MARCO Romano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MARCO Romano

Laura Di Calisto

Non si conosce la data di nascita di questo scultore attivo tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo; problematico risulta anche ricostruirne il profilo biografico e artistico, a causa della mancanza di notizie sulla famiglia d'origine e sul periodo della formazione. L'unica testimonianza documentaria rimane l'iscrizione del Sepolcro di s. Simeone Profeta nella chiesa di S. Simeone Grande a Venezia, firmata da M. in data 4 febbr. 1318 (1317 more veneto), attraverso la quale si viene a conoscenza delle sue origini romane: "Celavit Marcus opus hoc insigne Romanus. Laudibus non parcus: est sua digna manus".

Nonostante la scarsità dei riferimenti documentari, grazie agli studi di G. Previtali è stato possibile ricostruire, almeno in parte, il percorso artistico di M. e riconoscere in lui una delle personalità più significative della scultura italiana del primo Trecento. Partendo dall'unico dato certo del Sepolcro di s. Simeone e riallacciandosi alle considerazioni di L. Planiscig (p. 332), Previtali ha ipotizzato un precedente soggiorno di M. a Casole d'Elsa, basandosi sull'evidente affinità tra l'iscrizione del sepolcro e quella collocata sul monumento del vescovo Tommaso d'Andrea (o Andrei), realizzato dallo scultore Gano di Fazio (Gano da Siena) per la collegiata di Casole. Successivamente, riprendendo un'intuizione di Valentiner, Previtali ha attribuito a M. la realizzazione di un altro sepolcro, sempre nella collegiata di Casole, quello di Beltramo degli Aringhieri, detto messer Porrina, collocato di fronte al monumento di Tommaso d'Andrea. Rifacendosi poi a quanto sostenuto da E. Arslan (p. 149), lo studioso ha assegnato alla stessa mano anche il gruppo della Madonna con il Bambino tra i ss. Imerio e Omobono nella facciata del duomo di Cremona. Partendo da questi indizi, attraverso un'attenta ricostruzione filologica e una meticolosa analisi stilistico-formale, ha riunito intorno a M. sculture di assoluto rilievo, opere "fuori contesto", non omogenee alla cultura del luogo in cui si trovano (Previtali, 1983, p. 43).

Il rapporto di committenza che dovette legare M. alla famiglia ghibellina degli Aringhieri, signori di Casole d'Elsa, consente di rintracciare elementi utili per la datazione delle opere e, al contempo, di motivarne la diversa collocazione. Come prima testimonianza della sua attività, su base stilistica Previtali ha individuato alcune sculture inserite nella controfacciata del duomo di Siena: quattro busti e due leoni, collocati ai lati dei portali e realizzati probabilmente intorno al 1290, nel periodo in cui Giovanni Pisano guidava il cantiere. Esse consentono di focalizzare alcune componenti fondamentali della formazione di M., tra cui l'influenza della scultura gotica francese della seconda metà del Duecento e il riferimento evidente all'arte di Giovanni Pisano.

Previtali ha sottolineato elementi di tangenza fra la Testa femminile con diadema e la Madonna del duomo di Cremona; e la Testa maschile con cuffia sembra anticipare sculture più mature come il Porrina e il S. Omobono, mentre le rimanenti due teste virili tradiscono un'intonazione di maggiore classicismo. Di opinione diversa, G. Kreytenberg attribuisce queste ultime e uno dei leoni alla mano di Goro di Gregorio (pp. 127, 129).

Il trasferimento a Cremona dovette avvenire intorno al 1296, in concomitanza con l'elezione a vescovo della città del cappellano di Bonifacio VIII, Ranieri degli Aringhieri. Ranieri potrebbe aver contattato M. attraverso le sue conoscenze nell'ambito della corte pontificia con il preciso intento di commissionargli dei lavori per la diocesi: è il caso delle tre statue della Madonna con il Bambino, del S. Imerio e del S. Omobono, realizzate probabilmente all'inizio del Trecento per il duomo. A partire da questo primo incarico M. dovette intensificare i suoi rapporti con gli Aringhieri e, nel termine di pochi anni, essere chiamato a lavorare per la famiglia (Previtali, 1983, pp. 60 s.).

