ARTICO, MARE

Enciclopedia Italiana (1929)

ARTICO, MARE (A. T.,1-2-3)

Carlo Errera

Il Mare Artico, così denominato per la prima volta da C.P. de Fleurieu (1797), designato poi col nome di Oceano Glaciale Artico dalla Commissione che per la R. Società Geografica di Londra studiò la più opportuna partizione dei mari terrestri (1845), è oggi, dopo le molte spedizioni che ne hanno chiarito i lineamenti fondamentali, considerato da quasi tutti i geografi come un semplice mare mediterraneo, prolungamento settentrionale dell'Oceano Atlantico. Esso è infatti limitato tutt'all'intorno dalle coste settentrionali dell'Europa, dell'Asia e dell'America e, se si prescinde dall'angusta apertura dello Stretto di Bering (largo appena 92 km. e profondo in qualche punto meno di 50 m.) e dagli strozzati e tortuosi stretti che immettono nello Stretto di Davis, rimane aperto largamente soltanto tra la Groenlandia e la penisola scandinava, dove per un ampio varco di 1500 km. le acque artiche. si congiungono con quelle dell'aperto Atlantico.

Il limite convenzionale tra Artico e Atlantico, determinato dalla Commissione del 1845 lungo il Circolo Polare, può essere più opportunamente fissato oggi lungo il dosso sottomarino corrente dalla Groenlandia e dall'Islanda per le Färöer fino alla Scozia, il quale dosso (o soglia di Wyville Thomson), trovandosi nel punto più depresso a soli 649 m. dalla superficie, forma una spiccatissima barriera alle acque polari del fondo.

Entro questi limiti - non passando però a S. delle Färöer, e considerando dunque come parte del Mare Artico (quasi un suo vestibolo) il Mar di Norvegia e ugualmente il Mar Bianco, e d'altro lato lo Stretto di Hudson e la baia omonima - la superficie occupata dal Mare Artico può essere fissata, secondo i calcoli più accreditati, a circa 14.000.000 di kmq. Si noti che in questo totale di 14.000.000 è compresa anche la superficie, tuttora ignota, estesa dal Polo verso il litorale asiatico di NE., della quale si potrebbe in verità dubitare se essa sia tutta mare o se non racchiuda per avventura, come insegnava la teoria del Harris (v. più sotto), anche qualche parte più o meno grande di terre; ma il dubbio non sembra aver ragione di essere, poiché la miglior conoscenza acquistata in questi ultimi anni, sia delle maree, sia delle profondità marine anche per questa parte di mare fronteggiante a N. l'Alasca e lo Stretto di Bering, permette di ritenere assai probabile la continuazione del mare anche nella zona tuttora inesplorata.

Divisioni dell'area totale del Mare Artico, così distinte dal complesso da poterle designare con nomi speciali, sono il Mar di Barents (col dipendente Mar Bianco), nel tratto ben delimitato tra la costa settentrionale europea e i gruppi insulari delle Svalbard, delle Francesco Giuseppe e della Novaja Zemlja; il Mar di Cara, tra la costa orientale della Novaja Zemlja e la fronteggiante costa asiatica dei Samoiedi; il Mare di Nordenskiöld. tra la costa asiatica, ove sfociano Chatanga e Lena, e l'arcipelago della Nuova Siberia; il Mar di Baffin, e la Baia di Hudson (quest'ultima misurante da sola 1 milione di kmq.). Si aggiungano i mari marginali del tutto aperti, come il Mar di Norvegia e, quasi di fronte a questo, lungo la costa dell'Alasca, il cosiddetto Mare di Beaufort; e si aggiunga anche la numerosissima serie degli stretti e dei piccoli mari interclusi tra le frammentatissime terre dell'Arcipelago Artico Americano.

