Malattie rare

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Malattie rare

Giuseppe Remuzzi
Arrigo Schieppati

Le malattie rare possono essere definite, impiegando la terminologia dell'epidemiologia clinica, come condizioni patologiche a bassa prevalenza e incidenza. Tuttavia la dimensione numerica di questi due parametri non è precisata in alcun modo nella letteratura scientifica. Una precisa definizione di m. r. è contenuta in una legge degli Stati Uniti (Orphan Drug Act, v. oltre) che ha lo scopo di favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove cure per queste malattie e che definisce rara una malattia che colpisce meno di 200.000 cittadini statunitensi: in termini epidemiologici il dato si traduce in una prevalenza di 1 a 1250. In base a questa definizione si possono definire rare circa 5000 malattie, di cui almeno 4000 sono genetiche. Alcune di esse sono abbastanza conosciute: l'emofilia, la distrofia muscolare, il lupus eritematoso sistemico; altre sono così rare che di ciascuna solo pochissimi casi sono stati descritti nella letteratura scientifica e risultano sconosciute perfino alla gran parte dei medici, quali, per es.: la malattia di Alagille, una malformazione congenita delle vie biliari, la malattia di Cogan, un'infiammazione dei vasi dell'occhio, il leprecaunismo, una malattia congenita caratterizzata dall'associazione di malformazioni del viso che danno al neonato l'aspetto di un folletto, con un difetto dei recettori dell'insulina, la sindrome di Rett, una grave forma di ritardo mentale che colpisce solo le bambine, la malattia della maschera kabuki, una complessa malformazione congenita nota solo in Giappone (le fattezze dei pazienti che ne soffrono ricordano quelle della maschera giapponese del teatro kabuki).

Le m. r. colpiscono ogni sistema o apparato del corpo umano, e quindi ogni specialità della medicina ne annovera tra le proprie patologie un buon numero.

La precisa definizione di tali malattie è spesso ostacolata da difficoltà di classificazione: una malattia ben conosciuta e studiata può essere ripetutamente sottoclassificata in varianti che raccolgono così pochi pazienti da soddisfare i criteri che definiscono una malattia rara. Al contrario m. r. non ancora bene inquadrate da un punto di vista nosologico potrebbero sfuggire a un adeguato riconoscimento, perché i sintomi somigliano a quelli di altre condizioni cliniche e non sono chiaramente distinti da esse. Infine, la scarsa diffusione di molte m. r. rende spesso difficile il loro riconoscimento e quindi una corretta diagnosi: se di una malattia sono state descritte poche decine di casi è verosimile che un medico non abbia mai visto casi simili prima e non ne veda più nel futuro della sua attività professionale.

Molte malattie sono scarsamente diffuse in alcune aree geografiche o in alcune popolazioni, e più frequenti in altre, per ragioni legate a fattori genetici, alle condizioni ambientali che influenzano la diffusione di agenti patogeni, alle abitudini di vita. Per es., la talassemia o anemia mediterranea è una malattia genetica relativamente frequente nel bacino mediterraneo (molto frequente in Sardegna e nel Sud dell'Italia) e rara negli Stati Uniti, se non tra i discendenti di immigrati italiani o greci; malattie infettive o parassitarie come la dengue, la malattia di Chagas, o la malaria sono endemiche nelle aree tropicali e subtropicali e rarissime in altre parti del mondo; la malattia di Gaucher, una malattia metabolica ereditaria, ha tre varianti, una delle quali è frequente soprattutto tra gli Ebrei aschenaziti, mentre le altre due non hanno una particolare distribuzione razziale.

La frequenza di molte m. r. potrebbe essere erroneamente stimata e, in ogni caso, la raccolta di corretti dati epidemiologici è molto difficile. Per la maggior parte di esse mancano documentazioni precise sulla loro incidenza e prevalenza, perché non esistono sistemi di notificazione dei casi a livello nazionale o internazionale, eccetto la segnalazione tramite pubblicazione nella letteratura scientifica. Quando di una determinata m. r. è stato descritto un certo numero di casi, i nuovi non sono di solito più segnalati e quindi viene a mancare un dato epidemiologico preciso. La nostra conoscenza sulla frequenza e sulla diffusione delle m. r. è quindi limitata, e questo è ovviamente un ostacolo alla prevenzione e alla cura.

