MARINA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MARINA

Mario Castelletti
Vito Dante Flore

(XXII, p. 322; App. I, p. 821; II, 11, p. 265; III, 11, p. 32). -

Marina da guerra.

Potere aeromarittimo. - Il concetto di potere marittimo, mutatosi in quello di potere aeromarittimo nel corso della seconda guerra mondiale per l'influenza esercitata sull'esito delle ostilità dai velivoli imbarcati sulle navi portaerei, ha conservato immutato il suo valore anche nell'era dei missili intercontinentali. L'evoluzione della tecnica ha anzi conferito un significato ancor più determinante all'importanza dello strumento navale che esplica oggi un'accresciuta funzione strategica in quanto:

a) con i sottomarini nucleari dotati di missili balistici a testate termonucleari MIRV (Multiple Indipendent Reentry Vehicles) ha la possibilità di raggiungere, in pratica, ogni punto del territorio avversario garantendo nello stesso tempo l'effettiva invulnerabilità dei vettori (al contrario delle installazioni missilistiche terrestri, tutte più o meno vulnerabili nell'eventualità di un "attacco di saturazione");

b) grazie alla capacítà anfibia e di trasporto consente di proiettare e alimentare operazioni militari oltremare;

c) in periodi di contrasto o tensione fornisce, con la presenza continua e visibile dei propri mezzi, un potente ausilio alla politica estera del proprio paese;

d) in ogni tipo di situazione assicura l'insostituibile garanzia per la protezione del proprio traffico marittimo e l'interdizione dell'uso dell'ambiente marittimo all'avversario.

Inoltre, la situazione politica internazionale ha evoluto verso un assetto di equilibrio tra le maggiori potenze e blocchi di potenze mondiali, il che, unitamente alla realizzazione dell'inevitabile distruzione dell'attuale civiltà nell'evento di un "olocausto nucleare", ha costituito una spinta a trasferire il confronto tra le potenze stesse sui mari, ove l'ambiente può consentire la più agevole circoscrizione di eventuali ostilità.

Le forze aeromarittime dal 1960 in poi. - In questo periodo l'evoluzione tecnica dei mezzi prosegue con ritmo sempre più rapido: accanto al perfezionamento generale dei sistemi d'arma (diffusione delle tecniche digitali, incremento delle gittate, aumento delle precisioni), si assiste alla comparsa del missile navale superficie-superficie, che rivoluziona profondamente la tattica navale. L'importanza della nuova arma, drammaticamente evidenziata dall'affondamento del cacciatorpediniere israeliano Eilath da parte di motovedette egiziane nell'ottobre 1967 (guerra dei sei giorni), è dovuta alla sua capacità di conferire anche a unità di modeste dimensioni una potenzialità distruttiva precedentemente posseduta solo dalle artiglierie di unità maggiore e, più ancora, dagli aerei imbarcati. Assume inoltre significato sempre più determinante la "guerra di onde" (ECM/ESM: Electronic Counter Measures/Electronic Support Measures), in quanto per operare con le nuove sofisticate armi è necessario avvalersi estesamente di radiazione elettromagnetiche (radio e radar); per evitare le "contromisure elettroniche" viene compiuto un ulteriore passo verso le tecniche optoelettroniche (sistemi televisivi ad amplificazione di luce; sistemi a raggi infrarossi). Il progresso tecnico è però accompagnato da un incremento astronomico del costo degli armamenti, che pone alla maggior parte delle nazioni severi limiti nel mantenere il livello di forze voluto. Si verifica così una progressiva riduzione nel numero delle grandi unità (specie nelle m. occidentali) e contemporaneamente una proliferazione di mezzi minori missilistici presso un largo numero di paesi.

Nel campo specifico delle costruzioni navali la funzione di Capital ship, un tempo assolta dalla nave da battaglia, non è più unico appannaggio della grande portaerei (80.000 t, generalmente a propulsione nucleare) che per utilizzare velivoli sempre più potenti ha raggiunto le dimensioni di una vera e propria isola semovente, ma viene condivisa con i grandi sottomarini atomici di oltre 10.000 t armati con missili intercontinentali. All'estremità opposta nella scala delle dimensioni esiste, o è in costruzione, un imponente numero di unità leggere lanciamissili, di tonnellaggio variabile da 800 a 60 t, tra le quali particolarmente interessante l'aliscafo italiano classe Sparviero. Progresso non inferiore, per quanto meno rivoluzionario, presentano anche le classi intermedie del naviglio militare, quali il sommergibile d'attacco o HK (cacciasommergibili), l'intramontabile cacciatorpediniere (spesso classificato come fregata specialmente quando attrezzato in prevalenza per la lotta antisom), le unità specializzate per le operazioni anfibie o il rifornimento (v. anche nave, in questa Appendice).

Tutte, o quasi, le navi di superficie tendono a essere equipaggiate con uno o più elicotteri con funzione antisom o antinave. L'affermarsi di aerei a decollo verticale VTOL (Vertical Take-Off and Landing), di cui i primi modelli operativi sono lo Harrier britannico o lo Yak 36 russo, dànno infine origine a un tipo di unità, generalmente denominato incrociatore tuttoponte o antisommergibile, di dimensioni relativamente ridotte (da 10.000 a 30.000 t), e quindi di costo non proibitivo, in grado di esercitare, grazie al flessibile armamento di VTOL ed elicotteri, il controllo di zone aeromarittime in mancanza (o in appoggio) di navi portaerei maggiori.

Prospettive future. - Gli anni Settanta si chiudono con una certa tendenza all'attenuazione dell'apparentemente incolmabile squilibrio tra la capacità delle forze subacquee e di superficie, tra queste ultime e i mezzi aerei, tra le m. dotate di aviazione imbarcata e quelle sprovviste. Le altissime velocità e le attitudini a sfuggire alla ricerca dei sottomarini vengono infatti progressivamente compensate dall'impiego degli elicotteri e velivoli antisom; stanno entrando in servizio, a fianco di più perfezionati sistemi missilistici atti a interdire il cielo delle formazioni navali agli aerei pilotati, armi ad altissima precisione ed elevatissima cadenza di tiro in grado di distruggere gli stessi missili provenienti dall'aria o dalla superficie; infine, la disponibilità di missili superficie-superficie a lunga gittata ha eliminato, entro certi limiti, la schiacciante superiorità un tempo fruita dalle m. che disponevano di velivoli d'attacco. Per il futuro è prevedibile l'evoluzione nelle tecniche d'individuazione e rivelazione dei bersagli con mezzi sempre più differenziati, soprattutto passivi, accompagnati da sistemi sempre più sofisticati di mascheramento e riduzione d'immagine (silenziamento, riduzioni di emissione di calore, modifica dell'immagine radar, ecc.). Si profila inoltre una vera e propria rivoluzione nel campo delle unità di superficie, con la generalizzazione dei nuovi mezzi navali "a effetto di superficie" SES (Surface Effect Ships, cioè tipo hovercraft) oppure di tipo aliscafo ad ali totalmente o parzialmente immerse, non solo nel campo delle piccole unità, ma anche per dimensioni nell'ordine delle 3000 t. Tale sviluppo potrà consentire il raggiungimento di velocità da 40 sino a 80 ÷ 100 nodi e, eliminando nel contempo gli scafi immersi, potrà ricondurre alla parità la lotta tra sottomarino e unità di superficie.

Influenza della geopolitica sulle marine militari. - Alla fine degli anni Sessanta la situazione mondiale delle m. militari era caratterizzata da una netta supremazia navale delle potenze marittime tradizionali (blocco occidentale), bilanciata solo in parte da un'imponente flotta subacquea dell'URSS; le forze navali dei cosiddetti "paesi terzi" non costituivano invece elemento sígnificativo. Successivamente, e in particolare dopo la crisi di Cuba del 1962, l'URSS realizzava appieno l'importanza del potere marittimo e dava inizio, sotto la guida dell'ammiraglio S. Gorshkov, a un vasto programma di costruzioni di unità di superficie potentemente armate. Tale programma culminava nella recente costruzione del cosiddetto "incrociatore" (così denominato ufficialmente per sottrarlo alle limitazioni della convenzione di Montreux sul passaggio attraverso gli Stretti Turchi) Kiev, in effetti vera e propria nave da battaglia di oltre 30.000 t che, in aggiunta a un potente armamento (missili e cannoni) antinave, antiaereo e antisommergibile, dispone di un vasto ponte di volo in tutto simile a quello di una portaerei e su cui possono operare numerosi elicotteri e velivoli a decollo verticale. La m. sovietica si è trasformata così da una forza sostanzialmente costiera e difensiva in una m. oceanica, in condizione di sostanziale bilanciamento di forze con le m. del cosiddetto "blocco occidentale".

