CRESCENZI, Marcello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

CRESCENZI, Marcello

Irene Polverini Fosi

Della nobile famiglia romana, nacque a Roma forse nel 1500 (la data di nascita, desunta dall'iscrizione sepolcrale, non è considerata attendibile), da Marzio e da Pantasilea de' Maddaloni di Capodiferro, ultimo di tre fratelli. Non si hanno notizie sulla sua educazione, né sugli studi compiuti prima di frequentare l'università di Bologna, dove si laureò in utroque iure. Incerta è pure la data di inizio della carriera ecclesiastica del C., ma già il 27 nov. 1529 Clemente VII lo ammise nel Collegio degli auditori di Rota, dove rimase fino al 1542, quando fu creato cardinale. Fin da questo primo periodo di attività curiale il C. dette prova di grande perizia e di profonda conoscenza del diritto: le sue sentenze furono raccolte e pubblicate successivamente in tre edizioni (la prima a Roma nel 1589 a cura del nipote Marcello Crescenzi: Decisiones R. P. D. Marcelli Crescentii Rotae auditoris... super causis, per RR. DD. Auditores in eodem sacro palatio relatis ex communibus et concordibus eorundem votis et suffragiis..., Romae, apud Marcum Antonium Murettum, 1589); la seconda e la terza sempre a Roma, rispettivamente nel 1601 e nel 1617, a cura del canonico lateranense Accarisi. Il 19 genn. 1534 il C. fu nominato vescovo dei Marsi; si recò nella diocesi all'inizio dell'anno successivo per la cerimonia dell'insediamento, senza però risiedervi mai negli anni seguenti. Dal 1539 al '42 fu membro del Collegio del referendario utriusque Signaturae, ed il 2 giugno 1542 fu creato da Paolo III cardinale prete col titolo di SS. Giovanni e Paolo.

Tale nomina suscitò disapprovazione in seno al Sacro Collegio: furono infatti sollevate eccezioni sulla moralità del C. che conduceva una vita non proprio conforme ai principi evangelici; aveva anche una figlia ed il suo palazzo romano (l'odierna villa Medici) era noto per essere centro di mondanità e di lusso. D'altra parte sembra che il C., sebbene cardinale da otto anni, ricevesse l'ordinazione sacerdotale solo al momento della sua nomina a legato a Trento e che la sua prima celebrazione eucaristica sia stata la solenne messa dello Spirito Santo di apertura del Concilio.

Il 6 nov. 1542 il C. prese anche il titolo di S. Marcello e assunse il protettorato degli Ordini cistercense ed olivetano; fra il 1542 ed il '43 svolse attività come membro della Signatura Iustitiae, dando prova di zelo e di sapienza giuridica.

Fra le controversie che il C. affrontò è da ricordare quella sollevata dallo scioglimento del monastero di S. Caterina di Borgo Roncate in Milano. Questo, "equiparato ... dalla voce pubblica ad un lupanare" (Chabod, p. 16), era stato unito al convento di S. Caterina di Porta Ticinese, ma la ex badessa Paola Bolla, dopo un primo processo, grazie all'appoggio della nobiltà e di parte dell'alto clero milanese, ottenne che la questione fosse riaperta e riesaminata dal Crescenzi.

In questo periodo divennero sempre più frequenti i contatti fra il C. e Ignazio di Loyola, destinati a trasformarsi in breve in una salda amicizia e collaborazione. Nel luglio 1542 Paolo III gli affidò l'incarico di affrontare e risolvere una controversia, sorta alcuni anni prima, fra Roma e l'inquisitore portoghese: lo stesso Ignazio, dopo aver cercato di sanare il dissidio fra il papa e il re Giovanni III, aveva ritenuto opportuno che la questione fosse sottoposta al Crescenzi. La collaborazione fra quest'ultimo e la Compagnia di Gesù divenne più stretta quando il cardinale si fece promotore di una confraternita per la conversione degli ebrei; successivamente, nel 1546, il papa consultò il C. per un parere risolutivo a proposito del contrasto fra Valentino Barbaran e Ignazio sull'ospizio di S. Marta, fondato dal Loyola. Due anni dopo il C. dette parere favorevole al mantenimento dell'asilo, difendendo, anche in questa occasione, i gesuiti dagli attacchi dei numerosi avversari.

