GANASSINI, Marzio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GANASSINI (Canassini, Fiore, Ganasini, Ganacini, Ganascini, Ganasselli, Ossini), Marzio (Marco, Mario, Martino, Marzio di Cola Antonio)

Enrico Parlato

Nacque a Roma in un periodo che può essere circoscritto tra il 1560 (Noack) e la metà del decennio successivo. Il padre era il pittore, specializzato nella decorazione a grottesche, Antonio Orsini o Ossini, ricordato da Baglione con l'appellativo di Cola Antonio.

La riscoperta del G. si deve a L. Salerno che per primo ne intuì l'identità con Marzio di Cola Antonio, del quale Baglione (1649) tracciò una sintetica biografia ricordandone le opere più importanti. Tale proposta ha trovato un fondato riscontro documentario nel mandato di pagamento "a Marzio Canassini" relativo agli affreschi della chiesa romana di S. Maria della Consolazione, che rende indubitabile l'identificazione tra G. e Marzio di Cola Antonio; gli studi di Röttgen su G. Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, e la sua cerchia consentono infine di inquadrarne la personalità.

Documenti in parte editi, ma che non erano stati tra loro collegati, permettono ora di stabilire, inoltre, il legame di parentela tra Antonio Orsini e il Ganassini. In particolare, nel Libro del Camerlengo dell'Accademia di S. Luca (vol. XLII, cc. 105v-106r) ricorre il nome del pittore "Antonio Orsini de' Ganassino" (Gallo) e in quello stesso volume, nonché negli inventari accademici, si trova più volte il nome del medesimo sia nella forma "Orsini" sia in quella "Ossini", e, in una sola occasione, come "Antonio Ganassino" (Roma, Archivio dell'Accademia di S. Luca, Giust. I, n. 265). Tale variazione del cognome riguarda lo stesso G. che nei pagamenti relativi ai lavori eseguiti a Roma presso la chiesa della Madonna dei Monti (1599) è chiamato sia "Marco Ganassini", sia "Martino Ossini". Antonio Orsini, che sulla scorta delle ricerche di Noack si sa essere stato membro dei Virtuosi al Pantheon, partecipò attivamente dal 1594 alla vita dell'Accademia di S. Luca, di cui fu in più occasioni camerlengo (1595-96, 1602). Padre e figlio collaborarono a lungo insieme, almeno fino al 1614, un anno avanti la morte di Antonio (1615: Noack); l'emergere negli archivi dell'Accademia di documenti relativi al G. solo a partire dal 1614 potrebbe confermare che padre e figlio operarono all'interno della medesima bottega.

Gli esordi del G. ebbero luogo negli anni del pontificato di Clemente VIII (1592-1605), in particolare allo scadere dell'ultimo decennio del Cinquecento, in quella febbrile attività decorativa che, a ridosso della scadenza giubilare, investì un gran numero di edifici sacri romani. La decorazione della volta del vestibolo di S. Cecilia in Trastevere, commissionata dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati, risale al 1599. Il G. vi dipinse putti e festoni che inquadrano la gloria dei santi titolari secondo un sistema illusionistico che riecheggia e semplifica la volta della cappella Olgiati del Cavalier d'Arpino nella chiesa romana di S. Prassede.

Nei putti che numerosi scandiscono la volta è evidentissimo il ricorso a una linea mobile e flessuosa che spesso distorce le figure, trattate con violente ombre portate, caratteristica che ha fatto proporre a Röttgen il nome di Andrea Lilli quale riferimento per gli esordi del Ganassini. In realtà tale maniera sembra assai più eclettica e sensibile anche ad alcune trovate di Cherubino Alberti nella sala Clementina in Vaticano.

La collocazione del G. nell'orbita arpinate sembra essere confermata anche dagli episodi della Vita di s. Onofrio (1600) nel chiostro dell'omonimo convento romano che gli sono stati assegnati da Röttgen. Si tratta di un'impresa collettiva nella quale sono individuabili mani diverse. Sulla base di un confronto con i più tardi affreschi della Ss. Trinità di Viterbo la proposta dello studioso non sembra essere priva di fondamento e la mano del G. potrebbe essere effettivamente riconosciuta nelle tre lunette con storie del santo eponimo disposte sul lato nord.

Nel novembre 1599 è documentata la presenza del G. in un altro cantiere romano, quello della chiesa della Madonna dei Monti, dove erano all'opera C. Nebbia, B. Croce e O. Gentileschi. Le carte d'archivio ricordano un pagamento di 25 scudi a "m.ro Marco Ganassini pittore" (Tiberia) per il suo intervento nella decorazione pittorica della cupola, individuato dalla Barroero nella scena della Natività.

