MARIA d'Enghien, regina di Sicilia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARIA d'Enghien, regina di Sicilia

Andreas Kiesewetter

Nacque nel 1369 da Giovanni, conte di Lecce, e da Sancia Del Balzo. Dopo la morte senza eredi del fratello maggiore Pietro, tra il 28 marzo e il 27 luglio 1384 gli succedette come contessa di Lecce (Lecce e i casali del circondario da Torchiarolo a nord sino a Carpignano Salentino a sud) e dei feudi di Mesagne, Carovigno, Corigliano d’Otranto, Roca, Gagliano del Capo, Acquarica del Capo e Castro. Sebbene Pietro fosse un deciso sostenitore di Luigi I d’Angiò, pretendente al trono di Sicilia (Napoli), e del papa avignonese Clemente VII, M. fu scelta dal papa romano Urbano VI come sposa per Raimondello Orsini (Del Balzo Orsini) – secondogenito del conte di Nola Nicola Orsini e di Giovanna di Sabran – che, con Tommaso Sanseverino, il 7 luglio 1385 aveva liberato il papa da Nocera, assediata dalle truppe di Carlo III d’Angiò Durazzo. Il matrimonio ebbe luogo solo dopo la partenza del papa per Genova, tra il 24 agosto e il 29 ottobre. Non è attendibile la notizia dei Diurnali del duca di Monteleone (p. 31) di un matrimonio di M. nel 1382 con un conte Belardo, morto nello stesso anno.

Benché M. avesse riservato per sé il titolo di comitissa Licii (contessa di Lecce) e Raimondello si intitolasse come «principe consorte» esclusivamente comitatus Licii dominus (signore della contea di Lecce), questi esercitò la piena sovranità nella contea salentina. M. rimase per più di venti anni all’ombra del marito che, oltre ai suoi feudi in Campania (Acerra, Marigliano, Trentola e Marcianise) e in Irpinia (baronie di Flumeri-Trevico e Guardia Lombarda), si creò negli anni successivi una vasta signoria in Puglia (Brindisi, Gallipoli, Martina Franca, Monopoli, Molfetta, Barletta, Altamura e Minervino Murge) e nella lotta per il trono tra Ladislao d’Angiò Durazzo e Luigi II d’Angiò seguì la politica opportunistica quanto abile della «doppia lealtà» per schierarsi al momento decisivo al fianco del vincitore Ladislao. Ricompensa per questo doppio gioco fu l’investitura, il 9 maggio 1399, da parte di Ladislao, del Principato di Taranto (il più importante feudo del Regno) che rese Raimondello signore illimitato della Terra d’Otranto, poiché nella primavera 1399 alla morte del padre aveva ereditato anche la piccola contea di Soleto.

Il 18 giugno 1399 capitolò Taranto, dove Luigi II d’Angiò si era rifugiato quando la sua posizione a Napoli si era fatta insostenibile; due giorni dopo M., con il marito, poté fare ingresso solenne in città. In due privilegi dell’8 giugno Ladislao aveva già concesso a Raimondello e a M. il merum et mixtum imperium in tutti i loro feudi e le entrate della Dogana di Lecce.

Non è noto il ruolo di M. nella ribellione del 1405 contro Ladislao da parte del marito, che aveva ripreso i rapporti con Luigi II d’Angiò. La morte improvvisa di Raimondello, il 17 genn. 1406, la lasciò con quattro figli minorenni (Giovanni Antonio nato il 9. sett. 1401, Gabriele nato nel 1404, Maria e Caterina) in una situazione critica perché – a parte suo nipote Pietro d’Enghien-Lussemburgo, conte di Conversano, dove sua nonna Giovanna Sanseverino esercitava la reggenza – M. fronteggiava Ladislao da sola. M. decise comunque di proseguire la ribellione di Raimondello e tenne nascosta la sua morte sino al 1° marzo 1406. Nello stesso giorno lasciò Lecce con i figli e andò a Taranto, perché la città era più facile da difendere e permetteva approvvigionamenti via mare.

