BARBARO, Marcantonio

Enciclopedia Italiana (1930)

BARBARO, Marcantonio

Roberto Cessi

Nato a Venezia da Francesco di Daniele ed Elena Pisani di Alvise il 22 settembre 1518, fratello di Daniele (v.), trascorse la giovinezza tra gli studî umanistici e giuridici secondo l'indirizzo tradizionale della famiglia. All'età legale intraprese la carriera dei pubblici uffici; ma tardò a giungere nei gradi maggiori. La personalità politica del B. emerge in contingenze assai drammatiche della storia veneziana; la sua partecipazione alla vita pubblica diventa infatti assai attiva dal 1561, quando fu inviato in missione straordinaria in Francia, per rallegrarsi con Carlo IX della vittoria sugli Ugonotti, e toccò l'apogeo tra il 1568 e il 1573 nell'esercizio della missione costantinopolitana. Quando egli arrivò presso la corte ottomana, succedendo a Iacopo Soranzo, Selīm II preparava il piano della riscossa ottomana nel Mediterraneo: né l'astuzia del nuovo bailo valse a scongiurare l'imminente tempesta addensatasi ai danni di Venezia. Alle insinuazioni persuasive del rappresentante veneto il sultano rispose con le minaccie, con la violenza. Il B. fu tratto prigioniero, con i compatrioti residenti a Costantinopoli; nella guerra, iniziata e condotta con inaudita violenza, Venezia, nonostante l'infeconda vittoria cristiana di Lepanto, fece le spese di uomini e di cose. Marcantonio Barbaro, che anche durante la prigionia era riuscito a mantenere relazioni epistolari col suo governo, mettendo a profitto l'esperienza fatta durante il lungo soggiorno sul teatro dell'azione, se non ideatore, fu artefice sagace e profondo della pace (1573). L'alto valore delle sue cognizioni nella politica orientale risulta non solo dalla corrispondenza ufficiale, da lui dettata come bailo, dalla relazione del suo operato presentata al Senato, ma anche dagli scritti illustrativi del problema orientale, tuttora inediti, Ritratto delle forze turchesche, Scritture illustrative della Turchia, Diario delle cose occorse nel mondo dal 1537, nei quali si riflette una visione sicura, obiettiva e serena, anche se amara, della vita politica orientale. A buon diritto si meritò la riconoscenza dei concittadini, con l'elevazione alla più onorifica dignità di procuratore di S. Marco (27 aprile 1572), la cui investitura non lo distolse dal mettere a servigio della patria l'opera sua in cariche minori. Né vuol essere trascurato un altro aspetto della sua attività. Vissuto in uno dei momenti più splendidi di rinnovamento edilizio pubblico, egli fu il maggior assertore dei nuovi indirizzi architettonici del Palladio e dello Scamozzi (chiesa del Redentore 1576; sarcofago Da Ponte 1582), senza perciò offendere taluni canoni della tradizione artistica veneziana, mirabilmente riflessi nella costruzione del Ponte di Rialto (1589-91) e della fortezza di Palmanova (1593). Di tutti questi lavori egli fu il più esperto ispiratore e consigliere, propugnando per l'esecuzione delle opere pubbliche i medesimi ideali artistici, che presiedettero alla costruzione della villa domestica di Masèr (oggi villa Giacomelli). Morì il 15 luglio 1595.

Bibl.: E. Cicogna, Inscrizioni veneziane, Venezia 1824-53, II, p. 363 segg.; IV, p. 686 segg.; P. Molmenti, Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto, Firenze 1899; N. Jorga, Geschichte des osmanischen Reiches, III, Gotha 1911; C. Yriarte, La vie d'un patricien de Venise au XVI siècle, Parigi 1874.

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