Agli ultimi anni del pontificato di Clemente VIII e ai primi di quello di Paolo V risalgono i dipinti eseguiti a Roma nella cappella dei Pescatori a S. Maria della Consolazione, anche questi assegnatigli da Baglione. I relativi mandati di pagamento vanno dal 1601 al 1607 (Brentano), ma solo nell'ultimo viene fatto il nome del G., mentre beneficiario dei primi è il padre.

L'insieme degli affreschi appare stilisticamente unitario, nonostante la differenza di impostazione del S. Andrea, presso l'altare, e di S. Marco e S.Giovanni Evangelista, dipinti sui pilastri, connotati da una severità muzianesca. I putti scorciati e distorti sono una vera e propria citazione di quelli di S. Cecilia in Trastevere, a riprova che le due imprese sono frutto della stessa bottega. Nelle crocifissioni di S. Pietro e di S. Andrea, disposte sulle pareti laterali, l'impostazione spaziale con figure à repoussoir che rimanda al tardo manierismo romano si accompagna a una tendenza deformante e quasi grottesca, oltre che a un gusto per puntuali riferimenti alla topografia romana che ricorre in altre opere del G.: nella Crocifissione di s.Pietro compare una veduta di S. Pietro in Montorio e di porta S. Spirito, mentre la torre delle Milizie è dipinta nella scena opposta. L'unità della decorazione pittorica sottolinea che padre e figlio collaboravano all'interno della medesima bottega e, forse, le due teste che nella Crocifissione di s. Pietro, dietro al soldato romano, guardano verso lo spettatore, sono i loro autoritratti.

Le informazioni raccolte da Casimiro da Roma consentono di datare al 1613 la decorazione pittorica della cappella della Madonna di Loreto all'Aracoeli. Gli affreschi con Storie della Vergine disposte lungo le pareti laterali e nella cupoletta gli vengono ascritti da Baglione che ricorda anche la partecipazione del padre nei pilastri decorati a grottesche. Infine nel testamento del committente, Alessandro Muzi, rogato nell'aprile del 1620, il testatore afferma di avere commissionato al G. la pala d'altare che deve raffigurare la Madonna di Loreto. Il dipinto attualmente in sito è certamente più tardo e non può essere ritenuto opera del G., che potrebbe non avere avuto il tempo di portare a termine l'incarico affidatogli (Carta - Russo).

Nei dipinti dell'Aracoeli l'adesione al linguaggio arpinate è molto evidente sia nella costruzione severa e astraente delle figure, sia nella tipologia delle Sibille all'imposta della cupoletta simili alle Virtù che il G. dipingerà poi a Bagnaia. Inoltre l'introduzione nelle composizioni di luoghi riconoscibili del paesaggio romano - la cordonata del Campidoglio o l'arco di Settimio Severo - verrà riproposta dal G. nelle poco più tarde imprese viterbesi.

La metà del secondo decennio del XVII secolo sembra essere il periodo di più intensa attività del G., che il 6 apr. 1614 si impegnò a realizzare gratuitamente - invece di versare un contributo in denaro - una pala d'altare destinata alla chiesa dell'Accademia di S. Luca (Lafranconi); tale "tributo in natura", al quale si sottoposero anche i pittori Girolamo Massei e Alessandro Bottoni, è finora la più remota testimonianza della affiliazione del G. all'Accademia. Nel 1612 il G. risulta abitare o tenere bottega al Corso; mentre nel giugno 1615, stando a un documento segnalato da Bertolotti, doveva abitare ai piedi del Campidoglio, "alla salita di Marforio", presso S. Pietro in Carcere. Al settembre 1614 e al luglio dell'anno successivo risalgono alcuni mandati di pagamento per gli affreschi della palazzina Montalto a Bagnaia (Cavazzini) che è forse l'impresa più significativa alla quale il pittore partecipò insieme con il padre.

Stando agli studi di Schleier, Röttgen e Cavazzini, risulta evidente che la presenza del G. e del padre a Bagnaia sia nata dal loro rapporto con il Cavalier d'Arpino che si trattenne nella residenza viterbese fino al novembre del 1613, il tempo necessario per dipingere alcuni affreschi e lasciare agli aiuti i disegni per completare quanto gli era stato affidato. L'intervento del G. sembra essere stato piuttosto esteso e si connota per la stretta aderenza al linguaggio del Cesari: gli si attribuiscono la Gloria in una sala del piano nobile, le figure di divinità nel soffitto del salone principale, nonché le Virtù nella loggia che si apre sul parterre.

