MARINEO, Luca, detto Lucio Marineo Siculo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARINEO, Luca detto Lucio Marineo Siculo

Stefano Benedetti

– Nacque in data incerta, verosimilmente collocabile nel 1444, a Vizzini: «In Sicilia Bizinum mihi patria est», ricordava egli stesso all’amico Antonio Flaminio in una lettera del 15 ott. 1502, inclusa negli Epistolarum familiarium libri decem et septem (Valladolid, A.G. Brocar, 1514, XII, 6), vastissimo epistolario che costituisce la fonte primaria per la biografia del M., benché solo un quarto delle lettere sia datato.

Mentre restano ignoti i nomi dei genitori, mai menzionati dal M., l’epistolario trasmette notizia di due fratelli, Niccolò e Tommaso, con i quali il M. mantenne contatti epistolari (ibid., IX, 10, 19), e della sorella maggiore Caterina, della cui morte il M. apprese con dolore a Burgos il 30 sett. 1502 (ibid., III, 5; X, 14).

Al figlio di Caterina, Pietro Conti, si deve la tarda introduzione agli studi letterari del M., intorno ai venticinque anni, poi proseguiti grazie alle cure del «vicarius Bizinas» Federico Manuello, contro la volontà dei genitori. Questo è quanto afferma uno dei suoi allievi prediletti in Spagna, Alfonso Segura, che nell’ottobre 1508 tracciò una biografia del M. (questa apologetica perbrevis narratio fu inclusa nell’Epistolarum liber, dopo l’ep. VI, 2, cc. eviiiv-fiv). Da Vizzini il M. si trasferì a Catania, dove nel 1475 fu alla scuola di Pietro Anguessa, quindi a Palermo, dove nel 1476-77 fu allievo di latino e greco, insieme con Antonio Catone e il citato Flaminio, di Giacomo Mirabella e Giovanni Nasone da Corleone, entrambi poi ricordati dal M. nella rassegna dei siciliani «tam vitae sanctitate quam doctrina praestantissimos» (Ep., V, 18, a Cataldo Parisio: vi è rievocata anche la conoscenza di Costantino Lascaris). Nel vivace ambiente umanistico palermitano il M. seppe immediatamente emergere, al punto da subentrare nel 1478 a Nasone come magister scholarum, in un incarico tenuto per un anno insieme con i colleghi Pietro Santeramo e Gilberto Pisauro.

Tra 1478 e il 1479 risiedette a Roma, dove fu alla scuola di Pomponio Leto, come ricordato in un luogo del De Aragoniae regibus (c. IIIr; Saragozza, G. Cocus, 1509); mentre resta ipotetico che seguisse Giovanni Sulpizio da Veroli, a Roma dal 1480-81. L’anno romano fu determinante per la maturazione umanistica del M., che in tale ambiente mutò il nome di battesimo in Lucius, benché poi siano labili le attestazioni di questa esperienza, di cui non è menzione nelle lettere, e figurino solo accenni nell’opera maggiore De rebus Hispaniae memorabilibus (Alcalá, M. de Eguía, 1553, c. XXIIv; c. XVv: circa la conoscenza diretta di Paolo Cortesi).

Certo è però che, rientrato a Palermo, tra 1480 e 1484 il M. tenne pubblico insegnamento di grammatica e contemporaneamente svolse attività di privato precettore presso la famiglia di Luca Pullastra, segretario regio a Palermo, ai giovani Vincenzo, Nicola e Giulio Pantaleone, in anni poi richiamati con nostalgia in una lettera da Madrid, il 5 dic. 1502 (Ep., VIII, 1; l’intero libro VIII è dedicato alla corrispondenza con i Pullastra): l’epistola è importante anche perché attesta che a quella data il M. viveva in Spagna da 18 anni e dunque consente di datarne il trasferimento al 1484.

In quell’anno infatti il M., che ormai godeva di una riconosciuta reputazione, volle tentare il salto a più alti onori e compensi, abbandonando la Sicilia per la Spagna al seguito dell’ammiraglio di Castiglia Fadrique Enríquez, nipote di Giovanna d’Aragona, dal 1480 confinato in Sicilia, dove si era unito con la ricca Anna Cabrera, contessa di Modica, con la quale dopo le nozze a Messina l’ammiraglio si era stabilito a Palermo. Dunque il M. si imbarcò con la coppia alla volta della Spagna facendo tappa a Napoli, dove incontrò Antonio Flaminio, in procinto di trasferirsi a Roma (Ep., XII, 6).

