CONTARINI, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Marco

Renzo Derosas

Nacque a Venezia il 18 ag. 1708, unico figlio di Marco di Pietro e di Caterina Comer, del procuratore di S. Marco Francesco di Nicolò. Sposatosi il 31 genn. 1727 con Paolina Contarini, dei procuratore Alvise di Piero, ne ebbe quattro figli: Alvise (I), che divenne abate; Pier Maria (detto Alvise II), che fu cavaliere e procuratore di S. Marco e sposò nel 1758 Maria di Gerolamo Venier; Caterina ed Elena, maritate rispettivamente a Giovanni Grimani di Antonio e a Tommaso Mocenigo di Tommaso.

Questo ramo dei Contarini, detto "Piazzola" dalla località del Padovano che sin dal XV sec. possedeva pressoché interamente, portata in dote da Maria di Iacopo da Carrara, e dove sorge tuttora la splendida villa cinquecentesca della famiglia, costituiva certamente una delle famiglie di maggior rilievo, per prestigio e ricchezza, di tutto il patriziato. Le voluminose "condizioni" presentate dal C. per il campatico del 1722 e per la redecima del 1740 offrono un'efficace immagine delle dimensioni del suo patrimonio, costituito da una proprietà fondiaria di oltre 4.000 "campi", quasi 2.000 ettari, variamente distribuita tra il Padovano, il Dogado, il Trevigiano e il Vicentino, assieme ad un gran numero di case e botteghe a Venezia, che fruttavano una rendita annua dichiarata di circa 16.000 ducati.

Il C. fece il suo esordio nel servizio pubblico piuttosto precocemente, nell'ottobre del 1731 con l'elezione a savio agli Ordini, una carica generalmente riservata al tirocinio dei giovani patrizi destinati alle carriere più prestigiose. Fu certamente per lo stimolo di questo primo impatto diretto con la vita politica - in coincidenza con le tensioni internazionali innescate dalla guerra di successione polacca - che il C. pensò di dar conto del "principio e serie delle presenti emergenze d'Italia" in un fittissimo diario, evidentemente modellato sull'esempio del Sanuto, che però non riuscì a protrarre oltre la metà del 1734. Già nell'aprile di quell'anno, infatti, egli veniva prescelto per la podesteria di Vicenza, un incarico di rilievo data anche l'età dei C. - la minima richiesta dalla legge - aggravato inoltre dalla responsabilità di dover supplire alle funzioni del capitano, giacché l'ormai costante insufficienza di personale politico costringeva sovente il governo veneziano a concentrare nelle mani di un unico rettore le due mansioni.

Ricevute il 17 ottobre le consegne da Girolamo Comer, il C. seppe bene affrontare, nonostante l'inesperienza, i numerosi problemi posti dalla gestione di un sistema politicoamministrativo tanto farraginoso quanto labile e inefficiente, attenendosi ad una condotta di equilibrio e moderazione che, senza neppure la prospettiva di soluzioni radicali, si contentava di eliminarne le distorsioni e gli abusi piu evidenti - nella relazione al Senato rivendicherà appunto a suo merito di "avere minorati in qualche parte i disordini, quando l'intieramente impedirli era impossibile" - e di rivendicare almeno in linea di principio il rispetto di talune esigenze essenziali di governo.

È significativo, a questo proposito, il suo atteggiamento nei confronti delle varie questioni inerenti all'amministrazione del territorio, dal controllo sui sindaci e i governatori, all'imposizione fiscale, al contrabbando. Rimasta "giacente" - "per la solita fattalità de' grandi affari" - l'inchiesta avviata sulla complessa struttura istituzionale del contado e delle Comunità, il rettore si sforzò però di frenare gli abusi dei sindaci, vagliandone con rigore le richieste di imposizione di nuove colte, che erano all'origine del grave indebitamento delle Comunità, e recuperando parte delle somme raccolte illecitamente negli anni passati; tuttavia la questione centrale dei sistemi di controllo, di rotazione e di contumacia per queste cariche tanto delicate - pur lucidamente individuata - non sembrava sollecitare alcun intervento diretto, quasi fosse fatalmente impermeabile ad ogni tentativo di regolamentazione.