Negli anni Settanta si assiste inoltre a un imponente fenomeno di riarmo delle potenze minori, in particolare tra i paesi produttori di petrolio che in conseguenza della crisi energetica dispongono di ampie risorse economiche. Tale riarmo è riservato in notevole parte al settore navale che, favorito dalla disponibilità tecnologica di unità minori dotate di elevata potenza di fuoco, consente alla generalità degli stati di dotarsi di m. nazionali di limitate dimensioni, ma in grado di contrastare efficacemente, nelle proprie acque costiere, l'azione di m. ben più potenti. In casi particolari, quali l'Iran e l'India, si creano flotte di primaria importanza, tali da esercitare influenza determinante nelle rispettive zone d'interesse (Golfo Persico, Oceano Indiano).

Programmi navali. - SUA. - Agl'inizi degli anni Sessanta, la m. degli SUA si presentava come l'incontrastata potenza marittima mondiale, erede indiscussa del ruolo che la Royal Navy aveva ricoperto da Trafalgar alla prima guerra mondiale; successive crisi politico-militari verificatesi in vari continenti hanno messo in luce l'efficacia determinante dell'intervento aeronavale statunitense, esercitato praticamente senza opposizione. In tale periodo si sono delineate tuttavia le prime preoccupazioni per l'invecchiamento in massa delle unità costruite nel periodo bellico, fenomeno solo rallentato dal vasto programma di ammodernamento comprendente tra l'altro la conversione di tutti gl'incrociatori in servizio in unità ad armamento missilistico contraereo. Le nuove costruzioni, pur di altissimo valore qualitativo, risultavano infatti inadeguate a compensare il progredire delle radiazioni, anche perché il pesante sforzo per l'intervento nel Vietnam assorbiva gran parte delle risorse del bilancio. Soltanto il programma dei sottomarini nucleari è stato regolarmente proseguito, raggiungendo il previsto numero di 100 unità, di cui 41 armate con missili balistici Polaris.

I successivi anni Settanta vedono la m. statunitense constatare con crescente preoccupazione la diminuzione nel numero delle unità in servizio, che da 976 nel 1964 scende al di sotto di 500 nel 1975. Un fattore determinante per la difficoltà a mantenere un'adeguata consistenza della flotta (non considerando i problemi di personale causati dall'abolizione del servizio di leva) è costituita dall'enorme incremento dei costi nelle costruzioni navali conseguenti alla crisi energetica del 1973, non compensato dall'assegnazione alla m., per la prima volta nel dopoguerra, della maggiore percentuale del bilancio della difesa. Va tuttavia notato che la diminuzione nel numero è accompagnata e compensata da una tecnologia avanzatissima e da un sensibile incremento nelle dimensioni e prestazioni delle unità navali e degli aeromobili imbarcati.

L'evoluzione delle forze aeronavali statunitensi a partire dal 1960 è rappresentata nella tab. 1, limitata alle unità maggiori, dalla quale appare come la US Navy sia ancora nel 1977 un imponente complesso di forze aeronavali, tendente al traguardo di 600 unità combattenti e che ha al suo attivo programmi di ricerca e sviluppo (velivoli a decollo verticale; unità navali "ad effetto di superficie", cioè tipo aliscafo o hovercraft) che ne assicurano la validità tecnologica per l'avvenire.

URSS. - L'Unione Sovietica aveva impostato sin dal primo dopoguerra un importante programma di rinnovamento delle proprie forze navali, orientato principalmente allo sviluppo della componente subacquea. Dopo il 1962, anno in cui il blocco imposto dagli SUA a Cuba, per costringere i sovietici a rimuovere le postazioni missilistiche che vi avevano installato, fece loro comprendere in modo inequivocabile la vera importanza del potere marittimo, si verificò una grandiosa espansione della m. sovietica, sotto la direzione dell'amm. Gorshkov che ne è ancora oggi il capo. Da allora, da un complesso di forze concepito principalmente per la difesa delle coste e la guerra al traffico, le forze navali sovietiche si sono trasformate in uno strumento perfezionato, in grado di far sentire la propria influenza in tutti i mari del mondo, ove affiancano una m. mercantile onnipresente e in crescente espansione. Tale sviluppo è stato altresì accompagnato da una vivace attività diplomatica per l'acquisizione di facilitazioni di appoggio in vari paesi, nonché da una capillare e intensissima attività oceanografica. Del pari sensazionale è stata l'evoluzione tecnologica nel campo delle costruzioni e degli armamenti navali, originariamente tributari dell'estero (Germania per i sommergibili, Italia per le unità di superficie) per disegno e concezione. A partire dal 1960 sono state infatti realizzate concezioni originali quali la diffusione dei missili antinave su gran parte delle navi di superficie e numerosi sommergibili, l'adozione generalizzata di turbine a gas per la propulsione anche di navi maggiori, lo sviluppo di scafi che nulla hanno da invidiare ai contemporanei delle tradizionali m. guida.

Le tappe di questa evoluzione sono segnate, con una puntualità annuale, dall'apparizione di consistenti serie di unità sia di superficie che subacquee, nonché da un costante ampliamento di attività: dall'istituzione della Squadra del Mediterraneo attorno al 1966, alla prima grande esercitazione oceanica nel 1970, all'eccezionale spiegamento di forze in tutti i mari del mondo in occasione dell'esercitazione Okean '75. E oggi la m. sovietica contende a quella degli SUA il primato dei mari (tab. 2, limitata alle costruzioni maggiori posteriori al 1958) e sta avviandosí, con la costruzione della Kiev, prima unità con ponte di volo completo, a colmare anche l'unico settore in cui ancora soffre di una decisa inferiorità nei confronti della US Navy: quello dell'aviazione imbarcata.

Gran Bretagna. - Nonostante il programma di costruzioni iniziato nell'immediato dopoguerra, la Royal Navy è stata costretta, dalle successive radiazioni del naviglio, a un lento declino, arrestato verso la metà degli anni Sessanta con l'entrata in servizio dei primi esemplari dei 7 incrociatori leggeri classe County (5500 t, 30 nodi, 1 elicottero, missili contraerei, 4/115), dei 5 sottomarini d'attacco nucleari (classe Valiant) e 19 convenzionali (classi Oberon e Porpoise), delle 26 fregate classe Leander (2500 t, 30 nodi, 2/115, missili antiaerei A/A e antisom A/S), e ripreso negli anni Settanta con la progressiva riduzione della forza delle portaerei in servizio, che nel 1977 sono ridotte alle sole Ark Royal e Hermes, e con l'abbandono di tutte le stazioni navali al di fuori della madrepatria. La m. inglese, pur avendo rinunciato a competere con le forze delle superpotenze, permane tuttavia una forza di prima grandezza, dotata di una propria forza nucleare strategica con i 4 sottomarini a propulsione nucleare classe Resolution (7500 t, 25 nodi, 16 Polaris) - cui si aggiungono i 6 sottomarini d'attacco nucleari classe Swiftsure (3500 t, 30 nodi, 5 tls) - e di numerose moderne unità di superficie, che comprendono, per citare solo le più recenti, unità di alto prestigio quali l'incrociatore leggero Bristol (6100 t, 30 nodi, 1 elicottero, missili A/A Sea Dart e A/S Ikara), i 9 cacciatorpediniere classe Sheffield (3150 t, 30 nodi, missili A/A Sea Dart e A/S Ikara), le 8 fregate classe Amazon (2000 t, 32 nodi,1/115,1 elicottero, missili A/A e A/N, antinave), le 2 unità anfibie classe Fearless (11.000 t, 21 nodi). Per il futuro, la Royal Navy punta le sue speranze, per conservare una presenza significativa sul mare, sulla costruzione di un tipo di incrociatore tuttoponte denominato "incrociatore antisom", in pratica una piccola portaerei di 19.500 t in grado di operare sia elicotteri antisom che velicoli a decollo verticale (V/STOL, Vertical/Short Toke-Off and Landing) tipo Sea Harrier.