Giunto in Spagna, il M. fu indirizzato da Enríquez al fratello Fernando, presso cui dimorò a Salamanca, dapprima come precettore del figlio del cavaliere portoghese Francisco de Almeida, allievo contesogli da un altro maestro del luogo, ma confermato al M. grazie all’intervento di Fadrique Enríquez (ibid., XVII, 1, 6 ott. 1484). Il M. ricambiò con un epitafio encomiastico che celebrava la memoria dei tre avi dell’ammiraglio (Epitaphium trium archimarinorum Alfonsi, Federici et alterius Alfonsi, pubblicato nei Carmina, I, 7, raccolti in due libri, in coda alle Epistolae). Ma probabilmente già nel corso del 1484 il M. fu incaricato di attendere alle «professiones poeticae et oratoriae facultatis» nello Studio di Salamanca, su proposta di Fadrique Enríquez e dopo che il M. ne richiese il benestare all’ammiraglio (Ep., XVII, 2).

In tale magistero del M. le testimonianze tradizionalmente ravvisano uno dei passaggi decisivi per il rinnovamento umanistico della penisola iberica, giacché grazie al travaso della latinità classica determinato dalla sua opera – per riprendere le parole di Segura, nella citata biografia – «tota Hispania iam tandem incipit splendescere» e anche al M. poté attribuirsi, in ambito spagnolo, quel ruolo di riscatto dalla barbarie linguistica che L. Valla aveva rappresentato per l’umanesimo italiano. L’approdo del M. venne tempestivamente a inserirsi in quel vasto fenomeno di migrazione intellettuale promosso dai sovrani cattolici, per cui giungevano in Spagna altri dotti di formazione italiana variamente destinati a insegnare. Tra essi il conterraneo Lucio Flaminio, al seguito anche lui dell’ammiraglio Enríquez e poi assunto come docente di lingua latina a Salamanca (cfr. Ep., IV, 16, 13 febbr. 1504), commentatore della Naturalis historia di Plinio intorno al 1504, nonché oratore ufficiale per i sovrani (il carteggio con il M. ibid., VI, 7-17); il messinese Pietro Santeramo, poi cronista della conquista di Granada (sue lettere ibid., IV, 11 s.; VII, 13); ma soprattutto Pietro Martire d’Anghiera, già conosciuto dal M. in ambiente romano, in Spagna dal 1487 al seguito del conte di Tendilla don Iñigo López de Mendoza, e che già nel 1488 il M. ospitò nello Studio per una lectio sulla II satira di Giovenale, che ebbe grande risonanza (lo racconta Pietro Martire al conte in una lettera del 28 sett. 1488, nel suo Opus epistolarum, I, 57). Nell’occasione il M. aveva chiesto a Pietro Martire sostegno nella rivalità che lo opponeva ad Antonio de Nebrija (ibid., I, 35, 54 s., 13 agosto e 23-24 sett. 1488) e in anni seguenti avrebbe giocato un ruolo di rilievo per l’opera del grande cronista delle scoperte colombiane, come primo mediatore alla stampa dei suoi scritti, nell’edizione non autorizzata di Siviglia 1511 (Petri Martyri Anglerii Opera: Legatio Babylonica, Oceani decas, Poemata, Epigrammata), secondo il racconto che lo stesso M. diede del trafugamento di inediti da casa dell’amico nella lettera al marchese Pedro Fayardo (Ep., V, 15). Deve peraltro osservarsi, al riguardo, tutta la distanza da Pietro Martire dell’atteggiamento intellettuale del M. che, presente a corte negli anni a ridosso dell’impresa colombiana, ne sottovalutò la rilevanza, dandone appena una superficiale e inesatta registrazione in una pagina del De rebus Hispaniae memorabilibus (c. CVIv).

Non meno decisivo per le sorti dell’umanesimo spagnolo fu il rientro in patria degli studiosi iberici formatisi in Italia, tra i quali il lusitano Arias Barbosa e Gaspare Barrachina, entrambi già alla scuola di Angelo Ambrogini, detto il Poliziano, ma soprattutto il grande Antonio de Nebrija. Con i primi due il M. intrattenne rapporti di reciproca stima, attestati per Barbosa da uno scambio di lettere non datate (Ep., XI, 1 s.; anteriori al 1509), in cui il M. loda il portoghese come superiore a tutti i dotti iberici nelle lettere greche e latine. Più francamente amicali i contatti con Barrachina, pure discepolo del M., e presto influente segretario personale di Alfonso d’Aragona, figlio di Ferdinando e arcivescovo di Saragozza: a lui il M. riconobbe grandi meriti nella diffusione in Spagna della lezione polizianea e volle riservargli una presenza cospicua nell’epistolario (cfr., tra le altre, ibid., I, 28-32; III, 7-19). Alla fortuna di Poliziano in Spagna, del resto, anche il magistero del M. dovette dare un contributo rilevante (ibid., VI, 5 s. si intratteneva con Segura sull’interpretazione del titolo dei Miscellanea polizianei; altri cenni con Barbosa, ibid., XI, 1-2).

