CARACCIOLO, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARACCIOLO, Mario

Mario Barsali

Nato a Napoli il 26 febbr. 1880 da Francesco, professore di storia, e da Maria Corbo, uscì sottotenente d'artiglieria dall'Accademia militare di Torino nel 1899. Superati i corsi della scuola di guerra (1904-1907), dal dicembre 1908 fu in servizio di Stato Maggiore presso il comando del IX corpo d'armata. Capitano nell'aprile 1911, con la guerra italo-turca partì il 9 ottobre per Tripoli, guadagnandosi subito una medaglia d'argento (Messri, 23 ottobre); assegnato presso il comando del corpo di spedizione alla direzione dell'Ufficio stampa e censura, rientrò in Italia nel luglio 1913 decorato anche della croce di cavaliere dell'Ordine mauriziano. Dopo aver seguito nel 1914 il corso della scuola centrale di fortezza nel febbraio 1915 era trasferito nel corpo di Stato Maggiore.

Alla dichiarazione di guerra all'Austria raggiunse il fronte presso il comando della 29a divisione; promosso maggiore nel novembre, comandò dapprima il 12º, poi (dal maggio 1916) l'85º gruppo d'artiglieria d'assedio. Tenente colonnello nel febbraio 1917, passò alla 53a divisione fanteria come capo di Stato Maggiore, e il 25 maggio, durante la decima battaglia dell'Isonzo, in un'azione sul monte Vodice restò gravemente ferito, ottenendo una seconda medaglia d'argento. Rientrò dalla convalescenza il 15 ottobre presso la direzione truppe dell'intendenza della 2a armata, che pochi giorni dopo era dissolta dalla rotta di Caporetto, sicché il 26 novembre il C. era destinato presso il comando della 5a armata neocostituita a sostituirla. In forza nel gennaio 1918 alla divisione territoriale di Roma, e promosso nell'aprile colonnello per meriti eccezionali, dal luglio di quell'anno fino al febbraio 1920 fu addetto militare presso la legazione di Atene e capo dell'Ufficio informazioni interalleato. Al rientro in Italia era nominato aiutante di campo onorario del re.

Assegnato dal maggio 1921 alla Scuola centrale d'applicazione d'artiglieria (stamperà a Roma nel 1924 Come combatte l'artiglieria), il C. fu tra i molti ufficiali che - sia per fedeltà monarchica sia per orientamento nazionalistico - non videro con avversione l'avvento al potere del fascismo, non solo perché restauratore e garante dell'ordine costituito e dell'autorità dello Stato, ma anche perché come "rivendicatore della vittoria", assicurava il potenziamento delle forze armate. Direttore, dall'aprile 1923 al gennaio 1926, della Rivista d'artiglieria e genio, volle farne, in accordo con l'allora ministro della guerra A. Diaz e col capo di Stato Maggiore P. Badoglio, un organo di rafforzamento teorico e tecnico dell'arma e dell'esercito. E sulla rivista pubblicò, a partire dal '22, numerosi articoli specialmente sull'impiego dell'artiglieria.

Questi articoli di scienza militare del C. si inquadrano in quel fervore di studi che, reagendo all'esperienza della recente guerra, dove il conflitto aveva avuto attuazioni sostanzialmente statiche, tendevano ad una ripresa delle concezioni dinamiche della lotta, ed esaminavano i provvedimenti che ne sarebbero conseguiti nell'impiego delle varie armi e nel funzionamento dei servizi. Frutto appunto di questo nuovo corso che dava un posto preminente alla guerra di movimento ed esaltava l'azione offensiva, furono i Criteri d'impiego della divisione di fanteria nel combattimento (ediz. 1926) e le Norme generali per l'impiego delle grandi unità e le Norme per l'impiego tattico della divisione (ediz. 1928).

