COSTA, Margherita

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COSTA, Margherita (Maria Margherita)

Martino Capucci

Nacque a Roma (i frontespizi delle sue opere la dichiarano sempre romana e nessun serio fondamento ha una tradizione marginale che la vuole ferrarese), probabilmente nei primissimi anni del Seicento.

Le informazioni sulla sua vita sono nel complesso molto lacunose: scarsità di notizie denuncia anche il Bianchi, cui si deve il contributo critico-biografico più ampio e accurato. Verseggiatrice prolifica e rinomata virtuosa di canto, esercitò anche il meretricio; e la cosa sembra fuor di dubbio, pur tenendo conto delle intenzioni malevole di una fonte come Iano Nicio Eritreo (G. V. Rossi) nella Pinacotheca, Coloniae Agripp. 1648, III, p. 150 ("turpi quoestu famosa") e nell'Eudemia ibid. 1645, p. 86 ("notissima meretrix"), contraddetto, con apologia poco persuasiva, da P. Mandosio, Bibliotheca Romana, Romae 1692, pp. 26-28. Veniva da una famiglia di modestissima estrazione: ebbe più di una sorella (una monaca, una meretrice, una terza, Anna Francesca, cantante di varia fortuna) e un fratello, al servizio, forse come bravo, dei Barberini. Nei suoi scritti la C. non occultò l'umiltà delle origini; spesso anzi la esibì in forme querule. Anche offrendo al pubblico le proprie opere l'autrice regolarmente le dichiara rozze e mal formate, buone soltanto come carta da salumaio; con una insistenza che di fatto rovescia l'apparente modestia in sfrontata esibizione di incultura.

Il significato dell'abbondante produzione letteraria della C. è tutto e solo di natura sociologica: la scrittrice cercò di valersi del proprio lavoro letterario per una legittimazione sociale che altri suoi costumi rendevano difficile, richiedendo per le proprie raccolte rime proemiali di letterati più o meno noti e amministrando con accortezza il favore dei dedicatari. L'aspetto più vistoso di queste opere è appunto la cura continua delle pubbliche relazioni, e l'inventario delle dediche dei libri o dei singoli componimenti disegna un vero e proprio olimpo di potenti.

L'attività di cantante la pose al centro della vita musicale romana; per lei venne scritta un'opera di grande rilievo come La catena d'Amore di Domenico Mazzocchi (su libretto di Ottavio Tronsarelli) e l'occasione infiammò la rivalità con un'altra cantante romana, Cecca del Padule, e divise aspramente il bel mondo, per ragioni insieme di gusto e di moralità privata. Intorno alle due cantanti si erano formati due veri e propri partiti, capeggiati da Giovan Giorgio Aldobrandini (per la C.) e da Giovan Domenico Lupi (per Cecca); ma la sfida tra le due virtuose finì nel nulla e l'opera fu rappresentata nel 1626 da cantanti evirati anche per l'intervento di Olimpia Aldobrandini. Le polemiche teatrali e la condotta morale tutt'altro che specchiata fanno supporre che la C. si trovasse in difficoltà tali che neppure il, principe Aldobrandini, suo protettore, poté vincere e che la indussero ad abbandonare Roma per Firenze, forse nel 1628, chiamatavi per il matrimonio di Margherita de' Medici con Odoardo Farnese, forse nel '29.

Del periodo fiorentino è la parte più cospicua della sua produzione letteraria. Nel 1638, con data di Francfort, pubblicò due raccolte poetiche, La chitarra e Il violino, dedicate a Ferdinando Il e seguite nel '39, con data di Venezia e dedica a Lorenzo de' Medici, da Lostipo.

La chitarra raduna in prevalenza rime amorose e panegiriche (soprattutto per principi di casa Medici) ed esibisce come referenze una lunga serie di rime laudative di vari autori, tra i quali è Alessandro Adimari. La raccolta è introdotta dal capitolo "La mia Musa è svegliata" che Luisa Bergalli accolse, con un sonetto e un idillio della Chitarra, nella silloge di Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo, Venezia 1726, II, pp. 149-154(testi della C. figurano anche in J. De Blasi, Antologia delle scrittrici italiane, Firenze 1930, pp. 334-341).Anche nel Violino sono raccolte per lo più rime amorose (tra l'altro diciassette idilli e ventisei canzonette di evidente quanto sgraziata matrice chiabreriana), con un ventaglio di temi piuttosto largo, che trascorrono dal tragico al patetico al grottesco, senza peraltro che la C. riesca mai ad infonder vita a composizioni di vena facile, prolisse e sfibrate; e non è un caso che i soli tratti di qualche efficacia siano quelli dove erompe una aperta lubricità che si direbbe professionale; come nell'idillio III, Violamento di Lilla narrato dall'istesso Amante, notevole proprio per l'infrazione di quegli schemi allusivi che solitamente contraddistinguono l'erotismo nella lirica secentesca. Non diverso Lo stipo, ricco anche di materiale autobiografico, sia indiretto, per le allusioni a rapporti amorosi e per gli spunti di femminismo; sia diretto, per l'evocazione dei turbinosi anni romani, in risposta a un'elegia di Paganino Gaudenzio, De dicessu M. Costae Roma, qui accolta a pp. 139 s.