Le sculture di Cremona, attribuite in origine a Giovanni di Balduccio, furono successivamente assegnate da Valentiner a Gano da Siena e quindi analizzate in rapporto alla produzione di quest'ultimo. L'evidente affinità con il monumento di messer Porrina, a quel tempo ancora attribuito a Gano, ha spinto Previtali ad analizzare in modo minuzioso i due gruppi scultorei, confrontando in particolare la statua di S. Omobono con quella di Beltramo degli Aringhieri. Le due opere hanno in comune il modo di concepire le figure attraverso volumi compatti, profili semplici, superfici levigate, panneggi ampi e ondulati; sono simili negli atteggiamenti, nella gestualità, per il modo di rappresentare i capelli, la bocca socchiusa, per gli intenti ritrattistici e l'analoga resa naturalistica dei volti.

Nel 1313, dopo la morte di Enrico VII, in seguito all'appoggio fornito all'imperatore da Ranieri di Beltramo, gli Aringhieri vennero condannati all'esilio; tale avvenimento ha consentito di individuare un possibile termine ante quem per il sepolcro del Porrina, cioè del fratello del vescovo Ranieri, Beltramo degli Aringhieri, che a quella data risultava già morto. Previtali, attribuendo l'opera a M., ha ipotizzato un'esecuzione di poco successiva al monumento funebre di Tommaso d'Andrea.

Lo studioso è giunto alle sue conclusioni esaminando in parallelo il volto del vescovo Tommaso e quello del Porrina, ma anche le figure del diacono reggicortina nel primo monumento e del profeta giovane del secondo. Lo studioso individua i caratteri principali dello stile di M. nell'ancheggiamento ancora gotico del profeta, negli abbondanti panneggi finemente delineati, nei profondi sottosquadri in contrasto con le superfici lucide, nel modellato morbido dei volti e nel modo di realizzare le capigliature con boccoli gonfi e inanellati.

Anche il Crocifisso ligneo del Museo civico e diocesano a Colle di Val d'Elsa, già nella chiesa di S. Maria a Radi di Montagna - borgo che faceva parte dei possedimenti degli Aringhieri - fu probabilmente realizzato prima del 1313 su commissione di Ranieri di Beltramo (Scultura dipinta…, p. 33).

È probabile che in seguito all'esilio degli Aringhieri M. decise di partire e trasferirsi a Venezia. In mancanza di notizie sul prosieguo della sua attività, in totale assenza di informazioni utili a circoscrivere la data della morte, quella del S. Simeone Profeta è destinata a rimanere non solo l'unica ma anche l'ultima testimonianza certa del suo percorso artistico. Il monumento venne commissionato dal vescovo di Castello G. Albertini, dai vescovi di Caorle, Torcello e Jesolo e dal pievano della chiesa B. Ravachaulo, allo scopo di contenere le reliquie del santo giunte a Venezia in seguito alla quarta crociata. Datato al 1318, il S. Simeone Profeta - più manieristico rispetto alle figure di Casole, come ebbe a sostenere Valentiner - presenta ormai tutti i caratteri distintivi della scultura di M. nella resa del panneggio, nel modo di scolpire i capelli e la barba, ma soprattutto nella rappresentazione del volto caratterizzato da occhi e bocca socchiusi, da sopracciglia "a spazzola" e da una profonda ruga all'attaccatura del naso.

Sempre in ambito veneziano vanno inserite altre due opere recentemente attribuite a M.: il Crocifisso eburneo del Victoria and Albert Museum, opportunamente confrontato con quello di Colle Val d'Elsa (Baldinotti - Vezzosi, p. 108), e il gruppo scultoreo dell'Annunciazione, già in S. Marco e oggi nel Tesoro della basilica. La proposta di includere quest'ultimo nel catalogo di M. con una datazione agli anni Venti del Trecento (Zuliani - Valenzano) non ha convinto completamente la critica, propensa a considerarlo opera di un seguace, di qualche decennio più tarda (Tigler).

