MARTE

Enciclopedia Italiana (1934)

MARTE (Mars, Marspĭter)

Giulio Giannelli

Una delle maggiori divinità venerate dai Romani, appartenente a quel gruppo di dei chiamati indigetes e considerati come legati alle origini stesse della loro religione e distinti perciò dalle divinità derivate, in età successive, dalle religioni di altri popoli. Marte però è, come Giove, oltre che un dio indigeno della gente romana, un dio che i Romani ebbero in comune con le altre stirpi italiche e probabilmente anche con gli Etruschi: il suo nome s'incontra, in territorio latino, oltre che nella forma indicata, in quella di Māvors; nei dialetti oschi suona Mamers, Maris presso gli Etruschi; nella maggior parte dei calendarî italici, un mese porta il suo nome.

Se si passano in rassegna le forme e le manifestazioni più antiche del culto di Marte, troviamo che questa divinità si rivela sotto due aspetti, a prima vista assai diversi, in realtà intimamente associati l'uno all'altro: egli appare al tempo stesso un dio della vegetazione primaverile e un dio della guerra.

Marte è anzitutto il dio, al quale principalmente son rivolte le invocazioni e i riti dei fratelli Arvali. Nell'antico canto degli Arvali, si supplicava il dio Marte, affinché tenesse lontana dal grano la golpe; a Marte era offerto il sacrificio dei suovetaurilia, l'atto più solenne delle Ambarvalia, la festa periodica primaverile per la purificazione delle campagne, corrispondente a quella dell'Amburbium per la lustrazione della città, e affine a quella quinquennale del Lustro, la quale si svolgeva intorno all'ara Martis nel Campo di Marte; a Marte spettava anche la tutela dei buoi da lavoro; gli si faceva inoltre, nel mese di ottobre, il sacrificio di un cavallo, il qual rito, celebrato con cerimonie di carattere vetustissimo, aveva lo scopo di impetrare il buon esito del raccolto. Qualche relazione con Marte deve avere avuto certamente, in origine, la cerimonia dei Mamuralia del 14 marzo; in questo giorno si scacciava a colpi di bastone dalla città un uomo vestito di pelli, il cui nome suonava Mamurio Veturio, cioè, come generalmente s'interpreta, "il vecchio Marte" cerimonia simbolica rappresentante la cacciata dell'inverno o del vecchio anno. E del resto è significativo il fatto che proprio a Marte fosse dedicato il primo mese dell'anno nell'antico calendario romano: il marzo, quando hanno principio la primavera e i lavori agricoli, mese nel quale ricorrevano tutte le principali feste del dio e alle idi del quale si celebrava anche la festa di Anna Perenna, divinità di natura ctonica e di origine forse etrusca, ma che i Romani conobbero fin da principio come dea della vegetazione, strettamente legata a Cerere. A Marte erano sacri i giovani che, nella primavera di un anno difficile (ver sacrum), abbandonavano per sempre la patria, in cerca di nuova sede in altro territorio.

Ma non meno importanti ed antiche sono le manifestazioni, per le quali Marte ci si rivela nell'aspetto di divinità della guerra: si può dire anzi che, al tempo in cui si fissa il rituale di una religione pubblica dello stato romano, quale si riflette nella fonte più attendibile che ce la fa conoscere, il feriale, Marte è prevalentemente il dio della guerra. Il mese di marzo, sacro al dio, segnava anche l'inizio della stagione della guerra; e i giovani del ver sacrum erano a Marte consacrati, come al dio che doveva proteggerli nelle lotte della nuova esistenza (Wissowa). Tutte le feste di questo mese, in onore di Marte, presentavano carattere guerresco, del pari che quelle corrispondenti del mese di ottobre: evidentemente, feste di purificazione delle armi, al principiare e al finire della stagione di guerra. In un sacrario della Regia, dove M. era adorato in figura di una lancia, si custodivano le armi sacre al dio: le hastae Martis e gli scudi detti ancilia (v. ancili): il primo di marzo cominciava la processione dei Salî (v.) per la città con le sacre armi, processione che culminava nei giorni del 9 e del 19 marzo (Quinquarmus), con la solenne purificazione delle armi; mentre il 27 febbraio e il 14 marzo si consacravano al dio i cavalli da guerra (Equirria) e il 23 le trombe (Tubilustrium). Con lo stesso cerimoniale, nell'ottobre, si riportavano le armi nel sacrario di Marte, dopo averle purificate nella festa del giorno 19 (Armilustrium); alle idi di questo mese aveva inoltre luogo la festa del "cavallo d'ottobre", in ringraziamento del felice esito della campagna e come purificazione del sangue sparso: un cavallo da guerra veniva sacrificato dal flamine di Marte al dio, e il sangue di esso era in parte sparso nel focolare della Regia, in parte conservato dalle Vestali per successivi riti lustrali. Né può essere senza significato il fatto che le più antiche sedi del culto di M. fossero fuori del pomerio: tali l'ara del Campo Marzio, presso la quale fu eretto, nel 138 a. C., il tempio votato al dio da Decimo Giunio Bruto Callaico e costruito dall'architetto Erm0doro di Salamina (giorno anniversario della dedicazione il 23 settembre), e il tempio dedicatogli, il 1 giugno del 388 a. C., fuori della Porta Capena, donde prendeva le mosse l'annuale rivista della cavalleria (transvectio equitum).

