DIETRICH, Marlene

Enciclopedia del Cinema (2003)

Dietrich, Marlene (propr. Marie Magdalene)

Marzia G. Lea Pacella

Attrice teatrale e cinematografica tedesca, naturalizzata statunitense nel 1939, nata a Schöneberg il 27 dicembre 1901 e morta a Parigi il 6 maggio 1992. Nonostante quanto hanno scritto di lei colleghi e critici, scrittori e amici celebri (da E. Hemingway ed E.M. Remarque a J. Cocteau), il segreto del suo misterioso e indefinibile fascino, nutrito di una rara bellezza e di un magnetismo seducente, è rimasto inspiegato. Sono state colte invero le sue qualità di artista fiera, perfezionista e ricca di talento, così come quelle di donna dotata di humour, ironia e sensibilità, arguta, caparbia e capace di grandi slanci. Il mito nacque a poco a poco: la semplice ragazza prussiana che vestiva il pagliaccetto mettendo in mostra le splendide gambe (Lola-Lola) si trasformò (durante il suo 'apprendistato' statunitense e grazie a Josef von Sternberg) in un'immagine del femminino che suggeriva una certa ambiguità sessuale, per divenire infine la leggendaria e sempre affascinante artista che seppe incantare il pubblico di tutto il mondo. Fu "desiderabile ed elusiva, apparentemente tenera, ma in realtà dura come l'acciaio. Ha simboleggiato la donna libera della città che sceglie i propri uomini, si guadagna da vivere e vede il sesso non come una consolazione, ma come una sfida" (Higham 1977; trad. it. 1978, p. 13). Oltre alle sue interpretazioni cinematografiche, la D., subendo il fascino del palcoscenico che amava calcare da sola, fu protagonista con la sua voce (utilizzata anche nelle canzoni indimenticabili che interpretò nei suoi film) di grandi concerti negli anni Cinquanta e Sessanta. Nella sua carriera discografica (fin dal suo primo album del 1928, Wenn die beste Freunden) trasformò la voce, all'inizio ancora acerba, in una rauca e profonda realtà musicale. Non ottenne Oscar, ma ricevette un premio alla carriera dal Deutscher Filmpreis (1980), e numerosi furono i riconoscimenti per la sua attività svolta durante la Seconda guerra mondiale: nel 1947 ricevette la Medal of Freedom per l'intrattenimento delle truppe americane e il lavoro svolto contro la Germania nazista, e nel 1951 divenne Chevalier de la Légion d'honneur.Figlia di un maggiore della cavalleria degli Ulani divenuto poi tenente di polizia (morto nel 1911), fu soprattutto la madre a impartire alla D. una rigida educazione prussiana e a farle amare la poesia e la musica. Diplomatasi nel 1918 all'Auguste-Viktoria Schule di Berlino, l'anno seguente fu mandata in collegio a Weimar dove studiò violino al Konservatorium (imparò in seguito a suonare la sega e il piano), mentre al contempo cresceva il suo amore per J.W. Goethe. Tornata quindi a Berlino, negli anni in cui la città viveva la depressione economica ma risultava ricca e interessante dal punto di vista artistico, la D. prese lezioni di inglese (il francese era già la sua seconda lingua, data l'appartenenza a una famiglia alto-borghese), suonò il violino in un'orchestra che accompagnava film muti, fu anche ballerina di fila. Attratta dal palcoscenico, tentò di entrare nella scuola drammatica di Max Reinhardt, ma dovette accontentarsi di ricevere lezioni come privatista da B. Held, all'epoca direttore della scuola. Iniziò quindi a ottenere varie parti in teatro (da ricordare Frühlings Erwachen di F. Wedekind, opera già provocatoria, in una messinscena dominata da una cupa ed esasperata sensualità in cui la D., prostituta e modella di un pittore, porta al suicidio un giovane studente) e a essere chiamata per interpretare piccoli ruoli in alcuni film, tra i quali Tragödie der Liebe (1923) di Joe May, in cui lavorava anche Emil Jannings, e dove conobbe il suo futuro marito Rudolph Sieber. Ne seguirono altri film (Eine Dubarry von heute e Madame wünscht keine Kinder, diretti da Alexander Korda nel 1926) in cui interpretò con brio ‒ proponendo una figura di donna ammaliatrice e spregiudicata lontana ancora da quella sofisticata degli anni Trenta ‒ personaggi molto vicini alla sua vita di incantatrice della società berlinese alla moda. Nel 1927 infatti il suo nome si era già affermato a Berlino, una città divenuta, dopo l'inflazione e la crisi, febbrile e frenetica. Dopo aver partecipato alla rivista Broadway di G. Abbott e P. Dunning, che ottenne un clamoroso successo e le permise di interpretare altri due film, fu scritturata per un nuovo spettacolo teatrale (Es liegt in der Luft) di M. Schiffer, dove conobbe il compositore M. Spoliansky, il