Nel 1848 fu tra i principali sostenitori della guerra all’Austria da parte del Regno di Sardegna. I suoi precedenti contatti con Carlo Alberto contribuirono a sollecitare Torino verso l’intervento. Nel marzo di quell’anno, nominato aiutante di Alfonso La Marmora, fu tra i primi cittadini a insorgere nelle Cinque giornate di Milano: il pomeriggio del 20 marzo sventolò per primo dalla guglia del duomo la bandiera tricolore, come ricordano due targhe in suo nome affisse una a Milano nel 1943 (all’incrocio tra corso Venezia e via Boschetti) e l’altra a Villa di Tirano, sua città natale. Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza si arruolò nell’esercito regolare di Carlo Alberto come luogotenente di fanteria. Partecipò in seguito alla guerra di Novara come capitano di stato maggiore.

La sconfitta dei moti lo costrinse a emigrare in Piemonte, dopo che tutti i suoi beni erano stati confiscati dall’Austria.

I fatti legati al 1848 precisarono il suo profilo di patriota risorgimentale saldamente legato alla monarchia sabauda, che assurse al ruolo di Stato guida per raggiungere l’indipendenza. In quel tempo si delinearono meglio anche quelle caratteristiche che lo avrebbero reso tra i principali protagonisti di una nuova generazione chiamata a governare l’Italia unificata, capace di trasferire la propria formazione regionale in una più vasta progettazione nazionale. Vicino alla destra liberale, Torelli fu ostile al mondo democratico, cui rimproverò l’incapacità di associare la preparazione all’azione, anche se su Giuseppe Garibaldi avrebbe mutato in seguito valutazione riconoscendogli il merito di aver combattuto per una causa comune.

Per il Regno di Sardegna ricoprì l’incarico di ministro dell’Agricoltura (27 ottobre-16 dicembre 1848). Nel luglio del 1849 fu poi eletto deputato alla Camera subalpina nel collegio di Arona, che mantenne fino al 1857 quando passò a quello di Intra, per poi essere chiamato nel 1860 a far parte del Senato d’Italia.

Sostenitore della politica cavouriana, appoggiò la decisione dell’intervento del Piemonte nella guerra di Crimea, intuendone i molti risvolti politico-diplomatici e l’importanza per gli equilibri europei. In questo periodo strinse amicizia con Ferdinando de Lesseps, con cui si recò due volte in Egitto, che lo sostenne nella nomina a membro della direzione Compagnia universale del Canale di Suez. Secondo Torelli la sua realizzazione sarebbe stata fondamentale all’Italia per imporsi sullo scenario mediterraneo e uscire dalla sua dimensione provinciale contrastando gli interessi inglesi. Le infrastrutture erano il tassello fondamentale del progetto politico di uno Stato interessato ad ampliare i traffici commerciali e avviare opere di modernizzazione. In tale ottica fu tra i principali sostenitori nel governo Sardo sia per la realizzazione dei trafori alpini che della rete ferroviaria. In sintonia con quelli che erano gli orientamenti di Cavour, cui lo legava una grande stima, Torelli era ben consapevole che il futuro di una nazione dipendeva anche dalle sue capacità di collegarsi ai grandi centri dell’economia continentale. Dopo i Patti di Plombiers fu Cavour stesso a invitarlo a Coira per informarlo dei contenuti dell’accordo.

Nel dicembre del 1859, su proposta del ministro Urbano Rattazzi, ricevette l’incarico di governatore di Sondrio, posizione che mantenne fino all’ottobre del 1861 quando divenne prefetto di Bergamo (9 ottobre 1861-1° febbraio 1862). Nel periodo in cui amministrò la provincia di Sondrio, Torelli portò avanti una incisiva azione per sostenere l’agricoltura della valle, propose la fondazione dell’Osservatorio meteorologico dello Stelvio (istituito solo nel 1873), contrastò il disboscamento e istituì una scuola tecnica e una biblioteca comunale. Favorì inoltre la nascita del primo giornale provinciale: La Valtellina.

