AGRICOLE, MACCHINE

Enciclopedia Italiana (1929)

AGRICOLE, MACCHINE

Iginio AMBROSINI

. L'uso delle macchine per eseguire i lavori agricoli si è andato estendendo parallelamente al diffondersi della macchina industriale, ma più tardi e meno intensamente.

La macchina in agricoltura ha un impiego più saltuario che non nell'industria, viene adoperata da una maestranza meno specializzata e meno esperta e, quasi sempre, deve adattarsi a terre, ad ambienti, a prodotti non uniformi, per cui non si può pretendere da essa un alto rendimento quale può dare il macchinario industriale. Da ciò il suo più lento impiego. Aggiungansi alcune considerazioni d'ordine sociale riguardanti l'Italia in particolar modo. Nel nostro paese la mano d'opera agricola è generalmente abbondante; la proprietà è sovente molto frazionata, la superficie pianeggiante è relativamente scarsa in confronto di quella a colline e a montagne: tutte cause ostacolanti o ritardanti la diffusione delle macchine agricole.

I vecchi pregiudizî che impedirono, un tempo, la diffusione della macchina agricola, come del resto ostacolarono prima anche la diffusione della macchina nell'industria, sono ormai vinti e sorpassati.

Utilità delle macchine in agricoltura. - Ora tutti sono persuasi che è grossolano errore ritenere che l'uso delle macchine nuoccia al miglioramento economico dei lavoratori: un tempo si impediva l'introduzione delle macchine nelle aziende e si chiedeva di lasciarvi inoperose quelle esistenti per rimediare sistematicamente alla disoccupazione e al rinvilire dei salarî. Oggi tutti sanno che solo lavorando a macchina si possono dare più alti compensi alla mano d'opera e la maggior capacità di produzione della terra domanda ugualmente la mano d'opera ed elimina la disoccupazione.

Oggi si è capito anche in agricoltura che la macchina-uomo, essendo la più costosa, deve essere adoperata nel modo più redditizio, mediante lo sfruttamento del suo congegno essenziale e più perfetto: l'intelligenza. Si è capita anche l'opportunità di utilizzare nel modo più redditizio il motore animale nella sua dote precipua che, dal punto di vista meccanico, è l'elasticità, cioè l'adattamento a variazioni notevoli di sforzi da un momento all'altro; e quando si ha bisogno di forza bruta soltanto, si ricorre al motore meccanico al quale l'uomo dà semplicemente assistenza e guida.

È chiaro che il diffondersi di queste concezioni non solo porta vantaggio economico all'individuo, ma anche alla collettività.

Né v'è da dilungarsi a rilevare il beneficio che da questa più giusta valutazione dell'energia umana e dell'energia meccanica traggono le classi rurali, che meno si affaticano, che meglio si nutrono, e che vivono nella serenità di un lavoro meno bestiale e più umano.

La macchina agricola rende diversi ed importanti servigi.

Quasi sempre rende più celeri i lavori. Si pensi alla rapidità con cui oggi si sgranano meccanicamente le pannocchie di granoturco in confronto alla lentezza degli antichi e sorpassati sistemi di sgranatura a mano.

Rende più economici i lavori, cioè abbassa il costo della produzione. Si consideri il lavoro del voltafieno che, trainato da un mulo e condotto da un ragazzo, sostituisce il lavoro di quindici persone.

Compie lavori altrimenti impossibili. Il miglior esempio è dato dalla possibilità di eseguire arature profonde in aziende dove scarseggia la forza di trazione animale.

Il limite della profondità di aratura non è più dato, come un tempo, dalla capacità di tiro degli animali che l'azienda può mantenere. Perché è noto che l'equilibrio non modificabile tra ampiezza dell'azienda e numero degli animali da lavoro stabiliva, un tempo, il limite massimo alle profondità delle arature. Il trattore meccanico può dare invece arature profonde anche se poca è la dotazione del fondo in fatto di animali da lavoro.

Aumenta la produzione. Esempio tipico la seminatrice il cui uso determina non solo economia di semente, ma aumento di raccolto. Questo è certamente il più elevato compito che la macchina agricola può assolvere.

La sintesi di queste realizzazioni, e di altre di minore importanza, permette un graduale cambio di indirizzo nell'economia agricola, aprendole strade nuove nel campo zootecnico e verso le coltivazioni industriali ad alto reddito.

Misura di benefici resi dalle macchine. - La misura dei benefici che la macchina apporta non è sempre facile, in quanto sono talora complesse le conseguenze dell'uso di essa. Potrà servire qualche esempio. Facile è valutare in denaro il rendimento di una falciatrice o di una mietitrice, il cui lavoro può essere uguale a quello di una quindicina di persone che, senza la disponibilità della macchina, dovrebbero essere chieste alla mano d'opera avventizia; analogamente il confronto è anche facile fra il lavoro di una trebbiatrice meccanica e quello fatto col correggiato.

Ma quando la trebbiatura meccanica deve sostituire, come avviene nei latifondi delle nostre isole, quella che si esegue con gli animali, il problema si complica. Là gli animali sono egualmente necessarî nelle aziende per i trasporti dove mancano strade: come si può in tali condizioni valutare in cifre il beneficio dell'uso della macchina?

Altro esempio. Come si possono valutare i vantaggi di un trattore nella economia dell'azienda? Il trattore permette l'alleggerimento della stalla degli animali da lavoro e, di conseguenza, apre strade nuove verso l'allevamento e la produzione del latte e della carne; permette di eseguire le arature rapidamente quando il terreno è in giusta tempera; consente lavori più profondi e maggiori raccolti.

Chi misura i meriti di un rastrello meccanico che interviene quando un temporale si avvicina o quelli di una motopompa, anche minuscola, che salva l'orto o il frutteto dall'arsura estiva? Ed i meriti di un aratro che porti un versoio più razionale, più frantumatore delle zolle, più leggero di trazione per gli animali e per l'uomo?

Vantaggi grandi e piccoli che si riassumono in maggiori prodotti, in minori spese, non misurabili singolarmente attraverso conteggi analitici, ma che risaltano evidenti all'esame dei bilanci economici dei singoli agricoltori come di quello della nazione.