Più complesso definire i rapporti con Nebrija, nelle fonti spesso descritti in termini di subalternità del M., ma che certo furono segnati da competizione, indotta dal sovrapporsi di carriere intellettuali parallele, dai ruoli accademici a Salamanca, sino al più alto rango di storiografo di corte. Dissensi e reciproche diffidenze, manifestatesi già intorno al 1488, dovettero precipitare in una definitiva rottura intorno al 1508-09, quando il M., inviando al discepolo Antonio Porta copia del suo trattatello De parcis, appunto databile a quegli anni, si riferiva a due epistole da lui spedite a un dotto «fama quidem magis quam re […] quibus ille nescio metu ne an arrogantia nihil adhuc respondit» (Ep., IX, 6): lettere che un M. ormai più che sessantenne inviò da Salamanca a Nebrija, nella prima avanzando, con un bilancio equanime dei trascorsi rapporti, un gesto di riconciliazione; nella successiva, prendendo atto del silenzio del rivale a sancire una frattura oramai irrimediabile (ibid., IV, 8 s.).

Come Nebrija anche il M. ebbe il merito, sin dagli anni universitari, di introdurre nel curriculum di umanità una rinnovata impostazione dell’istruzione grammaticale e retorica, sulla scorta di una latinità classica di moderato eclettismo per la quale egli sempre tenne fede alla primazia degli umanisti italiani sugli spagnoli. Al vasto dispiegarsi del magistero a Salamanca, dei cui successi il M. si fece spesso vanto, si accompagnava la crescente stima del M. presso l’aristocrazia laica ed ecclesiastica, che dovette preludere alla chiamata a corte.

Nei dodici anni di docenza a Salamanca, il M. avviò rapporti con allievi provenienti dall’ambiente di corte, come nel caso di Ludovico Sánchez, consigliere regio e questore generale (ibid., I, 13, 27; II, 14; IV, 15; XII, 32; in VII, 11-14 vi sono lettere a Sánchez da parte di altri), per il cui lutto paterno compose un epitafio (Carmina, I, 8); o Giovanni Velázquez, anch’egli consigliere e procuratore regio, con i figli del quale, in specie il prediletto Arnao, stabilì rapporti duraturi (Ep., II, 15-31; ma anche XIV, 1, all’allievo Francesco Verudico, del 1511), fino a nominarli eredi della propria biblioteca (ibid., XVII, 32); o ancora Rodrigo Pementel, di cui elogiò gli studi all’Università di Parigi e cantò in versi le «magnificas aedes et illustres» a Benavente, presso cui si era recato in visita (Carmina, I, 16). Al padre di Pementel, Rodrigo il Vecchio, il M. avrebbe poi diretto un’orazione (Ep., cc. AIVv-AVr), in cui ricordò l’accoglienza riservatagli, soggiungendo di potersi sdebitare dedicando a lui la parte già compiuta del De laudibus Hispaniae.

Il De laudibus vide la luce in una stampa senza indicazioni tipografiche (ma Burgos, F. Biel), databile tra giugno 1496 e ottobre 1497, dove la materia era ripartita in sette libri (I: generalità geografiche e naturali; II-III: diverse province iberiche; IV, De Hispaniae moribus; V: storia antica; VI-VII: De viris illustribus e De civitatibus).

Su pressione del rettore di Salamanca Rodrigo Manríquez, l’opera vide la luce «nondum maturum», ragion per cui il M. si cautelò contro la «iniquam invidorum atque obtrectatorum censuram» rivolgendosi in un carme di 39 distici (Siculus alloquitur librum, quem de laudibus Hispaniae scripsit, poi in Carmina, I, 11) all’opera stessa, che si sarebbe recata per tutta la Spagna, cantando le lodi dell’autore, fino a ripercorrere a ritroso l’itinerario biografico del M., passando per Roma, Palermo e approdando infine al «natale solum Bizinium». Il De laudibus costituì a lungo il cavallo di battaglia del M., che nel 1510 ne fece omaggio, tra gli altri, ad Antonio Ronzoni, segretario del cardinale Fazio Santoro, nunzio a Madrid (Ep., VII, 1-5, in cui il M. lo dice composto «abhinc anno sextodecimo», dunque tra 1494-95, sì da scusare le lacune relative a cose e uomini illustri di Spagna, a quell’altezza da lui ancora poco conosciuta). Ma egli si impegnava a proseguire l’esposizione, come prometteva sia nell’orazione a Pementel sia nella lettera al principe Giovanni d’Aragona, pure suo allievo a Salamanca (ibid., I, 8 s., 15). All’erede al trono il M. indirizzò anche il carme Ad Ioannem Hispaniae et Siciliae principem excellentem de Hispaniae foelicitate (Carmina, I, 6), sorta di compendio in esametri del De laudibus, posteriore all’opera ma comunque ante 1504 (anno della scomparsa della regina Isabella di Castiglia, ricordata come vivente).

