LA CAVA, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LA CAVA, Mario

Patrizia Bartoli Amici

Nacque a Bovalino, in Calabria, l'11 sett. 1908 da Rocco, maestro elementare, e da Marianna Procopio.

La madre, donna semplice e poco istruita, era tuttavia dotata di un innato talento narrativo, manifestatosi nella composizione di un Diario e altri scritti, pubblicato nel 1938, grazie all'interessamento del figlio, nella rivista Letteratura, con critiche molto favorevoli; nella stagnante realtà provinciale la famiglia del L. si denotava come un'eccezione e certamente esercitò un influsso positivo sulla sua formazione culturale.

Ultimato il liceo classico a Reggio Calabria, il L. si trasferì a Roma, dove frequentò per tre anni la facoltà di medicina; insoddisfatto di tale scelta, decise di cambiare indirizzo di studi e si iscrisse a giurisprudenza presso l'Università di Siena, laureandosi nel 1931. Le esperienze vissute negli anni universitari ebbero il merito di allargare gli orizzonti socioculturali del L., ma non riuscirono ad allontanarlo dalla sua terra, alla quale lo legavano fortissimi vincoli che lo spinsero a tornare infine a Bovalino, dove avrebbe trascorso il resto della vita.

Tale decisione, apparentemente motivata da fattori esclusivamente affettivi, cela in realtà una consapevole scelta letteraria e si pone a fondamento di una sorta di poetica, come si evince dalle affermazioni dello stesso L.: "Vivere accanto alla gente comune, soffrire della sua incomprensione ed ottusità, contrastare con la sua malignità, può essere una grande scuola di vita. Niente è più nocivo allo scrittore che credere reale il mondo sofisticato dei salotti culturali. Solo nei piccoli centri è possibile seguire gli itinerari di vita della gente per ricavarne trame di romanzi" (Delfino, pp. 32 s.).

Pur vivendo appartato, il L. non rimase estraneo agli eventi della vita politica italiana: al contrario prese posizione contro il regime fascista, ritenendolo responsabile dell'appannamento di ogni ideale di giustizia e delle speranze di riscatto delle classi sociali più umili. Del resto in tutte le sue opere, benché circoscritte alla realtà calabrese, si respira un'atmosfera resa più cupa dalla presenza tangibile e opprimente del fascismo che fa da sfondo alle vicende dei vari personaggi.

Abbandonata l'idea di esercitare l'avvocatura, il L. si dedicò principalmente ai suoi interessi letterari.

Negli anni della formazione, che vanno dal 1928 al 1931, aveva letto i grandi narratori francesi e russi dell'Ottocento e i capolavori del naturalismo e del verismo e, nell'ambito della letteratura italiana del Novecento, F. Tozzi, I. Svevo, E. Vittorini, E. Montale, A. Moravia e C. Alvaro, del quale ammirava e condivideva soprattutto la vena meridionalista.

La vocazione che spingeva il L. a diventare scrittore di professione, ormai matura, era tuttavia ancora frenata dalla mancanza di fiducia nelle proprie capacità. Preziosa fu in tal senso l'amicizia di E. Buonaiuti (ospite a Bovalino in casa dello zio del L., Francesco, suo medico personale), che lo incoraggiò a mettersi alla prova. L'esordio letterario risale al 1932, anno in cui vide la luce il lungo racconto Il matrimonio di Caterina (Milano 1977, da cui, nel 1983, venne tratto un film per la televisione di L. Comencini).

Nel racconto, che narra le tristi vicende di una donna del Sud costretta a rimanere zitella, si evidenzia un tratto distintivo e costante anche nella futura narrativa del L., ossia la grande cura nella definizione dei personaggi, in un contesto realistico che è quello della chiusa provincia calabrese. Letto, fra gli altri, anche da Moravia e da Alvaro, piacque, ma sul momento non venne pubblicato.

