GIALLO, MARE

Enciclopedia Italiana (1932)

GIALLO, MARE (in cinese Hwang hai; A. T., 97-98)

Camillo MANFRONI
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Mare dell'Asia orientale, dipendenza dell'Oceano Pacifico, compreso tra la costa della Cina settentrionale (provincie di Ho-pei, Shan-tung e Kiang-su), quella della Manciuria e quella occidentale della Corea. Si tratta, effettivamente, della parte più settentrionale del Mar Cinese Orientale (v. cinese orientale, mare), a N. della linea che dalle foci del Yang-tze kiang va all'estrema punta meridionale della Corea. Le due penisole del Liao-tung e dello Shan-tung vi formano alcuni ampî golfi (di Corea, del Liao-tung, del Chih-li).

Il Mar Giallo è poco profondo, in buona parte meno di 50 m.; la massima profondità finora registrata è di soli 88 m. a circa 200 km. al largo di Mok-po. Il clima nell'estate è press'a poco quello del Mar Cinese Orientale; nell'inverno, invece, è più freddo, data la latitudine più elevata; soffiano in questa stagione i venti di NO.; più rari sono quelli di N. e di OSO. Sulle coste predominano i venti locali, specialmente in primavera e in autunno. I ghiacci chiudono per varî mesi le coste settentrionali: dalla fine di novembre (porto di Niu-chwang) o dalla metà di dicembre (foce del Pei-ho) fino alla seconda metà di marzo. Le maree sono molto forti: a Jinsen (Corea), nelle sizigie le acque s'innalzano di quasi 10 m.

I porti principali del Mar Giallo sono Tsing-tao, Wei-hai-wei, Chi-fu e Tien-tsin nella Cina, Dairen (Dalny) e Niu-chwang nella Manciuria, Jinsen (Chemulpo) e Mok-po nella Corea.

La battaglia del Mar Giallo, o del 10 agosto. - È una delle battaglie navali della guerra russo-giapponese, il prodromo delle grandi vittorie che resero celebre l'ammiraglio Togo (v.). L'armata navale russa d'Oriente era divisa tra i due porti principali di Port Arthur e di Vladivostok, l'uno e l'altro bloccati dagli ammiragli giapponesi con forze di gran lunga superiori. Parecchi tentativi di sfuggire al blocco erano già stati fatti, l'ultimo dei quali (23 giugno 1904) aveva avuto esito solo in parte sfavorevole, poiché la squadra di Vladivostok, se non era riuscita a riunirsi all'altra, aveva almeno potuto prendere il mare e recare gravi danni al nemico. Era dunque sperabile che un nuovo tentativo, fatto simultaneamente, riuscisse. Obiettivo combinato tra le due squadre era quello di riunirsi a Vladivostok: mentre la squadra di Port Arthur doveva tentare di sfondare la linea giapponese di blocco dell'ammiraglio Togo, l'altra doveva prendere il mare e accorrere in aiuto della prima.

Il 10 agosto, di buon mattino, uscirono da Port Arthur 6 corazzate con alla testa lo Carevič, comandato dal vice ammiraglio Witthoft, accompagnate da cinque incrociatori e scortate da parecchi cacciatorpediniere. Press'a poco alla stessa ora uscivano da Vladivostok tre incrociatori con qualche nave minore, e riuscivano a raggiungere inosservati l'isola di Tsushima, dove furono poi tre giorni dopo attaccati con forze preponderanti dall'ammiraglio Kamimura, che affondò il Rossija e costrinse le altre navi a ritirarsi, non senza aver sofferto gravi danni.

L'armata principale russa poté allontanarsi per circa 50 miglia da Port Arthur, perché il Togo, esattamente informato di ogni movimento nemico, non volle assalirla vicino alla sua base per timore che potesse sfuggirgli. Ma verso il mezzodì diede il segnale d'inseguimento. Egli aveva solo quattro corazzate e due incrociatori, ma aspettava un notevole rinforzo, e perciò, invece di assalire il nemico, defilò parallelamente a esso, tenendosi a una distanza tale da poter colpirlo con le sue grosse artiglierie senza riceverne danno. Ma il Witthoft serrò le distanze: ne seguì un lungo scambio di cannonate, durato dal mezzodì fin verso le quattro pomeridiane, quando, ricevuti i rinforzi, il Togo manovrò per tagliare la via al nemico. I Russi eoncentrarono allora il fuoco sulla nave ammiraglia giapponese Mikasa. Caddero molti uomini; ma il Togo, rimasto illeso e impassibile sul ponte scoperto di comando, continuò a dare ordini. La sorte dell'ammiraglia nemica fu ben diversa: un colpo di cannone uccise l'ammiraglio russo: chi gli successe nel comando fu gravemente ferito; altri colpi misero fuori combattimento tutto lo stato maggiore; un unico ufficiale superstite guidò la corazzata Carevič fuori della linea. A quella vista le altre navi si sbandarono: una, inseguita da due navi giapponesi, piuttosto che arrendersi si gettò alla costa dell'isola di Sachalin, e si perdette; una corazzata insieme a una squadriglia di siluranti poté raggiungere il porto tedesco di Kiao chow, dove naturalmente venne disarmata: un incrociatore si spinse fino a Shanghai, e subì la stessa sorte; un altro arrivò fino a Saigon. L'ammiraglio russo Uchtomskij, che era succeduto nel comando al Witthoft, invece di tentare di raggiungere Vladivostok, diede precipitosamente il segnale "seguitemi" e virò di bordo verso Port Arthur, inseguito fino alla bocca del porto dalle siluranti nemiche. La vittoria giapponese fu grande: ma i critici navali rimproverano al Togo di aver permesso al nemico, col suo non troppo rapido inseguimento, di ritirarsi a Port Arthur con cinque navi pressoché intatte. Non è men vero però che, praticamente, l'armata russa non esisteva più: l'avvilimento aveva pervaso equipaggi e stati maggiori, e la piccola squadra non poteva ormai efficacemente contrastare ai Giapponesi il dominio del mare.

Bibl.: A. Gavotti, Tre grandi uomini di mare (De Ruyter, Nelson, Togo), Savona 1911; J. Tramond e A. Reussner, Eléments d'histoire maritime et coloniale contemporaine, Parigi 1925.