Nell’ambito della fitta trama di rapporti privilegiati instaurati durante gli anni dell’insegnamento, che lo inserirono nel vivo dell’aristocrazia di corte, il M. accettò, in data collocabile nel 1496, la chiamata da parte di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia a insegnare nella Scuola regia, con le conseguenti dimissioni dallo Studio. Tale incarico, connesso alla istituzione voluta da Isabella di una scuola di studi letterari destinata ai nobili dignitari, accomunava il M. ad altri maestri di origine italiana, quali i fratelli Antonio e Alessandro Geraldini, quest’ultimo precettore delle figlie di Ferdinando; Pietro Martire, maestro del principe Giovanni (morto ventenne il 14 ott. 1497, per cui il M. compose l’epitafio ufficiale, Carmina, II, 25); Cataldo Parisio, precettore del figlio di re Giovanni del Portogallo. Con quest’ultimo, che lo esortava ad accettare l’incarico a corte, il M. conveniva, esprimendo la ormai netta coscienza di un’appartenenza («ut non minus Hispanus possim appellari quam Siculus», Ep., V, 18), che lo induceva a optare per la definitiva permanenza in terra di Spagna (circa il senso della propria naturalizzazione linguistica, cfr. pure ibid., X, 20, a Rodrigo Santillana, già allievo di Filippo Beroaldo il Vecchio, da Medina nel 1503; o VIII, 1, a Luca Pullastra da Madrid, l’anno prima: «ego duodeviginti annorum desuetudine, quibus in Hispania sum commoratus, patrium pene sermonem oblitus»).

Nel programma attuato da Isabella per la riforma umanistica della cultura di corte rientravano anche compiti e funzioni del M., che dal re fu incaricato di istruire «ministros ac famulos» nelle lettere, e dalla regina di insegnare le «bonas artes atque Latinam linguam» ai «sacerdotes, qui in Regio Palatio sacris operantur» (ibid., VIII, 5, all’antico allievo Vincenzo Pullastra). Allo scopo confezionò un De grammatices institutionibus libellus brevis et perutilis (Siviglia, J. Pegnitzer - M. Herbst, 1501; poi Alcalá, M. de Eguía, 1532), compendio grammaticale che dedicò a Isabella (Ep., I, 7); nonché una silloge di 43 epistole antiche (Epistolae illustrium Romanorum, Burgos, F. Biel, 1498), con dedica al principe Giovanni.

Stabile sarebbe rimasta la posizione a corte del M., da un lato impegnato nelle incombenze pedagogiche, rivolte tra l’altro anche a nobili allieve, come donna Isabella Valseca (Ep., XVII, 18) o la giovane Juana Contreras (interessante l’epistola XV, 11, del 1° ag. 1504 da Medina, in cui il M. svolge una vera e propria lezione di latino revisionando un’epistola dell’allieva); dall’altro costretto ad assecondare gli spostamenti della corte in una responsabilità che si andava definendo come quella di cronista della casa reale: ruolo ufficialmente assunto verso la fine del 1502, stando a quanto il M. scriveva il 5 dicembre da Madrid a Luca Pollastra (ibid., VIII, 1). In effetti, già nel 1500 Ferdinando aveva commissionato al M. di comporre in latino la biografia del padre, re Giovanni d’Aragona, (ibid., IX, 10, a F. Manuello). In questa stessa lettera il M. precisava di non essere ancora sacris initiatus, preferendo il passaggio allo stato ecclesiastico solo allorché si fosse definita anche una rendita economica; è probabile, tuttavia, che egli facesse già parte della Cappella regia, stando alla recente attribuzione al M. di un’anonima Passio Domini secundum Matthaeum hexametris versibus composita (Siviglia, J. Pegnitzer - M. Herbst - T. Glokner, circa 1500), la cui genesi nella dedicatoria è riportata proprio al contesto dei cappellani di corte (Jiménez Calvente, p. 261). Il proposito di prendere i voti ecclesiastici doveva in ogni caso essersi realizzato prima del 15 marzo 1503 (Ep., VI, 7, a Lucio Flaminio, da Medina), sicché alla metà del mese seguente il M. diceva di attendere alle cerimonie sacre di palazzo (ibid., VI, 9). Ancora a Flaminio (ibid., VI, 17, da datare all’aprile 1505) il M. riferiva del beneficio concessogli in un’abbazia nei pressi di Messina, che era quella di S. Maria Deipara in Bordonaro; rendita che tuttavia non implicava esercizio effettivo delle funzioni sacerdotali, se nel 1510, rivolgendosi al segretario regio Almazán, il M. insisteva per poter «hoc brevissimo, quod mihi superest, vitae spatio, sacris iniciatus ordinibus, divina celebrare mysteria» (ibid., XI, 21, databile al 5 luglio 1510, da Alcalá). Il possesso del beneficio, comunque, fu confermato verso l’aprile 1504 (ibid., VIII, 2, a V. Pullastra, procuratore per la consegna del privilegium da parte del viceré di Sicilia Giovanni Lanuccio), ma una controversia si aprì dal momento che il re, in data Valladolid, 4 nov. 1510, dotò di quella medesima rendita il cardinale Pedro Isvalies. La contesa, patrocinata per il M. dal giurista catanese Blasco Lancia, fu risolta nel 1512 dalla morte del cardinale (ibid., XVII, 31, 43), quando il M. riprese il possesso, che avrebbe poi ceduto nel 1525, con il benestare di Carlo V, a un Juan Garzía (Pirro, p. 1010). Non suffragate sono altre rendite dell’abbazia di S. Maria di Terrana, presso Caltagirone, e di S. Giovanni degli Eremiti a Palermo, assunte dal M. rispettivamente nel 1506 e nel 1524 (riportate ibid., pp. 1119, 1310).