Il Mare Artico è, per la parte maggiore attorniante il Polo, un bacino di notevole profondità. Gli scandagli del Fram hanno rivelato in lunga serie, per il settore asiatico-europeo a N. dell'80° parallelo, profondità superiori ai 3000 m. (la massima, misurata a 81°8′ N., 127°32′ E., s'avvicina a 3900); R. Peary al Polo ha scandagliato fino a 2700 m. senza trovare il fondo, 2000 e 3000 si sono incontrati a N. dello Stretto di Bering, 3000 a trecento km. appena dal Capo Barrow, oltre 5000 (dato massimo) ha trovato G.A. Wilkins in una misurazione isolata nel marzo 1927 a 77°45 N., 175° O. Un bacino profondo dunque, presumibilmente senza soluzione di continuità, occupa tutta la regione circumpolare propriamente detta. Il limite a questo bacino è segnato, di fronte all'Europa e alla Siberia occidentale, da una soglia subacquea giacente a poche centinaia di m. dalla superficie, probabilmente fra la Terra di Lenin (o del Nord) e le isole di Francesco Giuseppe, certo fra queste e la Novaja Zemlja, e tra le Francesco Giuseppe e le Svalbard; la stessa soglia sembra continuare dalla maggiore Svalbard verso NO., in direzione dell'estremo N. della Groenlandia.

Tutta questa serie di rilievi subacquei e di isole emerse viene a separare dal maggiore bacino polare un altro bacino minore, incavato tra Groenlandia, Islanda, Norvegia e Novaja Zemlja, profondo poche centinaia di metri nel cosiddetto Mare di Barents, ma quasi dappertutto oltre 2000 e 3000 nel più largo tratto occidentale, cui è limite subacqueo a S. la soglia di Wyville Thomson; le misure in questo tratto superano fors'anche i 4000 m. stando a un paio di scandagli, non però abbastanza sicuri, effettuati dal Nordenskiöld e dal De Gerlache a O. delle Svalbard. Un mare basso è invece, come il Mare di Barents, anche il Mar di Cara e così pure tutta la zona di mare a N. della Siberia occidentale sino a 6 o 700 km. dalla costa, vero protendimento al largo, assai lentamente digradante, dello zoccolo continentale; manca invece quasi del tutto la piattaforma continentale dinnanzi al Capo Barrow, dove il fondo s'inabissa a 150 km. subito dopo la spiaggia. Profondità considerevoli, fino a 1900 m., si hanno nel Mar di Baffin, laddove la baia - o meglio direbbesi il mare - di Hudion è tutto di fondi bassissimi non raggiungenti i 300 metri.

Salinità e temperatura delle acque artiche sono state con molta cura studiate - merito precipuamente di Fridtjof Nansen - per la parte dell'Artico interposta fra il Polo e le coste europee. Sappiamo così (primo preciso osservatore del fenomeno lo Scoresby, 1810) che dalla soglia fra l'Islanda e le Färöër penetrano nel Mare Artico le acque relativamente calde e salate (salsedine 35,2 per mille) derivate dalla corrente del Golfo, diffondendosi largamente lungo la costa della Norvegia e quindi nel Mar di Barents e talora sensibilmente fin nei pressi della Novaja Zemlja, mentre una derivazione delle stesse acque risale a N. lungo la costa occidentale della maggiore Svalbard che, grazie ad essa, rimane libera dai ghiacci più presto e più a lungo che le altre parti del gruppo insulare. Solo rimane preclusa a questa diramazione delle benefiche acque la parte di mare lungo la costa orientale groenlandese, dominata dalle fredde acque che si riversano verso S. dal bacino polare propriamente detto.

In questo bacino polare, più appartato dall'Atlantico e complessivamente ben più profondo che il mare a S. delle Svalbard, l'acqua proveniente dal tepido mare meridionale non appare più in alcun modo alla superficie, ma, appesantita com'è dalla propria salsedine maggiore di quella di tutte le acque circostanti, la incontrano gli scandagli a 250 m. di profondità e più giù fino a 900, nettamente rivelata, oltre che dalla più forte salinità, dalla più alta temperatura (salinità da 35,1 a 35,3, temperatura, a 3 o 400 m. di profondità, 0,6). Contrastano sensibilmente con queste condizioni quelle dello strato superiore, dove il Fram nella lunga navigazione incontrò dappertutto acque assai meno salate (in media appena 21 per mille alla superficie), con temperature che, mentre variano soperficialmente secondo le condizioni dell'aria esterna, si mantengono però particolarmente e costantemente basse al disotto (a 40 m. di profondità, - 1,8). Così basse temperature non si ritrovano neppure nelle parti abissali del bacino, dove oltre i 900 m. di profondità si torna sì al disotto dello zero, ma senza raggiungere nemmeno negli strati più profondi cifre così basse come quelle dello strato superficiale.

