MAROCCO

Enciclopedia del Cinema (2004)

Marocco

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

La cinematografia marocchina nacque alla fine degli anni Sessanta, preceduta da alcuni avvenimenti significativi: le immagini documentarie girate dagli operatori dei fratelli Lumière e da Félix Mesguich nel 1896; l'apertura del primo laboratorio, Cinéphane, a Casablanca nel 1939; la fondazione del Centre cinématographique marocain (CCM) nel 1944, istituzione di derivazione coloniale destinata alla realizzazione di documentari, del cinegiornale al-Aḫbār al-Maġribiyya (Cronache maghrebine, dal 1958 al 1963) e successivamente al sostegno dei primi lungometraggi nazionali; la costituzione, sempre nel 1944, degli Studios du Souissi a Rabat; le testimonianze filmate di Mohamed Osfour (il suo unico lungometraggio è la favola al-Kinz al-ǧahannamī, Il tesoro infernale, del 1970) sulla lotta del movimento marocchino per l'indipendenza dalla Francia, che dal 1912 aveva imposto al Paese un regime di protettorato. Inoltre, il M. ha sempre costituito, per le produzioni straniere, soprattutto francesi, un suggestivo luogo di riprese.

L'opera che segnò l'entrata del M. ‒ indipendente dal 1956 ‒ nella storia del cinema fu il lungometraggio a soggetto Intaṣir li ta'īš (1968, Vincere per vivere) diretto da Ahmed Mesnaoui e Mohamed Ben Abdelwahid Tazi. Il film, che risente degli influssi del melodramma musicale egiziano (v. Egitto), narra le vicende di un muratore divenuto cantante popolare. Nello stesso anno, Larbi Bennani e Abdelaziz Ramdani aprirono altre strade alla giovane cinematografia con 'Indamā tanḍuǧī al-tamr (Quando maturano i datteri), ambientato in un villaggio del Sud del Paese. Negli anni Settanta, la rivista "Cinéma 3" e poi la Fédération nationale des ciné-clubs marocains (FNCCM), fondata nel 1973 dal critico Nour-Eddine Saïl, posero le basi, pur tra difficoltà produttive e censorie, per la nascita di un nuovo cinema, più attento alle questioni sociali: Šams al-rabī'a (1969, Sole di primavera) di Latif Lahlou ritrae le difficoltà di un funzionario di Casablanca, arrivato dalla campagna, che non riesce ad adattarsi allo stile di vita della capitale; Wašma (1970, Tracce) di Hamid Benani, opera collettiva anche se firmata da un solo regista, costituisce una tappa fondamentale nello sviluppo della cinematografia marocchina per la sua libertà formale e narrativa nel seguire le tragiche vicissitudini di un ragazzo che si ribella alla famiglia; Alf yad wa yad (1972, Le mille e una mano) di Suheil Ben Barka rappresenta invece un atto d'accusa nei confronti dello sfruttamento degli operai di una fabbrica di tappeti di lusso a Marrakech. In questo decennio, caratterizzato da una produzione limitata ma di eccellente qualità, esordirono anche: Mustapha Darkawi con 'An ba'd al-aḥdāṯ bidun ma'nā (1974, Di qualche avvenimento senza significato), inchiesta su un omicidio che si intreccia alle riflessioni del personaggio di un regista sul cinema dominato da Hollywood e dal colonialismo culturale occidentale; Moumen Smihi con al-Šarqī aw al-ṣamt al-'anīf (1975, al-Sharqi o il silenzio violento), dramma di una moglie che vuole impedire al marito di prendere una seconda sposa; Jillali Ferhati, con Ğarḥa fī ᾽l-ḥā'iṭ (1977, Una breccia nel muro), in cui attraverso lo sguardo di un sordomuto si scopre la vita degli emarginati a Tangeri; Ahmed al-Maanouni, autore di al-Ayyām al-ayyām, (1978, Oh, i giorni!), sulla quotidianità della vita in un villaggio. Parallelamente altri cineasti, come Abdallah Mesbahi (Sukūt, al-ittiǧāh al-mamnū', 1973, Silenzio, senso vietato; al-Ḍaw᾽ al-aḫḍar, 1976, Il semaforo verde, coproduzione con la Libia), puntarono al successo commerciale.