Classificazione. - Si sogliono classificare le macchine agricole raggruppandole secondo l'impiego cui sono destinate:

a) macchine per la lavorazione del suolo (aratri, erpici, coltivatori, estirpatori, rulli);

b) macchine per la concimazione e la semina (spandiconcimi, seminatrici, trapiantatrici);

c) macchine per la raccolta dei prodotti (falciatrici, voltafieno, rastrelli, mietitrici);

d) macchine per le prime lavorazioni dei prodotti nell'azienda agraria (trebbiatrici, sgranatrici, pressaforaggi, ventilatori, decuscutatori, svecciatori, pigiatrici, torchi);

e) macchine per la preparazione degli alimenti per il bestiame (trinciaforaggi, trinciatuberi, trinciapanelli, sfibratrici).

A questi gruppi si può aggiungere, o far precedere, quello delle macchine motrici che servono all'azionamento da fermo od in cammino di buona parte delle macchine operatrici sopra indicate. Ma di queste motrici non parleremo qui, rimandando invece il lettore alle voci locomobile, motore.

Altri gruppi di macchine impiegate in agricoltura, ma non esclusivamente, sono le pompe per sollevamento d'acqua (v. pompe). Macchine agricole-industriali sono gli impianti per oleificio ed enologia, le macchine per la prima lavorazione del legno, i mulini, ecc.

Macchine per la lavorazione del suolo. - Aratri. - L'aratro è lo strumento più importante e fondamentale dell'azienda agricola. Il suo impiego permette di destinare la terra ad una nuova produzione. A ciò si giunge con le seguenti operazioni che l'aratro compie simultaneamente: taglio verticale ed orizzontale di una fetta di terra e suo capovolgimento e sminuzzamento. Le dimensioni della fetta e l'entità delle altre operazioni sono svariatissime secondo le esigenze delle coltivazioni e della natura del terreno; e a tale varietà corrispondono aratri di foggia e dimensioni diverse.

Si può tuttavia stabilire che le parti ed i gruppi di parti essenziali che costituiscono gli aratri sono pressoché simili. Così - se si escludono certe forme speciali - in un aratro qualsiasi sono presenti i seguenti gruppi:

Bure o trave, che è come l'intelaiatura dell'aratro, e che ha lo scopo di congiungere il gruppo degli organi di regolazione e di guida al gruppo degli organi lavoranti.

Corpo principale, che porta il vomere, destinato a compiere il taglio orizzontale, ed il versoio, destinato al capovolgimento ed alla frantumazione della fetta. L'uno e l'altro di questi due organi lavoranti sono tenuti insieme da un supporto detto scheletro che, a sua volta, porta un organo destinato alla stabilità del lavoro: la suola.

Coltro, organo lavorante attaccato alla bure e destinato a dare il taglio verticale.

Avanvomere, gruppo lavorante, pure attaccato alla bure, destinato a. compiere lo stesso lavoro del corpo ma su di uno strato di terreno superficiale. Non sempre fa parte dell'aratro.

Avantreno, gruppo di organi di regolazione, normalmente costituito da un'intelaiatura portata da una o due ruote, con viti o bride di fissaggio, collegato con la parte anteriore della bure.

Stegole, organi di guida posti abitualmente dietro il corpo dell'aratro.

Per l'importanza che ha l'aratro nella tecnica agricola è indispensabile dire più particolarmente di tutte queste parti che lo compongono.

La bure o trave può essere di legno o di acciaio, ed in tutti i casi deve essere robustissima perché in generale ha anche la funzione di trasmettere la forza di trazione. Se è di legno, dev'essere, ed è normalmente, di essenza forte senza nodi e con le fibre nella direzione longitudinale e non trasversale. Se d'acciaio, come più comunemente avviene, la spranga da cui viene ricavata è laminata a sezione rettangolare, ad I, o ad U. Vi sono anche buri di acciaio speciale, sottoposto a trattamento termico per conferir loro una particolare elasticità e resistenza. Negli aratri a più corpi ed in altri a trazione meccanica, la bure è sostituita da un'intelaiatura sempre in acciaio.

La bure porta il coltro o coltello, destinato a tagliare verticalmente la fetta di terra. Il coltro è costruito in acciaio, ed ha la forma appunto di un coltellaccio. In certi tipi di aratri il coltro comune è sostituito da una lama circolare (coltro a disco) che richiede minor sforzo di trazione ma non è adatta a lavorare se non in terreni molto facili e a limitata profondità di taglio.

Il corpo è il gruppo principale degli organi lavoranti. Di esso fanno parte:

lo scheletro, che è il supporto delle altre parti. Una volta era di legno, più tardi fu fatto di ghisa, oggi - negli aratri moderni e ben fatti - è di acciaio fuso o di acciaio stampato;

il vomere, che è costituito da una lama che taglia orizzontalmente la fetta. È l'organo che in lavoro oppone la maggiore resistenza all'avanzamento dell'aratro. È sempre di acciaio, deve essere ben affilato e deve portare anteriormente, vicino alla punta, un certo ingrossamento che gli conferisca robustezza e nello stesso tempo permetta al fabbro di allungare nuovamente la punta, quando quella primitiva si sia consumata in lavoro. Ciò si ottiene battendola a caldo. Il vomere può essere dotato anche di punta a scalpello per terreni ghiaiosi;

il versoio, detto anche piastra od orecchio, che è costituito da una lamiera curva e serve a rivoltare e a frantumare la fetta di terra che è già stata tagliata dal coltro e dal vomere. È necessario che il versoio sia di forma razionale, in modo da compiere il lavoro di rivoltamento e di rompimento della terra senza assorbire un eccessivo lavoro. Vi sono diverse forme di versoi: per ciò che riguarda la curvatura, la forma elicoidale conviene nei climi umidi, quella cilindrica nei climi secchi; vi sono poi forme intermedie tra le elicoidali e le cilindriche. Il versoio deve presentare una superficie ben levigata perché il terreno non vi si appiccichi e la stessa superficie deve essere di metallo ben duro per poter resistere allo sfregamento.