Su questa duplice serie di elementi di fatto si fondano le due differenti tesi dei moderni: l'una, assegnando maggior peso e maggiore antichità al legame di M. con certi aspetti dell'attività agricola, riguarda il dio come associato in origine con la vegetazione e la coltura dei campi e solo più tardi passato a proteggerli dal pericolo, ancor più grave, delle devastazioni del nemico, trasformandosi così in una divinità della guerra (Preller, Mannhardt, Reifferscheid, Roscher, Usener, De Sanctis, Bailey, ecc.); l'altra, considerando che l'attività più intensa delle primitive comunità latine e italiche dovette essere quella della guerra e della difesa dei campi e dei raccolti dalle aggressioni dei vicini e che a lato delle divinità agricole non poteva mancare, ai primi posti, un dio della guerra, riguarda quest'ultimo come il carattere originario del dio (Wissowa, Carter, ecc.). Ma, sia stato l'uno o l'altro il primo aspetto di M., esso fu in definitiva per i Romani il dio della guerra. Sedi del suo culto furono i due sacrarî sopra ricordati, oltre a un tempio di Mars Invictus, di cui ignoriamo però l'ubicazione e la data di fondazione, mentre dai calendarî conosciamo il giorno anniversario della dedicazione (14 maggio).

Più tardi Augusto, in rendimento di grazie per la vendetta presa sugli assassini di Cesare, istituì il culto di Marte Vendicatore (Mars Ultor), al quale dedicò prima un piccolo tempio rotondo sul Campidoglio (12 maggio del 20 a. C.), indi (i agosto del 2 a. C.) il grande tempio nel suo Foro (v. fori: Fori imperiali).

La figura di M., e in parte anche il suo culto, furono ben presto elaborati sotto l'azione della poesia e della mitografia dei Greci. Identificato M. col dio greco della guerra, Ares (v.), gli si pose a lato, come coniuge, Venere, già identificata con la greca Afrodite: nel lettisternio del 217 a. C., nel quale si fissò per la prima volta la diretta corrispondenza dei dodici dei maggiori romani con altrettante divinità greche, si vide, al terzo posto, la coppia Marte Venere (Liv., XXII, 10, 9).

Un secondo ravvicinamento, operato sotto l'influsso della mitologia greca, fu quello di Marte con Giunone. Certe casuali concomitanze del culto di Marte con quello di Giunone (come la coincidenza del giorno anniversario del tempio di Giunone Lucina con l'antica festa di Marte del i° marzo, e del giorno anniversario del tempio di Giunone Moneta con quello del sacrario di Marte a Porta Capena del i° giugno) fecero credere a speciali rapporti fra le due divinità; ne sorse un mito, sul modello di quello greco di Efesto, che faceva Marte figlio illegittimo di Giunone, in essa concepito per la fragranza di un fiore (Ovid., Fasti, V, 229 segg.).

Diverse divinità minori troviamo ancora in intima connessione con Marte, quasi a rappresentare altrettanti aspetti della sua attività guerresca. Tale fu Neriene, sua antica compagna di culto, divinità italica forse non dissimile da Virtus, ma che gli storici e i poeti identificarono, su modelli greci, o con Bellona, o con Minerva, o con Venere. Bellona (v.) è da considerarsi piuttosto come l'estrinsecazione, la personificazione dell'attività principale del dio (come Fides rispetto a Giove). Anche Pavor e Pallor, come personificazione del terror panico in guerra, appartennero alla cerchia di Marte; Tullo Ostilio avrebbe votato ad essi due sacrarî durante la guerra coi Veienti e i Fidenati. Un po' più tardi, nel corso del sec. III, ebbero templi in Roma anche Honos e Virtus, una coppia divina di formazione più recente, ma collegata anch'essa con Marte e personificante le due virtù, intese in senso militare; il maggiore dei loro templi sorgeva appunto presso la Porta Capena, in vicinanza di quello di Marte.

Nelle numerose iscrizioni dell'età imperiale, Marte è sempre onorato o invocato come dio della guerra: gli epiteti che più frequentemente accompagnano il suo nome sono quelli di Gradivus (probabilmente "colui che accompagna gli eserciti in marcia"), Victor, Propugnator, Conservator, Propagator imperii, Comes Augusti, Ultor, Pacifer (cioè "colui che con la potenza delle armi dà o protegge la pace"). I dedicanti sono naturalmente, per la maggior parte, soldati e tali dediche a Marte appaiono specialmente numerose nelle provincie di confine, ove più numerosi erano i presidî e dove i soldati barbari identificarono spesso Marte con le loro divinità guerriere, come il celta Toutates e il germanico Tiu.

Per la rappresentazione di Marte i Romani adottarono senza variaZioni notevoli il tipo dell'Ares greco (v. ares).

Bibl.: W. H. Roscher, Studien zur vergleichenden Mythologie der Griechen und Römer, I: Apollon und Mars, Lipsia 1873; id., in Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 2385 segg.; J. Toutain, Les cultes païens dans l'Empire romain, I, i, Parigi 1907, p. 252 segg.; H. Usener, in Rheinisches Museum, XXX, p. 182 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 268 segg.; C. Bailey, The religion of ancient Rome, Londra 1911, p. 60 seg.; id., Phases in the religion of ancient Rome, Berkeley 1932, passim; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 141 segg.; Marbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, col. 1919 segg.