CORNER, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORNER, Marco

Giorgio Ravegnani

Appartenente al ramo dei Corner dai SS. Apostoli e da S. Felice, figlio di Giovanni, che fu ambasciatore della Repubblica, e di Agnese, di cui si conserva il testamento in data 3 luglio 1348, nacque probabilmente nel 1286. Ebbe altri cinque fratelli: Tomaso, Filippo, Pietro, Benedetto e il più noto Andrea, che rivestì importanti cariche pubbliche. Il C. sembra aver seguito i corsi di diritto all'università di Padova conseguendo il dottorato, ma la notizia non è certa. In ogni caso doveva avere interessi culturali, poiché dal testamento risulta possessore di una biblioteca personale, che in parte ordinò di vendere e in parte lasciò al figlio Franceschino. Non si hanno notizie sicure sul C. fino al 1336, ma è probabile che in lui si debba riconoscere quel Marco Corner dalle fonti ricordato come consigliere ducale il 22 maggio 1327, come ambasciatore in Persia il 26 giugno 1328, come bailo di Costantinopoli nel febbraio 1329, come membro aggiunto di una commissione di tre savi incaricata di trattare con alcuni saraceni a Venezia nel gennaio 1332 e come conte di Sebenico nel settembre 1333. Bisogna comunque tener conto dell'esistenza di almeno un omonimo contemporaneo del C.: Marco Corner figlio di Leone, personaggio di non grande rilievo che nel 1322 fu ambasciatore a Ravenna e Forlì.

Nel 1336 il C. partecipò alla guerra veneto-scaligera, che si concluse tre anni più tardi con la vittoria della lega promossa da Venezia contro Alberto e Mastino della Scala. Assieme ad Andreasio Morosini comandò le forze veneziane nell'incursione che, tra il 16 e il 28 ott. 1336, portò l'esercito alleato fin nei sobborghi di Padova. Nel marzo dell'anno seguente assolse incarichi diplomatici nell'ambito della lega e, al più tardi, il 1° sett. 1337 lasciò il comando per assumere la carica di podestà di Padova, che mantenne fino al febbraio 1338. Si trovava comunque a Venezia il 4 ag. 1337, quando vi giunse Marsilio da Carrara ambasciatore degli Scaligeri, che trattò segretamente la consegna di Padova. In seguito non si ha più notizia del C. per qualche anno. Lo ritroviamo a Udine il 18 giugno 1340, come arbitro in una contesa di cui ci è ignoto l'oggetto. Il 21 giugno 1344 fu eletto conte di Zara, ufficio che ricopriva ancora al momento della rivolta della città contro il dominio veneziano (14 maggio 1345). Il C. con gli altri veneziani presenti riparò nella rocca cittadina e fu successivamente tratto in salvo da Pietro Canale, che la Repubblica aveva inviato a Zara con cinque galere. Le fonti tacciono nuovamente di lui per qualche anno fino a quando lo ricordano duca di Candia nel 1347-48, e attestano la sua presenza a Venezia il 10 maggio 1350.

Durante la terza guerra veneto-genovese il C. ebbe importanti incarichi militari e diplomatici. Il 1° maggio 1352, pochi mesi dopo l'incerta battaglia del Bosforo, il Consiglio dei rogati nominò quattro provveditori all'armata di mare per affiancare il capitano generale Nicolò Pisani nella guerra contro Genova. Stabilì inoltre che il primo eletto sostituisse il Pisani in caso di impedimento. Risultarono eletti, in ordine, Marin Faliero, Marino Grimani, Giovanni Dolfin procuratore di S. Marco e il Corner. I nuovi provveditori partirono da Venezia il 13 maggio con un'ingente quantità di denaro di cui, però, lasciarono parte a Ragusa per timore delle galere genovesi. Giunti a Candia il 7 agosto vi incontrarono il Pisani e con lui decisero di inviare parte della flotta nel Mar Maggiore e, là, di dividerla in due squadre sotto il comando del Faliero e del Dolfin. Durante questa missione, il 10 ott. 1352, il Faliero sottoscrisse a nome del Pisani e dei provveditori l'atto di cessione dell'isola di Tenedo, che Giovanni V Paleologo consegnò a Venezia per tutta la durata della guerra con Genova in cambio di un prestito di 20.000 ducati. Non si ha notizia di movimenti del C., che restò verosimilmente con il capitano generale e tornò a Venezia verso la fine dell'anno con l'armata e con gli altri provveditori, eccetto il Dolfin. Poco più tardi, nel gennaio 1353, andò in ambasceria con il Faliero presso il re Luigi d'Ungheria, che esigeva da Venezia la restituzione di Zara e della Dalmazia. Il re d'Ungheria minacciava di entrare in guerra a fianco di Genova e rimproverò ai Veneziani la violazione della tregua del 1348. Nell'impossibilità di un accordo, gli ambasciatori chiesero l'arbitrato del papa e dei principi cristiani; si interpose Carlo IV di Lussemburgo, che qualche mese più tardi riuscì a risolvere la contesa. Il C. e il Faliero furono inviati presso l'imperatore e parteciparono, in febbraio, alla riunione del Parlamento a Vienna. Vi si trovavano ancora il 14 marzo, quando furono creati cavalieri da Carlo IV nella cappella dei duchi d'Austria. Nel corso dello stesso mese il C. rientrò a Venezia informando la Signoria delle intenzioni del re Luigi.