La posizione del M. come «Ferdinandi regis historicus et sacerdos» (tale lo avrebbe appellato F. Guicciardini, oratore a Madrid tra l’autunno del 1511 e il 1513, Ep., II, 10 s.) aveva registrato l’incrementarsi dell’impegno storiografico, tanto più dopo la rifinitura del De rebus gestis Ioannis Aragonum et Siculorum regis, cui il M. lavorò alacremente malgrado la dipendenza da una corte pressoché itinerante, forzato a seguire un re «per maria ac terras volitantem semper» (così afferma Segura nella citata biografia) da Siviglia a Cordova, da Toledo a Monzón, da Valladolid a Saragozza, da Burgos a Plasencia (dove soggiornò alcuni mesi collaborando con Rodrigo Alvaro da Medellin, segretario del vescovo di Plasencia Gómez de Toledo, per la traduzione in spagnolo dell’opera, richiesta da Ferdinando, cfr. Ep., XIII, 10; XV, 14). Transiti documentati nell’epistolario, in alcuni casi con dovizia di circostanze particolari; talora anche rivelando in M. l’insofferenza per «omnibus istis Regiae curiae magnatibus multisque miseriis et incommodis» (così a Pietro Martire, ibid., XV, 14). Né furono infrequenti dissidi e amarezze cagionati dalle invidie di corte, quasi una costante della carriera umanistica del M., stando all’epistolario, e con essi occasioni di solidarietà da parte di amici ed estimatori, come nel caso di Martino Angulo, che ai primi del 1504 aveva difeso il M. presso Isabella da calunnie di opportunismo e inadempienza degli obblighi di corte (ibid., IV, 16).

Nell’inverno 1506-07 il M. accompagnò Ferdinando nel suo viaggio a Napoli. Sarebbe stato il suo ultimo passaggio nella penisola, senza tuttavia avere la possibilità di recarsi in Sicilia a visitare i suoi familiari, come sperava (ibid., XI, 5). Nell’estate 1508 si trovava a Saragozza, dove sottopose il De rebus gestis, soprattutto per i fatti più recenti, all’arcivescovo Alfonso d’Aragona, che approvò e apprezzò l’opera (ibid., I, 4; II, 1 s., 7), poi data in lettura pure a un maestro di storia ispanica, Hernando Alonso de Herrera, prodigo di elogi per il M. unicus illustrator delle cose di Spagna (ibid., X, 1-3). La presentazione ufficiale dell’opera si ebbe a Valladolid nel febbraio 1509 (ibid., II, 2, 4) e fornì il presupposto della nomina solenne del M. a storiografo regio, determinando l’imporsi della sua fama presso l’intellettualità spagnola (si vedano gli attestati di lode e gli encomi in versi in Carmina, II, 3-9, 24).