Solo apparentemente le m. r. sono un problema limitato. Se è vero che ciascuna di esse colpisce pochi individui, secondo la stima della National Organization for Rare Disorders (NORD), la somma totale dei Nordamericani affetti dalle diverse m. r. raggiungerebbe un numero compreso tra i 10 e i 20 milioni di persone, cioè circa il 10% della popolazione totale. Tali malattie sono dunque un problema di grande rilevanza sociale ed economica, ma di esse hanno avuto difficoltà ad accorgersi fino a tempi recenti anche paesi che vantano i sistemi sanitari più avanzati.

Il rapporto redatto nel 1989 dalla National Commission on Orphan Diseases, istituita dal governo degli USA, costituisce una tappa fondamentale nello sviluppo di una consapevolezza pubblica sul problema delle malattie rare. Il lavoro della Commissione è stato minuzioso e documentato; attraverso interviste condotte su vari campioni di persone (malati, medici, ricercatori, autorità pubbliche e rappresentanti dell'industria) esso ha tracciato un quadro della condizione di questi malati che ha documentato:

la difficoltà di formulare una diagnosi tempestiva; più della metà dei malati intervistati ha dovuto aspettare mesi o addirittura anni, prima che la propria malattia fosse riconosciuta e diagnosticata correttamente;

la difficoltà di avere informazioni esaurienti sui centri di ricerca e di terapie innovative; una diagnosi corretta è solo l'inizio; successivamente il paziente ha l'esigenza di individuare centri specializzati per la cura della malattia (la Commissione statunitense ha documentato che queste informazioni erano molto difficili da reperire non solo da parte dei pazienti ma anche da parte dei loro medici di famiglia);

la difficoltà di condurre una vita normale; il 42% dei pazienti intervistati ha testimoniato di aver perso opportunità di frequentare la scuola o il lavoro a causa della propria malattia, che aveva anche posto in gravi difficoltà economiche tutta la famiglia.

La Commissione ha anche sentito il parere di ricercatori che hanno dichiarato la difficoltà a ottenere finanziamenti per la ricerca, sia di base sia clinica, se l'oggetto degli studi è una malattia rara. D'altro canto si è riconosciuto che la mancanza di fondi è probabilmente il fattore che più di ogni altro impedisce di fare progressi nella scoperta delle cause e quindi della messa a punto di una terapia adatta. Inoltre è difficile condurre studi clinici sulle m. r., sia per la scarsità del numero dei pazienti potenzialmente disponibili a partecipare alla ricerca e per la loro dispersione su un grande ambito territoriale, sia per la mancanza, nella quasi totalità di tali malattie, di registri centralizzati di casi, cioè di banche di dati clinici. Eppure lo studio delle m. r. può rappresentare una fonte di conoscenze importanti anche per comprendere meccanismi di biologia molecolare e di fisiopatologia comuni a molte condizioni, e per identificare nuovi farmaci per curare malattie frequenti. Gli esempi potrebbero essere molti. I meccanismi che stanno alla base del processo di coagulazione del sangue sono stati scoperti studiando pazienti che avevano malattie emorragiche come l'emofilia o la malattia di von Willebrand; lo studio delle malattie metaboliche ereditarie ha permesso di chiarire molte funzioni normali del metabolismo; le ricerche su una rara malattia ereditaria della cute, l'epidermolisi bollosa, hanno consentito di studiare i complessi meccanismi che sono alla base del rimarginarsi delle ferite e della guarigione delle ustioni; la terapia genica viene già attivamente sperimentata in alcune m. r. come la distrofia muscolare, la fibrosi cistica e rare forme di immunodeficienza congenita: se avrà successo in questi campi la metodologia potrà essere applicata anche per curare condizioni cliniche molto comuni in cui sono implicati meccanismi genetici.

Tuttavia si è ancora lontani dal considerare importante l'investimento di risorse umane ed economiche per le m. r.; al contrario, lo sviluppo di cure per molte di queste condizioni è ostacolato da considerazioni di convenienza economica. Se si esaminano le poche migliaia di pazienti che sono colpiti da una m. r. come potenziali acquirenti di un farmaco, si deve dedurre che essi costituiscono un mercato molto limitato. Oggi lo sviluppo di un nuovo farmaco richiede anni di ricerca sperimentale e clinica e una grande mole di lavoro amministrativo per la registrazione, fattori che implicano investimenti di molti miliardi (per portare una nuova molecola dal laboratorio di sintesi chimica al banco del farmacista ci vogliono in media 12 anni e un investimento di 250 milioni di dollari). Se il potenziale mercato di un farmaco non è sufficientemente ampio per ripagare gli investimenti, la linea di ricerca su quel farmaco si interrompe e il progetto muore. Per questo motivo è stata coniata da T.H. Althuis la definizione di farmaco orfano, cioè quel prodotto che potenzialmente è utile per trattare una m. r. ma non ha un mercato sufficiente a ripagare le spese del suo sviluppo.

