MANOSCRITTO

Enciclopedia Italiana (1934)

MANOSCRITTO (fr. manuscrit; sp. manuscrito; ted. Handschrift, ingl. manuscript)

Domenico FAVA
Giuseppe GABRIELI

Con questo vocabolo si suole indicare qualunque documento che sia scritto a mano su materiali adatti, valendosi della penna o di altro consimile strumento, che renda facile e rapida l'operazione del tracciare le parole, a differenza di ciò che succede quando si incidano o si scolpiscano delle lettere su materie dure, come pietra o metallo. Ma nell'uso letterario con la voce manoscritto si vogliono designare specialmente le opere tramandateci dall'antichità e dal Medioevo nella forma di scrittura del tempo. Infatti prima dell'invenzione della stampa il manoscritto servì a conservare e a divulgare i monumenti letterarî, scientifici e religiosi, assolvendo la stessa funzione che ha il libro moderno.

La forma che prevalse da principio per il manoscritto così inteso fu il rotolo di papiro, introdotto nell'uso dagli Egizî e adottato in seguito dai Greci e dai Romani per tramandare le opere dell'ingegno. I rotoli composti di più strisce di papiro incollate insieme: a formare un unico foglio più o meno lungo, avvolto intorno a un cilindro di legno, erano scritti in colonna da una sola parte, quella cioè interna, e portavano all'estremità inferiore una piccola striscia di papiro col titolo dell'opera perché lo si potesse conoscere a rotolo avvolto e chiuso (v. papiro).

A cominciare forse dal sec. I dell'era cristiana entra nell'uso il manoscritto di pergamena in forma di libro, detto anche codice, termine riferito dapprima alle tavolette cerate, che, legate insieme in un certo numero, prendevano l'aspetto di veri e proprî libri come i nostri, benché non siano mai servite ad altro che a contenere appunti, conti e lettere. A proposito di questa nuova forma di manoscritto, giova avvertire subito che essa non pervenne che molto più tardi, ossia verso la fine del sec. III e nel IV, a soppiantare del tutto il rotolo di papiro come strumento di divulgazione e conservazione delle opere letterarie, e, in secondo luogo, che nel corso dei primi secoli dell'era volgare, anche il papiro, sotto l'influenza del libro di pergamena, assunse talvolta la forma del codice, ossia si adoperò non più arrotolato, ma piegato. Tuttavia questo uso fu raro e isolato, anche se si protrasse fino al sec. VII (v. codice).

Manoscritto greco. - Per le scritture usate nel manoscritto durante i secoli e per il loro sviluppo v. paleografia; qui è necessario avvertire che quella calligrafica, usata nei iotoli letterarî e nei primi codici greci, è l'onciale, che si protrasse a lungo, in quanto si trova ancora adoperata dopo l'introduzione della minuscola, avvenuta a mezzo il sec. IX, benché quasi soltanto nei libri di culto.

I codici greci più antichi giunti sino a noi non sono né datati né databili, trattandosi di Bibbie, e perciò la loro assegnazione a un secolo piuttosto che a un altro è possibile unicamente per mezzo di un confronto delle loro scritture con quelle delle iscrizioni datate. Con questo mezzo si è riusciti a stabilire che i più antichi manoscritti greci giunti a noi risalgono al sec. IV dell'era nostra. Essi sono: il Vaticano gr. 1209, che contiene l'Antico e il Nuovo l'estamento, riprodotto al principio di questo secolo integralmente in fototipia; il Sinaitico, così chiamato perché proveniente da un monastero del Monte Sinai, ora a Londra (British Museum), che è stato largamente studiato e illustrato dal suo scopritore C. Tischendorf; l'Alessandrino di Londra e il Serraviano di Parigi, ambedue riprodotti in eliotipia fino dal secolo scorso.

Al sec. V invece appartiene il più antico manoscritto greco profano che si conosca, contenente un frammento delle Storie romane di Dione Cassio (Vaticano gr. 1288, già di Fulvio Orsini) e forse anche il Dioscuride di Vienna, che è il primo codice greco con figure; mentre al sec. VI sono assegnati l'Iliade dell'Ambrosiana e la Genesi di Vienna. Quest'ultimo manoscritto è del maggiore interesse perché composto di pergamene tinte in porpora. Un altro di questo genere, assai noto, che ha altresì per l'arte un valore eccezionale, è il codice purpureo di Rossano in Calabria (riproduz., Roma 1907), attribuito allo stesso secolo del precedente. Anche la scrittura di questi ultimi codici ha un carattere maestoso e di grande eleganza. Il manoscritto greco ricevette un notevole impulso quando dalla scrittura onciale si passò alla minuscola calligrafica, prodotto della fusione dell'onciale con l'antica minuscola corsiva. La fase più antica della nuova scrittura risale alla metà del sec. IX; dal sec. X al XII si ha la fase di mezzo; quella recente va dalla conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati sino alla caduta della città in mano dei Turchi. L'introduzione della carta bombicina accelerò il peggioramento che si nota nella scrittura greca a cominciare dal sec. XIII. L'umanesimo cercò di ridare al manoscritto greco nuova grazia e perfezione, imitando i monumenti calligrafici più antichi, come si può vedere nei codici dí mano di Teodoro Gaza, di Zaccaria Calliergi, di Francesco Filelfo e di altri umanisti italiani.

Manoscritto latino. - A differenza di quanto è avvenuto nella storia del manoscritto greco, non si posseggono più monumenti letterarî latini in rotoli di papiri, e i più antichi codici in pergamena giunti fino a noi contengono soltanto opere di scrittori profani. Le nostre conoscenze del genere risalgono un po' più in su del secolo IV, che abbiamo riconosciuto come epoca estrema dei manoscritti greci in pergamena a noi noti, ma si tratta solo di piccoli resti, povere pagine salvatesi non si sa come, e di palinsesti che sono assegnati dai paleografi al sec. III, per quanto con qualche incertezza. Di tale categoria sono i frammenti del Virgilio Augusteo della Vaticana e di Berlino, nonché del Sallustio Regin. 1283 della Vaticana stessa. Tali documenti sono scritti in capitale quadrata o monumentale, detta così per essere simile a quella scolpita nelle epigrafi romane dei primi secoli dell'impero. Questa scrittura fu usata contemporaneamente alla capitale rustica nella quale sono scritti i primi veri codici che possediamo, e cioè il Virgilio Mediceo (Laur. pl. XXXIX,1), anteriore al 494; il Virgilio Vaticano lat. 3225, con figure; il Terenzio bembino (Vat. lat. 3226), che si fanno risalire al secolo IV; mentre il Virgilio Romano (Vat. lat. 3867) e il Virgilio Palatino (Pal. lat. 1631 della Bibl. Vaticana), scritti in una capitale rustica alquanto maggiore, sono attribuiti al secolo V.