M. si mostrò un’avveduta organizzatrice e amministratrice: preparò Taranto al previsto assedio di Ladislao, assoldò truppe mercenarie al comando del nipote di suo marito, Francesco Orsini, e strinse contatti diplomatici con avversari di Ladislao – come re Sigismondo d’Ungheria, o re Martino I d’Aragona re di Sicilia, suocero di Luigi II d’Angiò – che aveva inviato dalla Sicilia tre galee con equipaggi catalani. Già a fine febbraio Ladislao, ancora all’oscuro della morte di Raimondello, si era mosso verso la Puglia e il 14 aprile iniziò l’assedio di Taranto che dovette interrompere dopo quasi due mesi senza grandi risultati, benché Martina Franca e la contea di Conversano gli si fossero sottomesse.

M. era tuttavia consapevole che senza aiuti esterni avrebbe potuto a stento resistere a un nuovo attacco di Ladislao, tanto più che papa Innocenzo VII, che inizialmente aveva sostenuto la ribellione di Raimondello contro il re, il 28 luglio 1406 si era rappacificato con Ladislao. L’alleato naturale era ovviamente Luigi II d’Angiò che sperò di poter riprendere, grazie alla ribellione di M., la lotta per il trono, perduta nel 1399. Nel luglio 1406 giunsero a Taranto tre plenipotenziari di Luigi che dal 21 luglio al 5 agosto conclusero con M. una serie di accordi. M. e suo figlio Giovanni Antonio, ancora minorenne, prestarono a Luigi l’omaggio, Giovanni Antonio fu investito del Principato di Taranto e M. ebbe confermati i suoi feudi nel Regno, mentre Luigi entro tre mesi dopo il ritorno degli ambasciatori in Provenza doveva inviare in aiuto 300 lance ed entro l’estate 1407 doveva recarsi personalmente nel Regno. Gli accordi si conclusero con la promessa di matrimonio tra Giovanni Antonio e la figlia di Luigi, Maria. In realtà il 26 dic. 1406 Luigi mandò 600 bretoni a bordo di tre navi che però, poco dopo la partenza, naufragarono e la maggior parte dell’equipaggio morì. All’inizio di marzo 1407 Francesco Orsini, con i suoi soldati, passò dalla parte di Ladislao.

Il 16 apr. 1407 il re pose nuovamente l’assedio a Taranto; M. allora, in una situazione senza prospettive, iniziò subito le trattative che portarono al suo matrimonio con Ladislao, celebrato il 23 aprile.

M. fu spinta a questo patto non certo dall’ambizione a divenire regina di Napoli – come continua a sostenere certa storiografia (Cutolo, 1968, p. 308; 1977, pp. 84 s.) basandosi su una fonte priva di credibilità (De Rosa, p. 683) – ma da una visione realistica della sua situazione militare priva di speranza.

Tanto il Principato di Taranto quanto le contee di Lecce e Soleto furono incorporati da Ladislao nel Demanio della Corona. M. si trattenne a Taranto per poco più di un mese e il 24 maggio si mise in viaggio per Napoli con i figli. Negli anni seguenti, sino alla morte di Ladislao, il 6 ag. 1414, M. risiedette in Castelnuovo, ma, a differenza della madre di Ladislao, Margherita di Durazzo, a stento riuscì ad avere una qualche influenza sulla politica del marito, sebbene diverse istruzioni degli ambasciatori della Repubblica di Firenze fossero indirizzate anche a lei. È però poco sostenibile la tesi di un formale stato di prigionia di M. e dei suoi figli.

Morto Ladislao, la sorella Giovanna, salita al trono, imprigionò M. nel Castelnuovo con i due figli, perché vedeva nella vedova di suo fratello una possibile rivale per la Corona napoletana. L’arrivo a Napoli del futuro marito di Giovanna, Giacomo di Borbone (15 ag. 1415), provocò una svolta perché la figlia di M., Caterina, per iniziativa di Giacomo, alla fine del 1415 sposò Tristano Chiaramonte, uno dei cavalieri del seguito di Giacomo. Quindi alla fine del 1415 o al più tardi agli inizi del 1416 la regina restituì a M. la libertà; i due figli Giovanni Antonio e Gabriele rimasero in prigione sino alla fine del 1417 o agli inizi del 1418, e M., almeno per la liberazione di Gabriele, dovette versare alla corte 8000 ducati. M. e il primogenito ricevettero quindi in restituzione già nel 1418 i feudi che nel 1407 Ladislao aveva incorporato nel Demanio e che non erano ancora stati assegnati.