Legato perpetuo di Ravenna e Bologna, l'11 maggio 1543 il C. fu chiamato da Paolo III a far parte della deputazione di cardinali da poco formata per discutere la questione conciliare. La sua posizione si rafforzò negli ultimi anni del pontificato del Farnese: quando, nel 1545, iniziarono le lunghe trattative diplomatiche fra i rappresentanti di Carlo V a Roma, Juan de Vega e Diego de Mendoza, e Paolo III sul problema del Concilio, egli ebbe un ruolo di prim'ordine nella conduzione delle stesse, insieme con i cardinali N. Ardinghelli e F. Sfondrati. Il C., che nel 1546 rinunziò alla diocesi del Marsi per assumere l'amministrazione di quella di Conza, dove per altro non si recò mai, manifestò, fin dai primi momenti delle trattative fra Carlo V e Paolo III, una rigida posizione di difesa dei diritti della S. Sede, in materia sia religiosa, sia politica.

Il 16 apr. 1546 presentò al concistoro una relazione sulle "cose di Colonia", cioè sull'intervento della Curia romana nei confronti dell'arcivescovo di Colonia Adolfo di Schauenburg. Nell'estate del medesimo anno durante una malattia del cardinal Sfondrati: le trattative fra il papa e l'imperatore subirono una svolta decisiva grazie al rigore del C., divenuto il principale interlocutore degli Imperiali. Mentre infatti si doveva procedere ad una raccolta di denaro da chiese e conventi tedeschi per sostenere la guerra contro i confederati di Smalcalda, il C., che vedeva nella politica seguita fino ad allora dal cardinal nepote Alessandro Farnese l'origine del "male pubblico" per la S. Sede, si mantenne "sul duro... parendogli che sua Santità [fosse] mal trattata" (Nuntiaturberichte, IX, p. 249). Fra il 1547 ed il 1548, mentre si dibatteva il problema del concilio e della sua traslazione, si adoperò perché non si arrivasse ad una insanabile rottura fra Carlo V ed il papa. La sua posizione si era delineata chiaramente fin dai primi momenti della discussione: nel concistoro del 31 genn. 1547 egli aveva affermato che la riforma della Chiesa non doveva dipendere dal concilio ma essere promossa dal papa e dalla Curia, per l'onore stesso della S. Sede. Mantenne anche in seguito, quando era legato al concilio di Trento, tali posizioni, espressione della sua formazione curiale, lontana da ogni contatto con la realtà della Chiesa (in tale occasione condannò sia le teorie conciliari, sostenute da una parte del clero spagnolo, sia ogni distinzione gallicana fra il papa e la Curia); sempre nel gennaio 1547, con un discorso in seno alla deputazione dei cardinali per il concilio, il C. aveva negato l'opportunità di pubblicare il decreto sul diritto di giustificazione, divergendo, in questo, dalla stessa opinione del papa. Fu allora che, mentre cresceva la sua influenza nella Curia, egli dovette difendersi dall'accusa mossagli da alcuni cardinali di agire "sopra le teste dei padroni", cioè di Paolo III e del card. Alessandro Farnese. Nel luglio 1547 il C., insieme con i cardinali Farnese, Morone, Ardinghelli e Sforza di Santa Fiora, disapprovò vivamente la condotta dello Sfondrati, troppo disposto a cedere all'imperatore, e ribadì, insieme con altri porporati, l'opposizione al trasferimento del concilio. Nel settembre il C. ed il Farnese condussero ulteriori trattative col Mendoza, discutendo la proposta dell'imperatore che si impegnava, in caso di aggiornamento della sessione conciliare, a non prendere nella Dieta di Augusta decisioni "senza il rispetto e la considerazione per il papa e la partecipazione del suo legato" (Jedin, III, p. 146).

