Quintiliano, Marco Fabio

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Retore latino (n. Calahorra 35-40 d. C. - m. forse intorno al 96). Originario della Spagna, Q. fu il primo retore stipendiato dallo Stato, un altissimo onore cui si aggiunse in seguito il conferimento della dignità consolare. Tra le sue opere, fondamentale è l'Institutio oratoria, in 12 libri, corso di educazione del futuro oratore. Il testo completo dell'opera, conosciuta solo parzialmente nel Medioevo, fu scoperto da P. Bracciolini.

Vita

Venuto col padre retore dalla Spagna a Roma, studiò con Remmio Palemone e Domizio Afro grammatica e retorica; tornò poi in Spagna, ma nel 68 era di nuovo a Roma al seguito di Galba. Qui prese a esercitare l'avvocatura, e aprì una scuola privata di oratoria, trasformata poi (74) in pubblica: così Q. fu il primo retore stipendiato dallo stato, onore conferitogli da Vespasiano, che in seguito lo insignì della dignità consolare. Attese all'insegnamento per più di vent'anni, e conseguì grandissima fama, oltre che come avvocato, come educatore; tra i suoi allievi ebbe giovani di famiglie illustri, tra cui Plinio il Giovane e due nipoti adottati da Domiziano. Fu di temperamento severo, ma profondamente umano; per lui la moralità era a fondamento dell'attività e la lingua doveva rispecchiare la dignità del pensiero.

Opere

Nonostante l'intensa attività forense, Q. non pubblicò mai le sue orazioni, tranne una in età giovanile, e rifiutò la paternità di vari scritti raccolti e pubblicati scorrettamente da alcuni discepoli. Consacrò tutta la sua attività alla scuola, e scrisse sull'arte oratoria alcuni trattati di grande importanza, ai quali è soprattutto legata la sua fama: il De causis corruptae eloquentiae, perduto, e i 12 libri dell'Institutio oratoria. Nel De causis, Q. si proponeva di illustrare la decadenza dell'oratoria, conseguenza del distacco sempre più accentuato, sin dai tempi di Demetrio Falereo, dell'oratoria dalla realtà, e riconosceva la necessità di una evoluzione dell'eloquenza, che assumesse forme diverse a seconda dei tempi e dei luoghi; mentre però nel Dialogus de oratoribus tacitiano si insisteva sulle motivazioni politiche che avevano dato vita a una nuova eloquenza, nell'opera di Q. erano esaminati i riflessi negativi prodotti dall'arianesimo e l'influsso di Seneca, da Q. giudicato dannoso per la gioventù. Alla composizione dell'Institutio, frutto di venti anni di esperienza, Q. si dedicò dall'89 al 92 o dal 93 al 95; l'opera apparve nel 93 o nel 96, prima della morte di Domiziano. È un'opera fondamentale non solo per le intrinseche qualità di manuale di educazione retorica, e anche pedagogica in senso lato, ma per ricchezza di notizie e vastità di cultura. Non è una trattazione limitata alla tecnica oratoria, ma un puntuale e sistematico corso di educazione del futuro oratore, a cominciare dall'infanzia, che contribuirà sostanzialmente allo sviluppo della successiva pedagogia. Il trattato abbraccia, secondo la divisione fatta dall'autore stesso, nel I libro ciò che precede l'opera del retore, precisamente l'educazione del fanciullo sin da bambino e l'istruzione elementare con lo studio della grammatica, della lingua, dell'ortografia, delle discipline costituenti l'ἐγκύκλιος; nel II libro la scelta del precettore e il metodo da seguire nell'insegnamento, i progimnasmi della retorica, la necessità, l'essenza, il fine e la materia di essa. Col terzo libro, dopo un proemio che riassume la storia delle dottrine retoriche e dei loro maestri in Grecia e in Roma, s'inizia la trattazione tecnica, la quale si estende sino a tutto il libro XI, svolgendo la dottrina dell'inventio e della dispositio nei libri III-VII, quella della elocutio, della memoria e della pronumiatio ave actio nei successivi VIII-XI. Il XII, ormai esaurita l'ars, svolge la metodologia per quanto concerne le qualità naturali dell'oratore e la sua cultura filosofica, giuridica e storica, e infine le norme pratiche ch'egli deve seguire nell'esercizio dell'avvocatura e le occupazioni degne di lui dopo il ritiro. Così il trattato svolge le singole parti della doctrina dicendi nel modo più compiuto e vuole essere insieme un libro che segni la via verso un ideale di educazione in cui la teoria s'intreccia con la pratica e la formazione dello spirito non ha importanza minore di quella della mente e della facoltà oratoria. Il compito dell'oratore è elevato a missione civile e umana e la perfezione morale considerata presupposto indispensabile della perfezione oratoria, in conformità con i precetti di Catone (per cui l'oratore doveva essere vir bonus dicendi peritus) e con la dottrina stoica. E l'influsso della dottrina stoica, attraverso le opere di Cicerone e di Seneca e anche lo studio degli stoici antichi, si ravvisa in molti particolari del trattato che rispondeva appieno all'importanza della retorica in Roma come informatrice dell'educazione e dell'istruzione e, completando l'opera di Cicerone, dava alle vedute sull'arte del dire una vera e propria forma didattica e precettistica, senza però attribuire ai precetti stessi un valore generale assoluto, e senza legarsi in particolare a nessuno dei maestri e degl'indirizzi antichi e recenti coscienziosamente studiati e vagliati. Il trattato non vuol essere una costruzione nuova sulla teoria, ma lo svolgimento di tutta la tecnica e l'esperienza della migliore tradizione, senza precettistica rigida e senza dogmatismi nei riguardi di alcun maestro autorevole, anche se Cicerone è indubbiamente il più vicino all'ideale oratorio di Quintiliano. Particolarmente interessante è il X libro in cui è esposto con equilibrio e serenità di giudizio un disegno delle letterature greca e latina, la cui conoscenza è considerata indispensabile per l'acquisizione di una buona cultura e sensibilità stilistica. Accanto al trattatista di retorica desta non minore simpatia l'educatore che, ponendo a base dell'istruzione l'educazione e toccando con fine intelligenza psicologica una serie di problemi attinenti a esse, dà l'unica trattazione sistematica di pedagogia che l'antichità ci abbia tramandato. Anche in questa parte si rileva il giudizio sicuro di uno spirito equilibrato che, insieme con la profondità del sapere e con un fine senso filosofico e pratico, fa della Institutio un insigne monumento della sapienza e dottrina antica. L'Institutio fu assai famosa nel Medioevo, in cui però era conosciuta in un testo mutilo; la diffusione del testo completo risale alle scoperte di P. Bracciolini (1416-17).

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