Nell'ottobre 1354 il C. fu eletto in una commissione di cinque savi destinata a restare in carica per un mese per prendere vari provvedimenti, fra cui quelli relativi alla venuta di Carlo IV in Italia. In novembre fece parte della legazione di quattro veneziani che raggiunse l'imperatore a Mantova. Su mandato del Collegio presentò al sovrano la bozza di un progetto di accordo con Genova per metter fine alla guerra. Tornato a Venezia non oltre il 29 novembre, informò il Collegio di aver consegnato il documento a Carlo IV e riferì in Senato sulla sua missione. L'anno seguente fu designato di nuovo a ricoprire incarichi militari, che rifiutò. Il 23 genn. 1355 fu infatti eletto capitano generale da Mar, ma non accettò l'incarico per motivi di salute e fu sostituito con Bernardo Giustinian. Si trovava a Venezia al momento della congiura del Faliero: a casa sua, a S. Felice, si riunirono i nobili per elaborare le misure da prendere contro il pericolo. Gli fu quindi affidata la difesa della città e resse la Repubblica come vice doge nel breve interregno fra l'esecuzione del Faliero e l'elezione di Giovanni Gradenigo (17-21 apr. 1355). Il 1° settembre dello stesso anno assunse di nuovo la podestaria di Padova, che resse almeno sino al 13 giugno 1356, data in cui un documento lo ricorda ancora in carica.

In seguito ebbe altri incarichi diplomatici di rilievo. Nel maggio 1356 andò ambasciatore in Ungheria assieme a Marino Grimani e, al ritorno, informò la Signoria delle intenzioni del re, che si apprestava ad attaccare Venezia. Il 23 giugno fu eletto in una commissione di cinque savi per la guerra con l'Ungheria e, sette giorni più tardi, fu tra i capi di un Consiglio dei venticinque delegato a trattare le faccende relative al conflitto. Il 13 ottobre, durante l'assedio ungherese di Treviso, fu inviato in legazione presso Francesco da Carrara signore di Padova, che rifiutava il passaggio ai rinforzi veneziani provenienti dalla Romagna. La missione del C. non raggiunse comunque il risultato sperato, come la successiva ambasceria inviata dalla Repubblica. Il 22 ottobre il C. si trovava ancora a Padova e, presumibilmente, rientrò a Venezia poco più tardi.

Le fonti tacciono quindi di lui per più, di un anno, sino al marzo 1358, quando lo menzionano a Venezia, dopo la conclusione della pace con l'Ungheria, tra i membri di una commissione di cinque savi delegata a provvedere a necessità edilizie. L'anno seguente il C. fece parte di un'altra commissione, di dieci savi, incaricata di cercare le vie per ottenere da Carlo IV il riconoscimento del possesso di Treviso, di cui la Repubblica si era impadronita nel 1339 al termine della guerra con gli Scaligeri. Vennero in seguito inviati come ambasciatori a Carlo IV i procuratori Paolo Loredan, Andrea Contarini e Lorenzo Celsi, che tornarono senza aver nulla ottenuto. La Repubblica ricorse perciò ad una nuova legazione, che fu affidata al C., a Giovanni Gradenigo, e al Celsi, con un ampio mandato discrezionale. Constatata la difficoltà di arrivare a un accordo, il Gradenigo e il C. furono richiamati in patria.