primo che scoprì le potenzialità della sua voce. Fu lo stesso compositore che nel 1929, anno di intenso lavoro per la D. (girò altri quattro film), la raccomandò per la rivista Zwein Kravatten di G. Kaiser, di cui era protagonista Emil Jannings, divenuto l'attore più importante in Germania grazie anche a von Sternberg che lo aveva appena diretto trionfalmente. Il regista austriaco era stato poi invitato dalla UFA a dirige-re un film tratto da un romanzo di H. Mann (Professor Unrat), per il quale doveva trovare l'attrice che sapesse con la sua presenza sintetizzare cinismo e tenerezza ed evocare il desiderio sessuale. Per la D. ‒ all'inizio riluttante ‒ Der blaue Engel (girato in doppia versione tedesca e inglese, The blue angel, 1930, L'angelo azzurro) fu l'occasione della sua vita: l'inizio del sodalizio artistico con von Sternberg, della collaborazione con il compositore Frederick Hollander (indimenticabile l'esordio con la canzone Ich bin die fesche Lola) e la nascita del mito, rimasto nell'immaginario collettivo, di Lola-Lola, la sgualdrina sfrontata e crudele che la D. interpretò in modo reale e inquietante. Ancora prima che esplodesse il successo, l'attrice, scritturata dalla Paramount Pictures, partì per New York (lasciando il marito e la figlia avuta nel 1925). Negli Stati Uniti ebbe inizio la sua metamorfosi: grazie a von Sternberg e alla schiera di truccatori, parrucchieri e direttori della fotografia (soprattutto Lee Garmes), nonché al creatore di abiti Travis Banton, la D. si trasformò progressivamente in una bellezza glaciale e aristocratica. Attenta a costruire la propria immagine, selezionava ormai solo vestiti eleganti e sofisticati, facendo scalpore anche in abiti maschili; studiata era la sensuale espressione nel fumare l'immancabile sigaretta, mentre particolare cura era posta nel disegno delle sopracciglia (da sottili e arcuate a più scure e folte) e nella ricerca del colore dei suoi capelli (da biondo a cenere). Dedicò, a partire da quel periodo, una maniacale attenzione all'illuminazione del volto che doveva essere 'colpito' dai riflettori da speciali angolazioni. Nei primi quattro film diretti da von Sternberg (Morocco, 1930, Marocco, unico film per il quale ricevette una nom-ination all'Oscar; Dishonored, 1931, Disonorata; Shanghai Express, 1932; Blonde Venus, 1932, Venere bionda), la D. riuscì a imporre un'immagine femminile (prostituta, spia o cantante di nightclub) forte e autonoma, sia pur venata da intime fragilità sentimentali e mossa da uno spirito indocile enigmatico da 'donna della legione straniera', che assume atteggiamenti sfrontati (come il bacio lesbico in Morocco), pose languide, sguardi accattivanti e vigili, e dotata di una straripante sensualità (per es., nella canzone Hot voodoo in Blonde Venus, in cui il viso e il corpo della D. emergono da un costume di gorilla). Dopo il film Song of songs (1933; Il cantico dei cantici) di Rouben Mamoulian, in cui da giovane modesta calata in varie disavventure si trasforma in cantante di cabaret (da ricordare la canzone Johnny scritta da Hollander), interpretò due film in costume, nuovamente diretta da von Sternberg: The scarlet empress (1934; L'imperatrice Caterina), in cui appare particolarmente astratta e straniata nei panni di Caterina II di Russia, e The devil is a woman (1935; Capriccio spagnolo), in cui incarna la seduttiva donna spagnola del romanzo La femme et le pantin di P. Louys da cui il film è tratto. Dopo questa prova, che segnò la rottura con il regista, la D. con il suo fascino, di volta in volta intrigante, esotico, malinconico e inquietante, interpretò film quali la commedia Desire (1936; Desiderio) di Frank Borzage, uno dei primi film in Technicolor, The garden of Allah (1936; Il giardino di Allah) di Richard Boleslawski e Angel (1937; Angelo) di Ernst Lubitsch. Dopo un soggiorno in Europa, durante il quale sembrò che la sua carriera cinematografica si fosse conclusa (era stata definita 'il veleno dei botteghini'), nel 1939 tornò negli Stati Uniti per interpretare il personaggio di Frenchy nel western Destry rides again (Partita d'azzardo) di George Marshall, con il quale la D. sembrò recuperare il suo primigenio ruolo di prorompente e spiritosa cantante di saloon (che intona The boys in the back room di Hollander), donna intraprendente e pronta a sacrificarsi per amore. Dopo il successo di questo film, Joe Pasternak produsse Seven sinners (1940; La taverna dei sette peccati) di Tay Garnett in cui come Bijou ‒ creatura per la quale gli uomini fanno follie ‒ la