Da un punto di vista però più ampio, è proprio quel fervore di studi teorici e tecnici che si venne intensificando progressivamente dal 1919, col suo carattere di discorso "per addetti" e coi suoi punti d'arrivo, ad attestare il costituirsi di una scelta politica non avversa al fascismo da parte dell'alta gerarchia militare. Con l'armistizio e la pace, infatti, il problema urgente della smobilitazione comportava non solo l'alleggerimento di tutta l'attrezzatura di guerra, ma anche l'adeguamento delle forze armate alle richieste politico-sociali ed alle esigenze economico-finanziarie del paese. Ciò finiva per implicare, però, uno scontro in merito allo scopo ultimo delle forze armate (che fino ad allora avevano mirato all'esaltazione di una potenza bellica nazionale connessa alla garanzia dell'ordine sociale costituito) e alla autonomia di direzione e di controllo (che l'alta gerarchia militare aveva goduto a svantaggio del controllo del potere politico).

Effetto dello scontro fu il susseguirsi, tra il '19 e il '21, di due decreti (Albricci e Bonomi) e di un progetto di legge (Gasparotto) di nuovo ordinamento dell'esercito, e dei lavori di un'apposita commissione parlamentare. La struttura invece dell'ordinamento Diaz (1923), con ulteriori ritocchi studiati dallo Stato Maggiore, sarà la base sostanziale di quel complesso di leggi (11 marzo 1926) che costituirono il cosiddetto "statuto dell'esercito", e che riconobbero alle forze armate autonomia di direzione e conferma dei fini tradizionali.

Dopo aver comandato nel 1926 prima il 13º poi il 7º pesante campale, nel luglio 1928 il C., passato nel corpo di Stato Maggiore, fu nominato insegnante di storia e arte militare nella Scuola di guerra, incarico da cui cessò nel settembre 1931 per la sua promozione a generale di brigata.

Del C., che aveva edito a Roma nel 1925 il saggio su L'intervento della Grecia nella guerra mondiale e l'opera della diplomaziaalleata, con prefazione di E. Corradini, usciva nel 1928 ancora a Roma lo studio su Bligny,Ardre,Chemin des Dames, poi nel 1929 a Milano quello su Le truppe italiane in Francia (Il 2º corpo d'armata. Le T.A.I.F.), volume ancora essenziale sulla partecipazione italiana al fronte francese. Sempre sul periodo bellico 1914-18 pubblicò, oltre a vari articoli e saggi, Sintesi polit. milit. della guerra mondiale 1914-18, Torino 1930 (2 ed., Torino 1940; tradotta in francese, spagnolo, russo e bulgaro); L'Italia e i suoi alleati nella grande guerra, Milano 1932; L'Italia nella guerra mondiale, Roma 1935 (trad. in tedesco, francese e inglese, Roma 1937).

Dopo essere stato ispettore di mobilitazione della divisione territoriale di Messina, col 1º genn. 1933 fu nominato comandante dell'artiglieria in Sicilia. Promosso generale di divisione il 30 sett. 1934 e destinato al ministero per incarichi speciali, nel dicembre prese il comando della 5a divisione fanteria "Cacciatori delle Alpi" (Perugia), poi col 1º ott. 1935 il comando della 1a divisione celere "Eugenio di Savoia" (Udine), rientrando infine a metà dicembre dell'anno 1936 al ministero con incarichi speciali.

Nell'aprile '37 era istituito in Libia il comando supremo delle forze armate dell'Africa settentrionale, e dall'Italia venivano inviati il XX e il XXI corpo d'armata, che dovettero essere organizzati per le esigenze di guerra della zona anche attraverso l'esperienza di grandi manovre (maggio-giugno 1938). Il rafforzamento militare era però ancora in crisi di preparazione quando il C., promosso generale di corpo d'armata il 1º genn. 1938, lasciava, il 30 nov. 1939, il comando del XXI corpo, dislocato in Cirenaica, che dirigeva dall'ottobre '37.