Presso il vomere sta la suola, costituita da un ferro piatto verticale destinato a guidare l'avanzamento dell'aratro, appoggiandone il corpo al fianco verticale del solco (detto muraglia). In quasi tutti i tipi di aratri, l'estremità della suola porta un rinforzo o tallone che serve a difendere l'estremità, così che, ad usura avvenuta, solo il tallone debba essere cambiato.

In certi aratri davanti al coltro sta applicato l'avanvomere. Si tratta di un piccolo corpo d'aratro col vomerino, l'orecchietta e lo scheletro che si chiama anche manico. L'avanvomere è unito alla bure con una brida. Esso serve a tagliare una fetta superficiale di terra per gettarla nel fondo del solco precedentemente aperto, in modo che il lavoro del corpo d'aratro serve a ricoprire completamente la terra ribaltata dall'avanvomere. L'avanvomere si applica particolarmente arando su prati.

Avantreno e organi di regolazione. - Sono notevolmente diversi nei varî tipi di aratri. Se l'avantreno è a due ruote (carrello), una di queste cammina in fondo al solco ed una sul terreno ancora da arare; al carrello si appoggia (appoggio rigido o snodato) la bure, e la posizione di questa rispetto al carrello viene determinata a mezzo di viti o di bride, per modo che l'aratro è obbligato ad assumere una posizione che stabilisce la larghezza e la profondità del lavoro.

Anteriormente all'avantreno sta il gancio di trazione al quale deve attaccarsi la forza motrice.

Posteriormente al corpo stanno le stegole o guide. Sono due spranghe di ferro fissate alla parte posteriore della bure e servono per la conduzione e la guida dell'aratro da parte dell'uomo. In certi aratri le stegole non sono due ma una sola, talora anche in legno; talora mancano e la regolazione viene fatta con organi posti anteriormente.

Esistono diversi tipi d'aratro, anzi si può dire che ne esistono troppi tipi. Senza voler fare delle classificazioni, si possono distinguere i monovomeri (che hanno un solo corpo lavorante), i polivomeri (che hanno più corpi lavoranti), i semplici (che rivoltano la terra da un lato solo), i voltorecchi o doppî (che possono rivoltare la terra da un lato o dall'altro, a destra o a sinistra, ma non contemporaneamente).

Sotto altro aspetto vi sono aratri cosiddetti di tipo tedesco, altri di tipo brabantino, altri di tipo americano, altri di forme intermedie. In Italia si costruiscono tutti questi tipi e la denominazione non significa che la forma degli aratri sia di esclusiva importazione.

L'aratro di tipo tedesco ha per caratteristica il carrello anteriore snodato rispetto alla bure e costruito in modo che, durante il funzionamento, le ruote dell'avantreno camminino verticalmente.

L'aratro di tipo brabantino è caratterizzato dalla bure imperniata sul carrello. Durante il lavoro le ruote e tutto l'avantreno restano inclinati, ma ad evitare la soverchia inclinazione, nei tipi per arature profonde, si dà alla ruota destra un maggiore diametro di quella sinistra. In generale gli aratri brabantini sono più leggeri di trazione degli aratri di tipo tedesco - a pari profondità di lavoro - ed è crescente la tendenza in Italia a sostituire con questi gli aratri tedeschi.

Vi sono anche tipi intermedî che includono i pregi dell'aratro brabantino e di quello tedesco: nei migliori, il corpo è alquanto vicino alla forma brabantina, le ruote dell'avantreno avanzano verticalmente durante il lavoro come negli aratri tedeschi; l'avantreno è sterzabile rispetto alla bure e questa è imperniata sull'avantreno.

L'aratro di tipo americano è caratterizzato dalla forma speciale elicoidale dell'orecchio e dalla bure di legno. L'America produce anche molte altre forme di aratri diversissime da questa, ma, in Italia, si può dire che per la trazione a mezzo di forza animale non si usino. Il materiale metallico è prevalentemente oggetto di una levigatura molto fine.

Tanto gli aratri di tipo tedesco come quelli di tipo brabantino possono essere polivomeri.

Si tratta di due, tre, quattro corpi di aratro montati sopra un'unica intelaiatura e destinati a compiere arature piuttosto superficiali e rapide, specialmente sulle stoppie di frumento o per ripassare su terreni già arati.

Gli aratri voltorecchi hanno per caratteristica un versoio doppio, così da poter rivoltare la terra sempre dalla stessa parte, tanto camminando in un senso quanto nel senso opposto. Si rende perciò necessario, quando si giunge in fondo a un solco, di ribaltare il corpo d'aratro in modo da mutare il versoio lavorante. Ve ne sono tanto di tipo tedesco quanto di tipo brabantino.

I primi sono più semplici ed anche meno razionali; i due versoi sono costituiti da una lamiera unica per modo che la curvatura, non può essere perfetta e quindi neppure il rivoltamento della terra che ne ne consegue. I secondi, necessariamente più pesanti, portano due distinti corpi simmetricamente disposti.

Gli aratri voltorecchi servono in collina, dove è necessario arare rivoltando la terra sempre verso il basso; però anche in piano si impiegano gli aratri voltorecchi brabantini dove non si vogliono fare le cosiddette prose, e ciò per mantenere la superficie del terreno rigorosamente piana e adatta all'irrigazione.

Alle categorie degli aratri voltorecchi sono da assegnarsi le numerose coltrine usate in gran parte, e da gran tempo, sulle colline d'Italia. Caratteristica delle coltrine è di essere molto leggiere e molto stabili nel lavoro di aratura; attualmente la loro costruzione è stata migliorata perchè alla ghisa venne sostituito l'acciaio.

Gli aratri polivomeri doppî hanno i corpi disposti simmetricamente rispetto ad un piano orizzontale quando sono destinati alla trazione diretta; li hanno invece disposti simmetricamente rispetto alle ruote di regolazione e di supporto (aratri a bilanciere) quando servono alla trazione funicolare.