Negli Stati Uniti, alla fine degli anni Settanta si è sviluppato un importante movimento di opinione che ha portato all'attenzione delle autorità e del paese i problemi dei pazienti con malattie rare. Nel 1983, grazie al lavoro di anni, veniva approvata dal Parlamento degli Stati Uniti la legge, denominata Orphan Drug Act, con lo scopo di favorire la ricerca e lo sviluppo di farmaci per le malattie rare. Con questa legge si assumeva come principio fondamentale la necessità, per svolgere ricerche in quest'area, dell'aiuto dell'industria privata e si stabiliva, quindi, di incentivare l'interesse di quest'ultima, mantenendo comunque le garanzie sulla sicurezza e l'efficacia dei farmaci. Venivano assunti i seguenti punti principali: a) si definiva come malattia rara quella che colpisce meno di 200.000 cittadini; b) veniva concessa all'industria per sette anni un'esclusiva di mercato per permettere di sfruttare il prodotto senza concorrenza; c) venivano detassate del 50% le spese sostenute per gli studi clinici; d) si stabilivano sussidi da parte del governo per la realizzazione degli studi; e) veniva accelerata la procedura di registrazione del prodotto, indispensabile per l'immissione in commercio, pur mantenendo le garanzie sulla sicurezza del farmaco.

Al di là del successo scientifico, l'applicazione dell'Orphan Drug Act ha dimostrato anche che era possibile ottenere un successo economico: alcuni prodotti, riconosciuti farmaci orfani, hanno portato a notevoli guadagni, tanto che la legge è stata oggetto di alcune critiche e sono stati introdotti emendamenti per limitarne l'uso. Sorprendentemente non sono state le grandi industrie farmaceutiche ad avere agevolazioni dalla legge, piuttosto sono sorte molte piccole imprese specializzate nella produzione di questi farmaci. Dall'approvazione dell'Orphan Drug Act, 563 farmaci hanno ricevuto dal governo degli Stati Uniti la designazione di farmaci orfani. Di questi circa 110 hanno completato il complesso iter per essere poi immessi sul mercato. Per fare qualche esempio, tra i farmaci che sono stati sviluppati con l'applicazione della legge compaiono la tossina botulinica per il blefarospasmo, l'α-dornasi per la fibrosi cistica, la cladribina per la leucemia a cellule capellute e molti altri.

I farmaci orfani attualmente in fase di sviluppo serviranno anche a curare malattie come l'AIDS, forme rare di tumore, malattie dei bambini, malattie genetiche e malattie neuromuscolari. Come lo studio delle m. r. aiuta a capire anche le malattie comuni, allo stesso modo alcuni farmaci orfani hanno trovato successivamente un impiego nella cura di malattie diffuse. Un esempio è la zidovudina (AZT), un farmaco per trattare pazienti affetti da AIDS, o la pentamidina, un antibiotico impiegato nel trattamento delle polmoniti da Pneumocystis carinii alle quali sono soggetti i pazienti con l'AIDS.

Il Giappone, seguendo l'esempio degli Stati Uniti, a partire dal 1985 ha introdotto delle norme atte a favorire lo sviluppo di farmaci orfani. Anche l'Unione Europea è molto vicina all'approvazione di una legge per tali farmaci, colmando il ritardo nei confronti degli Stati Uniti e del Giappone. Le iniziative di gruppi pubblici e privati per rendere disponibili più informazioni ai pazienti, per sostenere le loro richieste di maggiore considerazione presso le autorità sanitarie, per promuovere la ricerca scientifica, sia di base sia clinica, si stanno moltiplicando in Europa. Tra le altre è utile ricordare un'iniziativa in Italia che è unica nel suo genere per la complessità dell'approccio alle malattie rare. Nel 1992 l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che si occupa di ricerca in campo biomedico, ha aperto un Centro di ricerche cliniche per le malattie rare. Questo centro, nato per rispondere alle esigenze di ricerca, informazione, educazione, è attrezzato come un ospedale, ma il suo obiettivo è unicamente fare ricerca clinica con specifici progetti finalizzati. Presso di esso è stato attivato un servizio di informazione per le m. r., che è a disposizione di chiunque desideri essere aggiornato a ogni riguardo in questo campo; inoltre vi ha sede una Scuola europea per le malattie rare che organizza corsi di lunga durata o simposi e riunioni dedicati a tutte le figure professionali della Sanità.

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