Francia.- La m. francese ha continuato a perseguire con ammirevole regolarità un programma di costruzioni che le ha consentito, negli anni Sessanta, di sostituire interamente il naviglio bellico e successivamente potenziare la propria consistenza sino a eguagliare, a tutti gli effetti, quella della m. inglese. Ne fanno testo le 2 portaerei Clemenceau e Foch (27.000 t, 32 nodi, 40 aerei) e la portaelicotteri Jeanne D'Arc (10.000 t, 26 nodi, 8 elicotteri) in servizio, i 6 sottomarini nucleari balistici (7500 t, 25 nodi, 16 missili) nonché le forze di superficie e subacquee convenzionali. Queste comprendono 20 sommergibili di cui i modernissimi 4 Agosta, 47 tra cacciatorpediniere e fregate, 20 corvette, naviglio da sbarco e un importante treno logistico di squadra.

Al momento attuale la m. francese ha impostato le proprie prospettive di sviluppo su una portaelicotteri e propulsione nucleare (16.400 t, 28 nodi, 25 elicotteri), nuovi cacciatorpediniere tipo C 70 (3.800 t, 30 nodi, i elicottero, missili e cannoni A/A e A/N) e su una numerosa serie di fregate (n. 14 tipo A 69 (950 t, 24 nodi, 1/100, missili A/N). È altresì allo studio un sottomarino nucleare d'attacco di costo e dimensioni limitate.

La marina italiana.- Sin dall'immediato dopoguerra, la m. italiana ha dato inizio a un programma di rinnovamento dei propri mezzi basato in un primo tempo sull'acquisizione di unità cedute dagli SUA e sul rinnovamento del naviglio esistente, ma indirizzato ben presto verso la ripresa delle costruzioni militari nei cantieri nazionali. Nascono così le 4 corvette da 950 t, classe Airone, i due cacciatorpediniere da 3800 t, classe Impetuoso e le 4 fregate da 2250 t, classe Centauro, la cui realizzazione segna la rinascita dell'industria navale italiana. I successivi anni Sessanta vedono la m. militare italiana evolvere nel campo del naviglio di superficie con concezioni originali e lungimiranti - che vengono poi imitate da tutte le altre m. maggiori - basate sull'impiego generalizzato dell'elicottero come mezzo principale nella lotta antisom e sulla realizzazione di unità maggiori di scorta dotate sia di elicotteri che di missili contraerei. Ne derivano nuove classi di unità che, seppure limitate a pochi esemplari a causa dei modesti fondi disponibili dai bilanci della difesa, conferiscono alle forze navali aspetto e capacità d'indicutibile rilievo. Vengono infatti costruite le 4 fregate classe Bergamini (1650 t, 24 nodi, 1 elicottero) entrate in servizio nel 1962, seguite dai 2 cacciatorpediniere lanciamissili tipo Impavido (anno 1963, 3851 t, 33 nodi, sistema missilistico Tartar), dai 2 incrociatori leggeri tipo Doria (1964, 6500 t, 31 nodi, sistema missilistico Terner, 4 elicotteri), dalle due fregate classe Alpino (1968, 2700 t, 29 nodi, 2 elicotteri), dall'incrociatore leggero Vittorio Veneto (1969, 8850 t, 32 nodi, sistema missilistico Aster, 9 elicotteri) e infine dai 2 cacciatorpediniere classe Audace (1972-73, 4400 t, 33 nodi, sistema missilistico Tartar Standard, 2 elicotteri).

Le nuove unità non sono tuttavia sufficienti ad arrestare il progressivo declino del tonnellaggio militare in servizio, a causa delle numerose radiazioni operate nello stesso periodo per eliminare il naviglio vetusto e non più economicamente operabile. Il fenomeno di riduzione viene poi ulteriormente aggravato dal repentino e ingentissimo incremento dei costi industriali corrispondenti alla crisi energetica, che, a partire dal 1972, costringe la m. a esaurire le proprie capacità di rinnovamento nel pur limitato programma, impostato agl'inizi del decennio e già in avanzata realizzazione, costituito da 4 fregate classe Lupo (entrata in servizio 1977-78, 2344 t, 35 nodi, 8 missili A/N Teseo, missili A/A, 1/127, 4/40 antimissile, i elicottero), 2 sommergibili classe Sauro (entrata in servizio 1977-78, 1200 t, 20 nodi), 4 aliscafi missilistici da 60 t classe Sparviero (50 nodi, 2 missili Otomat, 1/76), di cui un esemplare già in servizio dal 1974, i rifornitore di Squadra tipo Stromboli (1975, 8700 t, 20 nodi, 1/76), 1 nave idrografica (1975, 1700 t, 16 nodi), 28 elicotteri antisom AB 212.

Il divario sempre maggiore tra naviglio radiato e costruito delinea quindi la minaccia di una vera e propria estinzione a breve termine delle forze navali: essa viene tuttavia tempestivamente denunciata dalla m. militare (Libro Bianco del 1973) e con altrettanta prontezza scongiurata da governo e parlamento con l'adozione (1975) dì un provvedimento legislativo, noto come "Legge navale", che, destinando 1000 miliardi nell'arco di 10 anni alle costruzioni navali militari, tende a garantire la consistenza delle forze della m. a un livello non inferiore a quello attuale (circa 105. c00 t). Il provvido intervento, costituendo una ragionevole base finanziaria per una pianificazione a lungo termine, consente di elaborare un programma di nuove costruzioni atto a realizzare la progressiva sostituzione dei mezzi al termine della loro vita utile immettendo in servizio altri 2 sommergibili tipo Sauro, 6 aliscafi tipo Sparviero, 8 fregate classe Maestrale (derivate dalle Lupo, 2638 t, 32 nodi, siluri pesanti A/S, 2 elicotteri), 1 nave di salvataggio, 10 unità cacciamine, 2 cacciatorpediniere missilistici e 1 incrociatore portaelicotteri da circa 10.000 t. Il programma di costruzioni militari genera inoltre immediati ed estesi riflessi nel campo della politica militare nazionale, mediante un significativo rilancio dell'industria navale italiana nel campo delle commesse estere. In particolare le fregate tipo Lupo vengono universalmente apprezzate come realizzazioni d'avanguardia tanto che i cantieri nazionali ricevono importanti ordinazioni dal Perù, Venezuela, Libia, mentre apparecchiature elettroniche navali vengono vendute in tutto il mondo.

In conclusione gli anni Settanta - durante i quali oltre al rinnovamento dei mezzi si è proceduto al riordinamento delle strutture ordinative e logistiche, a estese riforme per l'adeguamento all'attualità sociale delle regolamentazioni, a una vasta attività a favore del personale - costituiscono un momento significativo nella storia della m. militare in quanto base e premessa di un'accelerata evoluzione verso uno strumento efficace, flessibile e bilanciato nei mezzi e nelle strutture.

Marina mercantile.

Flotta mercantile mondiale. - Nel quindicennio 1960-75 si è verificato uno sviluppo dei traffici marittimi e della flotta mondiale, di proporzioni gigantesche, che non ha riscontro neppure nel precedente periodo dodicennale 1948-60. In realtà, il processo di espansione si è sviluppato regolarmente fino al 1974 per i traffici, ossia fino a quando, in seguito alla crisi petrolifera, si è avuta una vera e propria svolta qualitativa e quantitativa nella domanda dei trasporti, con una riduzione di circa il 5% intervenuta nel 1975; mentre, sull'abbrivio della crescente domanda degli anni precedenti, la flotta ha continuato ad aumentare a ritmo molto elevato, a causa delle elevate consegne dei cantieri navali, creando le premesse per uno squilibrio di fondo che non sembra sanabile nel tempo breve.

Secondo le statistiche del Lloyd's Register of Shipping che riguardano tutte le navi a propulsione meccanica di stazza unitaria superiore alle 100 tsl (tonnellate di stazza lorda) la flotta mondiale è aumentata dal 1960 al 1975 nella misura indicata in tab. 3.