Un'importanza tutta particolare hanno assunto, in questi ultimi tempi, gli aratri per trazione meccanica col diffondersi delle trattrici agricole adottate a sostituire il traino degli animali. Sono costituiti da intelaiature sul tipo di quelle degli aratri polivomeri, portanti uno o più corpi di aratri. L'intelaiatura è bilanciata su due ruote, talora appoggiata ad una terza rotella posteriore che serve principalmente per il trasporto su strada. Quando questa terza rotella manca, l'aratro ha un gancio d'attacco rigido nel senso verticale a mezzo del quale viene attaccato alla trattrice; nell'altro caso l'attacco non è rigido. Questi aratri portano gli organi di regolazione fatti in modo da permettere di abbassare più o meno l'intelaiatura, e quindi i corpi lavoranti, rispetto all'altezza delle ruote, di cui una cammina in fondo al solco e l'altra sul terreno sodo. Un altro dispositivo particolare permette di interrare e di sollevare con un semplice tratto di fune il corpo dell'aratro, quando si è rispettivamente in principio ed in fine del solco; per tal modo non si rende più necessario l'uomo ad assistere continuamente l'aratro e basta il conducente della trattrice per provvedere a tutto.

Oltre agli aratri suddetti, tutti destinati a compiere il vero lavoro di aratura, prendono lo stesso nome altri strumenti che servono a spostare in diverso modo la terra per prepararla alla coltivazione: tale l'aratro assolcatore che porta un vomere doppio e un doppio versoio, così da compiere un solco operando tanto verso destra che verso sinistra; l'aratro talpa per il dissodamento del sottosuolo senza muovere la terra alla superficie, costituito essenzialmente da un robustissimo coltro alla cui estremità inferiore è saldato un vomere che smuove la terra negli strati profondi; l'aratro ripuntatore che segue il comune aratro, operando nel fondo del solco aperto, prima che questo venga colmato col riaprirsi del solco successivo.

Come si usa l'aratro. La profondità di lavoro si ottiene sollevando l'avantreno rispetto al piano del vomere; per ottenere la voluta profondità occorrono almeno tre solchi e quindi la regolazione dell'avantreno deve essere fatta gradualmente. La ruota di solco deve rasentare la muraglia senza però strisciarvi contro; l'aratro deve sempre camminare ben orizzontale e mai di punta. La larghezza della fetta si ottiene spostando più o meno in fuori la ruota di solco, se questa è in tal senso regolabile, oppure spostando l'attacco anteriore in senso orizzontale. Anche la differenza di livello fra le due ruote, opportunamente regolata, può aumentare la tendenza a prendere fetta o a restringerla.

È necessario assicurarsi che le viti siano ben serrate, potendo il loro allentamento essere causa di facili rotture.

L'avanvomere, specialmente negli aratri brabantini, deve solamente scorticare la superficie del suolo; il coltro deve essere in giusta posizione rispetto alla punta del vomere, sì che la sua punta disti un paio di centimetri in avanti e 5 centimetri in altezza dalla punta del vomere.

La punta del vomere deve tendere leggermente in basso e leggermente a sinistra; il filo del coltro deve essere spostato di ½ centimetro verso sinistra rispetto al vomere (queste regolazioni variano a seconda della natura delle terre e l'esperienza pratica dà i suggerimenti speciali per un buon funzionamento).

I vomeri non devono essere impiegati quando sono troppo consumati e si deve affilarli spesso, battendoli a fuoco e ritemprandoli a color rosso-scuro, immergendo il solo filo del vomere nell'acqua. Altrettanto dicasi per i coltri.

La suola non si deve lasciar logorare eccessivamente e conviene sostituirla, quando il lasciarla di più procurerebbe l'usura anche delle parti che la sostengono.

Durante il lavoro, specialmente in campi infestati da gramigne o stoppie, è bene che il conducente porti una zappetta per liberare l'aratro dagli agglomeramenti di terra.

L'aratro deve essere sempre lubrificato nelle snodature durante il lavoro e, dopo la stagione lavorativa, deve essere unto sulle superficie liscie e lucide e se occorre riverniciato. Questa raccomandazione vale per tutte le macchine agricole.

Erpici. - L'erpice è lo strumento che generalmente segue l'aratro e serve a sgretolare il terreno arato per prepararlo a ricevere il seme. Vi sono anche erpici destinati a sgretolare le croste che si formano alla superficie del terreno specialmente nella coltivazione del frumento e del prato, sul finire dell'inverno. Altri ve ne sono, destinati a strappare le erbacce spontanee. Si contano a centinaia le forme di erpici usate in Italia. In tutte si riscontra un'intelaiatura rigida o snodata, portante, la prima, dei denti o delle lame o dei dischi; la seconda, dei denti, spesso disposti a tre per tre. Questi denti ed altri organi lavoranti che hanno il compito di rompere la terra, passandovi sopra, devono essere di materiale resistente al logoramento (acciaio o ghisa dura) e disposti in modo da non lasciare tra un dente e l'altro spazî eccessivi tra i quali possano passare le zolle senza risentire dell'azione sminuzzante; i denti debbono essere regolabili in inclinazione o in lunghezza, così da dar luogo ad uno sminuzzamento più o meno energico; il telaio deve adattarsi alla superficie del suolo in modo che il lavoro di erpicatura risulti uniforme. Ne segue la convenienza dí dividere gli erpici rigidi in sezioni che si adattino al terreno.

Possono essere segnalati come erpici tipici, che servirono di modello alle numerosissime forme esistenti, il tipo snodato Howard (che viene costruito esclusivamente in Italia e dell'antica casa inglese non ha che il nome) adatto ai frumenti ed ai prati; il tipo a zig-zag e telaio rigido a diverse sezioni, con denti a punta per lavorazioni più energiche; il tipo Acme avente delle lame a piegatura elicoidale destinate a dare un leggiero rivoltamento superficiale al terreno sminuzzato; il tipo a dischi - tra i più perfetti e moderni - adottato specialmente per la trazione meccanica. Questo erpice, nel caso di terreni sciolti, riesce a compiere un lavoro di leggiera aratura. Meno usati sono gli erpici a stella, i tipi Morgan ad alette, quelli a denti indipendenti, ecc. Vi sono erpici speciali per determinate coltivazioni, specialmente per risaia.