Di lì innanzi il M. andò concentrandosi nell’attività storiografica, come scriveva al marchese don Pedro Fernández de Córdoba, in premessa al Liber de parcis, de fato atque fortuna, trattatello erudito in cui svolgeva un’indagine su fonti e nozioni relative alle parche, databile intorno al 1508 (benché pubblicato solo nel 1514 nel volume delle Epistolae). Nel 1508 si recò a Saragozza a raccogliere materiali per l’opera De Aragoniae regibus, genealogia della casa aragonese, che venne incaricato di comporre in preferenza ad altri aspiranti, tra cui Gonzalo de Aiora (che se ne congratulò con lui, Ep., XVII, 10 s.).

Indirizzato dal re su documenti in lingua spagnola che egli doveva innanzitutto provvedere a latinizzare, il M. andava consolidando un metodo di ricerca capace di unire al vaglio di fonti documentarie l’utilizzo di cronache (non solo i precedenti di storiografia locale, se circa Alfonso il Magnanimo rinviava alle opere di L. Valla e B. Facio), nonché la diretta consultazione di testimoni, che il M. soleva interpellare anche oralmente. Nel giro di un anno l’opera uscì a stampa (Pandit Aragoniae veterum primordia regum hoc opus…, Saragozza, G. Cocus, 1509), in un’edizione impreziosita con ritratti xilografici e che – pur destinata a confluire nel De rebus Hispaniae memorabilibus – conobbe una sua tradizione distinta, comprendente la versione spagnola a opera di Juan de Molina (Valenza, J. Joffre, 1524) e quella italiana di Federico Rocca (Messina, F. Bufalino, 1590).

Mentre la circolazione dell’opera già conferiva al M. una notorietà oltre i confini iberici (nel 1512 ne donò copia a Giovanni Badoer, ambasciatore della Serenissima, perché la facesse circolare a Venezia, Ep., V, 10-13), l’impegno scrittorio del M. andava articolandosi, oltreché nell’elaborazione cronistica (nel 1513 attendeva a comporre le vicende di Spagna inerenti al regno di Ferdinando, come scriveva il 5 aprile da Valladolid nella gratulatoria al neopontefice Leone X, ibid., II, 5), nel definitivo allestimento del vasto edificio di ispirazione umanistica degli Epistolarum familiarium libri, pubblicati a Valladolid, presso A.G. de Brocar, nel febbraio 1514.

La silloge è aperta da un carme religioso con xilografia raffigurante il Siculus plorans ai piedi della Croce, da altri paratesti devozionali, quindi dalla dedica ad Alfonso d’Aragona. Al ponderoso corpus di 400 lettere raccolte in 17 libri (233 del M., 105 a lui indirizzate, 62 quelle di altri ad altri), sono acclusi due libri di Carmina (rispettivamente contenenti 20 e 25 carmi, per lo più in metro elegiaco, su tematica religiosa o encomiastica, di cui 34 dell’autore, 8 del medico e poeta Juan Sobrarias, più singoli componimenti di Barbosa, di Pietro Martire e del cardinale Giovanni Ruffo, con cui il M. intrattenne anche un carteggio, Ep., V, 1-9). L’edizione presenta poi cinque orazioni legate a varie circostanze ufficiali: la prima, composta verso il 1499, rivolta ai sovrani cattolici e forse pronunciata in loro presenza, contiene un’appassionata requisitoria contro la corruzione del clero di Sicilia; la seconda a Ferdinando sul tema De laudibus historiae; una terza più breve, di genere encomiastico, diretta a Juan de Guzmán duca di Medina; l’ultima a Rodrigo Pementel; segue poi un’orazione di Segura in lode di Alfonso d’Aragona, caldamente elogiata e certo ritoccata dal Marineo. Il volume comprende infine la raccolta dei Carmina, preceduti dai due trattatelli del 1508-09, il De parcis, de fortuna atque fato e la Defensio apud iudices pro Antonio Porta discipulo et de verbo fero et eius compositis perutilis repetitio, dissertazione questa di materia filologico-grammaticale, costruita in vivace forma polemica contro l’offensiva di un innominato detrattore, rivolta all’allievo Porta e al M. suo maestro circa una variante del testo di Gregorio Magno. Lungamente preparata da una pluridecennale attività di scrittura epistolare e composizione poetica, di cui il M. aveva dato un primo saggio con l’opuscolo di Carmina et epistolae stampato a Siviglia nel 1499 (M. Ungut - S. Polonus, contenente alcuni carmi e una lunga epistola a Guzmán), la monumentale edizione, mentre divulgava nella letteratura umanistica spagnola il modello classico-umanistico delle epistulae ad familiares, illustrava in tutta la sua esemplarità il vario commercio intellettuale nonché l’eccellenza stilistica del M., situandolo al centro di una rete di rapporti culturali e politici senza pari nella Spagna contemporanea.