Alcuni dei più antichi codici letterarî latini che possediamo sono invece in scrittura onciale, che era una forma più corrente della capitale ma coesistente con essa. I primi documenti di essa risalgono infatti ai secoli IV e V, ma si tratta in generale di palinsesti e di frammenti. Il più notevole fra i codici onciali per la sua antichità è il Tito Livio di Parigi (Bibl. Nat. lat. 5730), attribuito al sec. V. Relativamente a questa scrittura, dalla quale sarebbe rampollata nel Medioevo la semionciale, i cui più antichi esempî risalgono ai secoli V e VI, diremo ancora che essa fu anche quella che ci tramandò i primi monumenti della letteratura sacra. Infatti i più antichi codici delle opere di Sant'Agostino, come il Veronese XXVIII, 36 col De civitate Dei, di S. Cipriano, come l'Ambrosiano D. 519 inf. e il Torinese F. IV, 27 con le Epistulae, di S. Girolamo, come il Veronese XIII, 11, In Psalmos, e di Prudenzio, come l'Ambrosiano D. 36 sup., dei secoli V e VI, sono in scrittura onciale.

La decadenza e il tramonto di questa maiuscola avviene nel periodo di maggiore sviluppo delle scritture nazionali e della carolina, che tutte le soppiantò come la più bella delle minuscole calligrafiche. Anche qui si nota una stretta analogia con l'evolversi del manoscritto greco: dal sec. IX al XII si ha il più splendido periodo della minuscola calligrafica. Il predominio del gotico, che si afferma nei secoli XIII e XIV, segna come un peggioramento della scrittura, sul quale influisce anche l'uso della carta. Solo durante il sec. XV risorge a opera dell'umanesimo il manoscritto elegante, che si richiama alla scrittura calligrafica dei secoli X e XI. I copisti del Quattrocento fanno del codice un'opera d'arte.

Palinsesto. - Fra i manoscritti antichi meritano speciale menzione quelli chiamati palinsesti, che ci presentano una delle vie per le quali molte opere classiche ci sono state tramandate e rese note. Sono celebri il Gaio e il Virgilio di Verona, il Plauto dell'Ambrosiana, il Lucano di Vienna, ecc. (v. palinsesto).

Materie scrittorie. - Anche per queste v. paleografia.

Qui occorre notare che nei manoscritti si trovano fin da principio adoperate due specie d'inchiostro: uno di colore nero, l'altro rosso. Questo ultimo serviva generalmente per i titoli, le rubriche, e le iniziali, le quali ultime, specialmente dopo il sec. X, s'incontrano anche in azzurro. A proposito degli inchiostri, non va dimenticato l'uso di quelli d'oro e d'argento, già menzionati dagli antichi e messi in gran voga presso i Bizantini con le pergamene tinte in porpora. Benché non manchino interi manoscritti a lettere d'oro, pure sono più comuni quelli nei quali solo i titoli o le prime pagine sono scritti in oro, mentre tutto il resto è in argento. Un esempio di questo uso è nel celebre frammento già citato della Genesi in greco della Biblioteca di Vienna, scritta in lettere capitali d'oro e d'argento nel sec. VI, e in quello di Rossano. Ma i codici più famosi di tal genere sono la celebre versione della Bibbia di Ulfila in Upsala, chiamato codex argenteus, perché scritto in oro e in argento, e l'evangeliario, detto Codex aureus, della Staatsbibliothek di Monaco, scritto interamente in oro. Tale pratica fu seguita anche in Occidente, specialmente nell'età carolingia, in Inghilterra e in Francia, dove furono nel Medioevo preparati talvolta per re, principi e chiese degli evangeliarî e dei salterî di una suntuosità straordinaria, scritti in oro e in argento su pergamene porporine. Ne abbiamo un esempio nel Salterio della Regina Angilberga dell'826, che si trova nella Biblioteca di Piacenza.

Tale uso si rinnova più tardi, come nel De institutione vivendi di Diomede Carafa, scritto in oro e in argento su carte tinte in violetto e in verde da Gian Marco Cinico per Beatrice d'Aragona, regina d' Ungheria, che è nella Biblioteca Palatina di Parma.

Ornamentazione. - Il manoscritto greco e romano era talvolta decorato di ornamenti a colori e di figure. Di tale uso si ha documento in parecchi manoscritti, le cui composizioni iconografiche sono generalmente il riflesso di un'arte più antica. Fra quelli greci sono notevoli i frammenti dell'Iliade dell'Ambrosiana, che contengono 58 quadri riprodotti da originali risalenti forse al sec. I. Nel verso di ciascuna pagina sono scritti i versi in bella onciale. Anche la Genesi di Vienna contiene nei 24 fogli che la compongono, ritagliati dal codice originale, 48 composizioni di un'arte però inferiore a quella dell'Iliade. Di alta importanza artistica invece sono i quadri che adornano il celebre codice di Rossano. Dopo il sec. VI si nota nell'ornamentazione del manoscritto greco una forte decadenza; si affievolisce il senso della natura, le figure diventano secche e allungate, il colore duro e stridente, l'oro predomina. Solo nel sec. X quest'arte si risolleva fra i Bizantini, come si vede nel Menologio dell'imperatore Basilio II, ornato di 430 scene e figure, che si trova nella Vaticana (cod. Vat. 1613). Ma in generale il manoscritto greco del Medioevo presenta una decorazione più povera di quello latino, nel quale, dopo il periodo più antico, dominato ancora dalla fine arte classica (si veda ad esempio il Virgilio Vaticano 3225 con le sue 50 figure, che ricordano nella Composizione e nel disegno quelle della già menzionata Iliade), la tradizione sembra perdersi e la nuova ornamentazione trova il suo punto di partenza nell'iniziale, la quale assume sempre maggiore importanza, sviluppandosi in forme caratteristiche con motivi antropomorfici, animali e vegetali. Le origini di queste forme vanno ricercate nei monasteri irlandesi, dove già nel sec. VI il progresso calligrafico è molto accentuato e influisce sulla decorazione del manoscritto. Tali tendenze si diffondono rapidamente nell'Europa occidentale, portate dai monaci che avevano seguito sul continente S. Gallo e S. Colombano, i fondatori dei monasteri più antichi della Francia, della Svizzera e dell'Italia. Esse perdurano più a lungo nella scrittura beneventana e cassinese, che si sviluppa e fiorisce tra il sec. IX e il XIII, specialmente a Montecassino, a Cava dei Tirreni e in altri luoghi dell'Italia meridionale.

La cultura carolina affina questo movimento calligrafico e sviluppa ancor più l'ornamentazione del manoscritto, riattaccandosi alle tradizioni classiche, che in questo tempo tornano ad agire sulla cultura e sull'arte, come si vede nei codici di Terenzio del sec. IX e del X, illustrati da figure e da scene antiche (cfr. cod. Vat. lat. 3868 e Ambros. H. 75 inf.). Durante tale periodo si nota un vivo risveglio per i codici di lusso, ornati spesso con figure e scritti talvolta su pergamene purpuree. Uno dei più famosi esempi è la Bibbia di Carlo il Calvo della Bibliothèque Nationale di Parigi.