D., con una smagliante divisa della Marina della U.S. Navy e di nuovo in abiti maschili, ottenne una nuova affermazione anche grazie alle splendide canzoni di Hollander-Loesser (per es., The man's in the navy). Seguirono altri film, The flame of New Orleans (1941; L'ammaliatrice) di René Clair e Manpower (1941; Fulminati) di Raoul Walsh, The lady is willing (1942; La signora acconsente) di Mitchell Leisen e Kismet (1944) di William Dieterle, in cui la D., sottoposta a un trucco complicato e nocivo, recitò danzando con il corpo ricoperto di vernice d'oro. L'attrice, che in quegli anni aveva già iniziato a tenere spettacoli per la raccolta di fondi a sostegno dello sforzo bellico, sia per tenere alto il morale dei soldati statunitensi nei campi di addestramento, sia per contribuire alla liberazione di prigionieri dai campi di concentramento, inviando capitali in Svizzera, alla fine del febbraio 1944 lasciò gli Stati Uniti, al seguito dell'esercito, per iniziare una dura e faticosa tournée sui fronti di guerra: fu in Africa e poi in Italia, in Francia e in Germania (dove, probabilmente, non le venne mai perdonato di aver lasciato il Paese, anche se lei continuò a sentirsi tedesca tutta la vita). La sua attività fu frenetica e infaticabile (ne rimane traccia nell'autobiografia, Nehmt nur mein Leben: Reflexionen, 1979; trad. it. 1985, pp. 199-227) e a parte un film girato in Francia (Martin Roumagnac, 1946, Turbine d'amore, di Georges Lacombe), che non ottenne successo e dopo il quale terminò la sua relazione con Jean Gabin, l'esperienza della guerra la segnò profondamente e fece rinascere in lei il desiderio di dedicarsi al teatro, di salire da sola, con la sua voce, sul palcoscenico. Prima di poter attuare questo progetto, accettò l'offerta di Leisen per Golden earrings (1947; Amore di zingara), affascinata anche dal personaggio di zingara (sporca, trasandata e con i capelli arruffati) che doveva interpretare. Nel 1947, mentre era a Parigi, fu coinvolta da Billy Wilder nel suo A foreign affair (1948; Scandalo internazionale) in cui poté di nuovo cantare le canzoni composte da Hollander. Nel corso degli anni Cinquanta, a parte il film diretto da Alfred Hitchcock Stage fright (1950; Paura in palcoscenico), in cui diede il volto a un'enigmatica diva del music hall, si dedicò a perfezionare il 'suo' spettacolo elaborando il copione con Burt Bacharach e affidandosi a Joe Davis per l'illuminazione: un'esibizione che comprendeva tutto il repertorio delle sue canzoni più belle (cantate in varie lingue), interpretate nella prima parte in morbidi abiti femminili (che lei sceglieva, consigliata da Jean-Louis) e nella seconda in smoking. Il successo che stava ottenendo nel mondo, e che sarebbe continuato per tutti gli anni Sessanta, non le impedì di prendere parte a film quali l'insolito western Rancho Notorious (1952) di Fritz Lang, nel ruolo di una fuorilegge, Around the world in 80 days (1956; Il giro del mondo in 80 giorni) di Michael Anderson, Witness for the prosecution (1957; Testimone d'accusa) di Wilder ‒ in cui svolse un doppio ruolo, quello di Christine Vole, la moglie che rischia la vita per amore, e quello di un'inquietante donna del popolo ‒ e, nel personaggio della chiromante, Touch of evil (1958; L'infernale Quinlan) di Orson Welles (con il quale si era esibita più volte in teatro e in alcune sue trasmissioni radiofoniche). L'ultimo film che girò, troppo presa dai suoi impegni di cantante, fu Judgment at Nuremberg (1961; Vincitori e vinti) di Stanley Kramer, sul processo di Norimberga, che fu per lei un vero trionfo personale. Continuando a girare per il mondo (fu anche in Israele dove venne accolta con entusiasmo), esibendosi nel suo spettacolo, comparve ancora al cinema in una scena del film Paris when it sizzles (1964; Insieme a Parigi) di Richard Quine, in cui scende da una Rolls-Royce bianca ed entra nell'atelier di Ch. Dior. Un omaggio al mito, così come quello tributatole nel 1979, in Schöner Gigolo, armer Gigolo (Gigolò) di David Hemmings, quando, sulle note della canzone che dà il titolo al film, si congedò, in un'ultima e fugace apparizione, dal pubblico che l'aveva sempre idolatrata.

Bibliografia

Ch. Higham, Marlene. The life of Marlene Dietrich, New York 1977 (trad. it. Milano 1978); M. Ramperti, L'alfabeto delle stelle, Palermo 1981, pp. 44-57; P. O'Connor, The amazing blonde woman. Dietrich's own style, London 1991 (trad. it. Marlene Dietrich. Stile e fascino dell'Angelo azzurro, Roma 1992).

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