MARIA FRANCESCA dello Spirito Santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARIA FRANCESCA dello Spirito Santo

Raissa Teodori

MARIA FRANCESCA dello Spirito Santo. – Nacque a Modena il 2 genn. 1643, sestogenita del duca di Modena e Reggio Francesco I d’Este e di Maria Farnese (figlia del duca di Parma Ranuccio I). Battezzata Giovanna Lionora, fu poi chiamata semplicemente Lionora (Eleonora).

Persa la madre quando aveva appena tre anni, a pochi anni di distanza fu privata anche dell’affetto della zia, Vittoria Farnese, che il duca aveva sposato alla morte della prima moglie. Nel 1654 Francesco I sposò in terze nozze Lucrezia Barberini, cui sembra che M. si affezionasse, malgrado la matrigna dimostrasse una netta preferenza per le sue sorelle, in particolare per Isabella. Ai fratelli M. fu molto legata, specialmente a Maria, ad Alfonso e a Rinaldo (figlio della Barberini), come testimoniano alcune lettere scritte fin da giovanissima, che lasciano trasparire una ripetuta ricerca di rassicurazioni e di affetto, e un’inquietudine di fondo che si dice l’abbia accompagnata fin da bambina.

Sul contrasto tra l’apparente serenità di M. e il suo tormento interiore, i biografi hanno costruito la rappresentazione dell’infanzia e dell’adolescenza della giovane principessa. All’immagine di fanciulla vivace e intelligente, tendenzialmente partecipe della vita di corte, amante dell’arte e della musica, affascinata dalle bellezze della natura, desiderosa di convolare a giuste nozze, viene affiancata la descrizione di un animo timido e riservato, in cerca di frequenti momenti di isolamento, indicato dai biografi come segno premonitore di una vocazione non ancora matura. Così viene letta anche la sua grande ammirazione di bambina per la figura del nonno, il duca di Modena Alfonso III, che aveva deposto la corona per vestire il saio cappuccino.

Dopo la morte di Francesco I, nel 1658, l’educazione di M. e delle sorelle fu affidata al padre gesuita Andrea Garimberti e a Matilde Bentivoglio (figlia del marchese Ferrante e di Beatrice d’Este) che, entrata a corte come damigella d’onore di Isabella di Savoia (moglie del duca Alfonso III), vi aveva assunto via via una posizione di grande rilievo. La profonda religiosità di Matilde Bentivoglio, devota teresiana, cui M. fu sempre unita da un fortissimo legame di affetto e consonanza spirituale, e gli insegnamenti di padre Garimberti influenzarono in modo decisivo la crescita interiore della fanciulla, accompagnandola negli anni della lenta maturazione della vocazione religiosa.

Alla latente spiritualità di M. è attribuito da alcuni il fallimento delle trattative matrimoniali che la riguardarono: prima, nel 1666, con Ranuccio II Farnese (rimasto vedovo di Isabella, sorella di M., sposerà invece la terza sorella, Maria), poi, nel 1674, con il futuro re inglese Giacomo II Stuart, cui sarà data invece in sposa Maria Beatrice, figlia del fratello di M., il duca Alfonso IV, e di Laura Martinozzi, nipote del cardinale Mazzarino.

In effetti la questione appare ancora controversa: non è dato sapere se, come sostengono alcuni, le furono banalmente preferite fanciulle più avvenenti, o se dietro il fallimento si debba riconoscere l’abilità politica della Martinozzi, allora reggente del Ducato per il figlio Francesco II, nel favorire la figlia a scapito della cognata, o ancora se è vero che fu lei stessa a rifiutare le nozze, spinta dalla crescente devozione e da un latente misticismo, malgrado avesse sempre mostrato reticenza al pensiero di farsi monaca. Sono solo supposizioni quelle che affermano che proprio l’amarezza per i matrimoni mancati la spinsero ad abbandonare il secolo.

Che la scelta fosse motivata dall’ennesima delusione o che, molto probabilmente, questa si sovrapponesse a una vocazione religiosa ormai giunta a maturazione, certo è che il 3 maggio 1674, senza opposizioni da parte della famiglia, se non per il tentativo di dissuasione della sorella Maria, M. prese la via del monastero. Accompagnata, contro la sua volontà, da un principesco corteo, entrò nel monastero delle carmelitane scalze, fondato a Modena nel 1651 proprio da quella Bentivoglio che tanto aveva influito sulla sua crescita: il nome in religione di Maria Francesca pare fosse scelto da lei stessa per onorare insieme i nomi della madre e del padre. Dopo un anno di permanenza nel monastero, il 4 maggio 1675, fece solenne professione di fede e, il 12 genn. 1676, le fu imposto il velo nero con sontuosa cerimonia, alla presenza della corte di Modena, della corte di Parma e di nobildonne e gentiluomini provenienti da diverse corti italiane, malgrado lei stessa avesse chiesto assoluta sobrietà.

Fin da questi primi atti M. dovette faticare perché le fosse consentito di dismettere i panni di principessa, da parte della famiglia ducale ma anche, come naturale, da parte dell’Ordine, conscio del lustro che derivava dal contare tra le proprie fila persona di così alto rango. Dal suo ingresso nel monastero, cui aveva donato immediatamente tutte le proprie sostanze, M. si impegnò con determinazione a incarnare quel modello di santità femminile che alla metà del XVII secolo si era ormai imposto nell’Europa cattolica: un modello fatto di devozione, umiltà, obbedienza, sacrificio, silenzio, espiazione. Per le sue manifeste virtù, si guadagnò nel giro di pochi anni la stima incondizionata di superiori e consorelle, e ottenne, certo anche per i nobili natali ma grazie alle indubbie doti spirituali, l’elezione a superiora il 6 luglio 1682 e, il 5 luglio 1685, la nomina a priora.

