THIERS, Marie-Joseph-Louis-Adolphe

Enciclopedia Italiana (1937)

THIERS, Marie-Joseph-Louis-Adolphe

Walter MATURI

Uomo di stato e storico, nato a Marsiglia il 15 aprile 1797, morto a Parigi il 3 settembre 1877. Si laureò in legge nell'università di Aix, e, vinto un premio dell'Accademia di Aix con un saggio su Vauvenargues, partì per Parigi il 18 settembre 1821. Non aveva altro che una raccomandazione per Manuel, il quale lo introdusse nel salotto liberale di J. Laffitte e nella redazione del giornale Le Constitutionnel. Assimilatore facile, con la stessa versatilità con la quale emergeva nei salotti, Th. primeggiava nel giornalismo, trattando delle più varie questioni artistiche, letterarie, storiche, politiche. Famosi particolarmente furono i suoi articoli di critica dell'arte, che rivelarono e imposero al gusto francese le opere del Delacroix, ma la sua notorietà toccò l'apice con l'Histoire de la Révolution française (18231827). Avverso ai Borboni del ramo primogenito per la loro politica tendenzialmente reazionaria, il Th. condusse contro di loro la lotta decisiva con la fondazione, in collaborazione di F. Mignet e A. Carrel, del giornale National (8 gennaio 1830). Come la seconda rivoluzione inglese aveva sostituito al ramo primogenito degli Stuart un ramo cadetto senza ricorrere a mezzi extralegali, cosi pensava il Th. che si dovesse fare in Francia, ponendo al posto dei Borboni gli Orléans. Promulgate le Ordinanze contro la libertà di stampa (26 luglio 1830), Th. redasse la protesta dei giornalisti, e, scoppiata la rivoluzione del 1830, assai si adoperò perché Luigi Filippo accettasse la corona di re dei Francesi.

Th. entrò allora nel governo, prima come segretario generale al Ministero delle finanze col Laffitte, poi come ministro dell'Interno (11 ottobre 1832). Dotato di grande energia, sventò le mene monarchiche della duchessa di Berry e i moti sociali del 1834 a Lione e a Parigi, ma, passato al Ministero del commercio e dei lavori pubblici, non comprese l'importanza delle ferrovie. Dimessosi nel 1834, ritornò al Ministero dell'interno nel 1835, dopo l'attentato del Fieschi a Luigi Filippo, e per tutelare l'ordine non esitò a emanare leggi severissime contro la libertà di stampa. Il 22 febbraio 1836, infine, Luigi Filippo gli affidò la presidenza del consiglio e il Ministero degli esteri, ma il Th. non mantenne il potere che cinque mesi, poiché essendo falliti nella politica estera il suo disegno d'intervento in Spagna in favore dei cristini contro i carlisti e nella politica finanziaria quello della conversione della rendita, fu costretto a dimettersi. Del pari infelice ed effimero fu il suo secondo esperimento di governo nel 1840, allorché non riuscì a sostenere in Oriente la politica di Moḥammed ‛Alī, amico della Francia. Abilissimo nel vedere gli errori altrui e maestro d'eloquenza parlamentare, si rivelò invece un grande capo dell'opposizione nella lotta sistematica che dal 1840 al 1848 condusse contro il suo grande emulo Guizot. La rivoluzione di febbraio 1848 sembrò dapprima ricondurlo al potere e Luigi Filippo, prima d'abdicare, gli affidò la presidenza del consiglio, ma il popolo non volle saperne d'un ministero Thiers.

Durante la seconda repubblica, Th., nondimeno, fu uno dei più influenti deputati dell'assemblea legislativa. Competentissimo di problemi internazionali, era assai ascoltato dai ministri che si successero nella direzione degli affari esteri (Bastide, Drouyn, de Lluys) e contribuì molto a decidere la spedizione romana del 1849 e a combattere ogni intervento in favore di Carlo Alberto. Preoccupato delle nuove teorie socialiste, difese in un opuscolo il diritto di proprietà. Non comprese, però, subito il principe Luigi Napoleone, nel quale dapprima non vide altro che gli aspetti utopistici; quando cominciò a capirlo e ad organizzare contro di lui un'opposizione legale, fu troppo tardi. Il 2 dicembre 1851 il Th. fu tra le persone arrestate durante il colpo di stato ed ebbe l'ordine di andar via dalla Francia (8 dicembre 1851).