Altrettanto può dirsi per il problema della evasione generalizzata dai dazi, che ne rendeva sempre più problematico l'appalto costringendo al ricorso alla svantaggiosissima gestione diretta. Di fronte alle dimensioni di massa dei fenomeno, gli sporadici interventi del rettore - come l'arresto dei governatori di Recoaro e Roveggiano "dove non sono avvezi a vedere la giustizia" - non intendevano avere che uno scopo puramente dimostrativo. Dei resto, erano tali il peso e l'intrico dei balzelli gravanti, ad esempio, sull'industria della seta, che lo stesso C. riconosceva irresistibile il ricorso al "defraudo" del dazio e il conseguente trasferimento dei fornelli nelle zone montuose, inaccessibili alla forza pubblica. Ancor più clamoroso, da questo punto di vista. era il caso della coltivazione clandestina di tabacco, cui interi villaggi, in particolare quello di Campese, si dedicavano alacremente, decisi a respingere "coll'uso di qualche tumultuaria sollevazione" ogni velleità di controllo o di intervento; e anche qui il C., mentre deprecava tale "ostinato scandaloso libertinaggio", non andava poi oltre, sul piano della repressione, alla fortunosa cattura di due abitanti praticata nottetempo da una nutrita squadra di guardie, peraltro subito poste in fuga dalla popolazione.

Una cautela dello stesso segno può cogliersi negli interventi dei C. in materia annonaria, da cui dipendeva in gran parte la tranquillità sociale della città. Il regolare approvvigionamento del mercato urbano era minacciato dalla frequenza delle inondazioni che bloccavano il lavoro delle macine, ma ancor più dalla riluttanza dei proprietari di condurre in città le quote cui erano tenuti per legge. Se per la prima questione il C. non aveva potuto che sollecitare la ripresa dei progetti di sistemazione del Bacchiglione, da anni bloccati al Senato. per la seconda aveva provveduto indirizzando all'acquisto di fondi di riserva delle somme giacenti al Monte di pietà, utilizzandoli poi quando il malcontento popolare si faceva preoccupante: una condotta la cui assennatezza risultò evidente quando nel 1736 il suo successore Benetto Civran, di fronte ai consueti ammanchi nelle condotte, reagì invece intimando ai proprietari il rispetto dei loro obblighi, sotto la minaccia di gravi pelie. Sollecitato dal Senato ad esprimere il suo parere in merito, dopo le polemiche subito divampate a Vicenza e a Venezia, il C. criticò duramente il provvedimento come inutilmente punitivo verso i proprietari, insistendo in generale sulla necessità per i rettori di attenuare i contrasti sociali senza ricorrere a strumenti autoritari e a regolamentazioni troppo rigide e minuziose e permettendo dunque che tacitamente si instaurassero i necessari margini tra la norma e la pratica.

A questo stesso realismo, a tratti sconfinante nella rassegnazione, si attenne il C. quando nell'estate e nell'autunno del '35 le truppe imperiali, firancesi e spagnole si attestarono in territorio vicentino: né del resto, data Pimpotente neutralità veneta, egli avrebbe potuto reagire diversamente alle requisizioni quotidiane e talvolta alle violenze ai danni della popolazione, costretto solo allo sconfortante auspicio che i soldati di volta in volta in arrivo fossero "d'indole migliore" di quelli appena partiti.

Conclusa nel febbraio del '36 la podesteria, il C. diradò alquanto il suo impegno negli uffici pubblici. Dal maggio '36 al settembre '37 fu uno dei tre Officiali ai dieci offici, e nel marzo del '38 venne eletto tra i Dieci ai dieci savi in Rialto. Nel luglio del '38 ottenne bensì l'elezione alla podesteria di Bergamo, ma ne richiese subito la dispensa, attestando la precarietà del suo stato di salute e ricordando i meriti di recente acquisiti a Vicenza "nelle spinosissime congiunture deIl'Estere Armate". Egualmente riuscì ad evitare, come del resto molti altri che erano stati eletti in quell'occasione, l'incarico della podesteria di Verona, che gli era stato affidato nel dicembre dello stesso anno. Fu dunque solo nel marzo del '42 che ritornò ad una carica di rilievo, andando ad Udine nelle vesti di luogotenente della Patria del Friuli.

Anche in questa sede il C. indirizzò la sua azione verso i consueti nodi dell'amministrazione locale: i dazi in primo luogo, con l'usuale accanita ricerca di appaltatori e l'arresto di qualche ministro responsabile di intacchi; i Monti di pietà, anch'essi gestiti in modo tutt'altro che cristallino; l'esazione delle imposte, dimostrandosi peraltro sempre disposto a far proprie le petizioni di sgravi ed esenzioni formulate dalla contadinanza, di cui descrive con reale partecipazione le condizioni di vita miserevoli e l'accentuato processo di proletarizzazione che ne ha colpito larghi strati. Ma a dominare in tutti i suoi dispacci sono le notizie relative ad un grave incidente di frontiera tra i sudditi veneti di Auronzo e i Tirolesi di Dobbiaco, scaturito da una contesa per l'uso dei pascoli di Misurina e subito degenerato in incursioni, violenze, sequestri reciproci di animali e persino di ostaggi; né le trattative instaurate a livello di rappresentanti locali, prive della necessaria autorevolezza, riuscirono per lungo tempo a tradursi efficacemente in un'opera di pacificazione, soprattutto per il rifiuto dei Tirolesi di procedere a qualsiasi rifusione dei danni provocati.