Negli anni '30, durante i quali aveva iniziato l'attività di alto dirigente, il C. si trovò ad operare in un quadro militare caratterizzato dal divario tra le linee della politica estera fascista, e quelle dello sviluppo dottrinale e organizzativo dell'esercito che degli obiettivi di quella stessa politica avrebbe dovuto essere l'estremo mezzo di realizzazione. Mentre le Direttive per l'impiego delle grandi unità (ediz. 1935) fissavano il concetto della guerra di movimento, in cui e la battaglia si vince a colpi di divisione e la manovra offensiva punta sulla sorpresa, il vecchio binomio operativo artiglieria-fanteria si modificava, con le Norme per il combattimento della divisione (ediz. 1936), nel concetto che "la fanteria è lo strumento principale e decisivo della lotta" in quanto è il movimento. Si apriva il problema di ammodernare ed accrescere l'armamento, ed era ovvio il principio che "senza scorte non si fa guerra di movimento". Intanto però proprio il tipo dinamico di guerra attuato in Etiopia metteva in crisi le dotazioni e le scorte metropolitane, rivelando l'insufficienza della produzione bellica. Ancor più contraddittoria diventava in seguito la gestione aggressiva della politica estera riguardo all'insufficienza e alla organizzatone produttiva bellica. Mentre l'ordinamento Pariani (1938) portava alla divisione binaria, di ridotta capacità difensiva ma con compiti di colonna d'urto e penetrazione (la manovra diventando compito del corpo d'armata e dell'armata), e di conseguenza l'Addestramento della fanteria (ediz. 1939), in un quadro di guerra di rapido corso, valorizzava al massimo la fanteria come binomio fuoco-movimento e come elemento decisivo della lotta, l'impiego di mezzi e di scorte richiesto dall'intervento in Spagna e dall'occupazione dell'Albania, sommandosi alla nuova e più ampia dotazione di armi e materiali necessaria proprio col nuovo ordinamento, apriva un incolmabile divario tra teoria e addestramento tattico da un lato, e concrete possibilità operative dall'altro. Al momento della dichiarazione di guerra, "delle 73 divisioni mobilitate, solo 19 risultavano effettivamente complete; 34 (comprese quelle libiche) risultavano efficienti ma incomplete, e 20 poco efficienti" (cioè: "60% del personale, 50% quadrupedi e automezzi, e deficienze varie nelle dotazioni e nelle armi": L'esercito ital., p. 150).

Rientrato il 1º dic. 1939 per incarichi speciali al ministero, dall'11 giugno 1940 il C. fu ispettore, poi dall'ottobre ispettore, superiore dei servizi tecnici (armi e munizioni, genio, motorizzazione). Nominato nel dicembre 1940 comandante designato d'armata ed assunta la guida della 4a armata (gruppo d'armate ovest), dall'aprile 1941 all'aprile 1942 fu a disposizione del capo di Stato Maggiore dell'esercito per incarichi speciali (tra cui, dal 17 apr. al 14 ag. 1941, il comando della 5a armata sul fronte dell'Africa settentrionale). Prese poi il comando della 5a armata riorganizzata sul territorio metropolitano - nel novembre 1942 era promosso generale d'armata - che tenne fino allo sbandamento seguito all'armistizio.

Il 25 luglio 1943 le forze alle dipendenze del C. erano: il II (divisione "Ravenna", e 215a, e 216a divisioni costiere), il XVI (divisioni "Rovigo" e "Alpi Graie") e il XVII corpo d'armata (divisioni "Piacenza", "Re", "Lupi di Toscana", 220a e 221a costier, XXXIV brigata costiera) che però dipendeva sia dall'armata per la difesa costiera, sia direttamente dallo Stato Maggiore dell'esercito per la difesa di Roma. I compiti del C. erano la difesa della Toscana e dell'alto Lazio, e la difesa della base navale della Spezia dove il XVI corpo d'armata fu concentrato al primi d'agosto in concomitanza con la preparazione della missione Castellano a Lisbona. A metà agosto il C. ricevette il preavviso segretissimo, poi la Mem. Op. 44 preparata alla fine del mese per la resistenza attiva ai Tedeschi; ma oggettive difficoltà (il controllo tedesco sulle informazioni, l'impossibilità di precoordinare manovra e resistenza tra le grandi unità, predominio di potenza dei Tedeschi, e specialmente la fuga dei capi di Stato Maggiore che causò la cessazione del centro operativo del Comando supremo, determinarono quello sfacelo dell'8 settembre cui il C. cercò di reagire con energia.

