Marinaio

Enciclopedia Dantesca (1970)

marinaio [plur. marinari]

Eugenio Ragni

Nell'occorrenza di Cv IV XXVIII 3 (lo buono marinaio, come esso appropinqua al porto, cala le sue vele, e soavemente, con debile conducimento, entra in quello) il vocabolo è inserito nella similitudine con la quale D., ripetendo esplicitamente Cicerone (Senect. IX 70 " quo propius ad mortem accedam, quasi terram videre videar aliquandoque in portum ex longa navigatione esse venturus "), vuol mettere in evidenza la dolcezza con cui sopravviene la naturale morte allorché si siano calate le vele de le nostre mondane operazioni e si sia volti a Dio con tutto nostro intendimento e cuore.

Ancora in una similitudine - con la quale D. mostra di accedere alla comune credenza che sia segno di vicina tempesta l'inarcarsi dei delfini a fior d'acqua - il vocabolo compare in If XXII 20 Come i dalfini, quando fanno segno / a' marinar con l'arco de la schiena / che s'argomentin di campar lor legno.

Nel passo di Pg XIX 20 " Io son ", cantava, " io son dolce serena, / che ' marinari in mezzo mar dismago... ", il sostantivo - al di là del senso letterale che ottimamente s'inserisce nel ricordo mitologico-letterario, anch'esso comunque già interpretato in antico in chiave allegorica -, assume valore di simbolo: la serena, cioè gli allettamenti dei beni terreni, attira e perde i marinari, cioè gli uomini che ascoltano il suo canto. Da notare anche qui, come nel passo citato del Convivio, l'assunzione allegorica del viaggio per mare a simbolo del corso della vita. (cfr. E. Raimondi, Il c. I del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 6 n. 1).

L'unica occorrenza del Fiore (LVI 1) si trova ancora in una similitudine nella quale il m. che manovra opportunamente la nave a seconda delle condizioni del mare è suggerito come modello da imitare a chi d'Amor vuol gioire, che qualora trovi la sua donna scontrosa un'or la de' cacciar, altra fuggire.