LUIGI XV re di Francia

Enciclopedia Italiana (1934)

LUIGI XV re di Francia

Roberto Palmarocchi

Nacque a Versailles il 15 febbraio 1710 da Luigi duca di Borgogna, secondo delfino, e da Maria Adelaide di Savoia. A cinque anni erede della corona, a tredici fu dichiarato legalmente maggiorenne. Durante la reggenza, ebbe per tutore il vescovo di Fréjus, A.-H. de Fleury. Nel 1721, in conseguenza della nuova alleanza franco-spagnola seguita alla caduta del cardinale G. Alberoni, il re fanciullo fu fidanzato a Maria Anna Vittoria, figlia di Filippo V di Spagna, la quale aveva allora tre anni. Nel 1723, morti a pochi mesi di distanza il cardinale G. Dubois e Filippo d'Orléans, L. nominò primo ministro il duca Luigi-Enrico di Borbone, il quale, approfittando della timidezza del sovrano e della sua innata ripugnanza alla gestione dei pubblici affari, governò da padrone, insieme con la propria amante, marchesa de Prie. La politica del duca di Borbone e la sua ostilità verso la casa d'Orléans portarono alla rottura del fidanzamento spagnolo e al rinvio dell'infante (un avvenimento che contribuì alla stipulazione dell'alleanza austrospagnola e della Lega di Hannover); i maneggi della marchesa de Prie fecero cadere la scelta della sposa del re su Maria Leszczyńska. Il matrimonio fu celebrato nel 1725. La nuova regina, non rendendosi conto del profondo attaccamento del marito per il Fleury, si lasciò indurre dalla riconoscenza per il duca di Borbone, al quale doveva la corona, a secondare i suoi intrighi contro il vescovo. Il risultato fu il licenziamento del duca e l'esilio della marchesa, e un primo raffreddamento del re con Maria. Ma i buoni rapporti fra i coniugi continuarono fino al 1737.

Sbarazzatosi del duca di Borbone, il Fleury (che nel 1726 fu fatto cardinale) consigliò il re di assumere personalmente la direzione del governo e di abolire la carica di primo ministro. In realtà, il Fleury accentrò in sé tutti i poteri. Nei diciassette anni del suo governo, il cardinale cercò di attuare una politica di raccoglimento all'interno e all'estero; ma nelle lotte religiose ebbe ostili così i giansenisti come gli ultramontani; la crisi economica lo rese impopolare; e i maneggi del segretario degli esteri, G.-L. Chauvelin, e le pressioni della regina e della corte lo costrinsero ad assumere un atteggiamento anti-austriaco e a partecipare alla guerra di successione polacca. Ciò nonostante, il trattato di Vienna (1738) e i successi politici in Oriente accrebbero il prestigio della Francia, e per un momento Luigi XV poté ritenersi l'arbitro dell'Europa. Il cardinale morì nel 1743, durante la prima fase della guerra di successione austriaca: non aveva voluto l'intervento, ma non aveva potuto impedirlo, perché negli ultimi anni aveva perduto ogni autorità, e solo il vecchio attaccamento del re l'aveva salvato da una completa disgrazia.

Intanto L., che da giovinetto aveva dimostrato una repulsione, giudicata perfino anormale, verso le donne, che ancora nel 1726 si esprimeva nel modo più energico contro qualsiasi ingerenza femminile negli affari di stato, aveva finito col seguire l'esempio che gli offriva la società di corte, gettandosi nella vita galante. L'epoca delle favorite incomincia nel 1733 con la contessa di Mailly, seguita a breve distanza dalla sorella di lei, marchesa di Vintimille. Questa aveva intrapreso di scuotere l'inerzia del re, ma la sua opera, interrotta da una morte prematura, fu continuata da una terza sorella, la duchessa di Châteauroux. Le insistenze di questa indussero il re nel 1744 a partire per il campo; un gesto che consolidò per allora il tradizionale attaccamento dei Francesi alla monarchia. Quando L. si ammalò gravemente a Metz e parve volere licenziare la duchessa che l'aveva seguito, tutta la Francia pregò per la sua guarigione e confidò in un completo risanamento della corte e del governo. Queste speranze furono rafforzate dalla morte della favorita e dal coraggioso contegno che il re tenne a Fontenoy; ma nello stesso anno fu presentata a corte Antonietta Poisson d'Étioles, poi marchesa di Pompadour. E la guerra, nonostante le vittorie di Maurizio di Sassonia e i primi successi in Italia, finiva con la "pace stupida" del 1748, la quale suscitò nel pubblico un vivace risentimento che si mutò in violenta opposizione, quando si vide che il ciclo delle favorite non era chiuso, anzi entrava nella sua fase più dispotica e dilapidatrice.

