BRAGADIN, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BRAGADIN, Marco

Hatto Kallfelz

Apparteneva a una famiglia greco-cipriota di nome Mamugnà, che, in conformità con l'uso veneziano in voga, deve avere assunto il cognome di Bragadin in omaggio alla protezione dell'eroe veneziano Marcantonio Bragadin. Nel corso della sua vita il B. lasciò cadere del tutto il suo cognome di origine e si fece chiamare solo con il nome della famosa famiglia patrizia.

Nacque a Cipro da Antonio Mamugnà in data imprecisata, ma tra il 1545 e il 1551, secondo un'indicazione del Villamont, che lo conobbe a Venezia nel 1590. Dopo la caduta dell'isola nelle mani dei Turchi nel 1570, emigrò insieme con la famiglia a Venezia. Verso il 1574 risulta in stretti rapporti con il prestigiatore e chiromante Girolamo Scotto (Hieronymus Scotus), che si occupava anche di alchimia e dal quale deve aver appreso i primi rudimenti della sua futura attività. Nel 1574, poco dopo la visita del re di Francia Enrico III a Venezia, lasciò la città con denaro preso a prestito e la coscienza, a quanto pare, non del tutto pulita. Secondo la testimonianza di Celio Malespini riapparve "nel passato contagio della inclita città di Vinegia" (1575-76) a Firenze, dove ottenne il favore di Bianca Capello, più tardi moglie del granduca Francesco. Al Malespini, nella cui casa soggiornò non senza abusare della sua ospitalità, fornì il soggetto per una novella.

Per gli anni successivi, fino a quelli della sua maggiore fortuna come alchimista, i dati biografici restano ancora piuttosto scarsi e confusi. Certo è che egli si trasferì da Firenze, dove era oppresso dai creditori, a Roma, per entrare in seguito nell'Ordine dei cappuccini. Raccomandato da Bianca Capello al cardinal Giulio Antonio Santori, fu presentato al papa Gregorio XIII. Ad entrambi i principi della Chiesa spillò molto denaro. La circostanza che egli, secondo testimonianze più tarde, commise questi imbrogli in qualità di frate lascia supporre che sia entrato in convento, in ogni caso prima della morte di Gregorio XIII, avvenuta nel 1585. Dopo aver preso gli ordini, ma ancora senza i due più alti gradi, abbandonò segretamente il convento e fuggì dall'Italia. Riparò prima in Francia, dove si spacciò per fratello della sultana Cecilia Baffo e imbrogliò molta gente, quindi in Inghilterra e nelle Fiandre. Rientrò in Italia al più tardi nel 1588 per stabilirsi a Lovere sul lago d'Iseo, dove visse inizialmente nella più assoluta oscurità: una notte del luglio 1589 la sua casa fu circondata da emissari armati del bargello di Bergamo che dovevano arrestarlo per conto dell'Inquisizione come ex cappuccino. Si salvò con un pericoloso salto dalla finestra e si rifugiò a Torbiato, quindi a Brescia. In conseguenza di questo incidente si vide costretto, come ebbe a dichiarare egli stesso, a cambiare il suo stile di vita, a circondarsi di molta gente e a sostenere molte spese per la sicurezza della propria vita. Le sue spese eccessive suscitarono la meraviglia generale e presto si diffuse la voce, confermata da lui stesso prima a una piccola cerchia di conoscenti fidati poi pubblicamente, che egli possedeva il vero segreto di fare l'oro.