L'ornamentazione carolina dura per tutto il sec. XI, ma già nel seguente va rapidamente affievolendosi sotto l'influsso bizantino, che apre la via a nuove tendenze. Nel sec. XIII continuano bensì a piacere le belle e grandi iniziali, ma la loro decorazione muta: al tipo a mosaico, ravvivato da elementi fantastici, si sostituiscono i fondi in oro e le figure umane, che vanno acquistando nuova espressione e vita. Le iniziali poi si legano a una decorazione marginale varia di motivi e splendente di nuovi colori; essa raggiunge proporzioni inusitate nelle prime pagine dei manoscritti. In Francia il manoscritto perviene nella seconda metà del Trecento e nei primi anni del Quattrocento ad uno splendore non più veduto: i libri d'ore di Carlo V e del duca Giovanni di Berry, sono meritamente famosi per ricchezza decorativa oltre che per eleganza di minî. Con quello francese gareggia verso lo stesso tempo il manoscritto fiammingo e borgognone, la cui ornamentazione s'ispira a un senso vivo della natura e della vita reale, che diffonde nelle pagine una grazia e una vivacità affatto nuove. Ma l'Italia, dopo le splendide prove date nel Trecento, specialmente da Bologna e da Siena, porta durante il sec. XV nella decorazione del manoscritto una più raffinata eleganza. Le iniziali si arricchiscono di elementi fini e delicati, sia che si sviluppino in steli, volute e candelabre, sia che si coprano di fiori, di fronde e di frutti, sia che si aprano a contenere ritratti, interni o scene; i margini scintillano di ori e di gemme, sparsi fra corolle di fiori e rametti di piante, sui quali si appoggiano graziosi uccellini e piccoli animali. E la decorazione assume proporzioni più grandiose quando in armoniosa unità fregi marginali e scene e rappresentazioni coprono interamente le pagine. In quest'arte spiccano specialmente le scuole di Lombardia, di Ferrara, di Firenze, che ci hanno lasciato monumenti insuperabili, quali il Messale Della Rovere di Torino, la Bibbia di Borso d'Este di Modena e l'Uffiziolo di Lorenzo de' Medici di Firenze.

Legatura. - Gli antichi manoscritti in forma di rotoli non erano coperti da legature fisse o solide, ma soltanto da lievi involucri. La difesa loro dagli agenti esterni si otteneva invece tenendoli racchiusi in cassette di legno. Talvolta tali cassette, che avevano forma rotonda (scrinia), erano di legno di cipresso per salvare i rotoli dalle tarme. Le vere e proprie legature dei manoscritti sorgono col codice o libro in pergamena; e sono formate di assi di legno un po' più grandi del volume, rivestite di cuoio oppure di itoffa, serrate con corregge o con borchie. Trattandosi di libri di lusso, esse venivano avvolte in stoffe (camisia), o chiuse in cassette scolpite (v. legatura).

In antico i volumi venivano collocati nei palchetti delle librerie orizzontalmente, e in modo da presentare alla vista il dorso, oppure - come nella biblioteca aragonese a Napoli - col taglio in fuori, e allora un cartellino in pergamena incollato sul labbro del piatto posteriore della legatura recava il titolo manoscritto in rosso o in nero. Le librerie conventuali e signorili avevano talvolta i libri assicurati ai leggii o plutei con catenelle di ferro, affinché si dovesse leggerli sul posto, senza asportarli. Esempî di tale costume restano quelli della libreria di Malatesta Novello in Cesena e della biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze.

Copisti. - Nel mondo greco e romano i libri erano generalmente copiati da schiavi colti (literati), che stavano a servizio di privati e di librai, e soltanto di rado a disposizione del pubblico. Ma vi erano altresì gli scrittori di professione che lavoravano come copisti per il pubblico e per le biblioteche e servivano lo stato nella redazione degli atti pubblici. Si chiamavano scribae e antiquarii, nome che doveva riferirsi a una particolare conoscenza delle scritture più antiche.

Nel Medioevo si continua a trovare dei laici sotto il nome di antiquarî, occupati nel trascrivere manoscritti, e a essi si aggiungono i notai, il cui nome in origine si riconnette a una competenza speciale nella scrittura tachigrafica. I Greci e i Bizantini usavano invece preferibilmente la parola calligrafi. Ma ben presto quest'arte diventa quasi esclusivo privilegio del clero e in special modo dei monaci, per i quali lo scrivere e il copiare codici costituisce uno dei principali compiti del proprio stato. Naturalmente l'opera loro era dapprincipio indirizzata quasi solo a diffondere il pensiero religioso, e questo spiega la distruzione di molte opere classiche e l'esistenza di molti palinsesti con gli scritti dei Padri della Chiesa.

I più benemeriti fautori della cultura nell'alto Medioevo furono i monaci di S. Benedetto, nei cui monasteri, secondo la prescrizione della regola, non dovevano mancare la biblioteca e lo scrittorio. A essi noi dobbiamo la sopravvivenza dei più vetusti monumenti dell'antichità classica e del pensiero cristiano. Ma accanto ai benedettini si distinsero in ordine di tempo in quest'opera anche i monaci cisterciensi e i certosini, e in seguito i frati minori, ai quali ultimi andiamo debitori di numerosi codici contenenti opere di teologia scolastica. Anche le monache si applicavano talvolta ai lavori di copia di manoscritti. Dopo il sec. XII questi scrittorî conventuali decadono e nello stesso tempo aumenta il numero dei copisti laici scrivani di mestiere, che non erano mai spariti del tutto durante il Medioevo, ma avevano contribuito a soddisfare i bisogni delle scuole e del pubblico. Lo sviluppo preso dalle università e dagli studî in questo tempo fa si che cresca grandemente la richiesta di codici, specialmente giuridici e grammaticali, e perciò diventi sempre più attiva l'opera dei copisti, il cui guadagno aumenta e la cui condizione si fa migliore. Molti di essi lavoravano per gli stazionarî o peciarî (da pecia, specie di unita di misura nella valutazione del prezzo dei manoscritti, corrispondente a una pelle di pecora preparata e piegata a fogli), che solevano tenere presso le università i codici in deposito per il prestito e per la vendita agli studenti e insegnanti. Ma il periodo aureo dei copisti comincia con la seconda metà del Trecento e termina solo con l'affermarsi della stampa. Da una parte il diffondersi della cultura e dell'umanesimo, dall'altro il vivo interesse dei principi per i libri e per le loro biblioteche creano specialmente in Italia un ambiente assai favorevole all'attività dei copisti. I signori desiderano collocare nelle proprie librerie codici sontuosi e corretti; gli umanisti fanno copiare i testi antichi che risalgono in generale all'età carolina. La scrittura umanistica si sviluppa ora rapidamente e porge loro lo strumento più adatto a soddisfare i gusti di raffinati bibliofili, quali Federico d'Urbino, Alfonso e Ferrante d'Aragona, Lorenzo il Magnifico e Mattia Corvino d'Ungheria. I copisti più famosi ed eleganti del sec. XV sono Gian Marco Cinico di Parma e Gian Rinaldo Menni (Napoli), Antonio Sinibaldi e Sigismondo de' Sigismondi (Firenze), Iacopo della Pergola e Gio. Antonio Spinalo (Cesena), Francesco della Mella e Niccolò Mascarino (Ferrara), Matteo dei Gontugi di Volterra.