I diversi periodi della vita di L. si sogliono contrassegnare e simboleggiare coi nomi dei suoi ministri e delle sue amanti. In verità, per quanto grande fosse l'influenza della Pompadour, non si può affermare che tutta la politica francese fosse determinata dal suo capriccio. È certo che per assicurare la propria supremazia, ella favorì tutte le men buone tendenze del re; cercò di distrarlo da ogni seria occupazione mediante divertimenti continui; finalmente, quando comprese che i suoi vezzi non bastavano più a vincolare l'infedelissimo monarca, tollerò e forse provvide il re di petites-maîtresses. Non si deve credere tuttavia che il re si disinteressasse in modo assoluto del governo dello stato. Per gli affari militari e di politica estera, egli aveva i suoi informatori diretti e segreti (il cosiddetto secret du roi). Se la Pompadour riuscì a ottenere il licenziamento di J. Orry e di J.-F. de Maurepas, e a imporre le molte e funeste sostituzioni di generali durante la guerra dei Sette anni, quando appoggiò Machault contro R.- L. d'Argenson, non poté per molto tempo superare l'appoggio che L. dette tenacemente a quest'ultimo. Quello che toglieva ogni efficacia all'azione governativa di L. non era tanto l'assenteismo, quanto il suo carattere esitante, il continuo volere e disvolere, e la sua repugnanza a prendere una posizione netta e aperta. Così durante la lotta di Machault col clero, dopo avere mantenuto per un certo tempo l'equilibrio fra le parti avverse, L. rinunziò bruscamente al progetto d'imposta sul clero. Nella lotta del parlamento con la chiesa di Francia e con Roma, alternando senza posa le condanne e i perdoni, indebolì il prestigio della corona, e accettando in molte occasioni il parlamento come sostegno della monarchia, non si accorse come il difensore fosse più pericoloso degli stessi avversarî.

L'attentato di Damiens (7 gennaio 1757), che produsse nel re una crisi morale, la quale durò soltanto per il tempo che egli si credette in pericolo di vita, ebbe come conseguenza il licenziamento di Machault e d'Argenson. Lo si attribuì a una vendetta della Pompadour che i due ministri si erano troppo affrettati a considerare come caduta in disgrazia, ma si può anche pensare che il re, spaventato, volesse conciliarsi gli oppositori, sbarazzandosi dei due uomini che avevano suscitato gli odî più violenti con la loro politica.

Anche per quel che riguarda il rovesciamento delle alleanze e la guerra dei Sette anni, non conviene esagerare l'azione politica della Pompadour e la responsabilità del re. Inizialmente si mirava alla pace con l'Austria e non all'alleanza; soltanto l'accordo fra Prussia e Inghilterra costrinse la Francia a scendere in campo. L'abbandono della politica tradizionale e soprattutto l'infelice esito della guerra, dalla quale la Francia uscì avvilita e isolata, fecero ricadere sul sovrano e sul suo governo - contribuendovi l'opera tenace di quei "filosofi" a cui la stessa corte aveva ciecamente dato favore - la colpa di una situazione che per gran parte dipendeva dai nuovi orientamenti della politica internazionale. Negli anni di pace che seguirono, il duca E.-F. de Choiseul lavorò assiduamente, e con successo, a riorganizzare l'amministrazione civile e militare e a risollevare il prestigio della Francia all'estero. Scoppiata la lotta fra il parlamento e i gesuiti, il re dette ancora una volta la prova della sua irresolutezza; posto di fronte al dilemma di lasciare mano libera al parlamento o di annullarne i decreti, si appigliò al mezzo termine di un rinvio che portò necessariamente alla soppressione. Che questa fosse voluta dai parlamentari e dai filosofi, è logico; sorprende piuttosto che né gli ambienti di corte, né i ministri, né il re misurassero le conseguenze politiche e sociali di un atto simile (una prova se n'ebbe ben presto nelle difficoltà incontrate per organizzare un nuovo sistema educativo). Se anche se ne resero conto, certo è che né Luigi XV né Choiseul ebbero il coraggio di opporsi alla furiosa ostilità generale.