Amava definire la sua arte come una grazia particolare del cielo, affermava di sapere "cavare l'anima dell'oro" dal mercurio e di saperlo moltiplicare, di possedere infine l'anima dell'oro sotto forma di una polvere che chiamava anche medicina. Questa polvere, come pure un "oro potabile perfetto" da lui prodotto, soleva impiegare anche a scopi terapeutici. Metteva di tanto in tanto alla prova la sua arte alchimistica offrendo, a una piccola cerchia di testimoni, la possibilità di controllarla. A detta di essi egli metteva in un tegame del mercurio, aggiungeva un po' della sua polvere e una sostanza di nessun valore che somigliava alla cera, quindi faceva cuocere il tutto per un certo tempo. Una volta scodellato l'impasto che ne risultava, invitava gli astanti a farne l'analisi. Sono conservate due analisi ufficiali della Zecca veneziana che qualificano il metallo una volta come una lega di un quarto di argento e tre quarti di oro, e una seconda volta come un terzo di argento e di rame e due terzi di oro. Fra i primi suoi ammiratori furono il potente condottiero Alfonso Piccolomini e il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, che si recò personalmente a trovarlo a Torbiato e a Brescia e gli affidò una grande quantità di oro per moltiplicarla. Nella persona di Giacomo Alvise Comaro di Padova, nipote del noto Alvise Cornaro, il B. trovò il suo più devoto amico ed estimatore. A lui si aggiunse ancora il benemerito generale veneziano Marcantonio Martinengo conte di Villachiara, che diventò il suo zelante protettore e fautore presso il governo della Repubblica di Venezia.

Della sua attività di alchimista il governo veneziano era stato informato per la prima volta da Brescia con una lettera del 16 ott. 1589 inviata da un informatore non identificato. Influenti patrizi veneziani come Nicolò Dolfin e Giacomo Contarini si dichiararono in suo favore, cosicché fu deciso di invitarlo a trasferirsi a Venezia. Il salvacondotto da lui richiesto gli fu concesso il 30 ottobre con il voto favorevole della stragrande maggioranza del Consiglio dei dieci. Il 20 novembre partì da Brescia con una forte scorta militare e il 26 fece il suo ingresso a Venezia. Quivi era atteso con le maggiori speranze. Il governo mise a sua disposizione una residenza principesca, il palazzo Dandolo sulla Giudecca, dove il B., circondato da numerosi amici e assistito da una folta servitù, continuò a ostentare una vita lussuosa. Gli amici poterono vedere a casa sua vasellame d'argento e d'oro, "sacchetti di denari" e "alquante lastre d'oro alte un grosso ditto et assai longhe". In tal modo egli si conquistò all'inizio le simpatie dei più influenti patrizi. "Molti huomini honorati, con speranza che paghi i loro debiti, lo seguono, corteggiano et quasi l'adorano; il minor titolo che gli danno è d'Illustrissimo" (cfr. Lettere familiari del signor Giovanni Bonifacio, Rovigo 1627, pp. 231 s.). Gli "avvisi" diffusero il suo nome per tutta Europa: persino a Costantinopoli la vicenda del B. sembra essere stata seguita con attenzione. Egli promise di lavorare per la Repubblica di Venezia e per il doge, suo "principe naturale", e di volerla arricchire in una misura mai vista. Per provare la sua buona volontà depositò presso la Zecca la sua polvere e una copia della sua ricetta segreta. Dopo che una prima analisi dell'oro da lui prodotto ebbe risultato positivo, la competenza del suo caso fu trasferita il 7 dicembre dal Consiglio dei dieci al Senato. Alle sollecitazioni del Senato di iniziare ormai il lavoro in grande stile, egli replicò con una serie di tergiversazioni; quando infine una nuova prova, eseguita la sera del 6 genn. 1590 nel palazzo ducale alla presenza del doge Pasquale Cicogna e di altri personaggi altolocati, ebbe ancora una volta esito positivo, il governo fece pressioni ancora maggiori per indurlo a iniziare il lavoro immediatamente.