Dal febbraio del 1862 fu destinato nella provincia di Palermo come prefetto (1° febbraio-6 aprile 1862). I principali problemi che si trovò ad affrontare nella provincia siciliana furono legati all’ordine pubblico, a causa della renitenza alla leva. Seppure ricoprì quell’incarico solo per un breve periodo dimostrò grande fermezza nell’azione. Nell’aprile del 1862, dopo l’esperienza palermitana, sempre in qualità di prefetto prese possesso della sede di Pisa – dove si occupò tra l’altro di risolvere il deficit finanziario che gravava su molti comuni della provincia – e lì rimase fino al 29 settembre 1864 quando divenne ministro dell’Agricoltura (incarico che mantenne fino al 23 dicembre 1865) per il primo ministero di Alfonso La Marmora.

Nel 1866 fu di nuovo chiamato a ricoprire la carica prefettizia a Palermo (15 aprile-13 ottobre) dove fu impegnato a gestire le cosiddette Sette giornate di Palermo o Rivolta del sette e mezzo (dal 16 al 22 settembre). Gli scontri, sebbene scoppiati a causa delle limitazioni che erano state imposte alla festa di _s. Rosalia e all’introduzione del monopolio statale sui tabacchi, traevano origine da questioni più complesse, in primis la generale crisi dell’ordine pubblico e il rifiuto di prestare il servizio militare obbligatorio. Ad aggravare una situazione già di per sé esplosiva, nel luglio di quello stesso anno si era aggiunta l’approvazione del regio decreto sulla soppressione di alcuni ordini religiosi, con il conseguente incameramento dei loro beni, che aveva inciso pesantemente sugli equilibri economici e sociali dell’isola. Per riportare l’ordine nella provincia, posta sotto l’assedio, era stato inviato dall’esecutivo il generale Luigi Cadorna. Le sue truppe vennero impegnate in una dura repressione che investì clericali e borbonici. In quell’occasione furono mosse diverse critiche a Torelli, accusato di non aver saputo evitare la crisi sotto il profilo dell’ordine pubblico e di aver favorito interventi risolutori duri ed energici, questo nonostante in più occasioni, durante la sua prefettura, egli avesse cercato di dialogare con il clero e proposto interventi riparatori per quei settori sociali che di più altri avrebbero potuto risentire economicamente della soppressione degli ordini religiosi. Come per molti della sua generazione, la necessità di preservare la stabilità del nuovo Stato fu inevitabilmente costretta a passare anche dal sacrificare alcune delle libertà tutelate dallo statuto.

La vicenda palermitana segnò molto Torelli, sia sul piano personale che su quello pubblico, tanto da spingerlo a dimettersi.

Anche in relazione a quanto successe, nel 1867 Rattazzi lo destinò prefetto di Venezia (5 maggio 1867-28 luglio 1872). La nuova realtà si dimostrò risolutiva sia per la sua ripresa personale che per rivitalizzarne l’impegno politico a livello nazionale e locale. In questi anni fondò la società per la sepoltura dei morti della battaglia di Solferino e di San Martino (1869) con la conseguente edificazione di due ossari e di una torre, un’opera che trovò compiacimento e sostegno anche nell’imperatore Francesco Giuseppe e in Napoleone III, che lo insignì della Légion d’honneur. Alcune tensioni nate con il governo centrale, soprattutto con il ministro dell’Interno Giovanni Lanza e alcune accuse di clericalismo mossegli nella successiva campagna elettorale lo portarono tuttavia a nuove dimissioni. Nonostante i rapporti con il governo centrale non fossero stati sempre sereni, agli occhi del partito monarchico e dello stesso re Torelli continuò a essere una personalità di primo piano, legata a quella generazione di patrioti che si erano dimostrati capaci di affermare il progetto dell’unificazione italiana sul territorio. Figure come la sua si erano dimostrate indispensabili per il buon funzionamento dello Stato appena creato. In questo contesto va letta anche la decisione di Vittorio Emanuele II di nominarlo conte, con motuproprio, nel 1874.

Nell’ultimo ventennio della sua vita, ritiratosi dalla sfera pubblica, Torelli si dedicò a studi politici, storici ed economici, concentrandosi principalmente sul risanamento dell’Agro romano. Tracciò la prima Carta della diffusione della malaria in Italia e fu impegnato a sostenere interventi funzionali a valorizzare il settore dell’agricoltura attraverso gli investimenti e l’applicazione di più moderni modelli di coltivazione e produzione.