Coltivatori. - Sono attrezzi non molto diversi dagli erpici, costituiti da un telaio portato da rotelle al quale sono applicati dei denti a molla che, oltre a sminuzzare il terreno, hanno lo scopo di strappare le erbacce infestanti. Servono anche a preparare i terreni alle semine. Vi sono coltivatori che portano una tramoggia dalla quale cade il seme e si possono pertanto ascrivere alle macchine seminatrici.

Estirpatori. - In questo gruppo di apparecchi si riscontra un telaio di legno o di ferro al quale sono applicati dei robusti e rigidi ferri curvati, alla cui estremità stanno chiodati altrettanti vomerini a triangolo (estirpatore casalese). Ve ne sono di più perfezionati portanti anteriormente lame e coltelli, ed aventi anche un piccolo avantreno per regolare la profondità del lavoro.

Tutti portano due manici per la guida e per rendere facile lo scuotimento e il ribaltamento dell'attrezzo, al fine di liberarlo dalle erbacce raccolte durante il lavoro.

Rulli. - Servono a smuovere e comprimere il terreno così da mettere le radici delle piantine appena nate a miglior contatto con le particelle di terra da cui debbono trarre il nutrimento. Questo dicasi dei rulli lisci; mentre quelli dentati sono usati specialmente per sminuzzare e comprimere il terreno prima di seminare. Si tratta di cilindri di ghisa o di dischi simili a ruote dentate, infilati con molto giuoco su di un robusto asse di ferro, in modo che durante il traino i singoli elementi funzionino indipendentemente nel senso verticale ed operino sul terreno in ogni punto ancorché la superficie non sia perfettamente piana. Si fanno anche rulli lisci di legno o di cemento, talora anche di granito.

Ruspa. - È uno strumento che serve a compiere spostamenti superficiali di terra per spianare la superficie dei campi, allo scopo di renderli adatti all'irrigazione e all'uso delle macchine. Si può paragonarla ad un grosso cucchiaio, largo fino ad un metro, con un gancio di attacco per il traino e con un paio di manici o stegole per essere maneggiato.

Macchine per la concimazione e la semina. - Spandiconcimi. - Sono macchine che servono a spargere i concimi, specialmente quelli chimici e polverulenti, e trovano la giustificazione del loro impiego nell'uniformità della distribuzione e nel risparmiare all'uomo, evitandogli la distribuzione a mano, tutti gli inconvenienti che la causticità di certi fertilizzanti, provoca per la cute, per gli occhi e le mucose. Non grande è l'economia di tempo in confronto allo spargimento a mano.

Gli spandiconcimi sono costituiti da una cassa per il concime, portata da ruote e destinata ad essere trainata da un cavallo. Dal fondo della cassa o dal bordo superiore (spandiconcimi a fondo mobile) un meccanismo sminuzzatore toglie gradualmente piccole e regolabili quantità di fertilizzante e le lascia cadere al suolo. Segnaliamo tra i varî organi, quasi sempre presente, l'agitatore: un dispositivo a movimento alternato che stimola continuamente la polvere a smuoversi per uscire dalla cassa o tramoggia.

Vi sono spandiconcimi speciali per risaia, su slitte anziché su ruote; ve ne sono altri che spargono la polvere concimante a mezzo di un disco rotante orizzontalmente. Su questo disco cade gradualmente il concime che viene, per forza centrifuga, lanciato tutto intorno a ventaglio.

Vi sono anche spandiletame, usati particolarmente in America.

Infine esistono apparecchi spandiconcimi applicati alle seminatrici per localizzare il fertilizzante vicino ai semi anziché distribuirlo uniformemente sul terreno. Sono macchine di indubbia efficacia e trovano il principale ostacolo a diffondersi solo nella rilevante forza di trazione animale che richiedono. La trazione meccanica con trattori leggieri farà posto a queste macchine pregevoli.

Seminatrici. - Macchine di primaria importanza in agricoltura, destinate a distribuire, interrare e ricoprire il seme. La distribuzione avviene normalmente su linee parallele, però vi sono macchine, il cui uso va sempre più riducendosi, che seminano alla volata ed allora la semente non viene dalla macchina interrata e ricoperta.

L'impiego della seminatrice a righe permette di risparmiare una notevole quantità di seme rispetto alla semina a mano e alla volata, perché, sotterrando il seme alla voluta profondità e distanza tra le file, ne determina il germogliamento pressoché totale ed uniforrme. Anche il procedere della vegetazione trae profitto da una regolare semina, che rende possibili ulteriori cure colturali (sarchiature, zappature, rincalzature), sino a consentire una maggiore quantità di prodotto.

In una seminatrice si distingue: la tramoggia, cioè la cassa che contiene il seme da distribuire; i distributori, dispositivi che levano a poco a poco il seme dalla tramoggia per avviarlo alla terra; gli agitatori, che stimolano il seme della tramoggia ad entrare nei distributori; gli assolcatori, organi che fanno ciascuno un solco, profondo pochi centimetri, nel quale viene deposto il seme; i tubi adduttori che portano il seme dai distributori agli assolcatori; i coprisemi, organi che sfregando sul terreno ricolmano i solchi nei quali i semi furono deposti. Completano la macchina, oltre le ruote portanti, i regolatori della quantità di seme e gli organi di traino e di direzione (timone, avantreno, stegole, guide). Vi sono seminatrici a distribuzione libera o forzata a seconda della forma ad alveolo o a cilindro rigato del distributore; vi sono seminatrici con assolcatori a stivaletti, a falcioni, a dischi; ve ne sono di specialmente costruite per collina; di specialmente atte ai piccoli semi da prato, al seme di barbabietola, al seme di granoturco, al seme di risone. Ve ne sono di piccole dimensioni - a una o due file - ed a gran lavoro sino a 40 file.

Per le seminatrici spandiconcimi, v. sopra.

Zappe-cavallo. - Per la lavorazione del terreno in corso di coltivazione servono le zappe-cavallo che, trainate da un animale e guidate a mezzo di stegole come nei comuni aratri, compiono un lavoro di zappatura o sarchiatura o rincalzatura (v. sopra). Ve ne sono di semplici e di multiple a seconda del numero degli organi lavoranti, montati su di un unico telaio.

