Macchine elettriche

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

macchine elettriche

Andrea Carobene

Strumenti per creare, trasformare e sfruttare l’elettricità

Le macchine elettriche hanno tre funzioni fondamentali: trasformare il movimento in corrente elettrica, e in questo caso si chiamano generatori; trasformare la corrente elettrica in movimento, come nel caso dei motori; o ancora, modificare le proprietà della corrente elettrica stessa, e in questo caso si tratta di trasformatori. Tutte queste macchine sfruttano le leggi fisiche scoperte durante l’Ottocento, che legano elettricità e magnetismo

I generatori

Esistono due tipi fondamentali di macchine elettriche: quelle al cui interno vi sono parti in movimento e quelle fisse, in cui non vi sono tali parti. Al primo tipo appartengono i generatori e i motori, mentre il classico esempio di macchina elettrica fissa è il trasformatore.

È grazie ai generatori che viene prodotta gran parte della corrente elettrica che utilizziamo, se si esclude quella fornita dalle batterie di tipo chimico, le ordinarie pile. I generatori riescono a trasformare il movimento in corrente elettrica. Un tipico esempio di generatore è offerto dalla dinamo delle biciclette, che trasforma il moto della ruota in corrente continua per accendere le lampadine: quando il corpo rotante contenuto nelle dinamo inizia a girare, si produce corrente elettrica.

Le dinamo costituiscono l’applicazione di alcuni fenomeni fisici, scoperti nel 19° secolo da scienziati come Michael Faraday in Inghilterra o Joseph Henry negli Stati Uniti. In particolare, questi apparecchi sfruttano le interazioni esistenti tra un campo magnetico e un conduttore elettrico, come un normale filo di rame. Quando si avvicina una calamita a un filo elettrico, infatti, si produce all’interno di quest’ultimo una corrente; se la calamita si ferma, anche in prossimità dello stesso filo, la corrente cessa. Ogni corrente elettrica è infatti prodotta dal moto ordinato di cariche elettriche. Gli elettroni si muovono quasi liberamente all’interno di un filo metallico, ma i movimenti del campo magnetico (magnetismo) della calamita che si avvicina o si allontana rispetto al filo inducono in essi un moto ordinato, che si traduce in corrente. La dinamo è un’applicazione di questo fenomeno ed è formata essenzialmente da una calamita che ruota all’interno di una bobina formata da fili elettrici arrotolati.

La medesima tecnologia è riprodotta in grande scala dalle centrali idroelettriche: la caduta dell’acqua mette in moto gigantesche turbine che si comportano come la dinamo delle nostre biciclette.

In entrambi i casi l’energia di tipo meccanico, prodotta dal lavoro dell’acqua che cade o delle gambe del ciclista, è convertita in energia elettrica.

I motori elettrici

Dalla corrente al movimento. I motori elettrici, anch’essi macchine elettriche del tipo in movimento, funzionano con un meccanismo opposto rispetto a quello della dinamo. In questo caso è il passaggio di corrente che modifica un campo magnetico e produce movimento. L’azione di una corrente elettrica genera infatti un campo magnetico.

Per rendercene conto possiamo costruire in casa un’elettrocalamita utilizzando una comune pila da 4,5 volt. Basta prendere un filo elettrico, collegarlo ai due poli della batteria e avvolgerlo attorno a un chiodo metallico. Quando si chiude il circuito, il chiodo risulta magnetizzato e può attrarre limatura di ferro o minuscoli oggetti metallici. Un motore elettrico è formato appunto da un circuito posizionato su un’armatura metallica, che può ruotare (rotore) all’interno di un campo magnetico prodotto da calamite (statore). Quando il circuito si chiude, si genera un campo magnetico che, interagendo con quello proprio delle calamite, fa ruotare l’armatura. Per evitare che venga raggiunta una situazione di equilibrio, e che quindi l’armatura si fermi in una posizione definita, il motore è costruito in modo tale da ottenere campi magnetici alternati che consentono alla rotazione di proseguire indefinitamente.