La questione era ancora lontana da una soluzione quando il C., nel febbraio del 2 43. ottenne di rientrare a Venezia per prepararsi adeguatamente all'ambaàceria alla corte di Vienna, alla quale era stato eletto sin dal settembre, ed è appunto solo in questa nuova veste che, nel giugno del '44, potrà vederne la conclusione.

Giunto a Vienna ai primi di gennaio del 1744, il C. si trovò alle prese con l'abituale nutrito contenzioso corrente tra Venezia e lo Impero, che andava dalle questioni confinarie, come appunto quelle di Auronzo, di Recoaro, del Friuli, nella cui definizione poté giovarsi dell'esperienza diretta di quelle province, ai contrasti sul patriarcato di Aquileia; dalla pirateria ai passaggi di truppe imperiali in territorio veneto, talvolta nonostante i divieti posti dai provveditori alla Sanità, o persino senza avvisarne le autorità veneziane. Ma naturalmente al centro del suo interesse erano le vicende diplomatiche connesse "all'universale combustione d'Europa", cioè alla guerra di successione austriaca, e in particolare ai riflessi sulla situazione italiana del trattato di Worms, pubblicato proprio nei giorni dell'arrivo dei C. a Vienm. Ma la minuzia dell'informazione, il vaglio critico delle fonti, l'acume di cui l'ambasciatore dà prova, cogliendo ad esempio con chiarezza le implicazioni finanziarie e commerciali della guerra, non valgono a cancellare l'impressione di una sorta di dissimulato imbarazzo, per la coscienza della completa impotenza della Repubblica, vanamente mascherata negli abiti più decorosi di una rigorosa neutralità. Sempre attento a lasciar cadere ogni accenno all'opportunità di una qualche forma di coffivolgimento di Venezia, rivoltogli di tanto in tento dai ministri di Maria Teresa, il C. saprà anche trovare uno scatto d'orgogho, rivendicando, ad uno di loro che provocatoriamente la metteva in dubbio, l'inviolata autonomia politica del governo veneziano nella sua opzione di neutralità, che non era stata imposta dalle circostanze, bensì "scielta con libero e spontaneo voto di perfetto consiglio dell'Ecc.mo Senato"; ma prudentemente egli troncava qui lo imbarazzante colloquio, quasi a prevenire la umiliazione di ulteriori sarcasmi.

Anche questa missione del C. si concluse comunque anzitempo. A pochi mesi dall'entrata incarica, le pessime condiziom di salute lo costringevano difatti a chiedere di essere al più presto licenziato. Il 2 settembre ottenne, con la nomina a cavaliere di S. Marco, il permesso di rientrare, e partì subito per Venezia, lasciando il segretario Pietro Vignola a sbrigare gli affari correnti. Dopo una lunga sosta a Padova, per rimettersi in forze, presentò il 20 novembre al Senato un diligente resoconto dei più recenti eventi europei, sforzandosi di mettere in luce l'intima correlazione che, sul piano politico, li legava l'unoall'altro; quanto alla corte asburgica, campeggia incontrastata nella sua relazione la figura di Maria Teresa, per la quale il C. - non unico del resto tri gli ambasciatori veneziani a subire il fascino della grande regina - esprime una ammirazione incondizionata, mentre pochissimo spazio è riservato al granduca e ai ministri del suo gabinetto.

