MA'IN

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

ΜΑΊΝ (Βεελμαούς, Βελεμοϋντα)

M. Piccirillo

Villaggio situato 12 km a SO di Madaba in Giordania, sulla strada che conduce alle Terme di Baaru (oggi Hammāmāt-Ma'in) e di Calliroe (oggi Zara) sulla sponda orientale del Mar Morto.

In epoca tardoromano-bizantina il villaggio era conosciuto con il nome di Beelmaus (Eus., On., 44, 21), un grosso borgo identificato con la località biblica di Baal Ma'on (Num., 32, 38; los., 13, 17), ricordata anche nella stele di Meša, re di Moab del IX sec. a.C. (1. 30). Il toponimo di epoca bizantina viene dato come Belemounta nel mosaico della chiesa sull'acropoli del villaggio e in quello della chiesa di Santo Stefano a Umm ar-Rasās/Kastron Mefaa. Una tradizione conservata da Eusebio ne fa la patria del profeta Eliseo.

Tra le rovine del tell, riabitate nel 1886 da famiglie di beduini cristiani di Kerak, gli esploratori notarono alcune sculture di epoca romano-nabatea, forse resti di un tempio, e numerose testimonianze di epoca cristiano-bizantina provenienti da edifici sacri. Finora sono state esplorate due chiese nell'ambito del villaggio con un prìbaton e uno xènion (edificio particolarmente utile in un villaggio come M., ultimo centro abitato sulla strada che portava alle due già citate località termali). Un piccolo monastero è stato esplorato in località ed-Deir, subito fuori il villaggio, e un eremitaggio in località 'Ayn Qattāra. Uno dei più estesi campi di dolmen e cerchi preistorici di Giordania si trova a S di M., in località al-Murayghāt.

Il monumento più considerevole è il mosaico pavimentale della chiesa sul punto più alto dell'acropoli, scoperto nel 1934. I muri della casa araba che vi era stata costruita sopra impedirono agli archeologi di tracciare una pianta unitaria di tutto il complesso. Dai pochi elementi controllabili, la chiesa risulta piuttosto singolare, con un'aula centrale unica molto larga (9,50 m di largh. per 16,50 m di lungh. fino al gradino del presbiterio), affiancata a Ν da un ambiente di servizio. Al momento della scoperta, si conservavano parti del mosaico dell'area occidentale della chiesa, con l'iscrizione sulla porta che data l'esecuzione al 719/20, in epoca omayyade. Il mosaico mostrava vistose tracce dell'intervento iconoclastico seguito dal restauro delle figure asportate. Negli ottagoni e cerchi del motivo geometrico del tappeto a croci di scuta, erano ancora identificabili alcuni motivi della composizione originale, come un cesto pieno di frutti, una barca a vele spiegate, e le orecchie di una lepre, successivamente sostituita da un tappeto di fiori. Nei girali di acanto della fascia interna, originariamente decorati con scene di caccia e di pastorizia, restava visibile solo il dettaglio di una scena di venatio con una belva trafitta da una lancia, scena male camuffata dall'inserimento sostitutivo di un motivo floreale. La citazione in greco del profeta Isaia (65,25: «e il leone come il bue mangerà la paglia») consente di ricostruire il soggetto di un mosaico (rinvenuto frammentario) che decorava l'annesso settentrionale: al momento dello scavo, oltre all'iscrizione, vi si vedevano una coda, due zampe, un arbusto, uno zoccolo, una gibbosità e le punte di due corna nei pressi di un albero al centro della composizione (con l'aggiunta di un'anfora con viticci da addebitare al restauro post-iconoclastico).

L'elemento decorativo più interessante del mosaico resta la fascia esterna del tappeto dell'aula, decorata con una serie continua di edifici alternati ad alberelli. Al momento dello scavo, restavano undici edifici con l'aggiunta in alto del toponimo: tre sul lato S (Nicopolis/Emmaus, Eleutheropolis/Bayt Gibrln, Ascalona), tre sul lato O (Maioumas [di Gaza]/el-Mine, Gaza, Odroa/'Udruh) e cinque sul lato Ν (Charakmoba/Kerak, Areopolis/Rabba, Gadora/es-Salt, Esbounta/Ḥesbān, Belemounta/Ma'in). I toponimi, restituibili con una certa sicurezza, si riferiscono a città episcopali della Palestina Prima, della Provincia Arabia e della Palestina Terza in epoca bizantina, a parte il villaggio di Belemounta nella diocesi di Madaba.

Gli edifici ripetono uno schema convenzionale di chiesa che ritroviamo nelle vignette della Carta di Madaba (v.), in quelle di città della chiesa di Santo Stefano a Umm ar-Rasās/Kastron Mefaa e in altri mosaici della regione. Cupole, facciate, tetti a spiovente o a volte, absidi, ambienti annessi alla chiesa, vengono smembrati e ricomposti con una prospettiva sommaria e personale molto libera. Asimmetria che va inserita nello sforzo prospettico di presentare gli edifici il più fedelmente possibile da diverse angolazioni pur nello schema convenzionale oramai acquisito: una caratteristica scientifico-verista, dalle lontane origini classico-ellenistiche, testimoniata in altre opere di epoca omayyade che decorano terme, palazzi, moschee e chiese.

Bibl.: R. de Vaux, Une mosaïque byzantine à Ma'in, in RBibl, XL VII, 1938, pp. 227-258; id., Glanes archéologiques à Main (Transjordanie), ibid., XLVIII, 1939, pp. 78-86; M. Piccirillo, Le antichità bizantine di Ma 'in e dintorni, in Liber Annuus, XXXV, 1985, pp. 339-364, tavv. LV-XC.

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