Dopo un breve esilio, il 7 agosto 1852 il Th. fu graziato e poté ritornare in patria. Si diede tutto allora alla compilazione della sua Histoire du Consulat et de l'Empire; ma, mentre elevava tale monumento storico al fondatore dell'Impero, si manteneva correttamente avverso a Napoleone III, che mostrava verso di lui molti riguardi e giunse perfino a chiamarlo in una occasione notre historien national. Buon patriota, il Th. non vedeva senza compiacimento il prestigio esteriore, cui era giunta la Francia, dopo il congresso di Parigi. Ma quando da un lato vide gli errori della politica del Secondo Impero e dall'altro gli si presentò l'occasione di riprendere la lotta politica col corpo legislativo, il Th. ritornò dal maggio 1863 il temibile capo dell'opposizione quale era stato ai tempi del lungo ministero Guizot. In un linguaggio apparentemente moderato e impeccabile, egli seppe divenire alla tribuna il più acuto critico della politica imperiale. Cominciò col combattere i provvedimenti finanziarî del governo (24 dicembre 1863) e si spinse, l'11 gennaio 1864, fino a tracciare il programma delle libertà necessarie alla Francia. Ma i suoi discorsi, che ebbero maggiore risonanza nazionale ed europea, furono quelli di politica estera. Avverso alla costituzione dell'unità italiana e germanica, vedeva nella nuova Italia la continuatrice della vecchia politica sabauda (discorsi 13-15 aprile 1865). E nel grande impero tedesco, che stava per ricostituirsi vedeva risorgere il vecchio impero di Carlo V, e lo vedeva appoggiarsi sull'Italia invece che sulla Spagna e formare contro la Francia un blocco imponente di forze (discorso 3 maggio 1866). Quest'ultimo discorso ebbe un successo strepitoso: perfino il Guizot fu preso dall'entusiasmo. In quel momento Th. incarnò veramente l'anima della sua patria, come ben disse il von Sybel.

Ma, quando Napoleone III volle lanciare la Francia, militarmente impreparata, contro la Germania, si vide quello stesso venerando vegliardo affrontare impavido le urla del corpo legislativo per impedire la rovina della sua patria (15 luglio 1870).

I fatti diedero ragione a Th. e toccò a lui presiedere l'ultima seduta del corpo legislativo e dichiarare decaduto l'impero (4 settembre 1870). Per salvare la Frangia, Th. non esitò ad addossarsi una delicata missione diplomatica e fu a Londra, a Pietroburgo, a Firenze, per invocare i soccorsi delle grandi potenze contro la Germania, ma non riuscì ad attrarre nessuna di esse in aiuto della sua patria. Nominato deputato (8 febbraio 1871) e poi (17 febbraio 1871) capo del potere esecutivo della repubblica francese, Th. potè finalmente rivelare in pieno le sue magnifiche doti d'uomo di stato. Dopo una faticosa negoziazione con Bismarck, concluse un trattato preliminare di pace con la Prussia (26 febbraio 1871). Eliminato il nemico esterno, schiacciò la Comune, che si era resa padrona di Parigi (29 maggio 1871). Ricostituì l'esercito e le finanze con tale celerità da stupire l'Europa e, prima del termine stabilito, pagando puntualmente tutte le indennità, costrinse i Prussiani ad evacuare i territorî francesi, che tenevano occupati in pegno. Persuaso che ormai la monarchia era finita, che il regime che dividesse meno i Francesi era quello repubblicano, si andò mano mano staccando dagli Orléans e provocò la reazione della tendenza monarchica, che predominava all'assemblea. Il duca di Broglie sferrò contro Th. una lotta senza quartiere e Th. fu costretto ad abbandonare la presidenza della repubblica, che teneva dal 30 agosto 1871, dopo la famosa seduta del 24 maggio 1873. Vinto, non domo, il combattivo vecchio continuò a lottare contro i monarchici e nel 1877 si parlava già d'un suo ritorno alla presidenza della repubblica con un ministero Gambetta-Jules Ferry, allorché lo colse improvvisamente la morte.