Il miracolo sperato non ebbe però mai luogo. Presto ci si accorse con meraviglia che l'alchimista cominciava a risparmiare l'oro. L'estimazione pubblica cominciò a venirgli meno e la poesia popolare, che sin dall'inizio si era occupata attivamente di lui, assunse un tono sempre più ironico e infine addirittura minaccioso. Durante la mascherata in gondola del carnevale egli fu schernito da giovani nobili, muniti di alambicchi, soffietti e altri arnesi del gabinetto alchimistico, che offrivano un soldo per tre lire. Appena iniziarono a molestarlo anche i suoi creditori, il B. si eclissò segretamente da Venezia, poco prima del 21 marzo 1590, per installarsi prima nella villa di Codevigo degli amici Cornaro poi, dal 18 maggio, nel loro palazzo a Padova. Il governo veneziano non fece alcun serio tentativo per impedire la sua fuga. Il 6 agosto il B, poté così lasciare Padova, fingendo di allontanarsi per una semplice cavalcata. A Belvedere si congedò dal suo seguito e, accompagnato solo da due servi, si diresse per Bassano e Innsbruck verso la Baviera.

A Landshut si presentò al duca Guglielmo V di Baviera, il quale, consigliato dal suo agente veneziano Alessandro Crispo, già da parecchio tempo aveva mostrato interesse per lui. Alla sua corte il B. trovò la favorevole accoglienza che aveva sperato, acquistando in breve tempo la piena fiducia del duca, che seguì il 18 ottobre da Landshut a Monaco, dove fu ospitato nel suo stesso palazzo. Curò il duca malaticcio con decotti di erbe e gli fece balenare la speranza di procurargli grandi quantità di oro in un futuro assai prossimo. Da vari luoghi fece venire costose macchine, alambicchi, sostanze chimiche e minerali di ogni sorta "per una grande et bona filosofia" che intendeva introdurre in Baviera. Per il suo seguito di circa quaranta persone venute in gran parte da Padova provvedeva generosamente la cassa ducale. Fra di esse era la sua amante Laura Canova, vedova Vilmerca. Il maggior desiderio suo e del bigotto duca di Baviera era quello di eliminare l'ostacolo che si frapponeva alla celebrazione del matrimonio con Laura. Per ciò furono riprese le trattative con la Santa Sede, iniziate già a Venezia dal B., ma poi lasciate cadere, per ottenergli la dispensa dai voti. Di esse fu incaricato l'agente del duca a Roma mons. Minuccio dei Minucci. Questi, di ritorno da una visita in Germania, nei mesi di novembre e dicembre del 1590 passò per Venezia, Padova e Firenze, dove raccolse con zelo informazioni sul favorito del duca di Baviera. Le rivelazioni e gli ammonimenti inviati dal Minucci a Monaco suscitarono i primi dubbi nel duca. Nello stesso tempo si costituì a corte per iniziativa dei gesuiti un potente partito che lavorava sempre più apertamente alla rovina del Bragadin.

Le vicende, che a partire dall'inizio del 1591 portarono al suo arresto, restano piuttosto oscure.

Sembra certo che il duca esitò a lungo prima di abbandonarlo alla sua sorte. Il 24 marzo 1591 egli fu arrestato insieme con il suo seguito. Per suo desiderio gli furono concessi confessori appartenenti alla Compagnia di Gesù, fra i quali il famoso Gregorio di Valenza, che interruppe l'insegnamento all'università di Ingolstadt per recarsi a Monaco. Il B. si mostrò ai padri della Compagnia profondamente pentito e animato da un'insospettabile fiducia nella grazia divina. Confessò senza esitazioni "che non ha mai saputo fare niente in exanimar l'oro, né fare proiitione in oro né simil cosa del mondo, e che tutto erano inganni e destrezza di mano". Dato che egli assunse su di sé tutta la responsabilità, il suo seguito fu rimesso in libertà e allontanato da Monaco alla spicciolata.

Con la sua completa confessione, il B. si salvò dalla tortura, ma non dalla punizione. La sentenza fu motivata con la colpa di avere truffato grandi somme di denaro in vari paesi a principi e private persone sotto il pretesto di sapere fabbricare l'oro. La forca, prevista di solito per i crimini dei quali egli si era macchiato, gli fu commutata per grazia del duca nella decapitazione. Il 25 apr. 1591 fu privato ufficialmente degli ordini religiosi e il giorno successivo fu decapitato con la spada nel mercato del vino (oggi Marienplatz) a Monaco, davanti a un'immensa folla di curiosi accorsi da ogni parte. Nel luogo dell'esecuzione fu eretta una forca rossa, dalla quale pendevano corde di falso oro, per simboleggiare la pena alla quale egli era stato condannato e il motivo per il quale l'aveva meritata. Non è noto dove fu seppellito.