Negli anni a seguire, scarsamente documentati, le energie intellettuali dovettero convergere tutte nell’opera maggiore del M. storico, che alla successione di Carlo d’Asburgo, tra 1516 e 1519, fu confermato negli uffici di storiografo regio e poi imperiale. A stampa nelle principes di Alcalá del 1530 (edite contestualmente presso il tipografo M. de Eguía in latino e in spagnolo) e in quella emendata e rivista del 1533 (ibid.), l’Opus de rebus Hispaniae memorabilibus era dunque venuto elaborandosi nell’arco di un ventennio, integrando le compilazioni precedenti del M. in una vasta esposizione che si sarebbe offerta come imprescindibile riferimento per la tradizione della storiografia umanistica spagnola.

Mentre nel prologo Ad imperatorem Carolum et Isabellam imperatricem (Carlo V e la moglie Isabella di Portogallo) il M. illustra le ragioni individuali dell’impresa (quella di chi, vissuto in Spagna «annos prope quinquaginta», nessuna cura maggiore aveva avuto «quam diligenter inquirere ac cernere propriis oculis res Hispaniae memorabiles»), nel successivo proemio De laudibus historiae ne perora le ragioni ideali encomiando la perennità della historia rispetto a ogni testimonianza figurativa, in una pagina di eloquenza già dedicata dal M. a Ferdinando nel volume delle Epistolae (cc. AIIv-IIIv), qui ripresa con sensibili modifiche (cfr. Verrua, pp. 314-318). Ai prologhi seguivano tre epistole tra il M. e Baldassarre Castiglione, nunzio pontificio a Madrid, siglate dall’alto elogio castiglionesco della personalità e dell’opera del Marineo.

Nei 22 libri in cui è divisa l’opera il resoconto storico si distribuisce in sezioni di ampiezza diversa, variamente arricchite dall’inserto di eloquenti orazioni dei personaggi, ovvero da capitoli o sparse informazioni di interesse geografico e antropologico, erudito e antiquario, etimologico e storico-linguistico (vi figurava, per esempio, il più antico documento in lingua basca, cfr. Verrua, pp. 77 s., 91). Il tutto a corredo di un’esposizione basata, oltre che sull’uso coscienzioso di un ampio repertorio di fonti, antiche e moderne, anche su conoscenze dirette, acquisite dal M. nei molti viaggi e contatti personali, come nel caso della conquista di Granata, per cui diceva di essersi basato sulle testimonianze di «multi viri satis idonei» (ed. 1533, c. CXIIv). Parte qualificante dei materiali nuovamente aggiunti, cui il M. diceva di aver atteso intorno al 1522 (ibid.), sono i libri XIX-XXI, concernenti il regno di Ferdinando e Isabella, per cui egli dovette tuttavia limitarsi, trattandosi di storia recente, a fornire una «summam quandam et quasi breviarium rerum» (c. Cr), di fatto non andando oltre vicende risalenti al 1480; così come nell’epilogo all’opera doveva giustificarsi per la mancata trattazione degli uomini illustri di Spagna «nunc viventibus», preclusa dalle disposizioni regie, che vietavano la trattazione di fatti e personaggi compresi negli ultimi cinquant’anni. Tuttavia, con il l. XX si interpone la narrazione della guerra di Granata contro i Mori, mentre il breve l. XXII (De imperatoribus quos Hispania Romae et Constantinopoli dedit) conclude l’opera suggellando con il richiamo all’antichità romana l’esaltazione dell’ideologia ispanico-imperiale.

Restano ignoti sia il luogo sia la data di morte del M., che le fonti collocano in età ultraottuagenaria tra il 1530 e il 1533; è tradizionalmente accettato il 1533 ammettendo il M. ancora vivente al momento della riedizione complutense (Alcalá de Henares) della sua grande opera storiografica.

In edizioni moderne sono disponibili: Epistolario, trascelto e edito da P. Verrua, Genova 1940; Vida y hechos de los reyes católicos, Madrid 1943; Crónica d’Aragón, Barcellona 1974 (ed. anast. dell’ed. Valenza 1524); Crónica del rey don Juan segundo de Aragón, a cura di A. Fernández, Saragozza 1991 (ed. anast. dell’ed. Valenza 1541); Los «Carminum libri duo» de Lucio Marineo Siculo, a cura di M. del Carmen Ramos Santana, Cadice 2000; Epistolarum familiarium libri XVII, a cura di T. Jiménez Calvente, Alcalá de Henares 2001; De las cosas memorables de España, Valdemorillo 2004 (ed. anast. dell’ed. Alcalá 1530).