Interprete del "classicismo gotico" e precursore per alcuni caratteri formali dell'arte di Simone Martini (Previtali, 1985), M. ha dimostrato di saper assimilare pienamente gli aspetti della tradizione artistica che erano stati alla base della sua formazione e reinterpretare con grande originalità quei presupposti. Ciò sembra trovare conferma nella precoce influenza esercitata nei confronti degli scultori che lavorarono al seguito di Giovanni Pisano nel cantiere del duomo di Siena, in opere come la Madonna col Bambino di Ciolo e Marco da Siena nel palazzo comunale di Piombino (Valentiner), nella statua di S. Giovanni Evangelista (Wolters, p. 153) o nella figura di Profeta (Previtali, 1983, p. 62), oggi conservata nel Museo dell'Opera di Siena, provenienti rispettivamente dal coronamento di una navata laterale e dall'antica facciata del duomo. L'opera di M. contribuì anche a determinare la "svolta antipisana" che nel secondo decennio del Trecento avrebbe portato alcuni artisti, tra cui Tino di Camaino, a prendere le distanze dall'arte di Giovanni Pisano (ibid.).

Di M. non si conoscono né il luogo né la data di morte.

Fonti e Bibl.: F. Cornaro, Ecclesiae Venetae…, VI, Venetiis 1749, p. 387; G. Moschini, Guida per la città di Venezia, II, 1, Venezia 1815, p. 104; P.E. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia, Venezia 1847, p. 104; J. Ruskin, The stones of Venice, II, London 1853, pp. VIII, 38; C.C. Perkins, Les sculpteurs italiens, II, Paris 1869, p. 98; G. Boni, Il sepolcro del beato Simeone Profeta, in Archivio veneto, XVIII (1888), 71, pp. 99-107; C. Cipolla, L'iscrizione di S. Simeone Profeta, ibid., 72, pp. 369, 372 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, Milano 1908, p. 33 fig. 9; L. Filippini, La scultura nel Trecento in Roma, Torino 1908, pp. 94-96 fig. 28; L. Planiscig, Studii su la scultura veneziana del Trecento, in L'Arte, XIV (1911), 5, pp. 330-332, 335, figg. 9, 12; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1926, p. 450; E. Arslan, rec. a C. Baroni, Scultura gotica lombarda (Milano 1944), in Archivio storico lombardo, n.s., IX (1944), pp. 149, 151; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, II, Il Trecento, Torino 1951, pp. 252, 408, fig. 227; W.R. Valentiner, Shorter notes: Pietro Toesca's "Il Trecento". A critical study, in The Art Quarterly, XV (1952), 1, p. 160 figg. 4-6; J. Pope-Hennessy, An introduction to Italian sculpture. Italian Gothic sculpture, I, London 1955, p. 36 fig. 25; W. Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1460), Venezia 1976, I, pp. 22, 24, 28, 152 s., 176; II, figg. 34, 38 s.; G. Previtali, Alcune opere "fuori contesto". Il caso di M. R., in Bollettino d'arte, LXVIII (1983), 22, pp. 43-68; Id., in Simone Martini e "chompagni" (catal.), a cura di A. Bagnoli - L. Bellosi, Firenze 1985, p. 22; Id., M. R., Tino di Camaino, Francesco Laurana: la "Madonna col Bambino" di Carcassonne e il suo restauratore, in "Il se rendit en Italie", Roma 1987, pp. 17 s.; Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena 1250-1450 (catal.), Firenze 1987, pp. 13, 24, 30-36, 54, 182; G. Kreytenberg, Goro di Gregorio vor 1324, in Städel-Jahrbuch, 1991, n. 13, pp. 125-127, 129, 131; G. Romano, Giovanni Previtali e la storia dell'arte, in Prospettiva, 1993, n. 70, pp. 91-93; F. Aceto, M. R., in Enc. dell'arte medievale, VIII, Roma 1997, pp. 201 s.; F. Zuliani - G. Valenzano, in I tesori della fede (catal.), Venezia 2000, pp. 25, 27, 47-50; G. Tigler, in Tesori della Croazia (catal.), Venezia 2001, pp. 32-34; A. Baldinotti - M. Vezzosi, Il "Crocifisso" eburneo del Victoria and Albert Museum di Londra: una proposta per M. R., in Prospettiva, 2004, nn. 115-116 pp. 105-109; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 74 s.

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