Gli affreschi nel chiostro del convento della Ss. Trinità a Viterbo vennero realizzati a seguito del lascito testamentario del patrizio viterbese Giacomo Nini (morto nel 1605) che destinò 200 scudi per la loro esecuzione, come risulta dai documenti dell'archivio Doria Pamphili nei quali si fa altresì espressa menzione del G. (Silvestri). La documentazione finora rinvenuta non consente di arrivare a una cronologia certa. Tuttavia nei dipinti viterbesi sono chiaramente individuabili citazioni dagli affreschi dipinti dallo stesso G. all'Aracoeli (1613) nonché dalla palazzina Montalto a Bagnaia (1615).

Lungo le pareti del quadriportico furono dipinte 42 scene della Vita di s. Agostino (alcune distrutte durante i bombardamenti dell'ultima guerra) sopra le quali si trovano altrettante lunette con paesaggi e racconti veterotestamentari o di vita eremitica. Nelle storie agostiniane il pittore ha ormai messo a punto la sua peculiare versione del linguaggio arpinate, riconoscibile già nei dipinti dell'Aracoeli che qui vengono direttamente riutilizzati trasformando la Natività della Vergine in una Nascita di s. Agostino. Il linguaggio del Cesari è ridotto a un più facile e discorsivo eloquio nel quale, alla bisogna, possono essere inserite le trovate marinaresche di Agostino Tassi (che a Bagnaia subentrò al Cavalier d'Arpino sullo scorcio del 1613), palesi nella galera con lo stemma Borghese che compare nel Viaggio di s. Agostino verso l'Italia. Il ciclo è molto ampio e non mancano scarti stilistici che fanno pensare alla presenza di mani più deboli, forse assoldate tra i lavoranti di Bagnaia. La letteratura periegetica locale a partire dal XIX secolo affianca al G. il pittore Giacomo Cordelli, un seguace di T. Ligustri che Faldi ritiene responsabile delle lunette con i paesaggi. Anche in questo caso non si può certamente parlare di un'unica mano considerata la qualità decisamente sostenuta delle lunette sul lato nord rispetto alle rimanenti.

Gli affreschi nella cappella del palazzo del Comune a Viterbo che il G. avrebbe eseguito insieme con Filippo Caparozzi sono databili secondo Scriattoli al 1610; tuttavia non si può escludere che le rovinate Storie della Vergine dipinte lungo il margine superiore delle pareti del sacello siano invece contemporanee agli affreschi della Trinità.

Accanto al preponderante numero di commissioni destinate a edifici ecclesiastici va anche ricordata la committenza profana. Oltre ai dipinti di Bagnaia, il G. avrebbe dipinto a Roma, nel palazzo Cesi presso S. Marcello al Corso, "varie battaglie assai spiritose e molto bizzarre in fresco" (Baglione); a queste si possono forse aggiungere i dipinti di una sala del piano nobile di palazzo Petrignani ad Amelia dove le figure allegoriche sono molto vicine a quelle dipinte dal G. nella loggia di Bagnaia.

Dal 1615 la documentazione è carente né vi sono significative tracce della sua attività romana. Si può presumere che il G. sia andato in Piemonte al seguito del cardinale Maurizio di Savoia, interessato, come scrive Baglione, alle scene di battaglia di piccolo formato, cui il pittore si dedicò alla fine della sua attività (Noack; SchedeVesme).

Alcuni documenti del 1621 sembrano confermare l'attività del G. in Piemonte; il suo nome compare infatti per ben due volte nel libro di conti del cardinale Maurizio di Savoia che, nel frattempo, era tornato a Roma (Schede Vesme). Attorno a questa data dovrebbe essere posta pertanto la morte del G., se è esatto quanto riporta Baglione, secondo cui l'artista morì durante il pontificato di Paolo V.