Come enfatizzano i profili agiografici, accolse gli incarichi con la consueta resistenza ad accettare gli onori, ma dimostrò in seguito rara serietà di impegno. Dura con se stessa quanto con le consorelle sull’obbedienza alla regola teresiana, nel lungo periodo del suo priorato M. impresse al Carmelo modenese un’impronta di rigore e disciplina intesa come necessario specchio del rigore dell’anima. Essa elaborò negli anni una spiritualità complessa, figlia dell’incontro tra gli insegnamenti teresiani e quelli gesuitici, conosciuti negli anni della prima formazione spirituale, grazie a padre Garimberti. Pur approfondendo il significato della meditazione pura, sostenne il valore della contemplazione come frutto di conquista, di attiva pratica devozionale, di quotidiana applicazione della regola, di apostolato cosciente.

Per sua iniziativa fu fondato un secondo monastero teresiano nel Ducato di Modena, a Reggio Emilia. Nel giugno 1686 iniziò la costruzione, che, grazie ai cospicui donativi dei duchi d’Este, fu conclusa rapidamente: nel 1689 M., con alcune religiose da lei scelte, vi fece il suo ingresso e ne venne nominata, malgrado le consuete rimostranze, priora. Vi soggiornò per tre anni, impegnandosi a uniformare il nuovo monastero alle pratiche di devozione eucaristica e mariana da lei consolidate a Modena. Nel 1693, sembra su pressante richiesta delle consorelle, tornò a governare il monastero modenese, che non abbandonò fino alla fine della vita. Nei decenni successivi, rieletta senza esitazioni priora, curò la formazione delle novizie, approfondì il suo insegnamento spirituale, lasciandone testimonianza in una serie di scritti spirituali in forma di avvertimenti, istruzioni per le giovani religiose e in un vero e proprio testamento spirituale, che lasciano trasparire un tormento interiore crescente e una fiducia incondizionata nel valore della regola come guida al miglioramento di sé. Lodata per la sua intelligenza e tenacia, impressionò per la rinuncia costante a qualsiasi piacere mondano e per la capacità di abbandonare ogni affetto terreno, anche quello per i fratelli, malgrado il ricchissimo carteggio che tenne con alcuni di essi, in particolare con il fratellastro Rinaldo, divenuto duca nel 1694 alla morte di Francesco II. Il distacco toccò talvolta apici di estrema durezza, come quando accolse la notizia della morte della sorella Maria rallegrandosi per la liberazione da un’ennesima distrazione terrena.

Intorno alla figura di M., quando era ancora viva, andò crescendo negli anni un profilo di santità. Esso fu progressivamente arricchito con la fama dei miracoli, nonostante la sua riluttanza ad ammettere che se ne parlasse, e da ogni parte del Ducato le furono indirizzate richieste di preghiere o intercessioni. L’ansia di mortificazione e la stoica sopportazione del dolore fisico per l’idropisia che la afflisse a lungo e che si acutizzò negli ultimi anni di vita, da lei stessa invocato come estrema aspirazione penitenziale, contribuirono ad alimentare la voce popolare.

Afflitta dalla prolungata malattia, M. morì nel suo monastero il 24 febbr. 1722. Dopo la soppressione dell’istituto, nel 1798, la sua tomba subì varie traslazioni fino alla definitiva sepoltura nel convento delle carmelitane scalze a Montegibbio di Sassuolo.

Nel marzo del 1729 fu aperta una lunga causa di beatificazione che non giunse mai a conclusione: è plausibile che proprio la leggenda dei suoi miracoli e la vena di misticismo che non le era estranea e che rasentò momenti di eccesso pietistico, siano cadute di fronte agli ideali di razionalità che si diffusero nella cultura ecclesiastica settecentesca, o di fronte al rigoroso controllo che si impose nell’accertamento della santità.

Fonti e Bibl.: Le lettere ai familiari sono nell’Arch. di Stato di Modena, Arch. segreto estense, Casa e Stato, Carteggi tra principi estensi, bb. 248-249, 283; le carte relative al processo di beatificazione si trovano in Congregazione per le cause dei santi, Index ac status causarum beatificationis servorum Dei et canonizationis beatorum, [Romae] 1975, pp. 225 ss.; Federigo di S. Antonio, Vita dell’umile serva di Dio m. M.F. d. S. S. carmelitana scalza, Milano 1754 (contiene in appendice gli scritti spirituali; da questa prima biografia dipendono tutti i profili successivi); L.A. Muratori, Delle antichità estensi, II, Modena 1740, pp. 579, 595; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, p. 234; G. Baraldi, Compendio stor. della città e provincia di Modena dai tempi della romana repubblica sino al 1796, Modena 1846, pp. 286, 288; Bartolomeo da S. Angelo, Collectio scriptorum Ordinis Carmelitarum excalceatorum utriusque Congregationis et sexus, II, Savonae 1884, p. 24; M.T. Messori-Roncaglia Mari, Le donne di casa d’Este, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, s. 8, VIII (1956), p. 76; G. Bedoni, M.F. d. S. S. carmelitana scalza (1643-1722), ibid., s. 9, I (1961), pp. 128-135; M.V. Mazza Monti, Eleonora d’Este carmelitana scalza, Reggio Emilia 1981; Diz. degli istituti di perfezione, II, col. 438; Enc. cattolica, coll. 135 s.; Enc. ecclesiastica, VI, p. 411.

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