Sulla via del ritorno, nel gennaio 1360, gli inviati furono fatti prigionieri, in territorio di dominio asburgico, da Barbaro Regolo, castellano di Sench, che aveva inteso vendicarsi della distruzione di un suo castello avvenuta ad opera dei Veneziani al tempo della guerra con l'Ungheria. La notizia arrivò a Venezia il 26 gennaio e la Repubblica inoltrò vibranti proteste diplomatiche presso il duca d'Austria e l'imperatore, esigendo la liberazione dei suoi ambasciatori, con cui si riuscì a prendere segretamente contatto. Le trattative andarono per le lunghe: il C. fu liberato soltanto l'anno seguente dal duca d'Austria, in compagnia del quale, assieme al Gradenigo, tornò a Venezia il 29 sett. 1361. Il 17marzo dell'anno seguente fece istanza alla Signoria per ottenere il trattamento di ambasciatore spettantegli per il periodo in cui era stato prigioniero e poter così soddisfare i debiti contratti in quella occasione; ma la richiesta fu respinta il 27 aprile con l'opposizione di un solo consigliere.Nei mesi seguenti il C. fu designato fra gli ambasciatori da inviare presso il cardinale Albornoz per cercare di comporre la guerra fra i Visconti e la lega di cui faceva parte lo Stato della Chiesa. Venezia, a quanto pare, era stata accusata di favorire i Visconti a danno della lega e di non avere interrotto i rapporti commerciali con Milano malgrado il divieto papale e, probabilmente proprio per questo motivo il legato pontificio aveva deciso di intentare alcuni processi contro la Repubblica. La revoca di questi processi premeva particolarmente a Venezia, ma la missione diplomatica non ebbe luogo per l'intransigenza dell'Albornoz. Malgrado ciò, il C. stabilì contatti epistolari con il diplomatico Niccolò Spinelli affinché intercedesse presso l'Albornoz. Di ciò fa fede una lettera che lo Spinelli scrisse al C. da Cesena, il 30 sett. 1362. In essa faceva sapere che il cardinale aveva acconsentito a lasciare in sospeso i processi non volendo revocare quanto già era stato fatto. A ciò aggiungeva, confidenzialmente, che la cosa non doveva suscitare grandi preoccupazioni.

Il 29 genn. 1363 il C. fu inviato in ambasceria ad Avignone con Pietro Trevisan e Maffeo Emo: dovevano portare ad Urbano V le congratulazioni del governo della Repubblica per la sua elezione al soglio pontificio. Pochi giorni prima, il 14 gennaio, era stato nominato procuratore di S. Marco della procuratoria de supra. Nella primavera dell'anno seguente ebbe nuovi incarichi militari, riuscendo eletto nel Consiglio dei pregadi fra i cinque provveditori che dovevano reprimere la ribellione di Candia, ma rifiutò il mandato, giurando sui Vangeli - come ricorda il cronista Caroldo - di non essere in buone condizioni di salute e fu sostituito con Giovanni Mocenigo. Poco più tardi fu uno dei tre savi nominati dal Senato per cercare di comporre la guerra fra il duca d'Austria e il patriarca di Aquileia. Dopo la morte di Lorenzo Celsi (18 luglio 1365) fece parte del Collegio dei quarantuno da cui uscì designato doge il 21 o 22 luglio.

Il C. ottenne venticinque voti e la sua elezione fu particolarmente difficile. Gli avversari, fra cui Giovanni Dolfin sostenitore dell'antagonista Giovanni Foscarini, gli rimproverarono l'età avanzata, la povertà, i legami di amicizia con principi stranieri e le umili origini della moglie. Il C. pronunciò un'abile autodifesa, rispondendo puntualmente alle obiezioni che gli erano state mosse.

Il dogato del C. coincise con un periodo di relativa tranquillità della Repubblica e vide successi diplomatici in Occidente e una politica orientale volta al cauto disimpegno dai progetti di crociata. In particolare si cercò di ristabilire le relazioni commerciali con l'Egitto, interrotte dal 1356, ottenendo da Urbano V la revoca del divieto di commerciare con gli infedeli (28 giugno 1367). Sotto il governo del C. fu iniziata la costruzione dell'ala di palazzo ducale verso il bacino di S. Marco, e venne decorata la sala del Maggior Consiglio.

Il C. morì il 13 genn. 1368. Il suo corpo venne inumato, secondo il suo desiderio, nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo. Lasciava la seconda moglie, Caterina, e quattro figli: Francesco (Franceschino), Andrea - che fu cancelliere e svolse incarichi diplomatici -, Maria - che nel 1344 aveva sposato Paolo Belegno -, e Maddaluzza, moglie di Taddeo Giustinian. Gli era premorto Enrico, il terzo maschio, che aveva lasciato un figlio, Tomaso.