Trapiantatrici. - Sono macchine modernissime che agevolano - talora quasi sostituiscono - e rendono più redditizia la mano d'opera impiegata nell'operazione del trapianto. Per il riso, il frumento, il tabacco ed altre colture, l'operazione del trapianto è economicamente utile, il che giustifica la ricerca di macchine adatte: grandi progressi in questi studî si vanno compiendo.

Macchine per la raccolta dei prodotti. - Falciatrice. - È la macchina che serve a falciare l'erba dei prati ed - eccezionalmente - a mietere i grani.

Con questa macchina, trainata da una pariglia di cavalli o di buoi e guidata da un uomo, si compie lo stesso lavoro ottenibile, in pari tempo, da quindici uomini operanti con la comune falce fienaia. Ragioni di economia e di sollecitudine giustificano dunque l'impiego della falciatrice meccanica.

L'organo falciante della macchina è costituito da una specie di pettine entro il quale, con movimento alternato, si muove una sega a denti taglienti nei due sensi. L'erba, presa velocemente tra i denti del pettine e quelli della sega, viene tagliata alla base e cade in senso contrario alla direzione secondo cui la falciatrice procede.

Nell'organo falciante si nota la lama o sega, i cui singoli elementi taglienti sono le sezioni di lama; il pettine, i cui singoli elementi sono i denti o diti; la scarpa interna e la scarpa esterna, che guidano il foraggio entro la lama; l'asse andana, che serve a convogliare l'erba già falciata in modo da disporla a strisce sul prato. Due ruote, con cerchioni a rilievi, servono al trasporto e trasmettono il movimento alla lama a mezzo di un eccentrico e di una biella; un telaio tiene congiunte le varie parti e tra queste il sedile, il timone, le leve di manovra. Quando la falciatrice cammina su strada, la barra falciante viene tenuta in posizione verticale per maggiore sicurezza e minore ingombro.

Vi sono falciatrici adatte ad essere trainate meccanicamente (barra da cm. 150-180), da un animale (barra da cm. 107), o da due (barra da cm. 137). Vi sono anche falciatrici nelle quali il moto è dato alla lama direttamente da un motore posto sul telaio.

Quando la falciatrice viene adibita alla mietitura dei grani la si correda di apposito apparecchio per mietere, al funzionamento del quale assiste un secondo operaio.

Voltafieno. - Sempre allo scopo di accelerare e rendere più economico il lavoro di fienagione, l'agricoltore impiega il voltafieno meccanico per spandere e rivoltare l'erba falciata così da agevolarne il disseccamento.

Gli organi operanti del voltafieno sono le forche o i denti dell'aspo che agiscono con moto rotativo rivolto in senso contrario all'avanzamento della macchina. Due ruote portano il telaio e trasmettono il movimento alle forche o all'aspo. Al traino del voltafieno basta un cavallo od anche un mulo e di solito la guida è affidata a un ragazzo.

Rastrello. - Il rastrello meccanico compie più rapidamente lo stesso lavoro del rastrello a mano. I denti, piegati a semicerchio, sono portati da un telaio e disposti su piani paralleli alla linea di avanzamento della macchina. L'estremità inferiore del dente lambisce tangenzialmente il terreno e raccoglie, come farebbe un pettine, il fieno che incontra. Di tanto in tanto i denti si sollevano, in seguito alla pressione che il conducente della macchina esercita su di un apposito pedale, e tutta la massa raccolta viene scaricata di colpo. Vi sono rastrelli semplici e rastrelli a scarico laterale (ranghinatori). Questi ultimi portano degli aspi giranti in senso obliquo rispetto all'avanzamento della macchina. Gli aspi, mentre accavallano il fieno, lo dispongono in una andana parallela alla linea di marcia del rastrello. Più agevolata resta così la raccolta del fieno come il carico sul carro per il trasporto al fienile.

Altre macchine agricole, poco usate in Italia, sono i caricafieno di cui esistono specialmente tipi d'origine americana.

Per la mietitura del frumento servono le mietitrici.

Mietitrice. - È la macchina agricola destinata alla raccolta dei cereali. Quando si tratta di frumento, avena e piante similari, il lavoro della mietitrice è pari a quello di 12-18 mietitori a mano; da ciò l'alta importanza della macchina nell'economia dell'azienda rurale.

L'organo falciante è ancora, come nella falciatrice, la sega o lama azionata da moto alternato, ma più lento. Il resto della macchina è notevolmente diverso, sia che si tratti di mietitrici semplici che di mietitrici legatrici.

La mietitrice semplice è essenzialmente costituita da una grossa ruota o ruotone portante che trasmette il movimento alla sega ed altri organi. Questi sono: il castello degli ingranaggi e delle guide dei rastrelli, i rastrelli, la barra falciante ed il posteriore tavolato.

Il compito dei rastrelli, che ruotano alzandosi quasi verticalmente quando passano dal lato del conducente e si abbassano dal lato della lama, è quello di piegare gli steli verso la macchina così da agevolarne il taglio alla base; inoltre ad uno dei rastrelli è affidato il compito di fare scorrere sul tavolato e scaricare dietro la macchina una certa quantità di steli, quanti bastano a formare un covone.

Il traino di una mietitrice semplice viene affidato ad un paio di robusti buoi o a due o tre cavalli; per la guida basta un uomo.

La mietitura con questa macchina esige una ulteriore prestazione di mano d'opera per la legatura dei covoni. Per questa ragione la mietitrice semplice lascia sempre più posto ad una macchina più complessa e moderna: la mietitrice legatrice.

Mietitrice legatrice. - L'impiego di questa macchina ha determinato modificazioni imponenti negli spostamenti di masse operaie in numerose regioni d'Italia e ha modificato profondamente l'economia delle aziende rurali specialmente dell'Italia meridionale.