La morte della Pompadour, nel 1764, suscitò nuove speranze di un ravvedimento del re, speranze che furono ancora una volta deluse dall'avvento di una nuova favorita, la Du Barry. Questa non aveva ambizioni politiche, ma si trovò coinvolta nella lotta contro Choiseul, perché i familiari e partigiani di questo le si dichiararono ostili. La guerra che Choiseul disegnava contro l'Inghilterra fu l'occasione della sua caduta. Le figure predominanti del ministero che gli succedette furono il duca A. d'Aiguillon, R.-C. Maupeou, J.-M. Terray. Questo triumvirato ebbe il merito di scongiurare una gravissima guerra navale, e con la soppressione dei parlamenti tentò un supremo sforzo per ristabilire il governo assoluto. Fatto segno ad attacchi violentissimi e a un'opposizione generale, che riunì i gruppi più disparati, dai filosofi ai principi del sangue, esso fu sostenuto fino in fondo, contro tutti, da Luigi XV. Questo atteggiamento d'insolita energia, così diverso da quello adottato nella questione dei gesuiti, fa supporre che egli si fosse finalmente reso conto dell'abisso nel quale andava precipitando la monarchia. Ma era ormai troppo tardi. Alle lotte intestine, inasprite da una situazione finanziaria sempre più rovinosa, si univa il declino del prestigio internazionale della Francia, un sintomo del quale fu il trattato di spartizione della Polonia, concluso all'insaputa di Versailles. E l'opinione pubblica addossò ancora una volta al governo e al re tutta la responsabilità dei mali interni e degl'insuccessi internazionali.

Agli ultimi di aprile del 1774, il re si ammalò. Dichiaratosi il vaiolo e sentendosi vicino alla fine, ordinò alla Du Barry di lasciare la corte, chiese i conforti religiosi e, dopo aver manifestato il suo pentimento, morì il 10 maggio.

L. ebbe da Maria Leszczyńska dieci figli, due maschi e otto femmine. Il delfino Luigi, nato nel 1729, morì nel 1765, lasciando tre figli, che furono Luigi XVI, Luigi XVIII e Carlo X. Delle figlie sopravvissero al padre Adelaide, Vittoria, Sofia e Luisa.

Attraverso le molte leggende che la passione di parte ha accumulato sull'infanzia e la giovinezza di L., si può riconoscere ch'egli ebbe discreto e precoce ingegno e non fu quel nemico di ogni cultura che certi avversarî rappresentano. Ma la sua indole fu falsata da una funesta educazione che lusingò la sua vanità senza correggere i suoi difetti. Per allontanarlo sempre più dall'esercizio effettivo del potere, il duca di Borbone secondò il suo amore della caccia, del giuoco, e dei piaceri della tavola; il cardinale Fleury la sua pigrizia e avversione al lavoro. Così si formò quel carattere che il d'Argenson disse "impenetrabile e indefinibile". Degli affari pubblici, L. fu piuttosto lo spettatore che il protagonista: il suo "secret" servì solo di strumento a una curiosità di dilettante. Non gli mancarono ministri di valore; mancò piuttosto ai ministri un re che ne coordinasse l'opera; e d'altra parte non c'era tra quelli nessun Richelieu che sapesse sostituirsi al sovrano. Si può dire perciò che la Francia era governata da diversi re subalterni, i quali agivano ognuno per proprio conto, e spesso in contrasto fra loro.

Quanto agli eccessi della vita galante, essi furono il fatale sbocco di un uomo che era stato allevato nell'atmosfera della reggenza, e che sapeva di godere il privilegio dell'impunità. Ma non si può dire fino a che punto la fantasia abbia esagerato e deformato la realtà.

Bibl.: Tra i Mémoires, cfr. specialmente: E. Barbier, Chronique de la régence et du règne de Louis XV, Parigi 1857, voll. 8; R. L. de Voyer d'Argenson, Journal et mémoires (fino al 1757), Parigi 1861-67, voll. 9; C. Ph. D'Albert duc de Luynes, Mémoires sur la Cour de Louis XV (1735-58), Parigi 1860-65, voll. 17; M. Marais, Journal et mémoires sur la régence et le règne de Louis XV (fino al 1737), Parigi 1863-68, voll. 4; H. Bonhomme, Louis XV et sa famille, Parigi 1873; C. De Broglie, Le secret du roi, Parigi 1878, voll. 2; H. Carré, La France sous Louis XV, Parigi 1891; M. Fleury, Louis XV intime et les petites maitresses, Parigi 1899; P. de Nolhac, Le château de Versailles sous L. XV, Parigi 1898; id., L. XV et m.me de Pompadour, Parigi 1903; id., L. XV et Marie Leczinka, Parigi 1930; L. Cahen, Les querelles religieuses et parlamentaires sous Louis XV, Parigi 1913; C. Sainte-André, Louis XV. Essai d'après les documents authentiques, Parigi 1921 (v. anche: francia: Storia).

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