Il C. aveva sposato, in prime nozze, una nobildonna padovana, Giovanna di Enrico Scrovegni, di cui ignoriamo la data di morte. Caterina, la seconda moglie, apparteneva a famiglia agiata, ma non nobile, probabilmente di origine dalmata. Di lei ci sono pervenuti due testamenti datati, rispettivamente, 24 ottobre 1398 e 31 luglio 1408.Ritratti del C. si vedono nel monumento funebre ai SS. Giovanni e Paolo e nell'iniziale della cronaca del Caresini del Cod. Marc. It. VII 770 (coll. 7795), f. 11v. Ilcodice contiene il volgarizzamento della cronaca di Raffaino Caresini e, secondo il Lazzarini, è databile fra 1383 e 1386(cfr. V. Lazzarini, Marino Falier, Firenze 1963, p. 295, e A. Pertusi, Quedam regalia insignia …, in Studi veneziani, VII [1965], p. 55).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, Miscellanea di testamenti di notai diversi, b. 22 n. 963 (test. di Caterina Corner del 24 ott. 1398); b. 23 n. 1206 (test. della stessa del 31 luglio 1408); Ibid., Procuratori de Citra, Testamenti, n. 439 (test. del C.in data 10 genn. 1367 m. v.); Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 128a (= 8639): G. Caroldo, Historia di Venetia, ff. 179v, 183v, 186r, 192v, 214v, 216rv, 217r, 218rv, 220r, 223r, 233v, 235r, 238v, 240v, 245v, 252v, 254r, 264r, 280rv, 281v, 282rv, 289v, 294v, 296v, 303r, 310, 313r-325r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto, I, f. 323r; M. A. Sabellico, Historiae rerum venetarum a. U. c., I, Venetiis 1717, pp. 310, 322, 326, 330, 340-345; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, in L. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 611, 625, 633, 661-667; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, l, III, nn. 155, 499; l, IV, nn. 129, 454; l.V, nn. 5, 76; l, VI, n. 312; III, Venezia 1883, l. VII, nn. 219-404; A. Gloria, Monum. della università di Padova (1318-1405), II, Padova 1888, nn. 37, 62, 306, 1184; Diplomatarium Veneto-Levantinum sive acta et diplomata res Venetas Graecas atque Levantis illustrantia, II, a cura di R. Predelli, Venetiis 1899, nn. 63-78, pp. 106-129; Raphayni De Caresinis Chronica aa. 1343-1388, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XII, 2, a cura di E. Pastorello, pp. 16 s.; Le deliber. del Consiglio dei XL della Repubblica di Venezia, a cura di A. Lombardo, II, Venezia 1958, nn. 376, p. 112; 387, p. 117; 394, p. 120; 400, p. 122; 476, p. 143; Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato) "Serie Mixtorum", I, libri I-XIV, a cura di R. Cessi - P. Sambin, Venezia 1960, XI, n. 229; XIV, nn. 304, 345; II, libri XV-XVI, a cura di R. Cessi - M. Brunetti, Venezia 1961, l. XVI, n. 186; Venet. historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiuc., a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, pp. 220, 222, 227, 235, 239, 248; F. Thiriet, Délibérations des Assemblées vénitiennes concernant la Romanie, I, Paris 1966, n. 542, p. 213; n. 614, p. 233; Consiglio dei Dieci. Deliber. Miste, II: Registri III-IV (1325-1335), a cura di F. Zago, Venezia 1968, n. 143; Bernardo de Rodulfis notaio in Venezia (1392-1399), a cura di G. Tamba, Venezia 1974, p. 63 n. 56; F. Manfredi, Dignità procuratoria di San Marco di Venetia, Venezia 1602, p. 52; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1855, pp. 122, 168, 208, 212, 255, 229-235; B. Cecchetti, Funerali e sepolture dei veneziani antichi, in Arch. veneto, XXXIII (1887), p. 278; V.Lazzarini, Marino Faliero avanti il dogato, in Nuovo Archivio veneto, V (1893), pp. 147-150; G. Romano, N. Spinellida Giovinazzo, diplomatico del sec. XV, in Arch. stor. per le prov. napol., XXIV (399), p. 387; H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 209, 219, 320, 324, 326, 607; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, I, Bergamo 1927, pp. 339, 444, 466; I. Berruti, Ilpatriziato veneto. I Cornaro, Torino 1952, pp. 32-35; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 135-138; F. Cardini, Le crociate tra il mito e la storia, Roma 1971, pp. 264-268.

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