Però non tutti i manoscritti che oggi si possiedono sono dovuti all'opera di copisti di professione. Molti di essi, tanto in greco quanto in latino, sono invece di mano di letterati o di persone colte, che amavano copiare da sé le opere delle quali avevano bisogno. Si ha così notizia di principi, di governatori di giudici, di poeti, di grammatici, di artisti, specialmente del Trecento e del Quattrocento, che ci hanno lasciato ricordo della loro attività calligrafica nelle sottoscrizioni dei codici. Questo uso di aggiungere al termine dei manoscritti delle dichiarazioni personali, attestanti il luogo e il tempo del lavoro con i nomi dei trascrittori, riesce di notevole interesse, perché fa conoscere meglio di qualunque altra diretta testimonianza i centri principali della vita letteraria e le tendenze culturali in essi predominanti.

Commercio e prezzo dei manoscritti. - Dapprincipio in Grecia ciascun autore provvedeva da sé e a mezzo di schiavi alla diffusione delle proprie opere. Solo verso la fine del sec. V a. C. si cominciò in Grecia a sentire il bisogno di intermediarî, che si occupassero di proposito a far conoscere i nuovi prodotti letterarî e all'occasione quelli meno recenti, ottenendosi così un primo sviluppo del commercio librario.

Con lo spostarsi del centro culturale verso l'Egitto e con la fondazione della biblioteca d'Alessandria, il commercio dei libri si fa più attivo, data la maggiore richiesta di opere da parte di privati e di biblioteche. In questo periodo ogni libraio o bibliopola tiene un'officina nella quale sono occupati numerosi copisti a preparare i rotoli dei testi più desiderati. Nel medesimo tempo si sviluppa l'antiquariato per il maggior pregio che si attribuiva alle antiche copie delle opere più famose, e comincia a entrare nella pratica il costume di dare in prestito a pagamento i manoscritti da studiare oppure da copiare.

In Roma accanto ai librai che tengono botteghe di vendita vi sono editori e bibliofili che s'incaricano sia di preparare le pubblicazioni delle opere del giorno e di diffonderle in altri centri, specialmente della Grecia, sia di fare ricerca, per gli eruditi e le biblioteche, di testi rari e poco accessibili. Gli autori affidavano loro le proprie opere corrette col consenso di pubblicarle e di divulgarle. A questo scopo essi tenevano in casa una scelta schiera di servi istruiti, che preparavano le copie per il commercio. Esempio tipico T. Pomponio Attico, l'amico di Cicerone.

Le botteghe dei librai erano aperte nei punti più centrali di Roma, dove il movimento del pubblico si svolgeva più intenso. Al tempo d'Augusto una delle botteghe di maggior credito era quella dei Sosii, che si trovava presso la statua di Giano nelle vicinanze del tempio di Vertunno. Quintiliano e Marziale affidavano le loro opere da pubblicare al libraio Trifone. Un altro libraio per nome Doro vendeva libri a Seneca. L'officina libraria che era dietro il tempio della Pace apparteneva a un certo Secondo. Nelle librerie si tenevano esposti i cataloghi delle opere che erano in vendita, e appese ai pilastri dei locali o agli stipiti delle porte si offrivano agli sguardi le pubblicazioni più recenti, per invogliare all'acquisto. I rotoli erano collocati in casse e negli armadî.

La proprietà letteraria non godeva alcuna tutela e le opere già pubblicate potevano apparire in vendita subito dopo in edizioni anche scorrette presso altri librai. Allo stato poi apparteneva il diritto di confisca e di censura delle opere pericolose. Il prezzo dei manoscritti non era basso, anche se non veniva corrisposto agli autori alcun onorario. Un bel manoscritto di papiro degli epigrammi di Marziale costava all'autore 5 denari; ma un esemplare scritto correntemente e senza lusso anche 2 denari. Quanto ai prezzi dell'antiquariato c'era molta oscillazione.

Per qualche tempo durò in Roma il commercio librario, anche dopo la caduta dell'impero romano. I luoghi dove si preparavano e si vendevano i libri si chiamavano stationes, nome corrispondente alle antiche librariae. La città era diventata ormai quasi l'unico mercato di manoscritti dell'Occidente, cosicché per secoli tutti attinsero a quest'unica fonte. Però la fonte si dissecca, a misura che vengono a mancare i codici antichi e quasi più nessuno attende a copiarne dei nuovi. Allora vi si sostituiscono almeno in parte i conventi, che s'incaricano di eseguire ordinazioni di copie e di dare manoscritti in prestito a pagamento. Specialmente le chiese contribuiscono a tenere viva l'arte libraria con continue ordinazioni di manoscritti per il culto. Ma qui non è più il caso di parlare né di commercio né di librai, che curino la vendita al pubblico di manoscritti.

Il Medioevo non conobbe che forme rudimentali di compravendita di libri. Anche col riaprirsi degli studî di diritto e poi delle università, vale a dire dal sec. XIII in poi, il commercio librario non torna ancora ad avviarsi, nonostante la presenza in ognuna di esse dei cosiddetti stazionarî o peciarî, cui, come abbiamo già detto, era affidato il compito di dare a nolo agli studenti i libri che loro occorrevano e di rivendere quelli lasciati dagl'insegnanti defunti e dagli scolari che avevano terminata la scuola, non essendo consentito di trasportarli altrove.

Solo col sec. XV ricompaiono i librai nel senso moderno della parola: A Milano, a Venezia, a Firenze, a Ferrara, a Roma, sono numerose le botteghe che si occupano della preparazione e della vendita di manoscritti e al tempo stesso smerciano carta e articoli di cancelleria; da qui il nome di cartolai. Uno dei più famosi è il fiorentino Vespasiano da Bisticci, il quale per il servizio che faceva nell'università di fornitore di codici aveva pure il nome di bidello, usato per moltissimi altri librai italiani.

Talvolta essi esercitavano anche il mestiere di miniatori e preparavano quindi libri di preghiere, oltre che copie di manoscritti e volumi per i ragazzi. Così Giorgio Tedesco, uno dei miniatori della Bibbia di Borso d'Este, che nel 1442 teneva in Modena bottega di cartolaio.

La mancanza durante il Medioevo di un vero e proprio commercio e la scarsezza delle richieste non lasciarono mai salire i prezzi dei manoscritti in misura esagerata. Solo quelli di lusso, scritti con arte, corredati di miniature e forniti di ricche legature dovettero raggiungere prezzi eccezionali, ma si trattava di casi rari, nei quali i conmittenti erano generalmente chiese o principi. Un manoscritto comune, di farmato in foglio, come si rileva da documenti e da indicazioni allegate ai volumi stessi, non superò mai le 300 o 400 lire nostre. Nei secoli XIV e XV la maggiore ricerca e richiesta fece salire sensibilmente i prezzi, ma soltanto per manoscritti di pregio letterario, scritti su belle pergamene e con cura calligrafica.