Furono anche anni contrassegnati dalla sofferenza fisica e da lutti familiari: nel 1876 perse la moglie e solo qualche mese dopo anche la figlia. Nel 1880 ebbe un primo colpo apoplettico mentre si trovava in Senato, cui seguì una brutta caduta e la rottura del femore sinistro. Furono le fasi conclusive di un fisico ormai duramente provato dall’età, che cedette definitivamente l’8 novembre del 1887 in seguito a un nuovo attacco di apoplessia che lo condusse alla morte, sopraggiunta il 14 dello stesso mese.

Opere. Oltre ai Pensieri sull’Italia di un Anonimo Lombardo del 1846, tra i suoi molti scritti si vedano: Dell’avvenire del commercio europeo ed in modo speciale di quello degli Stati italiani, Firenze 1859; Lettere intorno al riordinamento dei debiti dei comuni del senatore Luigi Torelli al barone Bettino Ricasoli, Pisa 1862; La difesa delle coste d’Italia, Firenze 1864; L’Istmo di Suez e l’Italia, Milano 1867; La questione del potere temporale del Papa considerata nel 1845, nel 1853 e nel 1870, Venezia 1870; Ricordi intorno alle cinque giornate di Milano, 18-22 marzo 1848, Milano 1876; Carta della malaria d’Italia illustrata da Luigi Torelli, Firenze 1882; L’ Italia e casa Savoia, Torino 1885; La questione secolare d’oriente e sua gravità, Torino 1886.

Fonti e Bibl.: Materiale inedito relativo a Torelli è a tutt’oggi conservato presso l’archivio privato della famiglia Torelli. Su di lui vedano inoltre: F. Lampertico, Commemorazione del senatore L. T..., Venezia 1888; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù 1847-1860, Milano 1904, ad ind.; S. Manfredi, L. T. ed il Canale di Suez, in Annuario del R. Istituto tecnico Alberto De Simoni, 1927-1928, 1928-1929, 1929-1930, pp. 131-204; F. Crispolti, Lettere inedite di A. Manzoni al grande valtellinese sen. L. T., in Il Corriere della sera, 28 marzo 1928; Il carteggio La Marmora-T., a cura di A. Colombo, in Il Risorgimento italiano, 1928, vol. 21, pp. 2 s.; A. Monti, La bonifica dell’Agro romano e la lotta contro la Malaria nel pensiero e nell’azione del Conte L. T., Milano 1931; Id., Il conte L. T. (1810-1887). Il Risorgimento italiano studiato attraverso una nobile vita, Milano 1931; Id., La Guerra Santa d’Italia in un epistolario inedito di L. T. (1846-1849), Milano 1934; R. Cognetti De Martiis, L. T., Bettino Ricasoli, Cavour e il ’59, in Rassegna storica del Risorgimento, XXIII (1936), 10, pp. 1419-1427; A. Monti, Il 1848 e le Cinque giornate di Milano, Milano 1948; E. Morelli, Rileggendo i «Pensieri sull’Italia di un Anonimo lombardo», in Rassegna storica del Risorgimento, 1949, n. 1-2, pp. 3-25; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1989, ad ind.; L. T. nel primo centenario della morte 1887-1987, a cura di B. Ciapponi Landi, Sondrio 1991; C. Verri, Il prefetto e il canonico nella rivolta palermitana del 1866, in Mediterranea, IV (2007), pp. 77-110; R. Campani - G. Tanti, L. T. prefetto dell’Unità nei documenti dell’Archivio di stato di Pisa (1862-1864), Pisa 2011; S.B. Galli, L. T. e le tre Italie, in Confronti. Autonomia lombarda: le idee, i fatti, le esperienze, XI (2012), 3, pp. 36-62. Cfr. infine il romanzo di A.M. Corrado Torelli, L’Anonimo lombardo, Genova 2011.

Per la collaborazione offerta si ringraziano A. Corbellini, B. Ciapponi Landi, C. Franchetti.

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