Mentre si faceva più urgente la discussione e la decisione sulla traslazione del concilio (nel giugno erano stati sottoposti ai sei deputati sopra il Concilio., fra cui il C., i quindici dubia sugli aspetti giuridici della traslazione), il C., nel settembre 1547, espose le ragioni per prorogare la prossima sessione dal 15 settembre al 3 novembre, nella speranza dell'arrivo dei cardinali francesi a Bologna; più libero nelle decisioni dopo la morte del cardinal Ardinghelli, cercava in ogni modo di impedire una rottura definitiva fra Carlo V ed il papa, resa quasi inevitabile dopo l'uccisione di Pier Luigi Farnese. La politica del C., era tesa soprattutto a non spezzare equilibri difficili: ad esempio, sulla delicata questione della Presenza dei legati imperiali a Trento, il C., ponendosi in contrasto col papa stesso, sostenne, nell'aprile 1548, le richieste di Carlo V. Ma, nel dicembre del medesimo anno, si adoperò affinché il papa respingesse il progetto dei cardinali Santa Croce e Sfondrati che suggerivano al Farnese di risolvere da solo, con le armi, la questione dei domini di Parma e Piacenza, apertasi con la morte del figlio.

La politica di equilibrio e di avvicinamento fra S. Sede e imperatore, perseguita dal C. in questi anni, sembrò sortire gli effetti desiderati e ottenne appoggio presso la corte di Carlo V. Si deve però osservare come il C. non si dichiarasse mai filo imperiale, ma tendesse piuttosto a presentarsi come politicamente indipendente: in quest'ottica va visto il suo rifiuto di una prebenda offertagli da Carlo V per ringraziarlo del suo operato. È indubbio invece il suo impegno in difesa degli interessi della S. Sede. Nella deputazione per la traslazione del concilio egli sostenne sempre che il trasferimento dell'Assemblea non doveva essere incondizionato, come nei propositi imperiali. Anche sul problema dei legati espresse alcune riserve, pretendendo che fossero autorizzati a usare limitatamente le facoltà di dispensa, soprattutto sulle questioni della comunione sub utraque e del matrimonio dei preti, convinto che una eventuale arrendevolezza su tali punti non avrebbe migliorato i rapporti fra Roma e la Germania. Difese inoltre ad oltranza la causa della famiglia Farnese nella questione di Parma e Piacenza: nel marzo 1548, durante le trattative con Carlo V, pretese che prima si discutesse dei possessi farnesiani contestati e poi dell'invio dei legati al concilio. La sua perizia giuridica permise di superare le difficoltà nell'esame dei documenti e di provare la signoria della Chiesa su Parma e Piacenza, riuscendo ad evitare anche le contestazioni del Mendoza.

Nel conclave seguito alla morte di Paolo III, il C. si schierò col partito filo-imperiale, senza tuttavia impegnarsi troppo per l'elezione del Del Monte. Ma l'esperienza maturata negli anni precedenti, la sua conoscenza del diritto e delle cose diplomatiche, la tenacia con cui aveva tenuto fede alla sua linea politica fecero sì che ben presto anche Giulio III scegliesse il C. fra i suoi più stretti collaboratori, dopo la morte del cardinal Sfondrati.

Nel marzo 1550 il papa confermò la volontà già espressa da Paolo III di riformare la Curia, in particolare la Dataria ed affidò lo incarico di studiare il provvedimento ad una commissione di cardinali di cui faceva parte il C., nominato, nel febbraio del medesimo anno, membro del tribunale dell'Inquisizione romana da poco rifondata. Al C., che aveva vicino Bernardino Maffei, già segretario di Paolo III, vennero affidati tutti i "negozi" per la questione conciliare cosicché a lui si imputava la lentezza che caratterizzava i preparativi per il concilio. Come scriveva il Buonanni, infatti, il C. "per natura et accidente va così tardo nelle espeditioni ch'è uno stento cavarglielo dalle mani", ma, d'altra parte, "S. Santità non può star sanza lui et quand'è seco devon trattar d'ogni altra cosa che de negocii perché di nessuno si sentono espeditioni" (A. Caro, Lettere, I, p. 133).

Nell'ottobre 1550 il C. stese la bozza della bolla di convocazione del concilio; il 5 nov. 1550 Giulio III lo chiamò a far parte di una commissione di quattro cardinali, con il Cervini, il Morone e il Pole per studiare un provvedimento di riforma dell'università romana. Fra la fine del 1550 e l'inizio del 1551 il C. divenne sempre più stretto collaboratore del papa: nei preparativi per il concilio veniva considerato un suo "familiare" e "assunse, in sostanza, il ruolo che, sotto altri papi, era stato quello del cardinal nipote" (Birkner, p. 280). Nominato legato unico al concilio di Trento, l'8 marzo 1551 il C. ricevette la croce di legato e il 10 successivo intraprese il viaggio verso la sede conciliare.