La flotta mondiale è quindi cresciuta, nei quindici anni considerati, del 75% nel numero e del 164% nel tonnellaggio. In cifre assolute di 27.413 unità e di 212.392.000 tsl, a un ritmo di 1828 unità e di 14.159.000 tsl l'anno. Il ritmo d'incremento è andato aumentando regolarmente nel tempo, tanto che esso ha raggiunto la punta massima di 30.839.000 tsl nei dodici mesi tra il 30 giugno 1974 e il 1975. Nel periodo in esame vanno indicate le seguenti principali variazioni:

a) Salvo una minima percentuale che consuma ancora carbone, tanto irrilevante che non viene più indicata specificamente nelle statistiche, la flotta mondiale, tanto a vapore che a combustione interna, utilizza ormai quasi esclusivamente combustibili liquidi, nonostante che la crisi petrolifera abbia riproposto l'attenzione verso l'utilizzazione, sotto forme nuove, del combustibile solido. In particolare, poi, il 92% delle unità e il 63% del tonnellaggio complessivo della flotta mondiale è costituito da navi a combustione interna (motonavi). Vi è tuttavia da rilevare che, contro la riduzione del numero delle navi a vapore (a macchina alternativa o a turbina) si riscontra un forte aumento del tonnellaggio complessivo, a causa della preferenza finora data alla propulsione a turbine delle supercisterne e in altre grandi unità per carichi di massa. In effetti, il tonnellaggio medio delle navi a vapore è passato dalle 5164 tsl nel 1960 a ben 21.182 tsl, con un incremento di oltre quattro volte. Molto più moderato è stato l'aumento del tonnellaggio medio delle motonavi, passato da 2534 a 3738 tsl.

Per dare un'idea delle proporzioni prese dalla flotta mondiale, si precisa che la consistenza del naviglio al 10 luglio 1900 era pari a 28.957.000 tsl di cui 6.588.000 a vela e che dopo una serie di anni di rapido sviluppo, al 30 giugno 1914 essa era costituita da 49.090.000 tsl, di cui 3.686.000 tsl, ancora a vela. In sostanza, l'incremento avutosi nel corso dei dodici mesi terminati al 30 giugno 1975, è stato superiore a tutta la flotta mondiale degl'inizi del secolo e del 50%, in più dell'incremento verificatosi nei 14 anni successivi. Se poi si guarda alla capacità di traffico, una tsl del 1975 aveva in media una capacità di traffico almeno doppia e forse tripla di una corrispondente tsl del 1900, sicché praticamente la capacità globale di traffico aggiuntasi tra la metà degli anni 1974 e 1975, è più che doppia di tutta quella offerta dalla flotta mondiale nel 1900.

b) Come conseguenza di questo rapidissimo incremento, l'età della flotta risulta notevolmente ridotta, come risulta dalla tab. 4, in percentuale.

Oltre il 64% del naviglio mondiale era al 30 giugno 1975 di età inferiore ai 10 anni contro il 46,4% di quindici anni prima. Per contro, il naviglio di età superiore ai 15 anni era disceso dal 44,3 al 21% del tonnellaggio complessivo.

c) La stazza media del naviglio è in continuo incremento. Nel 1960 la stazza media era di 3573 tsl, mentre a metà 1975 essa era salita a 5369 tsl. Questa cifra non dà tuttavia una visione completa del fenomeno, perché negli ultimi anni contemporaneamente al moltiplicarsi di alcune classi di naviglio di modeste dimensioni, si è assistito a una tendenza al gigantismo navale non solo per le petroliere, ma anche per le navi per i carichi di massa, e ciò specialmente dopo la chiusura del canale di Suez, avvenuta nel 1967, che rendeva più economica la circumnavigazione dell'Africa per le unità di dimensioni maggiori. Rispetto a un complesso di 14.581.000 tsl di navi di stazza lorda superiore alle 20.000 tonnellate unitarie, esistenti alla metà del 1960, alla metà del 1975 tali navi avevano una stazza complessiva di 188.788.000 tsl pari al 55,2% del totale mondiale, contro l'11,2% del 1960. In particolare, l'entrata in servizio della prima petroliera di 165.000 t di portata (poco meno di 100.000 tsl) avveniva nel 1965; dieci anni dopo, le navi di stazza lorda superiore alle 100.000 t erano 358, di cui 59 superiori alle 140.000 tsl (con una capacità di carico da 275.000 t, e oltre). Queste unità vengono ulteriormente distinte in VLCC (Very Large Crude Carrier) con portata da 250 a 300.000 t e in ULCC (Ultra Large Crude Carrier) con portata superiore alle 300.000 t.

d) La grande espansione dei traffici e l'evoluzione di alcuni mezzi concorrenti, quale l'aereo per la nave passeggeri, e l'applicazione di nuove tecniche, quali i trasporti integrati o di prodotti speciali, hanno portato a una sempre più accentuata diversificazione e articolazione del naviglio impiegato. L'andamento di questa evoluzione è oggi di agevole conoscenza grazie ai perfezionamenti delle rilevazioni statistiche introdotti specialmente dal Lloyd's Register of Shipping. In particolare, la grande nave passeggeri, il transatlantico di prestigio, è ormai praticamente scomparsa dinanzi alla concorrenza dei servizi aerei, e la caduta del tonnellaggio è solo in parte compensata da unità di medie e più modeste dimensioni che sono le navi da crociera, per rispondere a una domanda crescente in relazione al benessere diffuso anche tra le classi di reddito più modesto. Un'altra soluzione in via di rapida espansione è data dalla nave traghetto per passeggeri e autoveicoli al seguito, anch'essa dovuta in prevalenza allo sviluppo del turismo di massa.

Non essendo disponibili le cifre elaborate con gli stessi criteri dal Lloyd's Register (che riguardano le navi di oltre le 100 tsl per il 1960) è tuttavia sufficiente dare un'idea della contrazione di questa classe di naviglio, mettendo a confronto i dati della Maritime Administration statunitense, che al 30 giugno 1960 indicavano le navi passeggeri in 1263 unità di stazza unitaria superiore alle 1000 t per 10.369.000 tsl. Alla data del 30 giugno 1975 il Lloyd's Register of Shipping indica, invece, 137 grandi navi passeggeri di linea per 2.790.403 tsl, più 2573 navi traghetto e unità passeggeri minori per 4.630.347 t, il tutto per circa 2710 unità e 7.421.000 tsl. Mentre il maggior numero si spiega con l'inclusione del naviglio di stazza tra le 100 e le 1000 t, nelle statistiche dell'Istituto inglese è invece evidente la caduta del tonnellaggio complessivo, rispetto al rilevante incremento della consistenza delle altre specializzazioni della flotta.

Nei percorsi brevi si sono poi affermati nuovi tipi di navi: a cuscino d'aria (hovercrafts) e aliscafi che consentono trasporti a velocità elevatissime (50 ÷ 60 miglia orarie).

In particolare, la flotta cisterniera mondiale è passata, tra le due date considerate, da 42.465.000 a 154.137.000 tsl con un incremento del 272%. Anche questa flotta va però differenziandosi, perché al 30 giugno 1975 essa si ripartiva come in tab. 5.

In fase di particolare sviluppo si trovano le navi per il trasporto di gas liquefatti, fra le quali vanno prendendo una posizione preminente le metaniere, le cui prospettive di traffico sono assai pronunciate per l'intensificarsi del trasporto del metano liquido sotto refrigerazione.

A questo naviglio si aggiunge una consistente flotta di navi miste, adatte, cioè, al trasporto tanto dei prodotti petroliferi, quanto dei minerali e altri carichi di massa. Si tratta di 403 navi per 23.716.000 tsl tutte di grandi dimensioni, con una stazza media superiore alle 50.000 t, che rendono possibili vantaggiose combinazioni d'impiego per il trasporto di oli minerali all'esportazione, di minerali di ferro all'importazione e viceversa; oppure per il trasporto alternativo di quei prodotti la cui domanda sia più attiva.

Le altre specializzazioni delle statistiche del Lloyd's Register vengono catalogate in tab. 6, sempre alla data del 30 giugno 1975 e in migliaia di tsl.

L'aumento del naviglio generico per il carico secco risulta relativamente modesto, mentre enorme è stato lo sviluppo delle cosiddette bulk carriers, navi attrezzate per i grandi trasporti di massa, soprattutto minerali, gestite in prevalenza con contratti di durata o di proprietà delle grandi industrie di base per i loro trasporti a ciclo continuativo.