Raccolte di manoscritti. - Nella rovina dell'impero quasi tutte le biblioteche antiche perirono (v. biblioteca). Le prime raccolte di manoscritti di cui si abbia notizia dopo la caduta di Roma imperiale furono quelle riunite da papa Agapito in Roma stessa, da Cassiodoro nel monastero di Vivario presso Squillace e da Eugippio nel monastero di San Severino nel Castello luculliano (Castel dell'Uovo). Perché nel Medioevo la cultura trovò l'ultimo rifugio nelle biblioteche delle chiese e dei conventi, dove si raccolsero anche i superstiti manoscritti di letteratura profana, che servivano per gli studî e per l'istruzione del clero. Specialmente i conventi più ricchi e le grandi cattedrali, che furono quasi sempre anrhe attivi centri scrittorî, ebbero biblioteche di notevole importanza, che servìrono a tramandarci i monumenti più vetusti del pensiero classico e cristiano. Alcune di tali biblioteche si trovano ancora nelle sedi originarie come quelle dei monasteri di Montecassino, di San Gallo, di Einsiedeln e delle cattedrali di Verona, di Chartres e di Bamberga: esse godono di celebrità mondiale per i loro manoscritti antichissimi. Ma la maggior parte delle biblioteche conventuali non esiste più; i loro manoscritti o sono andati dispersi in vari depositi o sono spariti quasi del tutto. Fra quelle di cui si conoscono ancora nuclei importanti, di un valore eccezionale, vanno ricordate la biblioteca di Bobbio, già nel sec. VII ricchissima di codici, la maggior parte dei quali è confluita nell'Ambrosiana, nella Vaticana e nella Nazionale di Torino; la biblioteca di Nonantola, già cospicua ai tempi di S. Anselmo, il cui nucleo principale di manoscritti si trova alla Nazionale Vittorio Emanuele di Roma. Fuori d'Italia erano notevoli per antichità e per ricchezza di codici, in Germania le biblioteche dei monasteri di Weissenburg (ora in gran parte a Wolfenbüttel), di Reichenau (ora principalmente a Karlsruhe); in Francia e in Inghilterra quelle di Fleury (ora in parte divisa fra Orléans, Berna e Leida), di Corbie (nuclei principali a Parigi e a Leningrado), di Silos (ora a Londra e a Parigi), di Canterbury (ora a Cambridge), ecc. Quasi del tutto scomparse sono invece le già celebri raccolte manoscritte di Pomposa, di Fulda, di Magonza, di Beauvais, di Murbach, ecc.

Il rifiorire degli studî classici tra il sec. XIV e il XV coincide con la decadenza delle librerie monastiche. Contemporaneamente si sviluppano invece le librerie delle corti e dei principi. I loro manoscritti sono per lo più copie preparate da abili copisti, oppure sontuosi esemplari di dedica e di presentazione e, solo di rado, codici antichi. In questo periodo prende nuovo sviluppo, soprattutto per merito di Niccolò V, la biblioteca della Sede Apostolica, che pur avendo origini antiche, trae il suo vero splendore dal rinascimento. I successori l'arricchirono sempre più e Sisto IV ne affidò la direzione al Platina. Al nucleo quattrocentesco si aggiunsero in seguito altre numerose raccolte di codici, fra le quali meritano di essere ricordate quelle di Fulvio Orsini nel Cinquecento, della Palatina di Heidelberg, donata a Gregorio XV dall'elettore di Baviera nel 1623, di Bobbio, dei duchi d'Urbino, trasferita a Roma da Alessandro VII nel Seicento, e, nei secoli seguenti, della Ottoboniona, della Barberiniana e infine della Chigiana.

Anche molti privati si resero in Italia benemeriti della cultura e degli studî durante il Trecento e il Quattrocento, raccogliendo manoscritti in grande numero e costituendo pregevoli raccolte. Ci basterà ricor. dare il Petrarca, il quale nel 1362 donava alla Repubblica Veneta un buon numero dei proprî manoscritti, che furono ritrovati nel sec. XVIII abbandonati in una stanza superiore del palazzo ducale, ormai guasti e semidistrutti. Altri codici di lui si trovano alla Vaticana, all'Ambrosiana, alla Bibliothèque Nationale di Parigi e altrove. Anche il Boccaccio fu un appassionato bibliografo e mise insieme una cospicua raccolta di codici, che morendo lasciò al Convento di Santo Spirito, i cui resti confluirono nel secolo scorso alla Laurenziana. Raccoglitori di manoscritti furono nel sec. XV anche N. Nìccoli, G. Aurispa, Giovanni Marcanova, Giorgio Valla, Giovanni Pico della Mirandola e il cardinale Bessarione, al quale si deve il primo nucleo che servì a costituire la Marciana di Venezia, composto di oltre 800 manoscritti, che egli donò alla repubblica di San Marco perché fossero di uso pubblico. Ma più di tutti si distinsero nel sec. XV in quest'opera di raccolta di manoscritti i Visconti e gli Sforza a Milano (biblioteca di Pavia), gli Aragonesi a Napoli, gli Estensi a Ferrara, i duchi d'Urbino, i Malatesta a Rimini e a Cesena, a Firenze i Medici cui si deve l'insigne Medicea Laurenziana.

Questo ardore si fa anche più vivo nel secolo seguente. Fra i raccoglitori più zelanti di codici nel Cinquecento si annoverano P. Bembo a Padova, Alberto Pio a Carpi, i Farnese a Roma e a Parma, Fulvio Orsini a Roma, Alfonso II a Ferrara, ecc.

In Francia Carlo V costituisce nel Trecento una delle più ricche biblioteche per numero e bellezza di manoscritti, seguito in tale passione dal fratello Giovanni, duca di Berry. Queste raccolte formarono poi i primi nuclei della Biblioteca Reale di Parigi, accresciuta delle raccolte dei Visconti e degli Aragonesi, quando furono trasferite in Francia. Bibliofilo ardente fu, verso lo stesso periodo, Filippo di Borgogna, i cui manoscritti si trovano nelle principali biblioteche d'Europa.

Anche in Ungheria si fa sentire nel Quattrocento l'amore della cultura, specialmente alla corte del re Mattia Corvino, presso il quale molti copisti sono occupati a copiare grande numero di manoscritti. Ma i più suntuosi per eleganza calligrafica e per miniature gli vengono inviati dai librai di Firenze, che verso il 1480 era il centro librario più importante d'Italia. I volumi di Mattia Corvino, raccolti a Buda, dopo la sua morte andarono dispersi: nuclei importanti di essi si trovano nella Nazionale di Vienna e nell'Estense di Modena, e testimoniano ancora del suo fervore di bibliofilo, che ha ben pochi esempî nella storia del libro. Anche la consorte Beatrice d'Aragona, figlia del re Ferdinando di Napoli, favorì la cultura umanistica e raccolse codici preziosi.

Pure in Germania non mancano nel Quattrocento e nel Cinquecento i grandi collezionisti di manoscritti: raccolte importanti furono quelle di Amplonius Ratinck di Erfurt, di Hartmann Schedel di Norimberga e del cardinale Nicolò di Cusa nel sec. XV. Nel secolo seguente si forma la raccolta di Thomas Rehdiger (Biblioteca di Breslavia) e quella dei conti di Üttingen. Nel tempo stesso sorgono le biblioteche principesche di Monaco (duca Alberto V), di Kassel, di Heidelberg, di Wolfenbüttel. Le bilioteche di Dresda e di Vienna si sviluppano pure in questo periodo.

In Inghilterra furono grandi raccoglitori di manoscritti Mathias Parker, arcivescovo di Canterhury, i cuì manoscritti sono in parte nel Corpus Christi College, e Thomas Bodley (Bodleiana di Oxford), i Cotton e altri.