Due giorni dopo, durante una sosta presso il convento di Monte Oliveto Maggiore vicino Siena, ricevette Agostino Bardi, inviato dalla Balia senese per perorare la causa della Repubblica presso il papa. Non ci sono però altre testimonianze in merito all'incontro. Il C. interruppe successivamente il viaggio a Bologna, dove il cardinal Massarelli gli comunicò l'ordine del papa di aprire il concilio il 1º maggio. Partito da Bologna con il marito della figlia illegittima, Filippo Carlo Ghislieri, nobile di quella città, giunse a Trento il 29 apr. 1551.

Con la scelta del C. come legato unico, il papa aveva voluto assicurarsi la direzione unitaria del concilio, ma la posizione del C. divenne sempre più difficile. La sua formazione curiale, la ferma chiusura a ogni istanza di riforma che non partisse dai vertici della Chiesa impressero all'azione del C. un tono autoritario ed intransigente.

Prima di iniziare il dibattito sull'eucarestia, ad esempio, il C. dichiarò solennemente che il concilio doveva limitarsi a condannare l'eresia, non essendo convocato per decidere su questioni controverse. Un giudizio efficace sul C. era espresso dal domenicano Bartolomeo Carranza che, in una lettera al segretario imperiale Francesco Erasso il 13 marzo 1551, diceva: "Egli fa sentire la mancanza di quello zelo che è necessario per corrispondere alle intenzioni che stanno in mente a Sua Maestà; per questo ci vorrebbe un uomo veramente cristiano, che sentisse profondamente la terribile apostasia della fede e il cui comportamento morale offrisse la garanzia che egli sarebbe pronto a impiegare la sua vita per la gloria di Dio" (Concilium Tridentinum, XI, p. 618).

Il C., attenendosi strettamente al principio secondo cui il diritto di proposta spettava solo alla presidenza, venne ripetutamente accusato di dilazionare le proposte di riforma per mantenere più forti le pretese della Curia. Sicuro della fiducia accordatagli da Giulio III, pur contestato da molti settori dell'assemblea perché non consultava i teologi, come avevano fatto gli altri presidenti nel primo periodo, si trovò ad affrontare la difficile questione della presenza dei protestanti a Trento. Anche in questa circostanza egli mantenne la sua rigida posizione, canonisticamente ineccepibile, ma politicamente irrealizzabile, pretendendo che i riformati si sottomettessero alle sue decisioni per essere ammessi al concilio. La sua riluttanza ad ammettere gli "eretici" all'assemblea e la conseguente delusione per la presenza dei medesimi possono spiegare l'assunzione della presidenza da parte del Pighini nella congregazione del 23 genn. 1552.

È stato notato come, all'inizio del 1552, il legato C. si fosse "spezzato interiormente contro l'insolubilità del compito assegnatogli" (Jedin, III, p. 551): l'impossibilità di conciliare l'imperatore col papa; i rimproveri mossigli probabilmente dallo stesso Giulio III per non aver saputo impedire espressioni ostili a Roma da parte protestante e per aver concesso un nuovo salvacondotto generale a teologi e rappresentanti riformati nella quinta seduta conciliare del 25 genn. 1552; il timore di reazioni da parte dell'imperatore, di cui il C. aveva rifiutato la proposta di tenere occupato il concilio con la discussione sul matrimonio, in attesa dell'arrivo dei teologi protestanti; la guerra scoppiata nell'Italia settentrionale che, oltre a ritardare la presenza dei vescovi a Trento, conduceva la S. Sede ad un intervento militare, dal C. sempre apertamente osteggiato, sia per la precaria situazione finanziaria del Papato, sia per evitare una rottura definitiva con Carlo V, tutti questi elementi avevano minato la sicurezza del C. che attendeva decisioni e ordini da Roma per conformare la sua azione ulteriore ai voleri del papa.