La mietitrice legatrice ha la solita barra falciante ed il ruotone come nella mietitrice semplice, ma ai rastrelli di quella è sostituito un aspo avente la sola funzione di ripiegare gli steli verso la macchina; le piante falciate cadono su di una tela orizzontale rotante nel senso trasversale. La tela è munita di traversini in legno e ciò agevola lo spostamento del grano verso il lato del campo già mietuto. Dopo questo avanzamento, il grano vien preso tra altre due tele rotanti che lo sollevano portandolo al legatore. In questa posizione il grano s'arresta sino ad attendere che ne sia accumulata una quantità sufficiente per formare un covone, ed intanto particolari organi riassettano nel senso della lunghezza gli steli. Quando la quantità suddetta è raggiunta, scatta una molla che fa funzionare l'ago, il quale avvolge uno spago attorno al covone, l'annodatore compie un robusto nodo, il coltello taglia lo spago dal restante del gomitolo ed il covone viene abbandonato al suolo. Un uomo solo sovrintende a queste operazioni ed alla guida degli animali. Il traino necessario è di due o quattro buoi o cavalli. Talora alla guida dei buoi viene adibito un bifolco in più.

Il traino della mietitrice-legatrice è notevolmente gravoso per gli animali e perciò si tende a sostituire la trazione meccanica a quella animale, il che permette anche di ottenere un lavoro più rapido e continuativo. Un modesto trattore serve bene allo scopo.

Vi sono macchine che uniscono alla mietitrice gli organi essenziali della trebbiatrice così da dare, nel tempo stesso del procedere della macchina sul campo, il grano già trebbiato ed insaccato. Sono ancora poco diffuse in Italia.

Vi sono speciali mietitrici per riso, altre per granoturco e per canapa.

Macchine per le prime lavorazioni dei prodotti. - Trebbiatrici. - Questo nome è riservato a quelle macchine che servono a staccare i grani dalle spighe di frumento, segala, avena e simili cereali. A questo lavoro fondamentale altri sovente se ne aggiungono, quali la separazione dei grani dalle paglie, la pulizia e la classificazione delle varie qualità dei grani, la trinciatura e la schiacciatura della paglia.

Le macchine analoghe che servono per sgranare il granoturco si chiamano sgranatoi; quando separano i semi di erbe pratensi e principalmente trifoglio, erba medica, sulla, si dicono sgusciatrici da semenzine.

Parlando delle sole trebbiatrici, a seconda del lavoro a cui sono chiamate, si distinguono le trebbiatrici semplici da quelle a gran lavoro a paglia lunga e da quelle trincia-paglia e trincia-pestapaglia. Escluse le più piccole trebbiatrici semplici, che possono essere faticosamente azionate a mano, le trebbiatrici esigono l'azionamento a motore a mezzo di puleggia. In una trebbiatrice a paglia lunga, che è il tipo più diffuso, si riscontra una intelaiatura quasi sempre appoggiata su ruote per rendere la macchina facilmente trasportabile. Entro l'intelaiatura giocano: il battitore, gli scuotipaglia, i crivelli, i ventilatori, gli elevatori, il divisore, il brillatore ed altri gruppi minori. Si può dar conto del lavoro compiuto da questi gruppi seguendo il grano dal momento che viene immesso nella macchina fino all'uscita.

Il grano portato sull'alto della intelaiatura, viene imboccato nel battitore, organo di forma cilindrica rotante a grande velocità (circa 1000 giri al minuto). La superficie esterna di questo cilindro, munita di asperità o di denti, corre di fronte ad un controbattitore che abbraccia, distanziando di pochi millimetri, quasi la metà della superficie cilindrica del battitore. Anche il controbattitore porta asperità o denti che restano fermi. Il grano passando tra i due dispositivi, uno velocissimo ed uno fermo, abbandona i semi e le pule lasciando tuttavia le spighe attaccate alla paglia. Questo è tutto il lavoro di una trebbiatrice semplice, che lascia cadere al suolo paglia e grano mescolati insieme.

Nelle trebbiatrici più complesse, ciò che esce dal battitore passa sugli scuotipaglia che, azionati da un moto sussultorio ed essendo costituiti a persiana, separano la paglia da tutto il resto. La paglia viene espulsa dalla macchina; il resto cade su crivelli che separano i grani dalle pule per le diverse dimensioni, mentre l'azione di un ventilatore compie una ulteriore separazione per il diverso peso specifico delle materie da separare. Vengono così espulse la polvere, la mezza spiga, le pule.

Per il susseguirsi di queste operazioni, il grano raggiunge il basso dell'intelaiatura. Viene così convogliato in una doccia o canale, nel quale opera una coclea che lo rialza e lo conduce al crivello cilindrico separatore ed al brillatore, che classificano e ripuliscono i grani di diversa qualità e li avviano a diverse bocche d'uscita dove stanno i sacchi per riceverli.

Trattandosi di trebbiatrici trinciapaglia o trincia-pesta-paglia, avviene che la paglia, prima d'essere abbandonata dalla macchina, viene sottoposta all'azione di uno o due cilindri analoghi a quello del battitore ma portanti denti e lamette che servono a sminuzzare la paglia, così da renderla atta all'alimentazione del bestiame.

Molte aggiunte a questo schema generale si riscontrano nelle macchine più complesse.

Pressaforaggio. - I foraggi si pressano quando si voglia contenerli in ristretto spazio, quando se ne voglia conservare meglio l'aroma e la colorazione. La pressatura dei foraggi riduce il pericolo dell'incendio.

Si hanno macchine pressaforaggi azionabili a mano ed altre a motore. Le prime si usano particolarmente nelle zone a piccola proprietà, in montagna, dove mancano l'energia motrice e le strade; quelle a motore s'impiegano principalmente nelle medie e grandi aziende e si applicano quasi sempre direttamente alle trebbiatrici, dal lato dove la paglia viene espulsa dopo essere stata privata dei grani.

Le pressaforaggi a mano possono essere a compressione orizzontale o verticale e in esse si distinguono una camera di compressione, un fondo mobile e le leve con i relativi meccanismi moltiplicatori dello sforzo di pressione. Le pressaforaggi sono corredate da un'asta di ferro detta ago che permette di passare il filo di ferro attorno alla balla per rilegarla.

Le pressaforaggi a motore, quasi sempre montate su ruote, dispongono anche di un apparecchio detto testa di cavallo che spinge il foraggio nella camera di compressione.