Ferhati, Smihi e al-Maanouni sono così diventati punti di riferimento del cinema marocchino più innovativo. Con al-Hāl (1981, noto con il titolo Trances), al-Maanouni ha esplorato l'universo della musica marocchina insieme al popolare gruppo Nass El Ghiwane. Questo film ha inaugurato un decennio in cui hanno preso forma, non senza polemiche, novità in merito al finanziamento dei film (nel 1980 è stato istituito dal governo il Fondo di sostegno, seguito poi dal Fondo di aiuto alla produzione) e in cui sono stati ideati i primi festival cinematografici, dapprima a Rabat e a Casablanca, quindi negli anni Novanta a Meknès e a Tangeri, fino a quello di Marrakech, in attività dal 2001. Ahmed Buanani, già cofondatore del collettivo Sigma 3, ha realizzato il suo unico lungometraggio nel 1980, al-Sarāb (Il miraggio), sulle disillusioni di un giovane desideroso di fare fortuna in città. Altrettanto breve, ma importante, la filmografia di Mohamed Reggab, scomparso nel 1990, autore di Ḫallāq darb al-fuqarā' (1982, Il barbiere del quartiere dei poveri) che, ispirato a un testo teatrale, ritrae un quartiere povero controllato da un vecchio e ricco ex collaborazionista. Mohamed Abderrahmane Tazi è autore di film di grande popolarità come la commedia Baḥṯan 'an zawǧ imra'tī (1993, Alla ricerca del marito di mia moglie), ma anche di opere più intimiste tra cui Bādis (1989), sull'amicizia tra due donne in una società a loro ostile. La regista e sceneggiatrice Farida Benlyazid ha esordito nel 1988 con Bāb al-samā' maftūḥ (Una porta sul cielo), che descrive le vicende di una donna tornata in M. alla ricerca delle proprie radici musulmane; mentre Izza Genini, cineasta e produttrice, ha caratterizzato la sua filmografia all'insegna del documentario, in pellicola e in video (tra i suoi lavori la serie sulla tradizione, il folklore e la musica, al-Maġrib ǧism wa rūḥ, 1987-1992, Marocco, corpo e anima). Abdelkader Lagtaa ha rivolto il suo sguardo alla quotidianità urbana con Ḥubb fī 'l-dār al-bayḍā' (1991, Un amore a Casablanca) e Les Casablancais (1998). Opera unica, indipendente, non riconducibile a schemi, è quella di Naguib Ktiri-Idrissi, 'Azīz wa Ittū (1991, Aziz e Itto), storia d'amore e di rituali, dal procedere rapsodico, continuamente in bilico fra documentario e finzione.Gli anni Novanta hanno portato in primo piano una nuova generazione di cineasti, già approdati al lungometraggio o autori di corto e mediometraggi promettenti. Tra i lungometraggi da segnalare: Maktūb (1997, La sorte), road movie con intrigo noir, e 'Alī Zāwa (2000), estetizzante dramma sui bambini di strada, entrambi di Nabil Ayouch; Adieu forain (1998), sugli artisti girovaghi, e 'Awd rīh (2001, Il cavallo di vento), altro modo di avvicinarsi al road movie seguendo le vicende di un anziano e di un giovane, diretti da Daoud Aoulad Syad. Ma gli sguardi più originali sono stati quelli di Yasmine Kassari con il cortometraggio Chiens errants (1996) e di Faouzi Bensaïdi, autore di cortometraggi (La falaise, 1998; Trajets, 2000; Le mur, 2000) e del lungometraggio Mille mois (2003), tutte opere attente alla contaminazione dei generi, permeate da un forte senso di solitudine e da una radicale esplorazione dello spazio.

Bibliografia

Il cinema dei Paesi arabi, a cura di A. Morini, E. Rashed, et al., Venezia 1993, pp. 159-69.

R. Armes, Cinema in the Maghreb.Morocco, in Companion encyclopedia of Middle Eastern and North African film, ed. O. Leaman, London-New York 2001, pp. 469-90.

G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 40-47.

G. Gariazzo, Egitto, Maghreb e Medio Oriente: il cinema dei Paesi arabi, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 447-49 e 1226.

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