Anche la salute del legato cominciava a vacillare: nel febbraio 1552 si manifestarono i primi sintomi del male, divenuto incurabile fra il marzo e l'aprile. La venuta ad Innsbruck di Maurizio di Sassonia e la sospensione del concilio costrinsero il C. e gli altri prelati ad abbandonare Trento. Il 26 maggio 1552 il C. giunse a Verona, dove morì due giorni dopo, nel convento degli olivetani di S. Maria in Organo di cui era protettore.

La salma fu successivamente trasportata a Roma dove l'11 giugno fu solennemente esposta in S. Maria del Popolo, poi tumulata nella tomba di famiglia al Pantheon. Nel 1587 il nipote Marcello Crescenzi eresse un monumento funebre in S. Maria Maggiore facendovi trasportare il corpo.

Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Arm. 40 t. 51, f. 179r; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. Lat. 7160, pp. 280-282; Ibid., Vat. Lat. 14092, pp. 6, 7577, 110, 358-360 (contenenti lettere di Giulio III al C. come, legato di Bologna e legato ap. al Concilio); Arch. di Stato di Siena, Balia, Deliberazioni, n. 141, f. 54r. Sull'azione diplom. svolta dal C. negli anni 1546-48 vedi Nuntiaturberchte aus Deutschland, a cura di W. Friedensburg, VIII, Gotha 1898, ad Ind.; IX, ibid. 1899, ad Ind.; X, Berlin 1907, ad Indicem; XI, ibid. 1910, ad Indicem; XII, a cura di G. Kupke, Berlin 1901, ad Indicem. L'attività del C. al concilio di Trento è documentata in Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diariorum pars prima, I, a cura di S. Merkle, Friburgi Br. 1901, ad Ind.; Diariorum pars secunda, a cura di S. Merkle, ibid. 1911, ad Indicem; Actorum pars quarta, I, a cura di J. Birkner, ibid. 1961, ad Indicem; Epistularum pars prima, a cura di G. Buschbell, ibid. 1916, adIndicem; Epistularum pars secunda, a cura di G. Buschbell, ibid. 1937. Sui rapporti fra il C. e s. Ignazio di Loyola, Monumenta Ignatiana, s. 1, I, Epistulae et Instructiones, Matriti 1903, ad Indicem; II, ibid. 1904, ad Indicem; A.Caro, Lettere scritte a nome del card. Farnese, I, Milano 1807, p. 133; V. Forcella, Iscriz. delle chiese... di Roma, XI, Roma 1877, p. 48. Giudizi sulla personalità del C., in Stanislai Hosii Epist., a cura di F. Hipler-V. Zakrzewski, Cracoviae 1879, p. 211; Briefe von Andreas Masius und seinen Freunden 1538 bis 1573, a cura di M. Lossen, Leipzig 1986, p. 79; P. Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, a cura di G. Gambarin, II, Bari 1935, pp. 69-70, 151-52, 155; C. Erdmann, Die Wiederöffnung des Trienter Konzil durch Julius III, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, XX (1928-29), pp. 238-317; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae..., Città del Vaticano 1931, pp. 93, 100. Fondamentale, fra la bibliografia recente, J. Birkner, Kardinal Marcellus Crescentius, in Römische Quartalschriften, XLIII (1935), pp. 267-285; F. Chabod, Per la storia relig. dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, Bologna 1938, p. 16; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1942, ad Indicem; VI, ibid. 1963, ad Indicem; P.Pecchiai, La scalinata di Piazza di Spagna..., Roma 1942, p. 127; G. Alberigo, I vescovi ital. al Concilio di Trento, Firenze 1959, p. 74; H. Jedin, Die Deutschen am Trienter Konzil, 1551-52, in Historische Zeitschrift, CLXXXVIII (1959), pp. 1-16; C. Gutiérrez, Nueva documentación tridentina (1551-52), in Archiv. Historiae Pontificiae, I (1963), pp. 179-240; H. Lutz, Christianitas afflicta. Europa, das Reich und die päpstliche Politik im Niedergang der Hegemonie Kaiser Karls V (1552-56), Göttingen 1964, p. 176; P. Meinhold, Die Protestanten am Konzil zu Trient, in Il Concilio di Trento e la riforma tridentina, I, Roma-Freiburg 1965, pp. 277-315; A. Walz, Ambrogio Pelargo a Trento, ibid., II, p. 765; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, III, Brescia 1973, ad Indicem; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia cattolica…, III, Monasterii 1923, p. 253.

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