Un'altra specializzazione, che era praticamente ai primi passi nel 1960, è costituita dalle navi portacontenitori (chiamate anche "cellulari" per la loro speciale struttura). Unità di dimensioni sempre crescenti, man mano che si studiano "nuove generazioni" di esse, oggi le massime stazze arrivano e superano le 50.000 tsl, con portata fino a 3000 contenitori del tipo standardizzato da 20 piedi cubi. Di elevatissima velocità, ve ne sono di oltre 30 miglia all'ora, misura adottata un tempo solo per le unità da guerra e per i grandi transatlantici di prestigio, esse richiedono enormi investimenti che normalmente superano le capacità finanziarie delle singole imprese, onde sorge la necessità di un consorziamento tra le grandi compagnie di linea appartenenti anche a paesi diversi, per gestire servizi in comune. Si stima che presto la quasi totalità del carico di linea delle merci pregiate, salvo alcune partite speciali per dimensioni e natura del carico, verrà assorbita da questo tipo di navi per le quali, agli alti costi d'investimento e di esercizio, corrispondono elevatissime prestazioni e rapidità di esecuzione.

Molto promettenti sono i risultati economici delle navi costruite per trasporti veicolari che si distinguono in due grandi sottoclassi: traghetti per autoveicoli al servizio dei passeggeri e navi portarimorchi, per articolati o per contenitori su telai a ruote (navi Ro-Ro, ossia Roll on-Roll off ships a manipolazione orizzontale del carico, secondo una definizione francese), che consentono nella forma migliore il cosiddetto "trasporto intermodale", fatto di percorsi terrestri o interni (per ferrovia, autotreno, idrovia), per mare o anche per aereo e continuazione a terra "da porta a porta", senza che la merce venga sottoposta ad alcuna manipolazione, escludendosi, così, la cosiddetta "rottura di carico" con operazionì complesse, costose e causa di avarie, perdite, manomissioni e ritardi. Mentre per il trasporto dei contenitori si richiedono sofisticati impianti a terra, per i trasporti veicolari occorrono solo ampi spazi per la sosta e per l'inoltro o la concentrazione dei veicoli, bastando poi delle sistemazioni semplificate a banchina per permettere le operazioni di caricazione e di discarica: questa appare la ragione principale del rapidissimo successo di questo tipo di naviglio, a parte i minori costi di costruzione e una migliore adattabilità alle mutevoli condizioni del traffico.

Analoga evoluzione stanno avendo le navi portachiatte, che consentono prestazioni particolari e, talvolta, più incisive e redditizie delle stesse navi portacontenitori. Di modelli e caratteristiche varie a seconda dei progettisti, queste navi offrono la possibilità di ricevere a bordo e di sbarcare una serie di natanti, capaci anche di qualche migliaio di t di portata, fuori dei porti che non possono ospitare unità di grandi dimensioni, sia per pescaggio, sia per mancanza di adeguati impianti meccanici capaci di eseguire celermente le operazioni di sbarco e imbarco. Il significato economico di questa soluzione è dato dalla possibilità di compensare il generale e continuo aumento dei costi portuali e dalla possibilità d'inoltrare i natanti nei fiumi navigabili all'interno dei paesi ove manchino altre comunicazioni dirette, oppure dove la navigazione interna risulta meno costosa rispetto ai percorsi terrestri. Tale soluzione è particolarmente indicata per i paesi in via di sviluppo che dispongono di porti e vie di comunicazione ancora inadeguate.

Infine, vanno segnalate le unità particolarmente concepite per il trasporto di autovetture, che per via mare si fa ormai ammontare a cifre dell'ordine di milioni di esemplari all'anno. Vi sono unità particolarmente attrezzate capaci di alcune migliaia di vetture per ogni viaggio e che fanno esclusivamente questo trasporto.

Quanto alla distribuzione del naviglio mercantile tra i vari paesi, si confrontano i dati del 1960 con quelli del 1975 per offrire una visione delle radicali trasformazioni intervenute nella graduatoria dei vari paesi, nelle dimensioni del tonnellaggio da essi posseduto e nel numero di paesi che dispongono di una flotta mercantile, numero passato da 71 a 141 da quando nel dopoguerra si è generalizzato il movimento di liquidazione degl'imperi coloniali occidentali. In tab. 7 vengono indicate solo le flotte che al 30 giugno 1975 avevano superato la consistenza di un milione di tsl, con a fianco la differenza in più o in meno rispetto al 30 giugno 1960 (in migliaia di t):

La tab. 7 merita una serie di chiarificazioni perché a un primo approccio potrebbe dar luogo a malintesi. Infatti:

a) l'unica flotta che risulterebbe in regresso è quella degli Stati Uniti d'America. In effetti nelle cifre del 1960 erano inclusi circa 13 milioni di tsl di costruzione bellica, messe nella riserva e quindi inoperose, che nel 1975 si erano ridotte a 2 milioni di tsl circa; tenendo conto di ciò anche la flotta statunitense risulterebbe in aumento, sia pure di poco. Va aggiunta poi una consistenza, valutabile in altri 13 ÷ 14 milioni di tsl, che è immatricolata sotto bandiera ombra, operazione autorizzata dalla stessa Amministrazione americana per compensare gli alti costi di esercizio, soprattutto salari, delle navi sotto bandiera federale;

b) l'enorme sviluppo di alcune flotte è dovuto al fenomeno delle bandiere ombra, altrimenti dette di comodo o di necessità, a seconda dei punti di vista. Nell'elenco tali bandiere sono la liberiana (prima del mondo), la panamense, quelle di Singapore, di Cipro, della Somalia, di Bermuda e di altre formazioni minori: libanesi, delle Antille, di Hong Kong, ecc. In complesso le sole flotte indicate nell'elenco costituivano alla fine del 1975 un complesso di 86 milioni di tsl contro 15,5 milioni a metà 1960, nelle quali confluiscono, oltre a quelli statunitensi già ricordati, interessi greci, giapponesi, norvegesi, inglesi, italiani, tedeschi, olandesi e persino sovietici e della Rep. Pop. Cinese. Il fenomeno, che ha avuto origini piuttosto banali e casuali, soprattutto il desiderio di evasione fiscale, è diventato poi estremamente complesso, e da solo meriterebbe una trattazione particolare. In sintesi si riportano le cause indicate nelle conclusioni di un rapporto dell'Institut d'économie des transports maritimes, francese, che fotografa con esattezza le origini di esso: tali conclusioni confermano e meglio precisano la diagnosi, già esposta in App. III, 11, p. 16; successivamente tali cause si sono moltiplicate e più chiaramente delineate: 1) libertà di far costruire le proprie navi alle migliori condizioni offerte dal mercato internazionale, tanto per ciò che concerne il costo di costruzione, quanto per le condizioni di finanziamento; 2) libertà di trarre il partito migliore dall'opportunità di acquisto o di vendita delle navi, sottraendosi alle imposizioni amministrative che ostacolano la necessaria rapidità di decisioni (condizioni restrittive imposte dalle banche centrali, protezione del posto di lavoro, ecc.); 3) libertà, infine, di sottrarsi agl'impegni fiscali, fattore che appare rilevante soprattutto nel caso delle società integrate. In sostanza, il ricorso alla bandiera ombra viene giudicato come uno dei fondamenti dell'internazionalizzazione dell'industria dell'armamento, i cui strumenti privilegiati sono la libertà di azione lasciata ai centri di gestione e la rilevanza dei capitali ai quali questi hanno accesso, eliminando gli ostacoli degl'interventi statali, spesso oppressivi e controproducenti anche quando mirano a incentivare le attività marittime nazionali.

c) contro un aumento di oltre cinque volte delle flotte sotto bandiera ombra, e con alcune eccezioni come Giappone, Grecia, URSS e Spagna, i paesi di vecchia tradizione marinara hanno segnato il passo. I seguenti paesi: Gran Bretagna, Norvegia, Stati Uniti, Francia, Italia, Rep. Fed. di Germania, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca hanno aumentato il loro tonnellaggio complessivo tra il 1960 e il 1975 da 73 a 121 milioni di tsl, ossia di circa il 65%, contro un incremento del tonnellaggio mondiale del 164%. La partecipazione sul totale mondiale è scesa dal 56% nel 960 al 32% nel 1975. Sono invece aumentate al disopra della media normale le flotte degli altri paesi tradizionali sopra indicati.