Quanto alla scarsa salinità delle acque di superficie, essa, secondo il Nansen, deve ritenersi dovuta non solamente alla fusione estiva dei ghiacci (la cui salinità raggiunge tutt'al più il 15 per 1000), ma anche al poderoso tributo d'acqua dolce recato dai grandi fiumi siberiani.

Il Mare Artico, oltre alle correnti superficiali interessanti questa o quella parte di esso, presenta un caratteristico movimento generale di deriva, che trascina le acque del bacino polare soprattutto dalle coste asiatiche verso l'opposta uscita immettente nell'Atlantico tra la Groenlandia e le Svalbard. Tale deriva - la cui cagione precipua va attribuita, secondo il Nansen, non tanto all'azione dei venti quanto alla minore densità delle poco salate acque costiere siberiane in confronto delle acque dell'opposta parte del Mare Artico - fu per la prima volta documentata dal ritrovamento, avvenuto nel 1884 presso la costa groenlandese meridionale, di resti della nave Jeannette naufragata tre anni innanzi a N. dell'arcipelago della Nuova Siberia. Ne fece poi più certo saggio il Nansen, affidatosi col Fram alla deriva stessa; la nave volontariamente imprigionatasi nei ghiacci presso le Isole della Nuova Siberia fu, dopo quasi tre anni di lenta ma continua deriva (scarsamente influenzata dal vento), rilasciata libera dai ghiacci all'estremo NO. delle Svalbard. Le spedizioni di R. Peary e di altri provarono che anche dal N. della Groenlandia le acque superficiali del bacino polare si riversano in massima parte verso la stessa uscita tra la Groenlandia e le Svalbard, alimentando pur esse la fredda corrente groenlandese, che nel suo scendere verso S. controbilancia l'apporto delle acque tepide inferiori provenienti nel bacino polare dall'Atlantico. È questa corrente fredda che, addossandosi per la rotazione terrestre alla costa orientale della Groenlandia e trascinando quivi, oltre a tutti i frammenti della banchisa, gl'innumerevoli icebergs tolti alle fronti dei ghiacciai locali, rende l'accesso alla costa orientale della grande isola molto più difficile che non sia quello della costa occidentale. Analoga è la corrente che s'incanala dal bacino polare verso S. per il Canale di Smith e lungo il lato O. del Mar di Baffin e, arricchita dalle altre provenienti di tra le isole dell'arcipelago americano, scende col nome di corrente del Labrador, addossandosi appunto alla costa del Labrador ed entrando quivi a far parte del gran sistema circolatorio dell'Atlantico. Assai meno importante la sottile corrente che dal Mare Artico esce nell'Oceano Pacifico, senza però alcun corteo di icebergs, per lo Stretto di Bering.

Le maree del Mare Artico sono in complesso debolissime. Il calcolo le vorrebbe nulle al Polo, il che finora non ha potuto essere confermato dall'esperienza. Amplitudini considerevoli si riscontrano solamente sulla costa E. della Terra di Baffin (5 m.), in qualche parte dell'Islanda (Reykjavik, 3,50 m.), sulla costa orientale groenlandese (2 m.), ma di poco si oltrepassa il metro alle Svalbard, si rimane a 0,40 alla Terra di Francesco Giuseppe, attorno a 0,60 alla Novaja Zemlja, attorno a 0,10 e 0,15 sulle coste NE. della Siberia e su quelle dell'Alasca.

Il modo di comportarsi delle maree rivela la dipendenza di esse dalle maree atlantiche, entrando l'onda principale nel bacino polare dall'apertura a E. della Groenlandia, mentre un'altra onda entra dallo Stretto di Davis; lo Stretto di Bering invece, troppo angusto e poco profondo, toglie ogni influenza alle maree del Pacifico. Poco più di questo sappiamo intorno al complesso fenomeno, così che il campo aperto alle ipotesi rimane tuttora assai largo. Così lo scienziato americano Rollin A. Harris credette, nel 1904, in base ai dati delle maree allora conosciuti, di poter dedurre l'esistenza d'una gran terra insulare tra il Polo e il tratto di mare ove si svolse la deriva della Jeannette; ma le più recenti osservazioni oceanografiche compiute dalla spedizione della Maud dal 1918 al 1921, la visione avuta dall'alto da Amundsen e Nobile nel 1926, il volo di Wilkins a N. dello Stretto di Bering nel 1927, hanno confermato l'opposta opinione, estendersi il Mare Artico senza alcun ostacolo dallo Stretto di Bering al Polo.