Sgranatoio. - Serve a separare i grani di granoturco dai tutoli. Le macchine che oltre a sgranare le pannocchie tolgono anche le brattee o cartocci che le rivestono, vengono chiamate sgranatrici-sfogliatrici.

Vi sono sgranatoi a mano ed a motore.

In quelli a mano lo sgranamento avviene per lo sfregamento di un disco dentato sulle pannocchie, in quelli a motore per azione di battitore analogo a quello delle trebbiatrici.

Ventilatore. - Serve per ripulire i varî grani separandone le impurità che hanno peso specifico diverso da quello dei grani.

I grani, immessi in una tramoggia sul cui fondo sta un'apertura a fessura orizzontale lunga e sottile, escono gradatamente da detta fessura (regolabile a mezzo di saracinesca) e subiscono una ventilazione che proviene dai lati ed è dovuta ad una specie di mulinello a pale, azionato a mano. Sotto l'azione del soffio d'aria, le parti più leggiere vanno più lontane, le più pesanti cadono più vicine così da poter essere raccolte in due o tre mucchi separati.

Talora il ventilatore porta una serie di crivelli a maglie di diverse dimensioni destinati anche a separare le parti troppo grosse o troppo piccole rispetto alla grossezza dei grani.

Vi sono ventilatori per cereali ed altri, molto più fini e di regolazione delicata, che servono per i semi da prato o semenzine. Quando questi ventilatori portano, anziché crivelli, degli stacci a velo di seta per separare, tra le altre impurità, la cùscuta si chiamano decuscutatori.

Svecciatore-cernitore. - Serve per togliere dal frumento, e da altri cereali simili, i grani di veccia e le altre impurità che possono separarsi per essere di diversa forma e dimensione. Inoltre serve a classificare i grani separando quelli piccoli dai medî e dai grossi.

L'elemento essenziale dello svecciatoio è il cilindro alveolato internamente. Questo cilindro, girando attorno ad un asse legger- mente inclinato rispetto alla linea orizzontale, riceve, nella parte interna, il grano da svecciare. Gli alveoli della lamina che costituisce il cilindro sono di dimensioni tali da poter contenere i semi di veccia, non quelli di frumento. Girando il cilindro, i semi di veccia vengono sollevati più in alto che non il frumento, così da poter cadere in un canale o doccia che a mezzo di una coclea li asporta separandoli. I dispositivi cernitori sono invece dei cilindri di lamiera forata a finestre rettangolari di varie dimensioni, così che i grani, passando sui fori dai più stretti ai più larghi, escono in cassette che separano le varie dimensioni.

Vi sono macchine analoghe che servono alla selezione meccanica delle sementi da prato.

Pigiatrici e torchi. - Possono rientrare nelle macchine agricole, perché servono alla prima lavorazione di un prodotto agrario importantissimo, le pigiatrici da uva ed i torchi da vinacce.

La pigiatrice serve a spremere i grappoli d'uva (non spremendo però i graspi ed i vinaccioli) per ottenere il mosto. A ciò si giunge facendo passare i grappoli attraverso due rulli dentati azionati da una manovella e giranti parallelamente come una coppia di ingranaggi, così da sottoporre a pressione gradualmente crescente gli acini, sino a che abbandonino la parte liquida che contengono.

Vi sono altri tipi più complessi di pigiatrici: macchinarî destinati a trovare posto in stabilimenti enologici (v. enologia).

Il torchio serve per pressare le vinacce e obbligarle a cedere le ultime quantità di liquido che contengono. Nei torchi, si distingue il bacino, la gabbia, la vite, la madrevite, la leva ed il movimento dei nottolini. Quando queste macchine si fanno più complesse (torchi a pressione idraulica, ecc.) si passa dalla macchina agricola a quella enologica, ma la distinzione non può essere netta.

Macchine per la preparazione degli alimenti per il bestiame. - Un notevole gruppo di macchine serve nell'azienda agricola a preparare gli alimenti per il bestiame. Annoveriamo le più diffuse:

Trinciaforaggi. - Serve a trinciare i fieni e le paglie, sia per renderli più digeribili al bestiame sia per facilitare le mescolanze dei varî foraggi ed impedire al bestiame di scegliere e di disperdere i varî mangimi che gli vengono somministrati. Di solito il trinciaforaggi è costituito da una tramoggia a forma di canale in cui si pone il fieno o la paglia; da qui il foraggio si avvia, spinto a mano o a mezzo di altri dispositivi a catena, verso un lato della tramoggia dove due cilindri lo schiacciano e lo presentano all'azione di due o più lame taglienti applicate sui raggi di un volante azionato a mano o a motore.

Vi sono trinciaforaggi anche a lame elicoidali montate su una specie di tamburo; se le lame anziché liscie sono dentate, la macchina prende il nome di trinciatrice-sfibratrice. Se il foraggio trinciato o sfibratoi anziché cadere al suolo, viene soffiato da apposito ventilatore in un tubo che lo trasporta in alto, su fienile o cassero, allora si parla di sfibratrice con elevatore ad aria.

Tritapanelli e trinciatuberi. - Per la frantumazione dei panelli serve il tritapanelli, i cui organi macinanti sono due rulli dentati tra i quali il panello passa spezzettandosi.

Per l'affettamento delle barbabietole, delle patate e dei tuberi in genere servono i trinciatuberi, azionabili anche questi a mano ed a motore ed aventi organi analoghi a quelli del trinciaforaggi.

Numerose sono le macchine agricole non trattate nella presente rassegna. Ricordiamo tra le macchine da raccolto gli scavapatate e scavabietole; tra le macchine per la lavorazione dei prodotti le decanapulatrici (per la stigliatura della canapa) e gli elevatori della paglia. Sono anche da rammentare le macchinette destinate alla solforazione (solforatrici) e alla irrorazione (irroratrici) delle piante, senza contare altre minori.

Bibl.: V. Niccoli, Meccanica agraria, Milano 1905; M. Castelli, Macchine agricole, Palermo 1903; M. Ringelmann, Machines agricoles, Parigi 1895-99; L'aratro, in L'Italia agricola (numero speciale, 1927); Le génie rural, Parigi; The Implement and Machinery Review, Londra; Farm Implement, Chicago; Die Landmaschine, Berlino.

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