A M. furono resi i feudi che aveva ereditato da suo fratello, mentre Giovanni Antonio ebbe i feudi che erano stati del padre (le contee di Soleto, Veglie, Tricase, le baronie di Flumeri-Trevico, Lavello, Minervino, Altamura e Locorotondo), a eccezione del Principato di Taranto, di cui era stato investito Giacomo di Borbone che però nel maggio 1419 fuggì a Taranto per fomentare la ribellione contro Giovanna II. Lì Giacomo fu assediato dalle truppe di M. e di Giovanni Antonio ai quali finì con il consegnare la città e cedere i suoi diritti sul Principato dietro pagamento di 20.000 ducati. Nell’estate 1419 M. ereditò con il figlio, da Giovanni Zurlo, Guardia Lombardi nel Principato ultra; in seguito quella signoria spettò al solo Giovanni Antonio, che il 4 maggio 1421 fu investito anche formalmente da Giovanna II del Principato di Taranto. Nel 1421 si concluse un accordo tra M. e i suoi due figli sulla spartizione dei feudi di famiglia: a M. furono confermati i suoi feudi in Salento, mentre Gabriele ricevette come feudi da Giovanni Antonio le baronie di Flumeri-Trevico, Lavello, Minervino e Acerra.

Negli anni 1385-1406 e 1407-14 M. era rimasta all’ombra dei suoi due mariti mentre dal 1420 compare accanto al figlio maggiore, defilata almeno dalle vicende politiche. Sebbene si intitolasse ancora sempre come regina di Napoli, M. non prese quasi per nulla parte alla lotta per il trono – prima tra Giovanna II e Alfonso V d’Aragona e poi tra Renato d’Angiò (il figlio di Luigi II) e Alfonso –, mentre i suoi figli dal 1433 presero decisamente le parti degli Aragonesi. Gabriele fu quindi investito da Alfonso nel marzo 1435 del Ducato di Venosa e il 6 marzo 1437 il re ridusse a sole 50 onze d’oro in tutto l’adohamentum che M. e i suoi figli dovevano pagare per i loro vasti feudi.

Dal 1420 M. risiedette quasi esclusivamente a Lecce e si occupò soprattutto dell’amministrazione dei suoi feudi, per i quali emanò diversi statuti e privilegi. Disponeva a questo scopo di una propria cancelleria e di un proprio ufficio camerale. Nello stesso periodo fece edificare per il marito Raimondello un monumento funebre a Galatina nella chiesa francescana di S. Caterina d’Alessandria, fatta costruire da Raimondello stesso e da Giovanni Antonio, che M. fece decorare con un vasto e importante ciclo di affreschi.

M. morì a Lecce il 9 maggio 1446 e fu sepolta nella chiesa di S. Croce, dove però la tomba non si è conservata.

Dei figli nati dal primo matrimonio, Giovanni Antonio sposò Anna Colonna nel 1425, in seguito succedette alla madre nei suoi feudi e morì il 14 nov. 1463; Gabriele sposò Giovanna Caracciolo e morì alla fine del 1453 o agli inizi del 1454; Maria nel 1408 sposò Antonio (II) Acquaviva, duca di Atri e conte di San Flavian, e morì il 7 sett. 1413; Caterina morì il 24 nov. 1429. Non abbiamo notizia di figli nati dal matrimonio con Ladislao.

M. gode ancora oggi di popolarità nel Sud della Puglia, come nessun altro sovrano medievale. Ne sono prova numerosi romanzi storici sulla sua persona, il «corteo di Maria d’Enghien» che si svolge ogni anno a Taranto e soprattutto il famoso detto «U uadàgne de Maria Prène» (il guadagno di Maria di Brienne), con il quale nel dialetto tarantino ancora oggi si commenta scherzosamente un cattivo affare.

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