Fonti e Bibl.: Opus epistolarum Petri Martyris Anglerii, Parisiis 1670, pp. 14, 25-27; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula…, II, Panormi 1714, pp. 16-18; R. Pirro, Sicilia sacra disquisitionibus, et notitiis illustrata…, II, Panormi 1733, pp. 1010, 1119, 1310; De Lucio Marineo Siculo per Alphonsum Seguritanum perbrevis narratio cum praefatione, in Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, II, 5, Palermo 1756, pp. 306 ss.; N. Antonio, Bibliotheca Hispana nova sive Hispanorum scriptorum… notitia, II, Matriti 1788, pp. 369-371; G. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Napoli 1829, III, pp. 206-210; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, pp. 90 s.; G. Berchet, Fonti italiane per la storia della scoperta del Nuovo Mondo, in Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel quarto centenario della scoperta dell’America, parte III, vol. 2, Roma 1893, p. 389; G. Pennesi, Pietro Martire d’Anghiera e le sue relazioni sulle scoperte oceaniche, ibid., parte V, vol. 2, ibid. 1894, p. 60; G. Noto, L. M., umanista siciliano, Catania 1901; Id., Moti umanistici nella Spagna al tempo del M., Caltanissetta 1911; E. Mele, Le fonti spagnuole della «Storia dell’Europa» del Giambullari, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LIX (1912), pp. 370 s.; F.S. Giardina, Due umanisti siciliani in Ispagna contemporanei del Colombo e le loro descrizioni della Spagna, in Boll. della R. Società geografica italiana, s. 5, XII (1923), pp. 363-368; A. Caro Lynn, A college professor of the Renaissance: Lucio M. Siculo among the Spanish humanists, Chicago, 1937 (recens. di G. Toffanin, in La Rinascita, I [1938], pp. 189-192); B. Croce, La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, Bari 1949, pp. 94 s., 107; A. de la Torre, Maestros de los hijos de los reyes católicos, in Hispania, XVI (1956), pp. 256-266; A. Gerbi, Oviedo e l’Italia, in Riv. stor. italiana, LXXVI (1964), p. 73; A. Narbone, Istoria della letteratura siciliana e bibl. sicula sistematica, a cura di G. Resta, V, Palermo 1979, passim; E. Lunardi, Contributi alla biografia di Pietro Martire d’Anghiera, in Pietro Martire d’Anghiera nella storia e nella cultura. Atti del II Convegno internazionale di studi americanistici, Genova-Arona… 1978, Genova 1980, pp. 3-62 passim; M.G. Rollando, L. M., in A.M. Salone et al., I corrispondenti italiani di Pietro Martire d’Anghiera, ibid., pp. 123 s.; A.M. Mignone, Tre umanisti a corte: Pietro Martire, L. M. e Antonio de Nebrija, ibid., pp. 287-292; P. Verrua, Lucio M. Siculo (1444-1533?): con bibl. dell’autore, San Gabriele 1984; F. Della Corte, Un poeta alla corte d’Isabella, in Columbeis, II (1987), pp. 236 s.; La scoperta del Nuovo Mondo negli scritti di Pietro Martire d’Anghiera, a cura di E. Lunardi - E. Magioncalda - R. Mazzacane, Roma 1988, passim; J. Martín Abad, La imprenta en Alcalá de Henares (1502-1600), I, Madrid 1991, pp. 391-395; A. Albonico, Controversi riferimenti alle Indie in due umanisti siciliani: L. M. e Bernardo Gentile, in Libri, idee, uomini tra l’America iberica, l’Italia e la Sicilia. Atti del Convegno, Messina ... 1992, a cura di A. Albonico, Roma 1993, pp. 37-55; A. da Costa Ramalho, Nótula sobre as relações entre Nebrija e M., in Antonio de Nebrija: edad media y Renacimento. Actas del Coloquio ... 1992, a cura di C. Codoñer - J.A. González Iglesias, Salamanca 1994, pp. 479 s.; J.M. Maestre Maestre, La «Passio Domini hexametris versibus composita» editada y anotada por Nebrija, ibid., pp. 214-226; E. Rummel, M. Siculo: a protagonist of humanism in Spain, in Renaissance Quarterly, L (1997), pp. 701-722; T. Jiménez Calvente, Algunas precisiones bibliográficas con base en la obra de L. M. Siculo, in Revista de literatura medieval, XI (1999), pp. 225-268; J.M. Maestre Maestre, Humanismo y censura: en torno al «Opus de rebus Hispaniae memorabilibus» de L. M. Siculo, in Actas del X Congreso español de estudios clásicos, Madrid 2002, pp. 213-264; M. Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento, I, La Sicilia sotto Ferrante Gonzaga 1536-1546, Firenze 2003, pp. 16-18; A. Potthast, Bibliotheca historica Medii Aevi, I, Berlin 1896, p. 767.