Tuttavia, l'apprezzamento di scrittori noti aveva fatto circolare il nome del L. nella cerchia degli intellettuali consentendogli di collaborare, nel periodo fascista e nel dopoguerra, come giornalista e critico letterario, con molte riviste (L'Italiano, Omnibus, Primato, Nuovi Argomenti, Il Mondo, Letteratura) e quotidiani (La Nazione, Il Resto del carlino, Paese sera, L'Unità). L'ambizione di vedere pubblicata una sua opera fu soddisfatta solo nel 1939, quando la casa editrice Le Monnier diede alle stampe Caratteri (Firenze 1939).

I precedenti di quest'opera, decisamente inconsueta nell'ambito della narrativa italiana del Novecento, sono in alcuni aforismi del L. - apparsi nel 1935 nell'Italiano, la rivista di L. Longanesi -, in cui la pungente rappresentazione della vita di provincia si delineava attraverso la descrizione di singoli "tipi umani". Quanto si avvertiva in nuce in questi primi schizzi acquista respiro in Caratteri, raccolta di 354 cammei, nei quali la predisposizione del L. al ritratto appare oramai pienamente matura. Attraverso la penetrante, incisiva e spesso ironica descrizione di personaggi, generalmente negativi, in una forma epigrammatica che ha i più illustri antecedenti nei Caratteri di Teofrasto, si concretizza un vero e proprio affresco sociale. Il realismo del L., tuttavia, viene osservando il mondo con l'occhio critico di chi non indulge a facili giudizi e non è mai didascalico, giacché tale mondo è analizzato dall'interno, con la consapevolezza dell'ineluttabilità del fato che domina le vicende umane e dell'insensatezza della vita. Questo atteggiamento filosofico, tutt'altro che illuministico, venne travisato dalla maggior parte dei critici del tempo che privilegiarono i tratti moralistici e razionalizzanti della prosa del L. - educatosi sulla prosa d'arte e sul "capitolo" -, accostandolo, per esempio, a J. de La Bruyère e inquadrandolo come autore incline più alla dimensione del frammento che a quella del romanzo.

Successivamente il L. incontrò notevoli difficoltà a pubblicare altre opere e dovette attendere che la mutata realtà culturale del dopoguerra desse spazio a scrittori che, sulla lunghezza d'onda del neorealismo, orientavano la loro indagine su temi sociali, in particolare meridionalisti. Nel 1953, nella collana "I gettoni", della casa editrice Einaudi, Vittorini volle rieditare una versione accresciuta dei Caratteri (nella prefazione scrisse "brevissimi raccontini in cui [il L.] fonde il gusto dell'imitazione dei classici e lo studio naturalistico del prossimo"); l'anno dopo vennero dati alle stampe i Colloqui con Antonuzza (Caltanissetta 1954).

Nel libro - che ha struttura diaristica e si ispira al mondo fantastico di un'orfanella tenuta per tre anni in affidamento in casa del L. - ancora una volta la dimensione narrativa resta in secondo piano a vantaggio della descrizione di giochi, dialoghi e ricordi dell'universo infantile.

È solo con Le memorie del vecchio maresciallo (Torino 1958; nuova ed., Roma 2000) che il L. tentò di superare la dimensione del frammento, dando continuità alla narrazione attraverso vicende intimamente collegate fra loro non solo dalla fonte comune - il racconto del protagonista, il vecchio maresciallo del titolo - ma, soprattutto, in quanto inserite nel coeso tessuto sociale della provincia. L'anno successivo fu pubblicato il romanzo Mimì Cafiero (Firenze), dove, sotto l'influsso del Don Giovanni in Sicilia di V. Brancati, viene descritto un tipico caso di esasperato gallismo meridionale.

La critica accolse tiepidamente l'opera, riscontrando ancora una volta uno scompenso tra l'andamento narrativo globale e la smisurata invadenza del protagonista, uno zotico proprietario terriero accecato dal sesso che è l'elemento centrale della sua esistenza e che lo porterà alla rovina. La descrizione di questo chiuso microcosmo - dove il sostanziale prevalere di istinti ancestrali condanna la donna a esclusivo oggetto di piacere sessuale - è in effetti dominata dalla presenza del protagonista che porta all'abbrutimento tutto quanto lo circondi; tuttavia, come osserva P. Crupi, nonostante tale prepotente presenza, "per vie estremamente sorvegliate, il personaggio riassum[e] e spieg[a] la geografia storica della Calabria con continui rinvii dal suo dramma individuale al dramma collettivo" (1974, p. 582).

