MALATESTA (de Malatestis), Malatesta detto Malatesta da Verucchio. - Probabilmente figlio di Malatesta della Penna e della moglie Adalasia, il M., quinto di questo nome, nacque a Verucchio, nel Riminese, verosimilmente intorno al 1226, limite cronologico in grado di conciliare la notizia di un M. centenario, concordemente riferita dalla tradizione, con le probabili aspettative di vita del tempo. Poco più che ventenne il M. trasferì la propria residenza a Rimini, dove Malatesta della Penna era podestà e dove riuscì, nell'arco di circa un quarantennio, a concretizzare i propri ambiziosi progetti di dominio sfruttando innegabili doti politiche e diplomatiche. Davvero sporadici gli avvenimenti che nella lunga e intensa esistenza del M. possono essere ricondotti al caso. Accuratamente progettato fu il matrimonio con la prima moglie, Concordia, figlia del visconte imperiale Enrighetto e appartenente, per parte di madre (di cui non è noto il nome), al potente casato ghibellino dei Parcitadi.
Fu, infatti, il M. a dirigere la svolta guelfa del casato malatestiano che, da iniziali posizioni filoimperiali, divenne in breve tempo uno dei capisaldi pontifici nella regione, oltre che punto di riferimento nelle contese cittadine fra le nobili famiglie dei ghibellini Omodei e dei guelfi Gambacerri.
I rapporti con i Parcitadi, compromessi dalla linea politica adottata dal M., giunsero alla definitiva rottura con la morte di Concordia, avvenuta all'incirca nel 1263. Il M., già padre di Giovanni, Paolo, Malatesta detto Malatestino, Ramberto e Rengarda, sposò qualche anno dopo Margherita dei Paltanieri da Monselice, sancendo, a livello diplomatico, un altro clamoroso successo.
I rapporti con i ghibellini riminesi, in parte ricuciti nel 1267 tramite pubblica riconciliazione, si esacerbarono nuovamente con la discesa di Corradino di Svevia in Italia nella primavera 1268. Il M., coadiuvato da Taddeo Novello da Pietrarubbia dei conti da Montefeltro, assicurò il controllo di Rimini al papa che, in segno di riconoscenza, segnalò il M. al re di Sicilia Carlo d'Angiò: l'intercessione pontificia fruttò al M. la nomina a vicario regio a Firenze, incarico che lo tenne lontano da Rimini sino alla fine del 1269.
Abbandonate le armi, nel gennaio 1276 il M. tentò di riconquistare le posizioni perdute per via diplomatica, facendosi promotore di una riappacificazione fra i Comuni guelfi e ghibellini coinvolti negli scontri. Stesso scopo ebbe il viaggio da lui intrapreso insieme con Guido da Polenta e altri capi guelfi a Roma, dove consegnarono simbolicamente la Romagna al pontefice invocando, in cambio, la protezione della S. Sede contro gli attacchi di Guido da Montefeltro. Ufficializzato, tramite concessione dell'imperatore Rodolfo I d'Asburgo, il passaggio della regione alla Chiesa, anche Rimini si affrettò a celebrare lo storico evento, riunendo il 27 luglio 1278 un pubblico Consiglio che ratificò la giurisdizione pontificia sulla città. Il M. vi prese parte con il figlio maggiore, Giovanni, in qualità di massimi esponenti della fazione guelfa locale.
Con l'elezione di papa Martino IV nel febbraio 1281 si rafforzò l'antico legame tra la Chiesa e i Malatesta, e il M. fu elevato a personale collaboratore del pontefice. Nel suo autorevole ufficio il M. non deluse le aspettative della Chiesa e ne fu ampiamente ripagato.
In questi anni di incontrastato protagonismo, il M. patrocinò insieme con Guido da Polenta la nascita di una lega di città romagnole di cui nel 1285, a Faenza, con l'adesione dei maggiori capi guelfi della regione, fu approntata una prima formulazione.
L'audace iniziativa innescò l'immediata ritorsione del rettore Pietro di Stefano: il 14 giugno 1287, alla guida di un contingente partito da Forlì alla volta di Rimini, il M. fu assalito dalle milizie pontificie, che fecero numerosi prigionieri, incluso il primogenito del M., Giovanni. Nel dicembre 1287 il rettore tentò di aprire una seconda sessione parlamentare, ma le contestazioni di Riminesi e Ravennati furono tali da determinare persino la reclusione dei rispettivi rappresentanti nella torre municipale, dove di solito scontavano le pene ladri e assassini. Al gennaio e febbraio 1288 risalgono le condanne pecuniarie prescritte da Pietro di Stefano al M., per aver fomentato odio e ribellioni ai danni dell'autorità pontificia, macchiandosi, pertanto, del crimine di lesa maestà.