Il precipitoso rientro da Vienna non valse però a preservare la salute del Contarini. Abbandonata ormai definitivamente la vita politica, si ritirò nella villa di Piazzola, dove morì l'11 nov. 1746.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storiaveneta, 18: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, c. 455; Ibid., Avogaria di Comun, Libro d'oro nascite, reg. 63, c. 82v, e, per la nascita dei figli, reg. 64, cc. 85, 87v; Ibid.. Avogariadi Comun, Libro d'oro matrimoni, reg. 94, c. 72; Ibid., Dieci savi alle decime, busta 329, n. 817; busta 607, n. 267; il testamento della moglie: Ibid., Cancell. Infer., Miscell. testamenti, Notai diversi, busta 31 c, n. 3705; la notizia della morte: Ibid., Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 934, c. n. n., 12 nov. 1746; Ibid., Segretario alle voci, Maggior Consiglio, reg. 27, cc. 19, 24, 149, 188, 192, 207; Ibid., Segret. alle voci, Pregadi, reg. 22, c. 31v; reg. 23, cc. 12v, 77; l'esenzione dalla podesteria di Bergamo: Ibid.. Maggior Consiglio, Deliberaz., reg. 48, e. 158v; Ibid., Senato, Secreta, Dispacci rettori, Vicenza, f. 94; Ibid., Capi dei Consiglio dei dieci, Lettere rettori, busta 182 (Udine), nn. 261-268; busta 245 (Vicenza), nn. 282-298; busta 246 (Vicenza), nn. 1--79; Ibid., Senato, Secreta, Dispacci ambasciatori, Germania, ff. 247-249; Ibid., Sonato, Secreta, Disp. amb., ExpulsisPapalistis, ff. 27-28; un dispaccio datato 7 marzo 1744: Ibid., Consultori in iure, busta 573 bis; Ibid., Senato, Corti, reg. 120, cc. 230-302 passim;reg. 121, cc. 1-294 passim. Ildiario del C. per il 1733-34 è nella Bibl. naz. Marciana di Venezia, Mss. It., cl. XI, 1187 (= 7363); la relaz. della podesteria di Vicenza, sfuggita agli editori delle Relaz. dei rettori ven. in Terraf., è Ibid., Mss. It., cl. VII, 980 (= 8960); Ibid., Mss. It., cl. VII. 1070-1071 (= 8677-8678): registro delle ducali e altre lettere e documenti al C. ambasciatore a Vienna; 1072 (= 8679), reg. dei dispacci al Senato del C. ambasciatore a Vienna; 1073 (= 8076): regesto e indice dei nn. 1070-1072; 1074 (= 8077): copie degli inserti ai dispacci dei C.; 1075 (= 8714): relaz. della corte di Vienna; 1118 (= 8850): copie di documenti della Cancelleria segreta ad uso del C. ambasciatore a Vienna 1170 (= 8968): rifornimenti alle truppe estere in territorio di Vicenza; 1171 (= 9595): lettere al Senato e ai capi del Consiglio dei dieci del C. podestà di Vicenza; 1172 (= 9596): idem al Senato; 1173 (= 9597): idem a varie magistrature e rappresentanti veneti in Terraferma; 1174 (= 8969): scritture in materia di frumenti; 1175-1176 (= 8819, 8970): regg. di contabilità della podesteria di Vicenza; 1185 (= 8820): reg. di lettere al Senato del C. luogotenente in Friuli; 1370 (= 8096): commissione ducale al C. luogotenente in Friuli; 1376 (= 8124): idem al C. podestà a Vicenza; 1883 (= 9541): carte del C. ambasciatore a Vienna; 1933 (= 9059): lettere del C. luogotenente in Friuli; 1878 (= 9070): ducali al C. podestà di Vicenza; 1898 (= 9542): documenti sull'amistrazione di Vicenza; 1929-1931 (= 9093-9095): lettere al C. podestà di Vicenza; 2210 (= 10046): passaporto del C.; 2390 (= 11722): ducali e lettere di diversi al C. podestà di Vicenza; 2391 (= 11723): lettere dei Provveditori alle fortezze al C. podestà di Vicenza. La relazione di Vienna è edita in S. Romanin, Storia document. di Venezia, VIII, Venezia 1859, pp. 433-454, nonché in Fontes rerum Austriacarum, s. 2, XXII, Die Relationon der Botschafter Venedies..., a cura di A. von Arneth, Wien 1863, pp. 290-309 (ristampata anastaticamente in Relaz. di ambasc. veneti al Senato, IV, Germania, a cura di L. Firpo, Torino 1968, pp. 864-883); G. Valentinelli, Regesta document. Germaniae historiam illustrantium..., München 1864, pp. 520-522; L. Bergalli, Stanze in occasione dei gloriosiss. sponsali di... M. C. e Paolina Contarini, Venezia 1728; T. Crudeli, Epitalamio per le nozze di... M. C. con Paolina Contarini, Venezia 1728; B. Quaiotti-L. M. Antonini, Applausi epitalamici nel... maritaggio di M. C. e... Paolina Contarini..., Padova 1728; Rime per la partenza dal reggimento di Vicenza di SS. EE. M. e Paolina C., Padova 1736; Poesie di vari autori nella Partenza da Udine dell'ill. ed ecc. sig. M. C...., Udine 1742; G. Percoti, Oraz. per la partenza dell'ill. ed ecc. sig. M. C..., Udine 1743; G. Bartoli, Ode.., per la partenza... di M. C..., s. n. t.; D. e F. Ongaro, Poesie per la partenza di M. C..., Udine 1743; V. Pozzo, Canzone nella partenza del luogotenente M. C., Udine 1743; P. Camerini, Piazzola, Milano 1925, pp. 163 s., CXXVI-CXXX;F. Antonibon, Le relaz. a stampa di ambasciat. veneti, Padova 1939, p. 74; O. Pinto, Nuptialia, Firenze 1971, p. 86; G. Valentinelli, Bibliografia dei Friuli, Venezia 1861, pp. 63 s.; G. Mazzatinti, Inventari dei mss. delle Biblioteche d'Italia, XLVI, XLIX, LVI, LXXVIII, LXXXV, LXXXVII, LXXXIX, XCI, ad Indices.

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