Nel successivo Vita di Stefano (Caltanissetta-Roma 1962) il presupposto di un mondo chiuso e senza speranza di cambiamento giunge alle estreme conseguenze, giacché il giovane protagonista, vinto dalle delusioni, incapace di agire e di trovare un suo ubi consistam, conclude con la morte la sua breve parabola: l'autore accompagna lucidamente il suo personaggio sino alla sconfitta definitiva senza facili pietismi, con l'amara consapevolezza che gli viene dalla personale esperienza umana ed etica.

Negli anni Sessanta l'attività narrativa del L. subì una nuova battuta d'arresto, dovuta ancora una volta alla persistente difficoltà di trovare un editore e aggravata, in quel particolare momento, dalla crisi del neorealismo, cui egli era rimasto fedele mentre prendevano piede esperienze quali lo sperimentalismo linguistico del Gruppo 63. Solo negli anni Settanta il L. riuscì a vedere pubblicati i suoi ultimi romanzi: Una storia d'amore (Torino 1973), I fatti di Casignana (ibid. 1974) e La ragazza del vicolo scuro (Roma 1977). Successivamente il L. si dedicò a romanzi-reportage, tra i quali ricordiamo Terra dura (Napoli 1980) e Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti (Milano 1986).

Qui l'attenzione dell'autore si appunta sul fenomeno della emigrazione, considerata una fra le principali cause del progressivo degrado, quando non della vera e propria distruzione, del tessuto sociale di quella Calabria cui il L. volle rimanere fedele fino all'ultimo.

Il L. morì a Bovalino il 16 nov. 1988.

In quello stesso anno apparvero le Opere teatrali (Cosenza) e il romanzo autobiografico Una stagione a Siena (Bordighera), quasi un testamento spirituale in cui il L. parte dai giovanili anni universitari per tornare poi a riflettere su tutta la sua esperienza di vita.

Oltre alle opere citate, si ricordano: Hai avuto schiaffi sulla tua faccina!, in Letteratura, 1942, n. 23; I misteri della Calabria, Reggio Calabria 1952; L'onorevole Bernabò. Commedia in 3 atti, in Itinerari, III (1955), 14-15; Viaggio in Israele, Cosenza 1985; Tre racconti, Roma 1987; La melagrana matura, raccolta di racconti con prefaz. e a cura di R. Nisticò, ibid. 1999.

Fonti e Bibl.: P. Crupi, M. L., Cosenza 1958; L. Sciascia, Le memorie del vecchio maresciallo, in Prospettive meridionali, IV (1958), 9, p. 50; E.F. Accrocca, Ritratti su misura, Venezia 1960, ad ind.; P. Crupi, M. L., in Letteratura italiana, I contemporanei (Marzorati), IV, Milano 1974, pp. 581-594; N. Messina, Il paese del Sud in L., Cosenza 1984; A. Delfino, Intervista a M. L., in Gente di Calabria, a cura di S. Strati, Cosenza 1987, pp. 32-35; P. De Filippo, Uomini e libri, Reggio Calabria 1992, ad ind.; P. Tuscano, I "Caratteri" di M. L. e la letteratura italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta, in Critica letteraria, 1992, n. 75, pp. 267-287; M. L., personaggio e autore, a cura di S. De Fiores, Ardore Marina 1995; A. Piromalli, M. L. nella letteratura nazionale, in Critica letteraria, 1996, n. 91-92, pp. 559-567; A. Pileggi, M. L., in Calabria letteraria, 1996, nn. 4-6, pp. 93 s.; A. Cozza, Ritratto di uno scrittore: M. L., ibid., 1998, nn. 4-5-6, p. 84; La narrativa di M. L. nella letteratura del Novecento. Atti del Convegno…, Roma…, a cura di R. Nisticò, Roma 2000.

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