MAGGIORANZA

Enciclopedia Italiana (1934)

MAGGIORANZA (fr. majorité; sp. mayoría; ted. Majorität; ingl. majority)

Edoardo Ruffini Avondo

Si intende per maggioranza l'eccedenza di voti che prevale nella votazione di un'assemblea, e anche - meno propriamente - il partito che raccoglie più voti. Si dice semplice la maggioranza che supera appena la metà dei voti (metà più uno), qualificata quella che deve raggiungere, per la validità dello scrutinio, una quota (2/3, 3/4,...) della totalità. Una maggioranza si dice relativa o assoluta in due sensi: a) relativamente ai votanti, quando alcuni aventi diritto al voto non vi partecipano (p. es.: di 100 aventi diritto solo 80 votano: 41 voti sono la maggioranza relativa, 51 quella assoluta); b) relativamente ai voti dati ad altri partiti, quando si votano insieme più di due partiti (p. es.: votanti 100; 40 voti ad A, 30 a B, 20 a C, 10 a D; A avrà la maggioranza relativa, cioè rispetto a B, C e D; l'avrebbe assoluta soltanto se gli fossero toccati 51 voti, cioè la metà più uno o la somma più uno degli altri voti comunque distribuiti).

Il principio, apparentemente ovvio, che la maggioranza debba prevalere nelle manifestazioni collettive di volontà, detto principio maggioritario, ha una lunga storia. Compare nelle città greche, a Sparta per l'elezione dei geronti, nella fomia ancora primitiva di maggioranza valutata dall'intensità delle sue grida; ad Atene, nella forma perfezionata di veri scrutinî, in ogni assemblea politica e giudiziaria. Aristotele lo riteneva ottimo nel modello perfetto di governo da lui descritto nella Politica, la politia. Roma lo applicò nel senato, nei comizî, nelle curie, nei concilî provinciali, e in ogni collegio o corporazione, escludendolo però dalle magistrature collettive, ove, mediante l'intercessio, il dissenso di un collega arrestava l'iniziativa dell'altro (p. es.: il consolato). Dobbiamo poi ai giureconsulti romani la sua formulazione giuridica, sotto specie di una finzione legale, per cui deve ritenersi voluto da tutti ciò che volle la maggioranza: Dig., L, 17, de div. reg. iur., 160, "Refatur ad universos quod publice fit per maiorem partem" (Ulpiano) e Dig., L,1, ad municip., 19, "Quod maior pars curiae e ecit, pro eo habetur, ac si omnes fferint" (Scevola). Il Medioevo barbarico non ammise che deliberazioni ed elezioni unanimi, poiché la mentalità primitiva, non riuscendo a ravvisare nelle assemblee che la somma dei singoli, non concepì volontà collettiva se non coincidente con quella di tutti i singoli. Onde nelle assemblee barbariche la minoranza, se esigua, non era sentita tra lo strepito della maggioranza acclamante (armorum strepitu, dice Tacito); se sensibile, veniva con le armi costretta a consentire; se potente, si separava, ed era la guerra. Più tardi alla violenza si sostituì un obbligo giuridieo (Folgepflicht) sancito da una multa, che durò in alcuni collegi giudicanti e in alcuni consigli municipali tedeschi fino al sec. XIV. La Chiesa primitiva tenne pure fermo, ma per ragioni mistiche, il principio dell'unanimità, sostituendolo gradatamente con quello della valutazione qualitativa dei voti (sanior pars), e trasformandolo poi, dopo il Mille, in principio maggioritario puro, mediante la presunzione legale che la pars maior fosse anche la sanior. Dal 1274 in poi la maggioranza dei 2/3 decide nei conclavi. Fu merito dei giuristi e dei canonisti medievali italiani di avere, sulla traccia romana, considerato il maggioritario come principio indispensabile e tipico nel sistema delle persone giuridiche. Così elaborato dalla dottrina trovò larghissima applicazione nei comuni, nelle repubbliche medievali e nei parlamenti italiani e stranieri, salvo che in Polonia, ove il liberum veto, ossia il dissenso individuale annullante qualsiasi iniziativa parlamentare, durò fino al 1791 e fu una delle cause della fine dello stato polacco. Legato alle sorti dell'idea di sovranità popolare fin dai tempi del Defensor pacis di Marsilio da Padova (1325), il principio maggioritario fu considerato dai giusnaturalisti uno dei capisaldi del contratto sociale. Lodato dal Rousseau, dal punto di vista sociologico, ed elaborato da J.-Ch. Borda e dal Condorcet, dal punto di vista matematico, fu addirittura idolatrato dalla Rivoluzione francese. Pur restando principio incontrastato nel campo delle deliberazioni (salvo, tutt'oggi, nelle deliberazioni della Società delle nazioni), nel campo elettorale, il principio maggioritario ha avuto contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversarî delle istituzioni democratiche, i quali spesso commisero l'errore di colpire il concetto tecnico giuridico di maggioranza quando volevano colpire quello generico politico di moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico. Nel campo elettorale gli fu contrapposto - a partire dai suoi stessi teorici come Sieyès, Condorcet, Mirabeau - il principio della rappresentanza proporzionale.

Bibl.: G. Jellineck, Das Recht der Minoritäten,Vienna 1898; N. Saripolos, La démocratie et l'électión proportionelle, I, Parigi 1899; H. Baty, The history of majority rule, in The Quart. Rev., CCXVI, gennaio 1912; O. Gierke, Über die Geschichte des Majoritätsprinzips, in Essays in legal history read before the international congress of historical studies, Londra e Oxford 1913; W. Starosolskyj, Das Majoritätsprinzip, Vienna e Lipsia 1916; W. Stawski, Le principe de la majorité, Danzica 1920; H. Pirenne, Les origines du vote à la majorité dans les assemblées politiques, in Bull. de la Soc. d'hist. mod. et contemp., Parigi 1924; E. Ruffini Avondo, Il principio maggioritario nella storia del diritto canonico, in Archivio giuridico, XCII, i (1925); id., Il principio maggioritario nelle elezioni dei re e imperatori romano-germanici, in Atti R. Acc. scienze di Torino, LX (1924-25); id., I sistemi di deliberazione collettiva nel Medioevo italiano, Torino 1927; id., Il principio maggioritario, Torino 1927; R. Heinberg, History of the majority principle, in The American political science Rev., X, i (1926); L. Konopczynski, Le Liberum Veto, Parigi 1930.