Il clima artico è fondamentalmente determinato dalle note cause d'ordine astronomico che regolano entro il Circolo Polare l'inclinazione dei raggi solari e le alternative dei lunghi giorni e delle lunghe notti. La presenza però d'una vasta estensione di mare occupante tutto il centro della calotta frammezzo ad amplissime estensioni continentali dà a codesto clima taluni dei suoi lineamenti più caratteristici.

Nell'inverno infatti si riscontrano ben nette tre aree di massima pressione sulle terre e due di minima pressione sull'oceano: quelle rispettivamente nella Siberia orientale, nei paesi della Baia di Hudson e nella Groenlandia, queste sull'Islanda e sulle isole Aleutine. Corrispondentemente i cosiddetti poli del freddo (minimi di temperatura) invernali si hanno nella Siberia orientale, sull'Arcipelago Americano Artico e nella Groenlandia, nonché intorno al Polo, laddove a N. dell'Europa e soprattutto nel Mar di Barents (e in minor grado nella zona dello Stretto di Bering) le temperature sono notevolmente rialzate dalla penetrazione di acque più calde (- 45 media del mese più freddo nella regione di Jakutsk in Siberia intorno al Circolo Polare, ma.- 20 allo Stretto di Bering ad eguale latitudine; - 40 nell'interno della Groenlandia, tra 70° e 80°, ma - 22 alle Svalbard pure ad 80°). Nell'estate, con pressioni generalmente basse su tutta la calotta polare e con deboli venti, le temperature, pur rimanendo notevolmente fredde nell'agghiacciato interno della Groenlandia e nell'area polare propriamente detta, si elevano sensibilmente nelle parti del Mare Artico meno immediatamente prossime al Polo, benché molta parte del calore versato dai raggi solari inclinatissimi sia assorbita dall'atmosfera e molta anche ne sottragga lo scioglimento dei ghiacci. La breve estate si presenta con caratteri di notevole concordanza in aree pur assai distanti fra loro: così sulla rotta del Fram, tutta oltre l'80° parallelo, la media di luglio è 0°, all'estremo NO. delle Svalbard, alle foci della Lena, all'orlo N. dell'Alasca da + 3 a + 5 (le massime fra + 13 e + 16). Naturalmente nell'interno delle vicine aree continentali l'aumento estivo delle temperature è molto più rilevante, con grande distacco dalle bassissime medie invernali.

Tra le caratteristiche più notevoli del clima artico è anche da ricordare, limitatamente però alla stagione invernale, il sensibilissimo variare delle temperature in un breve giro di ore (persino 37° da un giorno all'altro nelle osservazioni del Fram); altra caratteristica ancora il costante fenomeno dell'inversione delle temperature nel senso dell'altezza: questo fenomeno fu osservato particolarmente dallo Sverdrup per sei inverni di seguito nella spedizione della Maud, con una media alla superficie del mare di - 19 (o, in tempo calmo, di - 27) e contemporaneamente di - 4,5 a circa 1000 m. di altezza.

L'atmosfera è durante i grandi freddi invernali straordinariamente asciutta, le basse temperature rendendo quasi nulla l'evaporazione; il che non toglie che per le persone l'impressione sia spesso quella d'una penetrante umidità. Le precipitazioni in generale (eccezion fatta per la Groenlandia meridionale dove s'arriva anche a 1200 mm.) si presentano scarsissime, di rado oltrepassando i 200 mm.; pioggie non si dànno che nella stagione estiva, nel resto dell'anno neve che la secchezza dell'aria rende particolarmente asciutta, formata da minutissimi aghetti di ghiaccio privi di coesione fra loro o addirittura polverulenta. Le bufere di nevischio sono violentissime, ma rare e limitate alla stagione invernale.