I motori elettrici, quindi, trasformano l’energia elettrica in energia di movimento. Questi motori, rispetto ai loro ‘colleghi’ a scoppio, utilizzati per esempio nelle automobili, hanno il grande vantaggio di essere silenziosi e di non inquinare.

L’auto elettrica. Su tutte le automobili è presente un piccolo motore elettrico, che entra in azione quando si gira la chiave di accensione e che serve per avviare il ciclo di quello a scoppio. L’utilizzo intensivo di autovetture interamente elettriche è stato invece fino a oggi limitato dal problema dell’autonomia delle batterie. Infatti, ancora non si è riusciti a realizzare un sistema efficiente per immagazzinare e trasportare l’elettricità necessaria a fare funzionare un’automobile, così come avviene con la benzina posta in un serbatoio. Le batterie usate per le automobili sono infatti ingombranti e non riescono a conservare un’energia sufficiente a garantire un’autonomia di percorrenza (cioè la distanza percorribile tra un ‘pieno’ e l’altro) paragonabile a quella delle normali auto a benzina o diesel. Così, o ci si accontenta di automobili che trasportano un solo passeggero perché tutto lo spazio è riservato alle batterie, oppure si producono vetture che hanno una ridotta autonomia. Tuttavia, la ricerca scientifica non si arrende e sono allo studio soluzioni alternative e batterie più efficienti. Le celle a combustibile (energie alternative) funzionanti a idrogeno producono corrente elettrica, che può essere usata per alimentare motori elettrici.

In ogni caso, ancora oggi tra i mezzi di trasporto più efficienti vi sono tram, treni e metropolitane: tutti dotati di motori elettrici che prelevano la loro energia dall’esterno, attraverso la presenza dei fili di una rete aerea, oppure di un conduttore posato sulle rotaie.

I trasformatori

Le macchine elettriche di tipo statico sono invece rappresentate dai trasformatori. Questi apparecchi sono progettati per modificare le caratteristiche della corrente elettrica. In particolare, i trasformatori sono utilizzati per modificare la differenza di potenziale di una corrente, ossia il suo voltaggio o tensione. I trasformatori sono, per esempio, impiegati nelle cabine che abbassano la tensione della corrente che viaggia lungo i grandi elettrodotti, per renderla utilizzabile dai nostri elettrodomestici. Ma i trasformatori sono anche contenuti comunemente negli alimentatori usati per collegare alla presa di corrente apparecchi come una radio o un computer portatile. Sull’etichetta presente in ogni trasformatore, si possono leggere le caratteristiche di questo apparecchio, che abbassa la differenza di potenziale da 2204230 V delle nostre abitazioni, per esempio, a 12 V di una radio.

I trasformatori sono macchine semplicissime: formate essenzialmente da due bobine metalliche affacciate l’una verso l’altra sulle quali si avvolgono due fili. I campi elettrici variabili prodotti dalla corrente alternata che circola nel primo filo inducono un’altra corrente nel secondo filo. A seconda di alcuni parametri, come per esempio il numero delle spire, la seconda corrente indotta (di uscita) ha caratteristiche differenti rispetto a quella d’entrata.

Il calore di un trasformatore

Se si prende in mano un trasformatore, dopo che è stato usato per un certo tempo, ci si accorge che si è riscaldato. Questo vuol dire che, durante il funzionamento della macchina, parte dell’energia elettrica si è degradata in calore e si è dispersa. Eppure, il trasformatore costituisce una delle macchine più efficienti che si conoscono. Il suo rendimento, infatti, raggiunge anche il 99%, ossia meno dell’1% di energia risulta disperso in calore. Al confronto, il rendimento di un motore a scoppio difficilmente supera il 30%, mentre quello dei motori elettrici può aggirarsi attorno al 90495%. Per quanto semplici, le macchine elettriche costituiscono ancora oggi uno degli strumenti più efficienti che l’uomo abbia a disposizione.

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