Traffico marittimo delle merci. - Quanto allo sviluppo dei traffici marittimi che si traducono nella domanda di trasporti, e quindi di naviglio, si premette che esso si è manifestato in misura superiore all'aumento del tonnellaggio della flotta mondiale fino al 1973, anno di svolta causata dalla crisi petrolifera. Il fenomeno si è manifestato con due aspetti: aumento rapidissimo delle quantità trasportate e aumento delle distanze percorse, particolarmente accentuatosi dopo la chiusura del canale di Suez. Tuttavia, le prestazioni in tonnellate miglia, rappresentanti la misura delle variazioni intervenute nelle quantità per le distanze percorse, sono oggetto di stima attendibile solo per gli anni più recenti. È anche da notare che la serie storica calcolata dall'ufficio statistica dell'ONU non è completamente confrontabile per la scarsa omogeneità dei criteri di elaborazione, dato il continuo perfezionamento delle rilevazioni che sono state estese a un numero crescente di paesi, dei quali, negli ultimi anni, manca solo la Rep. Pop. Cinese tra quelli più importanti.

L'andamento dei carichi in traffico internazionale via mare è dato in tab. 8.

Poiché risulta che tra il 1960 e il 1975 la flotta mondiale è aumentata del 164% in tonnellaggio lordo, se ne deduce che l'aumento del traffico ha richiesto una capacità di trasporto superiore a quella indicata dalle semplici cifre del tonnellaggio lordo: il fenomeno appare ancora più accentuato se si considera che l'impiego delle grandi unità petroliere e mineraliere ha permesso il trasporto di carichi di massa per distanze oceaniche a noli molto bassi e, successivamente, la chiusura del canale di Suez ha imposto l'allungamento di molte rotte fondamentali. Le valutazioni per il traffico in tonnellate-miglia sono solo disponibili dal 1962 al 1975, ma esse sono così eloquenti nelle nude cifre (tab. 9) che non hanno bisogno di particolare illustrazione.

Così tra il 1965 e il 1974 il peso delle merci trasportate via mare è salito di poco più del 100%, ma è aumentato di oltre il 200% il numero delle tonnellate-miglia effettuate per trasportarle. Nello stesso periodo il tonnellaggio lordo della flotta mondiale è aumentato solo del 113%, e questo si spiega con le maggiori prestazioni offerte dal progresso tecnologico sia delle navi sia delle attrezzature portuali.

Per quanto riguarda il traffico delle merci solide, il primo posto è stato preso dal minerale di ferro, i cui sistemi di trasporto sono stati trasformati da un'evoluzione non dissimile da quella per il trasporto dei petroli, grazie all'aumento delle dimensioni, alla specializzazione del naviglio e alla completa meccanizzazione delle operazioni di carico e scarico. Così tra il 1960 e il 1970, il volume di carico dei minerali di ferro è passato da 101 a 247 milioni di t, raggiungendo poi la punta di 329 milioni nel 1974, per subire una lieve flessione a 292 milioni nel corso del 1975. Il trasporto è ormai effettuato per oltre il 90% da navi specializzate. I principali centri esportatori sono: Brasile, Liberia, India, Venezuela, Canada, Australia e Africa orientale, che hanno sopravanzato di gran lunga le fonti ancora attive del Nord Africa e della Norvegia. Principale importatore del mondo è il Giappone, seguito dalla Gran Bretagna e dai paesi europei, nonché dagli Stati Uniti.

Quanto al carbone, cessati molti usi correnti per la produzione del vapore per la trazione e per il riscaldamento, esso ha subìto nel corso degli anni Cinquanta una forte contrazione alla quale è seguita una vivace ripresa in relazione agli sviluppi della siderurgia mondiale, tuttora in gran parte legata all'impiego di alcune sue qualità speciali. Altro impiego, spesso alternativo con il petrolio, è offerto dalle centrali termiche ed esso, dopo la crisi petrolifera del 1973, sembra offrire buone possibilità di ripresa. Sta di fatto che i trasporti internazionali di carbone caduti a 46 milioni di t nel 1960 sono saliti a 101 milioni nel 1970, per subire qualche assestamento successivamente e un'ulteriore ripresa dopo la crisi petrolifera del 1973, tanto da raggiungere un primato nel corso del 1975, con 127 milioni di tonnellate. Il principale esportatore è rappresentato dagli Stati Uniti per oltre 51 milioni di t nel 1970 e 60 nel 1974, seguiti dall'Australia che già nel 1970 aveva raggiunto i 17 milioni di t e i 32,4 milioni nel 1974. L'Australia non esporta solo verso il Giappone, che è diventato il maggiore importatore del mondo, ma, grazie ai progressi tecnologici del naviglio impiegato, è in condizione di esportare ormai grandi quantitativi anche verso l'Europa. Viene poi la Polonia con 22 milioni di tonnellate. Il terzo posto come quantità è occupato dai cereali per alimentazione umana, che hanno raggiunto dimensioni molto elevate con uno sviluppo costante, anche se sottoposto ad ampie oscillazioni anno per anno, in relazione alle variazioni dei raccolti dei principali paesi esportatori e importatori. Così il volume dei cereali trasportati via mare tra il 1960 e il 1970 è passato da 48 a 73 milioni di t metriche per giungere agli 89 milioni di t nel 1972 e sfiorare i 100 milioni nel 1975. Se si aggiungono i cereali per l'alimentazione animale, il sorgo e la soia, la cifra del 1975 arriva a 137 milioni di t, ai quali vanno aggiunti circa 8 milioni di t di riso. La principale fonte di esportazione è data dagli Stati Uniti (80% del totale), seguito dal Canada, Australia e sud America; principale importatore è diventata l'URSS con i paesi dell'area socialista, specie quando, dopo il 1970, per una serie di sfavorevoli raccolti, è stata costretta a importare annualmente per decine di milioni di tonnellate. Grossi importatori di cereali sono: Giappone, Italia, Europa continentale e Gran Bretagna; India, Cina e altri paesi asiatici.

Anche gli altri minerali, quali bauxite, manganese, fosfati e altri prodotti, come lo zucchero, il legname, ecc., hanno segnato aumenti proporzionalmente analoghi ai tre tipi di carico fondamentali già ricordati, sia pure con dimensioni più limitate. Non meno pronunciato è lo sviluppo delle merci piegiate (varie), come autovetture, prodotti meccanici e industriali vari, alimenti, fertilizzanti, ecc.

Tra i grandi centri di traffico mondiale il primo posto degli Stati Uniti è ormai conteso dal Giappone che dopo la ripresa postbellica si è trasformato nel più grande paese importatore di materie prime e riesportatore di prodotti finiti. L'Europa con la Gran Bretagna ha tuttavia mantenuto globalmente il suo primato, ma ha accentuato le sue importazioni, mentre ha ridotto le esportazioni del carbone che era il suo principale carico di uscita.

Nel quadro mondiale una posizione fondamentale è stata presa poi dai paesi in via di sviluppo, che hanno realizzato un enorme potenziale di esportazione fatto principalmente di petroli, minerali e di quantità minori di prodotti agricoli, e che importano crescenti quantità di prodotti industriali ed estrattivi. Allo squilibrio tra importazioni ed esportazioni dei paesi industrializzati essi contrappongono uno squilibrio inverso ancora più accentuato, che va creando delicati problemi non solo di natura economica. In questo quadro giocano un ruolo speciale i paesi produttori del petrolio, in particolare quelli del Medio Oriente, i quali dopo il 1973 sono riusciti a imporre prezzi crescenti del greggio ai paesi industrializzati, capovolgendo i terms of trade, in modo da assicurarsi ingenti risorse valutarie per finanziare i propri programmi di sviluppo, dando così origine a nuove, importanti correnti di traffico verso i loro paesi, tanto da creare, specialmente nel Golfo Persico, uno degli epicentri delle attività marittime più vivaci del mondo, con una forte espansione proprio dopo il 1973, quando gli altri settori del traffico mondiale hanno risentito della crisi economica generale.

Modesto appare invece il ruolo dei paesi del blocco socialista, che ha una struttura fondamentalmente autarchica: tuttavia, anch'esso ha mostrato negli ultimi anni i segni di un rapido progresso. Della Rep. Pop. Cinese non si hanno dati precisi: è certo tuttavia che anch'essa, dopo il 1970, è andata sviluppando rapidamente gli scambi con la prospettiva del raggiungimento di mete elevate negli anni successivi. Un aspetto interessante è dato dalle crescenti esportazioni di petrolio che in pochi anni sono già salite verso i 10 milioni di t, e si ritiene raggiungeranno, entro pochi anni, i 50 milioni di tonnellate.