La nebulosità media del cielo sul Mare Artico fu riscontrata dal Fram nel triennio della sua navigazione di circa 6 su 10 (cioè sei decimi del cielo coperti), con una variazione molto pronunciata dal gennaio (3,6) al luglio (9). Tra dicembre e gennaio furono incontrati 29 giorni di perfetta serenità e fino al maggio non si ebbero brume di lunga durata, corrispondendo la limpidezza del cielo allo scarsissimo contenuto di vapore nell'atmosfera; i mesi dal giugno al settembre per contro non hanno alcun giorno del tutto sereno, e spesso per parecchi giorni di seguito una bruma persistente, impenetrabile, gocciolante di umidità, di uno spessore da 100 a 200 m., avvolge ogni cosa.

Il Mare Artico è per eccellenza il dominio dei ghiacci: ghiacci di due specie distinte, d'acqua dolce e d'acqua salata. I ghiacci d'acqua dolce hanno origine dalle scarse precipitazioni atmosferiche, o provengono, limitatamente però alle zone costiere, dai fiumi siberiani e americani (distinguendosi a prima vista per il colore biancastro o di un verde vitreo, e per la grande quantità di bolle d'aria che contengono), o, in numero assai maggiore, sono icebergs distinti dalla struttura granulare, discendenti in mare dall'estrema fronte dei ghiacciai terrestri, soprattutto dagli sviluppatissimi ghiacciai groenlandesi. I ghiacci d'acqua salsa invece, distinti da un colore azzurrognolo più smorto ed opaco e da una struttura approssimativamente lamellare, provengono dalla congelazione dell'acqua del mare. La loro acqua di fusione tuttavia presenta una salinità assai più debole di quella dell'acqua marina, perché dall'acqua in congelazione una parte dei sali è eliminata.

La congelazione si verifica quando la temperatura dell'acqua (s'intende di salinità media) è scesa a valori tra − 1°,7 e − 2°. Si produce dapprima una specie di poltiglia di cristalli di ghiaccio, che s'indurisce in ragione dell'aumentare del freddo e con l'apparire della quale cessano le maggiori ondulazioni dell'acqua. Quando il nuovo ghiaccio ha preso qualche consistenza, basta un moto leggiero della superficie acquea per frammentarlo in innumerevoli placche a un dipresso circolari dagli orli lievemente rialzati, le quali finiscono con saldarsi compattamente fra loro dando origine a veri campi di ghiaccio, ora piccoli, ora raggiungenti dimensioni di centinaia di chilometri: i floes degli Inglesi, la banquise dei Francesi. L'accrescimento di spessore della banchisa, rapido nel primo stadio, si fa poi lentissimo, variando in ogni modo la velocità dell'aumento secondo la temperatura esterna, secondo la caduta di nevi, ecc.: lo spessore può crescere fino a 3 m. e talora anche più (assai più nella banchisa aderente a terra), specie se parecchi strati di neve si sovrappongono e se nella gelida massa si producono, come sempre avviene nelle tempeste, fratture, sovrapposizioni, capovolgimenti dei lastroni ghiacciati. I moti più violenti spezzano anche i grandi campi di ghiaccio in frammenti innumerevoli, che cozzano e si accavallano formando la confusione inestricabile del pack; pressioni formidabili dànno origine a grandiosi corrugamenti che portano in alto con terrificante violenza moli di ghiaccio enormi, torreggianti negli irti cumuli degli hummocks. Così la superficie della banchisa diventa accidentatissima e l'esploratore che la percorre deve spesso aprirsi il cammino con l'accetta.

I limiti della banchisa sono naturalmente variabili. A N. dell'Europa la s'incontra generalmente a primavera all'altezza dell'isola Jan Mayen, ma di qui il limite risale per un gran tratto verso NE., lasciando libero in piena estate un gran seno oceanico immediatamente a O. delle Svalbard, documento evidente dell'afflusso nel Mare Artico delle acque calde derivate dalla Corrente del Golfo; tale seno è noto col nome di Baia dei Balenieri. Verso l'autunno poi anche le coste nord delle Svalbard sono libere dai ghiacci, mentre le coste orientali rimangono completamente bloccate.

I ghiacci del bacino polare, trasportati nei mesi estivi dalle correnti fredde discendenti lungo la Groenlandia, raramente giungono molto al sud, dato il loro debole spessore, mentre i colossali icebergs staccati dai ghiacciai groenlandesi, emergenti per 50-100 m. e con una base sommersa quattro o cinque volte più voluminosa, si spingono fino al banco di Terranova e talvolta arrivano fino a 310 di latitudine: in numero assai variabile però, essendosene incontrati a S. di Terranova 1200 nel 1912 e 11 soli nel 1924.

