BATTAGLI, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BATTAGLI, Marco

Ottavio Banti

Nacque a Rimini, nella contrada di S. Agnese, nel primo decennio del sec. XIV, da Pietro, di famiglia oriunda da Borgazzano che si era inurbata nella seconda metà del sec. XIII. Appena adolescente, andò a Coimbra, insieme col suo zio paterno Gozio, che era professore di diritto in quella università, e vi rimase per circa cinque anni tra il 1318 e il 1323. Non sappiamo con sicurezza - anche se è abbastanza probabile- se in questo tempo il B. frequentasse lo studio di Coimbra come scolaro: certo è, però, che in quella città fece i suoi studi e si provvide di una notevole cultura, forse più letteraria che giuridica. Abbandonò Coimbra nel 1323, per quanto malvolentieri, per seguire ad Avignone lo zio che, dopo essere stato per qualche tempo preposto della chiesa di Carpentras e quindi cappellano apostolico di papa Giovanni XXII, il 14 giugno 1335 venne investito da Benedetto XII della dignità di patriarca di Costantinopoli è tre anni dopo (18 dic. 1338) anche di quella di cardinale. Il B., però, nel frattempo era ritornato in Italia, a Rimini (ove la sua presenza è documentata dal 1338) e ivi, poco dopo, si accasò sposando Costanza di Uguccione Faitani. In questo periodo le poche notizie che ci rimangono di lui attestano che egli prese parte alla vita politica della sua città ove fu eletto più volte a far parte del Consiglio cittadino; ma non sembra che i pubblici incarichi l'abbiano allontanato dalle sue private faccende mentre i suoi rapporti con i Malatesta signori di Rimini furono probabilmente buoni. Scampato alla terribile pestilenza del 1348 ed ereditata parte della sostanza dello zio Gozio, nell'anno giubilare 1350 (l'occasione è significativa), in parte per l'ammirazione che sentiva per la civiltà antica, che aveva appreso ad amare attraverso la lettura degli autori classici, ma soprattutto per il desiderio di riandare col pensiero a quel passato che egli giudicava migliore dell'età sua e trarne motivi di ammaestramento, si indusse a raccontare le vicende dell'umanità, dalla creazione del mondo fino agli avvenimenti a lui contemporanei.

E infatti l'opera, in cinque libri, che egli, dal suo nome di battesimo, nel proemio, intitolò Marcha (così come era detta Martiniana una delle sue fonti principali: la Cronaca di Martino di Troppau), ha un evidente intento morale, soprattutto nei primi quattro libri, a cui meglio si addice il giudizio di schematica compilazione ("opusculum quod de Biblia et multis libris et cronicis, tamquam florem, compilavi") che l'autore stesso le attribuì. È vero, d'altra parte, però, che, via via che si avvicina agli avvenimenti contemporanei, il B. dimostra un interesse più vivo e più immediato per la materia trattata ed il racconto si fa più particolareggiato e quasi si sminuzza in forma di brevi monografie di personaggi e di casate signorili (la Marcha fu edita da A. F. Massèra in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVI, 3).

Il linguaggio latino in cui il B. si esprime, e che lascia da ogni parte quasi trasudare il volgare su cui è coniato, è tuttavia ricco di citazioni di classici (Orazio, Ovidio, Giovenale, Orosio, Tito Livio, Svetonio, ecc.) e di autori medievali, che stanno a dimostrare in lui una assai vasta e varia cultura; in essa. hanno larga parte (come appare spesso dalle espressioni e dai concetti) la Bibbia e le opere dell'Alighieri. La sua prosa inoltre, sparsa com'è di sentenze e di gravi riflessioni, rivela nell'autore un uomo di nobili e profondi pensieri e di severa coscienza morale da cui è indotto ad assumere atteggiamenti e ad esprimere giudizi che danno all'opera storica un carattere prevalentemente moralistico. Da ciò deriva l'aperta condanna della società a lui contemporanea, specie di quegli ecclesiastici che erano troppo attratti dal possesso dei beni mondani.

Il B. iniziò la composizione della Marcha nel 1350 e quattro anni gli occorsero per giungere a narrare gli avvenimenti del 1354. Negli ultimi mesi di quest'anno egli decise di por fine al suo lavoro desiderando dedicarlo a Carlo IV di Boemia da lui, come in genere dai suoi contemporanei, molto ammirato per le speranze di rinnovamento che egli aveva fatto rifiorire in occasione della sua venuta in Italia. È probabile che l'opera venisse anche consegnata personalmente dal B. all'imperatore, mentre questi si trovava in Pisa, forse il 9 maggio 1355.

La presenza del B. in Rimini è ancora attestata da atti privati nel 1359, 1368, 1370. Non conosciamo la data esatta della sua morte che avvenne sicuramente prima del 1376

Bibl.: A. F. Massèra, prefazione alla Marcha, in Rer. Italic. Script., 2 ediz, XVI, 3, pp. X-XIII (con ampie indicazioni di fonti e bibl.).

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