Nell'intento di presentare gli sviluppi particolari dei grandi raggruppamenti economici, quali vengono offerti dalle rilevazioni dell'ONU, nella tab. 10 sono indicate le cifre delle quantità delle merci imbarcate e sbarcate, tra il 1970 e il 1976, nei paesi a economia industrializzata, in quelli a economia in via di sviluppo e in quelli a economia pianificata o socialista. Un confronto con le cifre del 1937, peraltro da accogliersi con molte riserve, dà un'idea delle trasformazioni avvenute nell'economia dei traffici mondiali.

In particolare, e con maggiore precisazione geografica, si dànno in tab. 11 i dati specifici per gli anni 1974-75.

Data la grande diversificazione intervenuta nei traffici, nelle dimensioni e nei modi d'impiego del naviglio, nelle operazioni portuali a seconda del maggiore o minore grado di meccanizzazione, con profonde conseguenze nei costi del trasporto e, quindi, dei noli, è diventato assai meno agevole il ricorso alla tecnica dei numeri indice dei noli per ottenere una visione sintetica e generale dell'andamento economico delle attività armatoriali internazionali. Indici differenziati per tipi e dimensioni di naviglio vengono pubblicati in Gran Bretagna, per le navi per il carico secco e per le navi cisterna; dal comitato di coordinamento dei noleggi di Mosca (Comecon) per più tipi di navi e di traffici (cabotaggio, lungo corso), dal ministero dei Trasporti tedesco (per i carichi secchi, navi cisterna, servizi di linea), in Norvegia dalla rivista Norvegian shipping news, ecc. Per dare un'idea molto generica, ma abbastanza approssimata dell'andamento della congiuntura, si presenta in tab. 12 la serie dei valori dell'indice italiano per i carichi secchi, calcolato sui contratti a viaggio singolo per le merci secche alla rinfusa: carbone, minerali, cereali, fosfati, zucchero. I valori annuali nascondono le oscillazioni anche ampie che si hanno nel corso dei mesi, tanto di natura stagionale che di altra natura, ma sembrano sufficienti a indicare l'andamento del ciclo dei trasporti marittimi internazionali. La base è riportata al 1954 = 100, che corrispondeva, grosso modo, al livello del 1937, da considerarsi di equilibrio tra costi e ricavi.

Il mercato è stato sostanzialmente stabile per i primi dieci anni, sia pure con oscillazioni di qualche rilievo, mentre dopo il 1969 ha registrato ampie variazioni dovute in parte a una congiuntura assai favorevole, e in altra parte all'aumento dei costi e alla svalutazione monetaria.

Confrontando, poi, gl'indici annuali dei carichi secchi e liquidi con l'andamento delle ordinazioni di nuove navi ai cantieri mondiali (o delle consegne), con il ritmo d'incremento o di contrazione annuale dei traffici e con l'andamento dei disarmi e delle demolizioni, si ottiene la conferma dell'attendibilità del ciclo messo in luce dagl'indici generali, sia pure con sfasamenti dovuti a ragioni tecniche. Così nel periodo di stabilità dei noli tra il 1960 e il 1970, con un'aliquota molto bassa dei disarmi, le costruzioni navali sono andate crescendo regolarmente grazie all'aumento medio regolare della domanda dei trasporti in misura del 9% annuo, con oscillazioni tra i massimi e i minimi di soli 6 punti; nel periodo successivo, le variazioni si sono accentuate, ma con forte tendenza a crescere percentualmente, tanto da portare ad altezze inusitate le commesse ai cantieri. Dopo i fatti del 1973, si è verificato lo sfasamento già indicato tra riduzione del livello dei noli, avvenuto prima per i petroli e poi per i carichi secchi, e aumento delle navi consegnate che nel 1975, anno di vera e propria crisi, hanno raggiunto la punta mai toccata nel programma, di oltre 34 milioni di tsl, pari a circa il 10% del totale.

Traffico passeggeri. - Nel periodo in esame si è manifestata poi la crisi del movimento passeggeri transoceanico che aveva avuto forti segni di ripresa negli anni Cinquanta, superando largamente le cifre precedenti al conflitto mondiale. Il fenomeno era dovuto alla ripresa del movimento emigratorio dall'Europa verso le Americhe e l'Australia, movimento che si è rapidamente esaurito negli anni del boom economico europeo dopo il 1960, e al movimento turistico, che poi è stato quasi completamente sostituito da quello aereo. Basti ricordare che, mentre nel decennio 1951-60 l'aereo aveva raggiunto una parità numerica nel trasporto con la nave nel Nord Atlantico, negli ultimi anni la nave ha rapidamente perduto la sua posizione, fino allo 0,5 ÷ 1% del totale dei passeggeri trasportati dall'aereo che nel 1974 hanno raggiunto la cifra primato di 10,5 milioni di unità. Compensi parziali sono dati dal traffico crocieristico e dai viaggi a breve percorso con le auto al seguito: ma secondo dati dell'OECD (Organization for Economic Cooperation and Development, sigla franc. OCED, ex OECE, Organisation Européenne de Coopération Economique), pur risultando un numero abbastanza elevato di passeggeri via mare nel mondo (18 milioni di unità nel 1975, con un ritmo d'incremento moderato e assai sensibile alla congiuntura economica), il loro peso è ridotto a una funzione, almeno per ora, marginale nelle attività della flotta mercantile mondiale.

I settori di attività crocieristica serviti dalle navi maggiori sono la serie dei Caraibi, con partenza da New York e dalla Florida; il Mediterraneo fino alle Canarie e al Marocco, con partenza in prevalenza dall'Italia o dal Nord Europa; il Nord Europa verso la Scandinavia. Per i percorsi brevi, intensissimi e in rapida espansione, sono i traffici tra Gran Bretagna e l'Europa, quelli delle regioni scandinava e baltica, del Mediterraneo, delle isole giapponesi e dell'Australia.

Con un'espansione delle dimensioni indicate nei traffici e nelle flotte, con l'intervento nel campo marittimo di nuove formazioni politiche sempre più numerose, con il contrasto e la concorrenza tra i vari tipi di gestione, privata, collettivizzata, nazionalizzata, i problemi politici che hanno interessato la m. mercantile hanno avuto un peso crescente. Le reazioni sono state di due ordini, l'uno negativo e l'altro positivo. Le reazioni negative si sono tradotte in un'accresciuta concorrenza con più frequente ricorso a forme d'intervento statale, con partecipazione diretta nel capitale delle imprese prescindendo dall'equilibrio della gestione economica, con preferenze riservate alla bandiera nazionale e discriminazione contro quelle estere. Tutto ciò ha incoraggiato le fughe dell'armamento privato verso le bandiere di comodo. Le reazioni positive sono costituite, invece, da una sempre più estesa collaborazione internazionale, ricercata in una serie di grandi assise internazionali, come le varie sessioni della Conferenza del mare, o di organismi internazionali facenti direttamente o indirettamente capo all'ONU o all'Organizzazione per lo sviluppo e la collaborazione economica di Parigi.

Fuori e nell'ambito di queste grandi organizzazioni, si ricordano anche gli organismi di natura privata, o semi-pubblica, per l'unifificazione del diritto marittimo (Comité maritime international) e quelli professionali dell'armamento, della cantieristica, dei porti e dei sindacati dei lavoratori, impegnati in un lavoro di comune interesse per affrontare i problemi di un'attività internazionale per eccellenza.

In campo internazionale tra i problemi politici di maggior peso, che hanno attirato l'attenzione delle nazioni marittime, si deve porre il regime giuridico del mare, con le zone in cui uno stato rivierasco è autorizzato a esercitare determinati diritti; questi non si riferiscono ormai soltanto all'esercizio della navigazione marittima e alla pesca (mare territoriale), bensì anche ad altre forme di utilizzazione, come il fondo marino per la ricerca petrolifera e mineraria, o per la costruzione di isole galleggianti a fini vari: industriali, turistici, di controllo delle comunicazioni e della navigazione; o ad altri rapporti giuridici riguardanti la proprietà del naviglio, in relazione al fenomeno delle bandiere ombra; o alla lotta contro gl'inquinamenti marini, estesa non solo alle zone costiere, ma anche a quelle oceaniche.