Altre opere ancora sono di fattura fiorentina, o comunque dettate dal desiderio di ingraziarsi i Medici. Narrò la Istoria del viaggio di Alemagna di Ferdinando II (Venezia s. d.), su informazioni avute da Benedetto Guerrini (Bianchi, 1924, p. 16), ciò che ha fatto pensare che in questa come in altre opere la C. si limitasse a prestare il suo nome. Lo scritto riserva scarso spazio alla descrizione dell'ambiente tedesco e si limita per lo più all'opaca registrazione di momenti cerimoniali. Dedicate a Giovan Carlo di Toscana sono le Lettere amorose (Venezia 1639), dove si elencano possibili situazioni d'amore: gelosia, abbandono, lontananza, infedeltà, con frequenza del tono burlesco. Ricco è il contributo della C. alla letteratura teatrale: del periodo fiorentino sono il dramma La Flora feconda (Firenze 1640) e la "comedia ridicolosa" Li buffoni (ibid. 1641), con vistosi prelievi dalla commedia dell'arte: personaggi di abnorme natura (nani, pazzi, deformi "scherzi di natura"), freddure e lazzi, grossolani doppi sensi.

Com'è ovvio l'ambiente dei teatranti era il più congeniale alla C., che ebbe una relazione (assai dubbio invece è il matrimonio) con l'attore Bernardino Ricci detto il Tedeschino, dedicatario dei Buffoni. È ricordata anche un'altra sua tempestosa relazione con un ex bandito calabrese, fra' Paolo, confidente del granduca, poi di nuovo misteriosamente carcerato (allusioni a questi fatti sono nello Zibaldone di A. F. Marmi, ms. alla Bibl. naz. di Firenze. VIII, 8, 16, parte II, c. 51; parte III, c. 39; ma vedi le rettifiche di C. Arlia, Un bandito..., 1881, pp. 164-66). Morto il Ricci, la C. tornò a Roma forse nel 1644. Di quell'anno e di stampa romana è il "poema sacro" Cecilia Martire, quattro canti di intenzioni allegorico-moraleggianti e con risibili velleità di "canto grande" (un esemplare manoscritto nella Bibl. Apost. Vaticana, cod. Barb. Lat. 4069). L'anno dopo era alla corte torinese come cantante di camera ben pagata dalla reggente Cristina (A. Ademollo, I primi fasti della musica italiana a Parigi, Milano-Roma s. d., p. 38) e anche questo breve soggiorno (nell'agosto 1645 era di nuovo a Roma dove tra l'altro si sarebbe recata insieme al bandito Cesare Squilletti, detto Fra' Paolo) lasciò traccia nella sua bibliografia con le ottave L'Alpi dedicate a Madama Reale e pubblicate poi nella Selva di Diana. L'appoggio dei cardinali Antonio e Francesco Barberini le fruttò una modesta fortuna francese: nel '46 il cardinal Mazzarino la chiamò a Parigi con altri virtuosi di camera del cardinale Antonio. Non risulta che si esibisse pubblicamente, ma è da presumere, col Bianchi, che cantasse in concerti privati per la regina. Non le mancò comunque la protezione del Mazzarino, a cui la C. corrispose con frequenti e smaccati omaggi poetici nelle raccolte pubblicate in Francia, dove ancora una volta si adopera, in modi più patetici che furbeschi, a cercar benevolenza presso i potenti. A Parigi pubblicò nel 1647 la Festa reale per balletto a cavallo (anche in Ademollo, Primi fasti, pp. 108-12; la Bibl. naz. di Firenze ne possiede un esemplare manoscritto datato 27 genn. 1640 e dedicato a Ferdinando II di Toscana); la Selva di Diana, dove tutte le composizioni (sonetti e ottave) son dedicate a donne, e La tromba di Parnaso, con un particolare scialo di dediche a personaggi di levatura europea: le regine di Francia e d'Inghilterra, il re di Polonia, il Mazzarino, il principe di Condé, ecc.