La vicenda del B. cadde in un decennio straordinariamente ricco di alchimisti, ma si radicò più di ogni altra nella fantasia dei contemporanei. Di piccola statura, solido e tarchiato, di pelle scura e capelli nerissimi, portava baffi e pizzo e con gli occhi neri assai espressivi esercitava una forte suggestione su coloro che lo avvicinavano. Amava la buona compagnia, i piaceri della tavola e il gioco; era ottimo conoscitore e grande estimatore di cavalli e cani di razza. I suoi due alani neri, con i quali usava mostrarsi in pubblico e che secondo una tradizione, piuttosto incerta però, sarebbero stati giustiziati con lui, furono ritenuti da taluni emissari del diavolo e suoi collaboratori nell'attività magica. Inspiegabile restò per i contemporanei l'origine della ricchezza che attirò l'attenzione su di lui durante il soggiorno a Torbiato e a Brescia e gli procurò la fama di un esperto alchimista. Corse voce che, ricevette una volta ingenti somme da Bianca Capello, ma la notizia non ha trovato fino ad ora alcuna conferma. Alla sua morte deve aver lasciato un patrimonio pressoché insignificante. Alcuni suoi ammiratori conservarono anche dopo la sua morte la convinzione che egli fosse veramente padrone dell'alchimia, dubitando della verità della sua confessione e sospettando il duca di Baviera di essersi sbarazzato di lui per appropriarsi del suo segreto. La maggior parte dei contemporanei però accettò con soddisfazione la sua condanna come una giusta punizione per la vita sbagliata di un imbroglione senza scrupoli.

Un ritratto contemporaneo del B. (una tela a olio) si conserva nella collezione del castello Ambras presso Innsbruck, con il numero d'inventario GG 7963.

Fonti eBibl.: I fondi archivistici più importanti relativi alla vicenda del B. si conservano in Archivio di Stato di Venezia, Secrete, materia mista notabile, 56 e 57; München, Bayerisches Hauptstaatsarchiv, Oefeliana, fasc. 88-93; München, Geheimes Staatsarchiv, Kasten schwarz, n. 266/10 e n. 311/3 e 4; Vienna, Österreichische nationalbibliothek, cod. Vindob. 6251 e 6738. Queste fonti archivistiche sono state pubblicate insieme con altre testimonianze sparse, poesie, canzoni popolari ed estratti da pubblicazioni antiche e recenti (fino al 1925) quasi integralmente da I. Striedinger, Der Goldmacher M. B., München 1928, Appendici nn. 1-473, pp. 147-373.

Poesie e altri prodotti della poesia popolare anche in A. Pilot, L'alchimista M. B. a Venezia, in Pagine istriane, III (1905), pp. 206-222. Fra i più antichi stampati hanno particolare valore documentario: Les voyages du Seigneur de Villamont, Paris 1595, III, cap. 18; G. N. Doglioni, Historia venetiana, Venezia 1598, pp. 976 s.; C. Malespini, Ducento novelle, Venezia 1609, II, pp. 288-294; A. Morosini, Degli stor. delle cose veneziane, VII, Venezia 1720, pp. 106-108; I. Agricola, Hist. provinciae Societatis Iesu Germaniae superioris, 2, Augsburg 1729, pp. 20-22. Per la bibliografia più recente sono da ricordare: E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 569 ss.; B. Cecchetti, Un alchimista a Venezia, in Archivio veneto, I (1871), pp. 170-172; H. Brown, Studies in the history of Venice, London 1907, II, pp. 181 ss.; I. Striedinger, cit., pp. 1-144; H. Kallfelz, Der zyprische Alchimist M. B. und eine florentiner Gesandtschaft in Bayern im Jahre 1590, in Zeitschrift für bayerische Landesgeschichte, XXXI (1968), pp. 475-500.

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