Nel campo specifico della m. mercantile, oltre ai problemi di sempre relativi all'esistenza delle bandiere ombra, delle discriminazioni di bandiera, merita un particolare accenno quello dell'esistenza degli accordi limitativi sulla concorrenza nel campo dei servizi di linea, noti con il nome generico di conferences. Esso ha avuto sviluppi assai importanti in seguito all'azione dei paesi di nuova indipendenza, per i quali un'apposita agenzia dell'ONU, il CNUCED (Conférence des Nations Unies pour le Commerce et le Développement - sigla ingl. UNCTAD) svolge un'azione di ricerca e di studio dei vari aspetti economici e statistici, proponendo le soluzioni da adottarsi in appositi strumenti internazionali. In sostanza, i paesi in via di sviluppo sostengono di essere danneggiati dall'azione delle conferences che controllano i loro traffici, ponendo condizioni o esigendo noli che appesantiscono la loro precaria posizione debitoria. Desiderando di partecipare ai trasporti interessanti la loro economia, essi chiedono di esservi ammessi de jure con le loro flotte. A tal fine, una convenzione internazionale denominata "Codice di condotta per le conferences è stata approntata nel 1974 e prevede una disciplina assai complessa, con quote di diritto a partecipare ai propri traffici per i singoli paesi. Lo strumento è però risultato assai complesso e non sembra destinato ad avere attuazione senza radicali innovazioni, nonostante che contenga disposizioni di notevole rilievo.

Altro aspetto nuovo dei problemi internazionali è il contrasto di natura concorrenziale tra flotte di paesi a economia capitalistica e quelli a economia socialista, per i princìpi sostanzialmente diversi che ispirano le politiche commerciali di questi ultimi, in cui vengono ravvisati casi di dumping e di altre pratiche discriminatorie. Ma nel periodo in esame i maggiori risultati sono stati ottenuti nel campo tecnico, specialmente in quello della sicurezza della navigazione, per merito dell'Organizzazione Intergovernativa Consultiva Marittima (sigla ingl. IMCO), agenzia dell'ONU con sede a Londra, la quale ha iniziato la sua attività effettiva a partire dal 1958, allargandola sistematicamente a tutti i problemi relativi alle strutture delle navi, all'organizzazione dei servizi di vigilanza, agli aiuti radio, alla lotta contro gl'incendi a bordo, contro gl'inquinamenti derivanti da perdite di oli minerali durante la normale navigazione o in sinistri parziali, alla segnalazione dei sinistri, fino a giungere alla Convenzione IMMARSAT per dirigere la navigazione attraverso i satelliti, ecc.

Infine, va ricordata l'azione dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che nelle sue sessioni speciali ha dedicato molta attenzione ai problemi dei marittimi, con particolare riguardo alle condizioni tecniche del naviglio sul quale vengono imbarcati, del loro addestramento, della disoccupazione, della loro efficienza fisica, ecc.

Marina mercantile italiana. - Con riferimento alla m. mercantile italiana, si premette che, terminato il processo di rapido recupero della consistenza prebellica, il suo sviluppo, che nel periodo precedente aveva superato la media mondiale, si è invece rallentato di fronte all'impetuosa avanzata delle flotte di alcuni paesi marinari tradizionali, come il Giappone, la Grecia. e la Norvegia, dei paesi a economia socialista, come l'URSS, o di quelli sotto bandiera ombra. Sta di fatto che, mentre la stazza complessiva della flotta, tra il 10 gennaio 1948 e il 10 gennaio 1960, era passata da 1.853.000 tsl a 5.065.000, nel periodo successivo tra questa data e la fine del 1975, è stata raggiunta una consistenza di 10.905.000 tsl.

In particolare, considerando solo le navi di oltre le 100 tsl, la struttura della flotta è variata tra le due date considerate come in tab. 13 (dati dell'ufficio statistico del ministero della M. mercantile).

Il naviglio minore ha invece subìto una significativa contrazione (tab. 14).

Le navi minori che agl'inizi degli anni Cinquanta avevano una consistenza pari al 7% di quella complessiva della flotta, e al 2% nel 1960, nel 1975 si erano ridotte a poco più dello 0,7%. Per contro, su queste navi risulta ancora impiegato oltre il 10% degli equipaggi imbarcati, la cui cifra globale si può valutare intorno alle 50.000 unità.

In aggiunta a queste cifre va ricordato che sotto bandiera ombra si trova una consistente quantità di navi controllate da armatori italiani per una cifra valutata cautelativamente intorno ai 2,5 milioni di tsl. Su queste navi e sulle altre controllate da armatori esteri erano imbarcati marittimi italiani valutati da 15.000 a 20.000 unità.

Dato l'incremento moderato della flotta italiana e quello molto più accentuato di quelle di numerosi paesi stranieri, la sua posizione nella graduatoria è arretrata dal 6° posto nel 1960 al 10° nel 1975.

Tuttavia, anche la flotta italiana è partecipe al processo di ringiovanimento generale: il 54% aveva al 1975 età inferiore ai 10 anni e il 14% età superiore ai venti anni; nel 1960, le rispettive cifre erano del 47% e del 18%. A partire dal 1957-58, la componente maggiore degli aumenti della flotta è stata data dalle nuove costruzioni, mentre gli acquisti di navi di occasione che formavano un tempo la principale fonte degl'incrementi di naviglio hanno assunto una dimensione sempre più marginale.

Quanto ai traffici portuali, tra il 1960 fino a tutto il 1973 è continuato il processo di vigorosa espansione, che ha portato il volume delle merci trattate da 101.713.000 t a 375.593.000 t, per poi segnare una graduale riduzione a 372.386.000 t nel 1974 e a 320.636.000 t nel 1975, in conseguenza della crisi petrolifera e della contemporanea crisi inflazionistica. Ciò malgrado, l'Italia è stata uno dei paesi che, dopo il Giappone, ha maggiormente progredito in questo settore nel mondo.

Il traffico dei passeggeri ha anch'esso segnato un elevato progresso: tra il 1960 e il 1975 quelli provenienti da e partiti per l'estero sono passati da 848.159 a 2.042.915 unità; quelli in cabotaggio da 10.928.776 a 20.817.067 unità. Le punte massime si sono avute, anche per questo traffico, nel 1973, con 2.223.595 da e per l'estero e 21.042.223 in cabotaggio tra porti nazionali.

Come conseguenza dell'aumento dei traffici, soprattutto delle importazioni, si è avuto il peggioramento della bilancia dei pagamenti per i trasporti marittimi, che era stata costantemente attiva tra il 1953 e il 1959, ed è poi diventata crescentemente passiva a partire dal 1960, dai 13 miliardi di lire fino a raggiungere il primato di 373 miliardi nel 1975.

Bibl.: Per la parte generale: relazioni ufficiali, bollettini e annuari statistici di istituti creati ad hoc nei principali paesi del mondo (Francia, Paesi Bassi, Germania, Norvegia, Giappone, Polonia, Argentina, ecc.); l'Annuario statistico e il Bollettino di statistica dell'ONU; relazioni, rapporti speciali e monografie pubblicate a cura della Conferenza (permanente) delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (nota con la sigla franc. CNUCEO, Conférences des Nations Unies pour le Commerce et le Dévelopement, e con quella inglese UNCTAD, United Nations Conference on Trade and Development, New York-Ginevra); i volumetti annuali: Les transports maritimes dell'OCED di Parigi; statistiche periodiche del Lloyd's Register of Shipping di Londra; pubblicazioni annuali dell'Istituto di economia marittima di Brema, del Comité central des armateurs de France; la Marine marchande. In Italia vanno ricordate la Relazione annuale del ministero della Marina Mercantile; quelle della Società finanziaria marittima (Finmare); della Confederazione degli Armatori Liberi; la Statistica della navigazione dell'Istituto centrale di statistica; il capitolo sulla bilancia dei trasporti marittimi della relazione annuale del governatore della Banca d'Italia che è poi illustrata partitamente nel suo Bollettino. Per la stampa periodica, si ricordano: la Rivista di informazioni marittime, la Rivista marittima di Roma; la Marina italiana e la Marina mercantile di Genova; all'estero: Statistik der Schiffahrt, mensile di Brema; e Hansa, settimanale di Amburgo; Journal de la marine marchande, settimanale di Parigi; Journal of commerce di Liverpool e Lloyds's List di Londra, quotidiani; Fairplay, Marine Week settimanali e Motorship, mensile, di Londra; Norwegian shipping news, di Bergen; Zosen di Tōkyō.

Per l'Italia è stata recentemente pubblicata una ricostruzione delle vicende del settore con l'Industria dei trasporti marittimi in Italia, in 3 voll. e in 4 parti, Roma 1965-73.

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