Già il 17 agosto il C. aveva impedito l'ingresso di due divisioni tedesche a La Spezia; concessa l'autorizzazione personalmente dal capo di Stato Maggiore Generale, V. Ambrosio, il 2 settembre il C., con l'appoggio del capo di Stato Maggiore dell'esercito M. Roatta da cui dipendeva, si oppose facendo schierare il XVI corpo d'armata. I Tedeschi ottennero il permesso di transito nella notte dell'8 settembre; mentre ormai la flotta aveva potuto salpare, le truppe del corpo d'armata riuscirono a resistere fino all'11 settembre. Altri reparti dell'armata, tra il 9 e l'11 settembre, resistettero a Chiusi, Abbadia San Salvatore, Piancastagnaio, Radicofani; scontri armati avvennero a Civitavecchia, Orbetello, Piombino, Marina di Massa, Viareggio. Spostatosi poi col comando da Orte a Firenze, il C. cercò di organizzare la difesa della città.

Giunto a Roma la sera del 12 settembre, il C. si mise a disposizione del maresciallo E. Caviglia e del comando della città aperta; il 24 sfuggì fortunosamente alla cattura degli ufficiali ancora presenti al ministero della Guerra. Fedele al suo giuramento al re, dopo aver tentato contatti con politici antifascisti per dirigere la resistenza civile, l'8 novembre si rifugiò nel convento di S. Sebastiano sull'Appia, rimanendo in rapporto col colonnello Montezemolo. Arrestato dalla banda di P. Koch - i giornali del 5 genn. 1944 riportarono la notizia - fu trovato in possesso del memoriale poi stampato col titolo E poi? La tragedia dell'esercito italiano (Roma 1947).

Sottoposto al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, dopo la prigionia a Roma, Firenze, Verona e Venezia, fu processato a Brescia ("processo dei generali") e fu condannato alla fucilazione, commutata in 15 anni di carcere. Liberato il 25 apr. 1945 dall'insurrezione partigiana, il C. fu collocato nella riserva nel giugno 1945, ed in congedo assoluto nell'agosto 1947; in quello stesso anno apparve a Roma Sette carceri di un generale.

Morì a Roma il 22 dic. 1954.

Postumi uscirono Tradimento italiano o tedesco? (Roma 1956) e L'ultima vicenda della 5a armata (in Riv. stor. ital., LXIX 1195-71, pp. 542-82; LXX [1958], pp. 88-107).

Fonti e Bibl.: Per la carriera del C. si veda lo Stato di servizio presso Min. Difesa, Direz. gen. per gli ufficiali dell'Esercito, Ufficio generali, ad integrare la biografia redatta da B. Anatra in Encicl. dell'antifascismo e della Resistenza, I, Milano 1968, p. 452, e la breve nota biogr. in Riv. stor. ital., LXIX (1957), pp. 542 s.; si veda anche Arch. centrale dello Stato, Repubblica sociale ital., Segreteria partic. del Duce, B. 25 fasc. 191. Per un primo quadro dell'organica e della dottrina, e più in generale dell'esercito del periodo fascista, sufficienti Min. Difesa, Stato Maggiore Esercito, Ufficio stor., L'esercito ital. tra la 1a e la 2a guerra mond., Roma 1954, e G. Rochat, Il ruolo delle forze armate nel regime fascista, in Riv. di storia contemp., I (1972), 2, pp. 188-199 (con ulteriore bibliogr.). Per un quadro della storiografia ital. sulla guerra 1914-18, sufficiente A. Monticone, La prima guerra mond., Introduzione, in Bibliogr. dell'età del Risorg., III, Firenze 1974, pp. 245-253. Fra la numerosa bibliogr. sul colpo di stato monarchico e l'armistizio, oltre P. Pieri, La storiogr. ital. relativa al 25 luglio e all'8 sett. 1943, in Il movimento di liberazione inItalia, n. 77, 196 4, pp. 3-22, si ricordano I. Palermo, Storia di un armistizio, Milano 1967, e L'Italia dei 45 giorni,25 luglio-5 settembre, Milano 1969. Per altri elementi utili, anche solo indiretti, si vedano: sul governo fascista repubblicano F. W. Deakin, Storia della Repubblicadi Salò, Torino 1963; sulla resistenza a Roma, E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari 1965. Sul comportamento della 5a armata dopo l'armistizio (resistenza a difesa della flotta a La Spezia, e resistenza ai Tedeschi in Toscana e nel Lazio), e sul periodo clandestino e la prigionia del C., si vedano anche i suoi scritti citati: Sette carceri di un generale e L'ultima vicendadella 5a armata.

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