La fauna pelagica e litoranea del Mare Artico è molto ricca, almeno nel numero degli individui (notata specialmente l'enorme quantità degli anfipodi, dei copepodi, degli echinodermi), e il plancton vi è abbondante sì che consente la vita a molti cetacei. La temperatura fredda permette a molte specie, che vivono in mari caldi e temperati a profondità considerevole, di vivere qui alla superfcie (per es. la Cidaris papillata, l'Echinus acutus, molte Oloturie, ecc., erano note nel Mare Glaciale prima di essere pescate più a S.). La latitudine più alta donde siano stati riportati dei pesci è l'83° N., ove vivono Cottus quadricornis, Icelus hamatus, Cyclopterus spmosus, Liparis fabricii, Gymnelis viridis, Gadus fabricii. Più a sud, sulle coste della Groenlandia, dell'Islanda, della Norvegia settentrionale, vivono inoltre i rappresentanti dei generi caratteristici Centridermichtys, Triglops, Agonus, Anarrhichus, Centronotus, Stichaeus, Sebastes. I condropterigi sono rari; vi si trovano Acanthyas, Ceritrosyllium, Chimaera e uno squalo pelagico del genere Loematgus. Vi abbondano i ganoidi; i Lycodidae, affini ai blennî, tranne il genere Microdesmus, sono tutti artici e antartici. Cetacei pelagici caratteristici sono la balena franca (Balaena mysticetus), ormai rarissima, e i generi Monodon (narvali) e Delphinapterus, che non hanno rappresentanti in altri mari. Molte sono le foche, e specialmente notevoli i trichechi (Odobaenus).

Quanto alla vita umana, sebbene siano svaniti i sogni nutriti un tempo sulla possibilità di vie marine largamente sfruttabili a N. dell'America e dell'Asia, il Mare Artico offre tuttavia in parte comunicazioni di non trascurabile importanza. Così, dalla fine del sec. XVII in poi, il canale e la Baia di Hudson, riconosciuti navigabili senza troppo rischio nel periodo luglio-ottobre, sono sempre stati utilizzati, dapprima per cura della Compagnia della Baia di Hudson, poi dal commercio libero che oggi tende a sviluppare più ampiamente i traffici per quella via. Egualmente è libero nell'estate il cammino alla Groenlandia meridionale, pericoloso soltanto nel giro del Capo Farvel. Alla Svalbard occidentale si naviga da maggio, anzi talora da aprile, fino a mezzo ottobre; nel Mar Bianco, benché posto 15° più a S., le condizioni sono spesso peggiori, mentre sulla costa aperta della penisola di Kola, a Murmansk, l'ultima punta della Corrente del Golfo lascia libero il transito in tutto l'anno. Dal Mar di Barents, libero nell'estate e per mezzo autunno, non sempre si passa agevolmente al Mar di Cara insidiato dai ghiacci, ma le stazioni radiografiche quivi funzionanti per il governo russo facilitano assai ai naviganti il traffico estivo, che abbastanza regolarmente si esercita dal Mar Bianco alle foci dell'Ob e dell'Enisej (Jenisse). Lo Stretto di Bering finalmente, libero nell'agosto, permette per qualche settimana la navigazione fino alle foci del Kolyma e della Lena.

Bibl.: O. Krümmel, Handbuch der Ozeanographie, Stoccarda 1907-11; G. Schott, Geographie des Atlantischen Ozeans, Amburgo 1912; F. Nansen, The Oceanography of the North Polar basin, Cristiania 1902, in The Norvegian North Polar Expedition 1893-96, Scientific Results, III; id., The bathymetrical features of the North Polar Seas, Cristiania 1904; id., Northern Waters, Cristiania 1905; N. M. Knipowitsch, Hydrologische Untersuchungen im Europäischen Eismeer, in Annalen der Hydrographie, XXXIII (1905); J. Schokalsky, La circulation dans les conches superficielles de la Mer Polaire du Nord, in Annales de Géographie, XXXIII (1924); W. S. Bruce, Polar Exploration, Londra 1911; J. Rouch, Les régions polaires, Parigi 1927; R. N. Rudmose Brown, The polar regions, Londra 1927.

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