Röttgen ha ascritto al G. tre dipinti di piccolo formato, due rami raffiguranti la Conversione di s. Paolo conservati alla Galleria Borghese di Roma e alla Galleria del Castello di Praga e una tavoletta con S. Chiara che salva la città di Assisi dell'Ermitage di San Pietroburgo. I caratteri arpinati di queste opere sono evidenti, anche se Longhi a proposito del rame borghesiano ne aveva evidenziato elementi che lo avvicinavano alla maniera di Filippo Napoletano. A questo piccolo nucleo vanno infine aggiunti altri due rami di tema guerresco che Zeri ascrive alla mano del G.: una Battaglia conservata alla Walters Art Gallery di Baltimora e un'altra nella collezione Pallavicini a Roma.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore. Processi, b. 104, c. 331; 30 notai capitolini, Uff. 15, vol. 60 (1614), cc. 50rv, 79rv; G. Baglione, Le vite… (1649), a cura di C. Gradara Pesci, I, Velletri 1924, p. 165; F. Titi, Studio di pittura… (1674-1773), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, pp. 32, 107 s., 110, 173; Casimiro da Roma, Memorie istoriche della chiesa e del convento di Aracoeli, Roma 1736, p. 183; P.A. Orlandi, Abcedario pittorico…, Venezia 1753, p. 369; L. Lanzi, Storia pittorica…, II, Firenze 1844, p. 119; S. Camilli, Direzione per osservare i monumenti più cospicui di Viterbo, Viterbo 1824, p. 41; A. Bertolotti, Artisti lombardi, II, Milano 1881, p. 85; F. Noack, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, VII, Leipzig 1912, pp. 187 s.; A. Scriattoli, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1915-20, pp. 96, 315; F. Würtenberger, Die manieristische Deckenmalereien in Mittelitalien, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, IV (1940), p. 97, fig. 45; P. Della Pergola, Galleria Borghese. I dipinti, II, Roma 1959, pp. 66, n. 96, fig. 94; L. Salerno, Cavalier d'Arpino, Tassi, Gentileschi, and their assistants, in The Connoisseur, CXLVI (1960), 589, pp. 157-162; E. Schleier, An unknown altar-piece by Orazio Gentileschi, in The Burlington Magazine, CIV (1962), pp. 432-436; L. Salerno, Pittura, scultura e arti minori nell'Aracoeli, in Capitolium, XL (1965), 4, pp. 196-202; Schede Vesme. L'arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, II, Torino 1966, p. 473, s.v.Fiore; J. Neumann, Die Gemäldegalerie der Prager Burg, Praha 1966, pp. 86-88, n. 3; C.W. Brentano, The church of S. Maria della Consolazione in Rome, tesi di dottorato, Berkeley 1967, pp. 118, 123-127; I. Faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970, pp. 52, 55, 264; G. Matthiae, S. Cecilia, Roma 1970, pp. 48-53; Il Cavalier d'Arpino (catal.), a cura di E. Röttgen, Roma 1973, pp. 47, 53, fig. 43; V. Tiberia, Una notizia sul Gentileschi e sugli altri pittori alla Madonna dei Monti, in Storia dell'arte, V (1973), 18, pp. 181-184; M.C. Abromson, Painting in Rome during the papacy of Clement VIII, tesi di dottorato, Columbia University, 1976, pp. 157 s., 364; F. Zeri, Italian paintings in the Walters Art Gallery, II, Baltimore 1976, p. 365; C. Strinati, Quadri romani tra '500 e '600. Mostra storica e didattica, Roma 1979, p. 8; L. Barroero, Rione I. Monti, III, Roma 1982, p. 48; M. Petrassi, L'arte nel palazzo: leggenda storia e fede, in Il palazzo dei Priori a Viterbo, Roma 1985, pp. 105-163 (in part., p. 156); F. Zeri, La nascita della "Battaglia come genere" e il ruolo del Cavalier d'Arpino, in La battaglia nella pittura del XVII e XVIII secolo, a cura di P. Consigli Valente, Parma 1986, pp. IX-XXVII, 368; M. Carta - L. Russo, S. Maria in Aracoeli, Roma 1988, pp. 133-136; S. Macioce, Undique splendent, Roma 1990, pp. 87, 129, 132; M. Gallo, Orazio Borgianni, l'Accademia di S. Luca e l'Accademia degli Humoristi: documenti e nuove datazioni, in Storia dell'arte, XXIV (1992), 76, p. 332; P. Cavazzini, New documents for cardinal Alessandro Peretti Montalto's frescoes at Bagnaia, in TheBurlington Magazine, CXXXV (1993), pp. 316-327; T. Kustodieva, The Hermitage. catalogue…, Moscow 1994, pp. 70 s., n. 24; S. Silvestri, Un ciclo decorativo inedito: la facciata graffita di via Annio da Viterbo, tesi di laurea, Università di Viterbo, Facoltà di conservazione dei beni culturali, a.a. 1995-96; M. Lafranconi, Documenti dell'Accademia di S. Luca presso l'Archivio di Stato di Roma, in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 147; Diz. enc. Bolaffi, V, p. 254; VII, p. 252.

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