Malgrado i torti subiti, il M. accettò di trattare e concludere un accordo con il neoeletto pontefice Niccolò IV, non senza suscitare le rimostranze dei Riminesi che, istigati dai ghibellini, e in particolare dai Parcitadi, lo espulsero dalla città insieme con i figli e i suoi seguaci. Pochi giorni dopo la cacciata, avvenuta il 5 maggio 1288, il M. si recò a Forlì, dove il nuovo rettore pontificio, Ermanno Monaldeschi, aveva promosso l'apertura di un Parlamento provinciale: fu l'occasione per ripristinare gli antichi rapporti di amicizia, ma implicò per il M. la sottoscrizione di un accordo, voluto e patrocinato dalla Chiesa, con Guido da Montefeltro.
Un altro evento imprevisto, tuttavia, ribaltò la situazione a favore del Malatesta. Il 26 apr. 1290 Rimini fu nuovamente scossa da una rivolta popolare, scatenata dalla tradizionale rivalità dinastica fra il rettore e il podestà Orso di Matteo Orsini. Il M., approfittando della concitazione generale, riuscì a introdursi nella città con un gruppo di armati, schierandosi dalla parte del rettore. La partecipazione all'episodio permise al M. di eludere il confino, ritornando di fatto in possesso di Rimini, ma deteriorò i rapporti con la S. Sede, che temeva un'eccessiva concentrazione di potere nelle sue mani. L'insubordinazione divenne manifesta nel dicembre 1290, quando il M. e Malatestino, rispettivamente a capo dei Riminesi e dei Cesenati, con Guido da Polenta e altri sovvertitori si impossessarono di Forlì, ultimo baluardo pontificio. Ancora una volta fianco a fianco, il M. e il signore di Ravenna intervennero nel settembre 1292 a Faenza, opponendosi alle mire egemoniche dei Bolognesi in Romagna. L'appoggio della Lega romagnola consentì al M. di estendere la propria influenza su Cesena, da tempo nell'orbita malatestiana, mettendo in fuga il nuovo rettore pontificio, Ildebrandino Guidi. Ma i Montefeltro premevano minacciosamente lungo il confine riminese e cesenate, tanto più che il M. non riteneva la Lega in grado di opporsi a prevedibili incursioni. Il 24 giugno 1291, inoltre, Galasso da Montefeltro gli aveva inflitto una pesante sconfitta. Poco servì la riconciliazione fra il M. e Taddeo Novello da Pietrarubbia, ufficialmente siglata a Montescudo nell'ottobre 1293, tramite la quale i Malatesta ripristinarono l'antica intesa con il ramo guelfo dei Montefeltro.
L'inaspettata sottomissione di Guido da Montefeltro alla Chiesa scardinò i tradizionali equilibri, inducendo il M. a una nuova azione eversiva. Nel dicembre 1295, approfittando della momentanea assenza del legato apostolico, il M. riuscì a imporre definitivamente il proprio dominio su Rimini, inaugurando, de facto, la signoria malatestiana su tale centro e ottenendo nel 1303, con la nuova redazione statutaria, il titolo di "difensore del bene pubblico e della città".
Il 26 genn. 1296 il M. e i maggiori signori di Romagna furono convocati, per volontà del pontefice Bonifacio VIII, al cospetto del legato apostolico Guido di Langosco, deputato a risolvere le controversie che laceravano la regione. La mediazione pontificia, però, non produsse gli effetti sperati e la Lega romagnola continuò a operare in funzione antipapale. L'appoggio del M. diventava, pertanto, imprescindibile per la Chiesa, costretta a questo punto a una tacita legittimazione della sua presa di potere. Nell'aprile 1296, risolti con audacia i passati contrasti, il M. comparve al fianco del rettore Guillaume Durand nel Parlamento provinciale istruito contro i ribelli di Romagna, nel quale egli riuscì a comporre dissidi personali e discordie intestine e a concludere positivamente le complesse trattative di pace. Tre anni dopo, il 18 dic. 1299, Bonifacio VIII ricompensò il M. con i beni confiscati a Bernardo de' Bandi di Pesaro.
In un panorama politico regionale quanto mai fragile e precario, il favore e la protezione della Chiesa dovevano essere accuratamente salvaguardati, tramite una fitta trama di rapporti diplomatici. Nel 1306, a dispetto dell'avanzata età, il M. si recò ad Arezzo, alla presenza del nuovo legato apostolico Napoleone Orsini, sventando l'insorgere di attriti e consolidando la tradizionale intesa con la S. Sede. Il 16 dic. 1306, inoltre, il M. emancipò i figli maschi ancora in vita, Malatestino e Pandolfo, e i nipoti, Uberto conte di Ghiaggiolo, Tino e Ferrantino.
A breve distanza si colloca la redazione del suo testamento, fatto stilare il 18 febbr. 1311. Il M. morì a Rimini nel 1312 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, accanto alla sorella Emilia, ricordata nel suo lascito con parole di profondo affetto.
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