Nel Seicento, mentre in Germania la guerra dei Trent'anni sconvolgeva ogni cosa e cagionava la dispersione e la depredazione d'immensi tesori bibliografici di ch'ese e conventi, Federico Borromeo fondava a Milano la Biblioteca Ambrosiana (1609), dove radunava innumerevoli raccolte di codici, con l'aiuto di dotti e valorosi bibliografi da lui inviati in ogni parte d'Europa a farne incetta. La grande libreria manoscritta cinquecentesca del medico napoletano G. V. Pinelli, insegnante nello Studio di Padova, fu il maggiore dei suoi acquisti.

Il Settecento è il secolo dei collezionisti inglesi. I maggiori sono gli Harley (Harleiana di Oxford). La Rivoluzione francese distrugge le grandi raccolte monastiche e dà origine alle biblioteche dipartimentali. Contemporaneamente in Germania e in Italia si sciolgono le congregazioni religiose, i cui fondi manoscritti passano nelle biblioteche di stato. Notevoli accrescimenti esse hanno pure in conseguenza delle vendite di insigni raccolte private inglesi (Ashburnham, Hamilton, Phillips).

Al principio del sec. XIX si forma, per opera di Gian Giacomo Trivulzio, la magnifica raccolta manoscritta della Trivulziana di Milano.

Lo studio dei varî nuclei che costituiscono le sezioni manoscritte delle maggiori biblioteche odierne serve non solo a farci conoscere quanta parte delle antiche raccolte sia giunta sino a noi, ma ancora a richiamarci il ricordo delle più nobili figure di bibliografi e bibliofili vissuti durante gli ultimi secoli. Limitandoci all'Italia, sono a tale proposito del maggiore interesse le raccolte di talune biblioteche come la Maurenziana, la Marciana, l'Estense e l'Ambrosiana. Nei loro manoscritti la storia della cultura italiana s'intreccia e si collega con i nomi dei benemeriti che raccolsero e salvarono dalla dispersione pregevoli gruppi di preziosi volumi antichi. Tali sono: Mattia Luigi da San Gimignano, Antonio Petreio, Angelo Zenobio. Gaddi, Francesco Saverio Redi, Antonio Maria Biscioni (Laurenziana); Domenico Grimani, G.B. Recanati, Matteo Luigi Canonici, Apostolo Zeno, Giuseppe Farsetti, Iacopo Nani, Iacopo Morelli, Gerolamo Contarini (Marciana); Alfonso Gioia, Tommaso Obizzi, Ottavio Besini, Bonifazio Rangone, Giuseppe Campori (Estense); G.V. Pinelli, Galeazzo Arconati, Lodovico e Maria Trotti, Giulio Porro Lambertenghi, G. Caprotti (Ambrosiana).

Le maggiori raccolte di manoscritti oggi esistenti nelle biblioteche, con esclusione di quelle di lingue orientali, si trovano per ordine di consistenza nelle seguenti sedi: Bibl. Nationale di Parigi (circa 125.000 manoscritti); British Museum di Londra (oltre 55.000); Bodleiana di Oxford (40.000); statali di Leningrado, Monaco; Vaticana di Roma (oltre 50.000); statali di Bruxelles, Madrid, Vienna, Copenaghen (31.000); statale di Upsala (circa 17.000); Marciana di Venezia; statale di Berlino (circa 14.000); Ambrosiana di Milano, Laurenziana di Firenze (circa 10.000); Estense di Modena (circa 9000).

In America i codici anteriori all'anno 1620 sono circa 6000 e fra questi oltre mille, tutti per un verso o l'altro preziosi, si trovano riuniti a New York nella Pierpont Morgan Library.

V. anche bibbia; bibliografia; bibliofilia; biblioteca; legatura; libri d'ore; libro; miniatura; paleografia; papirologia, ecc.

V. tavv. XIX-XXVI.

Bibl.: Sul manoscritto in generale: H. Géraud, Essai sur les livres dans l'antiquité, particulièrement chez les Romains, Parigi 1840; E. Egger, Histoire du livre depuis ses origines jusqu'à nos jours, Parigi 1880; Th. Birt, Das antike Buchwesen, Berlino 1882; W. Wattenbach, Das Schriftwesen im Mittelalter, 3ª ed., Lipsia 1896; Th. Birt, Die Buchrolle in der Kunst, Berlino 1907; W. Weinberger, Beiträge zur handschriftenkunde, Vienna 1909; L. Traube, Vorlesungen und Abhandlungen, a cura di F. Boll, Monaco 1909-1920, voll. 3; F. Madan, Books in manuscript, Londra 1920; W. Schubart, Das Buch bei den Griechen und Römern, Berlino 1921; A. Schramm, Schreib- und Buchwesen einst und jetzt, Lipsia 1922; K. Löffler, Einführung in die Handschriftenkunde, Lipsia 1929; F. Milkau, Handbuch der Bibliothekswissenschaft, I: Schrift und Buch, Lipsia 1931 (con bibliografia); F. G. Kenyon, Books and Readers in ancient Greece and Rome, Oxford 1933. V. anche libro; papirologia.

Sui manoscritti più antichi e le loro scritture: C. Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica, Firenze 1888-98, voll. 3; F. Kenyon, The Palaeography of Greek Papyri, Oxford 1899; L. Traube, op. cit., I: Zur Paläographie und Handschriftenkunde, a cura di P. Lehman, Monaco 1909; V. Gardthausen, Griechische Paläographie, Lipsia 1913. V. anche paleografia.

Sull'ornamentazione dei manoscritti: A. Lecoy de la Marche, Les manuscrits et la miniature, Parigi 1884; A. De Bastard, Peintures et ornements des manuscrits Parigi 1832-1869; O. Piscicelli Taeggi, Paleografia artistica di Monte Cassino, Montecassino 1876-77; F. Denis, Histoire de l'ornamentation des manuscrits, Parigi 1880; E. Quaile, Illuminated manuscripts: their origin, history and characteristics, Londra 1897; E. A. Lowe, The Beneventan script, Oxford 1914.

Sui copisti: A. Caravita, I codici e le arti a Montecassino, Montecassino 1869-1871, voll. 3; L. Delisle, Mémoire sur l'École calligraphique de Tours au IXe siècle, Parigi 1885; M. Vogel e V. Gardthausen, Die griechischen Schreiber des Mittelalters und der Renaissance, Lipsia 1909; E. A. Lowe, Codices Lugdunenses antiquissimi: le scriptorium de Lyon, la plus ancienne École calligraphique de France, Lione 1924; L. W. Jones, The script of Cologne, Cambridge Mass. 1932; D. Fava, Mostra di codici autografici, Modena 1932.

Sul commercio dei manoscritti: A. Kirchhoff, Handschriftenhändler, 2ª ed., Lipsia 1853; L. Haenny, Schriftseller und Buchhändler im alten Rom, 2ª ed., Lipsia 1885; W. Wattenbach, op. cit.; R. Sommer, Atticus und die Verbreitung von Ciceros Schriften, in Hermes, LXI (1926); E. Stemplinger, Buchhändler im Altertum, Monaco 1927; M. Sondheim, Vespasiano da Bisticci, in Von Büchern u. Menschen, Festschrift für F. v. Zobelbitz, Weimar 1927.