Dopo il 1647, fornita di lettere di raccomandazione del Mazzarino per il granduca di Toscana e per il cardinale d'Este, si recò forse dapprima a Firenze e poi tornò a Roma, ma di questi anni non si hanno notizie sicure. Sulla base delle relazioni coi duchi di Brunswick il Bianchi (1924, p. 200) ritiene attendibile un breve viaggio in Germania, e altre ottave di lode medicea gli fanno credere che nel 1654 la C. fosse tornata in Firenze, ma è da dire che l'uso di ricavar notizie biografiche da singoli scritti non offre sempre sufficienti garanzie. L'ultima opera che sia nota sono Gli amori della Luna (Venezia 1654), ancora un lavoro teatrale, dedicato ai duchi di Brunswick col ricorso alle consuete lamentazioni sul proprio destino di inquieta insicurezza e col riconoscimento. pure abituale, della rozzezza formale. In una lettera a don Mario Chigi, fratello di Alessandro VII, dichiara di trovarsi "tra infinità di miserie con il peso di due figliole" e chiede aiuto al principe come "vedova, e povera virtuosa" (Bibl. Ap. Vat., Chigi, I. VII. 273, 125r).

È ignota la data della morte.

Forse sorella di Margherita fu Anna Francesca (detta Checca), cantante al servizio del principe Giovan Carlo de' Medici. Essa fu richiesta da Mazzarino ai Medici insieme con altri musici della loro corte, e cantò a Parigi nel carnevale del 1645; vi ritornò nel 1646 per cantare nell'Egisto di F. Cavalli, e nel 1647 per l'Orfeo di L. Rossi, in cui sostenne la parte di Euridice con straordinario successo. Poiché voleva recarsi a Roma, il Mazzarino la raccomandò al marchese di Fontenay, ambasciatore francese presso la S. Sede, ma non pare abbia avuto fortuna, poiché nel 1650 ritornò a Firenze. Nel 1652-53 era a Bologna, poiché il libretto dell'Ergirodo (testo di G. A. Moniglia) reca la dedica di Anna Francesca, datata 27 dic. 1652.

Un volume di Arie e componimenti diversi di autori del XVII secolo (Bibl. Ap. Vat., Chigi, Q.VIII.177) contiene un'aria, Oh Dio voi che mi dite, a due voci, di una "signora Costa", la quale può forse essere identificato con Anna Francesca.

B. M. Antolini

Bibl.: G. N. Eritreo, Eudemiae libri decem, Coloniae Ubiorum 1645, V, p. 85; Id., Pinacotheca tertia imaginum ill., doctrinae vel ingenii laude virorum, qui auctore superstite diem suum obierunt, Coloniae Ubiorum 1648, p. 150; P. Mandosio, Bibliotheca Romana, seu Romanorum Scriptorum Centuriae, Romae 1692, II, pp. 26 s.; G. M. Crescimbeni, Comentarii intorno all'istoria della volgar poesia, Roma 1711, II, 2, lib. V, p. 323; III, lib. V, p. 308; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Bologna-Milano 1739-52, ad Indicem;L. Allacci, Drammaturgia, accresciuta e continuata fino all'anno 1754. Venezia 1755, pp. 62, 150, 339, 363; A. Ademollo, I primi fasti della musica ital. a Parigi (1645-1662), Milano s. a., pp. 37 s., 59 s., 109-112; C. Arlia, Un bandito e una cortig. letterati, in Il Bibliofilo, II (1881), pp. 164 ss.; H. Prunières, L'opéra italien en France avant Lully, Paris 1913, pp. 114, 130, 133, 136, 138 s. (per Margherita); pp. 60 s., 63, 65, 81 s., 91, 93 s., 99, 106, 138 s. (per Anna Francesca); D. Bianchi, Una cortigiana rimatrice del Seicento: M. C., in Rass. critica della lett. ital., XXIX(1924), pp. 1-31, 187-203; XXX (1925), pp. 158-211; G. Gigli, Diario romano (1608-1670), Roma 1958, p. 242; B. Croce, Nuovi saggi sulla lett. ital. del Seicento, Bari 1968, pp. 161 s., 229; L. Bianconi-T.Walker, Dalla "Finta Passa" alla "Veneranda": storie di Febiamonici, in Riv. ital. di musicologia, X (1975), p. 443; F. J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, pp. 369 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, II, col. 1701; Enc. d. Spett., III, coll. 1555 s.

*

CATEGORIE
TAG

Giovan carlo de' medici

Margherita de' medici

Francesco barberini

Commedia dell'arte

Alessandro adimari