Come uomo, Th. è stato giustamente definito (De La Gorce) un tipico borghese o francese medio dell'Ottocento: liberale ma nell'ordine aborrente dagli estremi, più fedele alla patria che ai regimi e ai partiti, più ricco di massiccio buon senso che di visioni larghe e profonde. E infatti Th. fu più il portavoce che l'ispiratore del suo secolo. Ma ebbe qualità politiche di prim'ordine: formatosi alla scuola della vecchia classe dirigente della rivoluzione e dell'impero, alla scuola dei Talleyrand, dei Louis, fu alla sua volta il maestro della prima classe dirigente della Terza Repubblica, dei Gambetta, dei Jules Ferry, dei Jules Favre. Se fece cattiva prova come presidente del consiglio sotto Luigi Filippo, ha legato il suo nome alla fondazione della Terza Repubblica. Come oratore parlamentare, poi, ebbe pochi rivali in Francia e in Europa.

Come storico, Th. è della razza dei Guicciardini e dei Commines, sebbene di minore genialità: scrive di storia allorché è relegato nell'opposizione o è escluso dalla lotta politica. Classificato dallo Chateaubriand come capo della scuola storica "fatalista", perché concepì il Terrore e il 18 brumaio come mali fatali, necessarî, non fu in verità mai uno storico filosofo come Guizot o Tocqueville; le sue considerazioni sono sempre assai vaghe o banali e alle cause della rivoluzione francese, per esempio, non dedica che trenta pagine in un'opera di dieci volumi. Né sarebbe proprio classificarlo nella scuola storica narrativa, perché tale scuola ebbe nei suoi migliori rappresentanti come A. Thierry e De Barante esigenze artistiche che il Th. non ebbe: il Th. scriveva alla buona come un giornalista: era sempre fluido e chiaro, ma mancava di rilievo, di nerbo, di forza. Il Th. eccelle nelle storie particolari, militare, diplomatica, finanziaria, per le sue vaste conoscenze tecniche. Famose furono le sue descrizioni di battaglie, per le quali non risparmiò studî, ricerrhe, viaggi, ed ebbe lodi anche dai competenti. Superiore al Macaulay nella storia politico-finanziaria, ha scritto pagine classiche sulla fondazione della Banca di Francia. Acuto è anche nella disamina delle negoziazioni diplomatiche. Non ebbe, invece, mai alcun interesse per la storia delle idee, della coscienza religiosa, delle condizioni economiche. L'Histoire du Consulat et de l'Empire è, perciò, superiore all'Histoire de la Révolution française, perché in essa poté abbandonarsi tutto al suo tecnicismo e realizzare il suo ideale di storico: "être simplement vrai, être ce que sont les choses elles mêmes, n'être rien de plus qu'elles, n'être rien que par elles, comme elles, autant qu'elles".

Bibl.: H. Malo, Th., Parigi 1932; P. De La Gorce, Au temps du Second Empire, ivi 1935, pp. 1-66; R. Bonghi, Ritratti e profili contemporanei, a cura di J. Salata, Firenze 1933, pp. 57-201. Per la fondazione della Terza Repubblica, v. specialmente G. Hanotaux, Histoire de la fondation de la Troisième République. Le gouvernement de M. Th., nuova ed., Parigi 1926. Per lo storico, C. Jullian, Extrait des historiens français du XIXe siècle, ivi 1896, pp. xxviii-xxx e lxi-lxiii; E. Fueter, Histoire de l'historiographie moderne, trad. francese, ivi 1914, pp. 509-11; G. P. Gooch, History and historians in the nineteenth century, 4a ed., Londra 1928, pp. 199-205.