Ugo, marchese di Tuscia

Enciclopedia Dantesca (1970)

Ugo, marchese di Tuscia

Renato Piattoli

Nato intorno alla metà del sec. X da Uberto, amministratore della Tuscia e figlio a sua volta di Ugo re d'Italia, e da Willa figlia di Bonifacio di Spoleto e Camerino, U. fu uno dei principali fautori della politica ottoniana in Italia.

In seguito allo spodestamento del re Ugo a opera di Berengario, Uberto fu privato dei suoi privilegi e mantenne solo il marchesato di Toscana; dopo la dieta di Augusta (agosto 952), il marchese divenne fedele di re Berengario e come tale partecipò alla spedizione contro il cognato Teobaldo marchese di Spoleto. Si ha poi un riavvicinamento di Uberto all'imperatore Ottone I, forse determinato dal matrimonio di sua figlia Waldrada col doge di Venezia Pietro IV Candiano (969-976); si suppone che tale matrimonio fosse stato auspicato e agevolato dall'imperatrice Adelaide. In definitiva però la politica di Uberto non fu mai chiara e determinata, mentre il figlio seguì coerentemente per tutta la sua vita una linea politica favorevole alla casa di Sassonia.

Il primo documento pubblico cui U. intervenne è il diploma dei re Berengario e Adalberto per la Vangadizza (961) nel quale, per quanto fosse ancora in minore età, egli è detto " marchio Thusciae ", benché fosse ancora vivo il padre, che morì fra il 967 e il 970. Durante il regno di Ottone II (973-983) non si hanno quasi notizie dell'attività del marchese di Toscana, ma alla morte dell'imperatore lo troviamo al fianco dell'imperatrice Adelaide per tutelare in Italia i diritti del giovane erede; infatti U., nel 986, assunse il governo delle provincie di Spoleto e Camerino che mantenne fino al 996. Partecipò nella Pasqua del 991 (15 aprile) alla dieta di Quedlimburg, poi seguì la corte fino a Nimega dove decedette l'imperatrice Teofane (15 giugno 991); subito dopo U. fu inviato dall'imperatore contro Capua dove, verso la Pasqua del 993, era stato ucciso il principe Landenolfo. Sistemata questa faccenda, U. sposò, tra l'aprile e il maggio di tale anno, una Giuditta di cui è ignota l'ascendenza, ma che si è supposto consanguinea di Corrado II.

U. fu in stretti rapporti anche con il papa Silvestro II e assecondò la politica vescovile di Ottone III. È del 22 settembre 1001 l'ultimo diploma dell'imperatore che ricordi il marchese vivo: qualche indizio fa supporre che negli ultimi tempi i rapporti fra i due signori si fossero alquanto raffreddati; un seguente diploma dell'8 gennaio 1002 ricorda ancora il marchese, per quanto egli fosse già morto da 18 giorni: spirò infatti il 21 dicembre 1001 a Pistoia e le sue spoglie furono sepolte nella badia di Santa Maria di Firenze, la cui fondazione gli è attribuita, dove ancora riposano nel bellissimo monumento scolpitogli quattro secoli dopo da Mino da Fiesole.

Spirito intimamente religioso, U. patrocinò la riforma cluniacense, sovvenne largamente ecclesiastici singoli ed enti religiosi, fondò e dotò con dovizia di mezzi abbazie: questa sua fervida attività in campo religioso appare strettamente collegata allo spirito della politica ecclesiastica ottoniana. Della sua figura subito si impadronì la leggenda: per primo ce ne ha lasciato larga orma s. Pier Damiano; più ampia e ricca di particolari quella raccolta nel 1345 dal notaio Andrea da Strumi. La tradizione leggendaria, ripresa poi dall'antica storiografia fiorentina, fa U., di origine tedesca (" credo fosse il marchese di Brandimborgo, perocché in Alamagna non ha altro marchesato ", Villani IV 2), uomo eminentemente religioso e fondatore di abbazie. A Firenze in particolare lasciò una vasta impronta: passò infatti lunghi periodi nella città, preferendola a Lucca residenza marchionale, e fece cavalieri membri delle famiglie Giandonati, Pulci, Nerli, Gangalandi, Della Bella (Villani IV 2) e Ciuffagni: stirpi che in suo onore presero il suo blasone addogato rosso e bianco. L'impronta lasciata nella città da U. fu notevole e si perpetuò nei secoli: ne è chiaro specchio la menzione di D. che ricorda appunto il gran barone (Pd XVI 128), titolo che egli ugualmente attribuisce a s. Pietro e a s. Giacomo (XXIV 115 e XXV 17), il cui nome e 'l cui pregio / la festa di Tommaso riconforta (XVI 128-129): qui son ricordate le celebrazioni annuali in memoria dell'antico marchese, fatte in Firenze in occasione della festa di s. Tommaso Apostolo, celebrazioni che si perpetuarono nei secoli fino a epoca recente.

Bibl. - A. Falce, Il marchese U. di Tuscia, Firenze 1921.

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