Sulla legatura dei manoscritti: v. legatura.

Sulla storia di celebri raccolte di manoscritti: F. Weidmann, Geschichte der Bibliothek von St. Gallen, San Gallo 1846; L. Delisle, Le cabinet des manuscrits de la Bibliothèque Impériale, Parigi 1869-1881, voll. 3; G. D'Adda, Indagini storiche artistiche e bibliografiche sulla Libreria Viscontea Sforzesca del Castello di Pavia, Milano 1875-1879; G. Becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn 1885; P. De Nolhac, La Bibliothèque de Fulvio Orsini, Parigi 1887; E. Müntz e P. Fabre, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle, Parigi 1887; T. Gottlieb, Über mittelalterliche Bibliotheken, Lipsia 1890; F. Ehrle, Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis, I, Roma 1890; I. L. Heilberg, Beiträge zur Geschichte Georg Vallas und seiner Bibliothek, Lipsia 1896; G. Mazzatinti, La biblioteca dei re d'Aragona in Napoli, Rocca S. Casciano 1897; Le biblioteche governative italiane nel MDCCCXCVIII. Notizie storiche, bibliografiche e statistiche, pubblicate a cura del Ministero della pubblica istruzione, Roma 1900; C. Cipolla, Codici Bobbiesi della Biblioteca nazionale di Torino, Milano 1907; G. Bertoni, La Biblioteca Estense e la cultura ferrarese ai tempi di Ercole I (1471-1505), Torino 1903; D. Fava, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo storico, Modena 1925; A. De Hevesy, La Bibliothèque du roi Mathias Corvin, Parigi 1923; G. Fraknoi, La Biblioteca di Mattia Corvino, trad. di L. Zambra, Budapest 1927; D. Fava e collaboratori, Tesori delle Biblioteche d'Italia, I: Emilia e Romagna, Milano 1932.

Raccolte di cataloghi di manoscritti: Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti, Roma 1885-1933 (in corso); Indici e cataloghi, pubblicati a cura del Ministero della pubblica istruzione, Roma 1885-1900, voll. II, IV, V, VII, VIII, X, XIII, XV; Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, Forlì e Firenze 1890-1933, voll. 54 (in corso); numerosi indici di codici greci e latini, in Studi italiani di filologia classica, Firenze 1893-1915; Catalogue général des manuscrits des Bibliothèques publiques en France, Parigi 1886 segg.

Cataloghi di manoscritti delle principali biblioteche pubbliche italiane e straniere. - Per l'Italia: quelli di A. M. Bandini per la Bibl. Medicea Laurenziana; di G. Lami per la Bibl. Riccardiana; di B. Peyron per la Bibl. Nazionale di Torino; di C. Jannelli e S. Cirillo per la Bibl. Nazionale di Napoli; di G. Valentinelli e di C. Frati e di A. Segarizzi per la Bibl. Marciana di Venezia; di L. Gentile per i codici palatini della Nazionale Centrale di Firenze; di E. Narducci per la Bibl. Angelica di Roma; di L. De Marchi e G. Bertolani per la Bibl. Universitaria di Pavia; di G. Biadego per la Bibl. Comunale di Verona; di G. Antonelli per quella di Ferrara; di R. Zazzeri per quella di Cesena; di E. Martini e D. Bassi per i mss. greci della Bibl. Ambrosiana di Milano; di A. M. Josa per la Bibl. Antoniana di Padova; di E. Mandarini per la Bibl. Oratoriana di Napoli; della Biblioteca di Montecassino (Bibliotheca Casinensis) e per le raccolte private: quello di G. Porro per la Bibl. Trivulziana, di L. Lodi e R. Vandini per la raccolta Campori (ora nell'Estense), ecc. - Per l'estero ci si limita a ricordare: Catalogue of ancient manuscripts in the British Museum, Londra 1881-1884; Catalogue of additions to the Mss. in the B. M., Londra 1875 segg.; Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Bodleianae, Oxford 1853-1918; Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque Royale de Belgique, Bruxelles 1901 segg.; Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Regiae, L'Aia 1922; R. Beer, Handschriftenschätze Spaniens, Vienna 1894; G. Antolin, Catálogo de los codices latinos de la Biblioteca de l'Escorial, Madrid 1910-1923, voll. 5; P. Miguélez, Catálogo de los codices españoles, Madrid 1917, voll. 2; A. Staerk, Les manuscrits latins du Ve au XIIIe siècle conservés à la Bibliothèque Impériale de Saint-Petersbourg, Pietroburgo 1910; Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Monacensis, Monaco 1858-1920, voll. 8; Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Palatinae Vindobonensis, Vienna 1836-1851; Katalog der Handschriften der Sächsischen Landesbibliothek zu Dresden, Dresda 1882-1923, voll. 4; H. Hagen, Catalogus Codicum Bernensium, Berna 1875; Die handschriften der Öffentl. Bibliothek der Universität Basel, Basilea 1907; C. Mohlberg, Katalog d. Handschriften d. Zentralbibliothek Zürich, Zurigo 1931-32; Catalogue of manuscripts of the Library of J. Pierpont Morgan, Londra 1906, voll. 4, ecc.

Cataloghi di speciali materie: Catalogus codicum agiographorum Bibliothecae regiae Bruxellensis (Ediderunt agiographi Bollandiani), Bruxelles 1896 e segg.; Catalogus codicum astrologorum graecorum, Bruxelles 1898 e segg.; Catalogue des manuscrits alchimiques grecs, Bruxelles 1924 e segg.; H. Diels, Die Handschriften der antiken Ärzte, Berlino 1905-1906.

Manoscritti orientali.

Valgono per questi le medesime notizie generali, storiche e paleografiche suesposte, essendo le vicende di svolgimento e di tesorizzamento dell'arte libraria manoscritta medievale parallele e analoghe in Occidente e in Oriente; qui quell'arte fu certo anteriore, e ha nel materiale durevole (pietra, metallo) assai più antichi documenti grafici (monumenti egiziani con geroglifici, tavolette e sigilli assiri, ecc.), ma non così nel materiale, fragile e labile, dei codici o manoscritti propriamenie detti, i cui superstiti, tranne che per i papiri egizî, sono relativamente più scarsi e più tardi che in Occidente. I più vecchi manoscritti orientali, datati o sicuramente databili, giunti sino a noi, sono alcuni copti e siriaci che risalgono al sec. V d. C.. gli ebraici al sec. IX, gli arabi all'VIII, i persiani all'XI i sanscriti al IX, gli armeni al XII, gli etiopici al XIV, ecc.

La primitiva materia scrittoria che possiamo dire leggiera e mobiliare rispetto all'anteriore, pesante e stabile (rupi, edifizî), dei popoli orientali, semiti e ariani, è stata varia e molteplice; dapprima ossa e altre parti consistenti di animali (scapole di montone, costole di cammello, pelli di cammello, di gazzelle o di capre); poi foglie di palma e cocci di terracotta, ostraca, poi il papiro: solo più tardi furono adoperate la pergamena e la carta (cfr. J. Karabacek, Das arabische Papier. Eine historisch-antiquarische Untersuchung, in Mitteil. Papyr. Samml. E. R. II-IV, 1887-1888).

L'arte sussidiaria del libro o manoscritto orientale antico (rilegatura, miniatura, ecc.), si svolge per riflesso e imitazione dall'Occidente (cfr. G. Gabrieli, Manuale di bibliografia musulmana Roma 1916, pp. 337 e segg.). Per la raccolta, custodia e ordinamento dei mss. orientali in Oriente, v. biblioteca.

Col declinare delle antiche e delle successive civiltà orientali d'Africa e d'Asia, i documenti manoscritti di quelle letterature andarono distrutti o dispersi: preservati per qualche secolo nelle moschee e nei conventi, esularono a poco a poco in Occidente; dove, per effetto del movimento umanistico, la ricerca di questo prezioso materiale librario, dopo il tesorizzamento sistematico dei codici greci e latini, si estese, a cominciare dalla fine del secolo XVI, ai manoscritti orientali, e preparò via via, prima per iniziativa privata di viaggiatori e mecenati, poi con sistematica esplorazione e acquisto da parte di enti pubblici, le grandi collezioni dell'Ambrosiana, della Vaticana, della Bibliothèque Nationale, del British Museum, della Palatina di Parma e della Preussische Staatsbibliothek di Berlino, della Biblioteca pubblica statale di Pietroburgo e di quel Museo di lingue orientali, della National bibliothek di Vienna, che sono ancor oggi i più ricchi depositi di mss. orientali; mentre Tunisi, Fez, Costantinopoli, Cairo, Calcutta, Madras, ecc., custodiscono in paese orientale i nuclei principali di codici musulmani e indiani.

Il valore storico e letterario di queste collezioni s'è andato svelando con il sorgere e il progredire degli studî orientalistici di carattere filologico in Europa e nel resto del mondo civile: frutto e strumento ne è la compilazione sempre più accurata e la pubblicazione dei cataloghi di queste letterature, per gran parte ancora inedite: catalogazione preziosa e necessaria.

Diamo qui, in ordine alfabetico di luoghi, l'elenco delle principali collezioni di manoscritti orientali che sono oggi note nel mondo, aggruppate secondo le principali lingue letterarie, antiche e moderne, d'Oriente: collezioni delle quali si ha a stampa il catalogo o indice.

Manoscritti armeni (e georgiani): Cesarea di Siria, Erzerum, Ečmiadsin, Londra, Monaco di Baviera, Novo Bajazet, Oxford, Parigi, Sewan, Siwas, Tebriz, Tiflis, Tubinga, Venezia, Vienna, Zurigo. (Cfr. F. Macler, Notices des mss. arméniens vus dans quelques bibliothèques de l'Europe centrale, in Journal Asiat., serie 11, II (1913).

Manoscritti copti: Gottinga, Londra, Napoli, Oxford, Roma, Venezia, Washington. (Cfr. Simon, Répertoire des bibliothèques publiques et privées ciontenant des mss. coptes, in Le Muséon, XLIV, 1931).

Manoscritti etiopici: Francoforte s. M., Gerusalemme, Kiev, Leninrado, Londra, Oxford, Parigi, Roma. (Cfr. Simon, Répertoire des bibliothèques publiques et privées contenant des mss. éthiopiens, in Rev. de l'Or. Chrét., 3, VIII, 1931; S. Zanutto, Bibliografia Etiopica, II, Roma 1932).

Manoscrhti ebraici (samaritani, aramaici, biblici, rabbinici): Amburgo, Berlino, Breslavia, Budapest, Cambridge, Leida, Leningrado, Livorno, Londra, Milano, Monaco di Baviera, New York, Oxford, Parigi, Parma, Roma, Upsala, Venezia, Vienna. (In fine della voce Manuscripts nella Jewish Encyclopædia, VIII, 1904, p. 315, si calcolano a circa 17.000 i manoscritti ebraici del mondo, incluse le più cospicue collezioni private, dei quali circa 7000 in Inghilterra, 3500 in Francia e Svizzera, 1200 in Russia, 1500 in Germania, 3000 in Italia, ecc. Cfr. M. Steinschneider, Vorles. für die Kunde der Hebr. Handschr., in Zentralbl. f. Bibliothekswesen, XIX (1891); G. Gabrieli, Italia Judaica, Roma 1924; U. Cassuto, Mss. e incunaboli ebraici nelle biblioteche ital., in Atti d. primo Congr. mond. biblioteche e bibliogr., III, Roma 1931, pp. 68-74; id., Gli studi giudaici in Italia negli ultimi cinquant'anni, in Riv. d. studi orient., V (1913); C. Bernheimer, Codices hebraici Bibliotecae Ambrosianae, Firenze 1933.

Manoscritti siriaci: Berlino, Cairo, Cambridge, Gerusalemme, Leningrado, Londra, Parigi, Roma, M. Sinai.

Manoscritti indiani (sanscriti, pracriti, palici, tamulici, tibetani, ecc.). In India: Alwar, Aud, Azzah, Baroda, Benares, Bikaner, Colombo, Calcutta, Lucknow, Madras, Poona, ecc. In Europa: Berlino, Bonn, Cambridge, Firenze, Lipsia, Londra, Leningrado, Monaco di Bav., Oxford, Stoccarda, Tubinga, Vienna. (Cfr. Th. Aufrecht, Catalogus Catalogorum. An alphab. Register of Sanskrit works and authors, Lipsia 1891-1903).

Manoscritti di lingue musulmane (arabi, persiani, turchi, indostani, malesi, ecc.): Aleppo, Algeri, Amburgo, Bankipur, Batavia, Beirut, Berlino, Bologna, Bombay, Bonn, Breslavia, Cairo, Calcutta, Copenaghen, aostantina, Costantinopoli, Damasco, Edimburgo, Escoriale, Fez, Firenze, Gotha, Haiderabad, Kazan′, Leida, Leningrado, Lipsia, Londra, Madrid, Manchester, Milano, Monaco di Bav., Napoli, New Haven, Oxford, Palermo, Parigi, Princeton, Rabat, Roma, M. Sinai, Stoccolma, Strasburgo, Tangeri, Tashkent, Tlemsen, Torino, Tubinga, Tunisi, Upsala, Venezia, Vienna, Zurigo. (Cfr. G. Gabrieli, Manuale di bibliogrifia musulmana, I, Roma 1916, pagine 189-261).

V. tav. XXIV.

Bibl.: W. Gottschalk, Katalog der Handbibliothek der Orientalischen Abteilung der Preuss. Staatsbibliothek, Lipsia 1929, pp. 93-162. Per l'Italia: Catalogo dei codici orient. di alcune bibl. d'Italia, fasc. 1-7, Firenze 1875-1904; G. Gabrieli, Manoscritti e carte orientali nelle bibl. e negli archivi d'Italia, Firenze 1930; append. e supplem. nella rivista Accademie e biblioteche d'Italia, 1933.

Per la riproduzione fotografica dei mss. orientali: W. Wright, Facsimiles of manuscripts and inscriptions. Oriental Series, Londra 1875-83; H. Hyvernat, Album de paléographie copte, Parigi 1888; B. Moritz, Arabic Palaeography. A collection of Arabic Texts from the first Century of the Hidjira till the year 1000, Cairo 1905; E. Tisserant, Specimina codicum orient., Bonn 1914.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata