SCORNIGIANI, Marzucco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCORNIGIANI, Marzucco

Alma Poloni

– Figlio di Scornigiano, anch’egli giudice, nacque a Pisa in data imprecisata nella prima metà del Duecento.

Apparteneva alla famiglia dei da Scorno o Scornigiani, attestata in città almeno dagli anni Quaranta del XII secolo e originaria di Scorno, località oggi scomparsa situata nel piviere di San Lorenzo alle Corti, nella pianura a ovest di Pisa.

La famiglia faceva parte della militia, l’aristocrazia cavalleresca cittadina, pur non potendo essere annoverata tra le casate di maggior rilievo sociale e politico. Gerardo da Scorno fu console di Pisa nel 1184 e un suo omonimo fu nel 1250 console dei milites. I da Scorno esercitavano diritti di patronato sull’importante chiesa cittadina di S. Martino, ubicata in Kinzica, cioè nella zona a sud dell’Arno.

La prima attestazione documentaria di Marzucco è del 1251, quando gli fu conferito un incarico diplomatico di notevole importanza e prestigio, segno che il giudice godeva già a quella data di grande visibilità. Rappresentò infatti Pisa nella stesura del trattato di alleanza con Siena e Pistoia, concluso in funzione esplicitamente antifiorentina il 19 giugno di quell’anno. La lega intendeva rilanciare l’azione dei ghibellini in Toscana pochi mesi dopo la morte di Federico II, che aveva indebolito le forze filoimperiali.

Firenze, tuttavia, reagì con decisione e nel 1252 concluse un’alleanza con Lucca, Genova e San Miniato e la campagna militare volse da subito a sfavore delle città ghibelline. La contromossa pisana fu (luglio 1253) un patto con i da Corvaia-Vallecchia, potente consorteria signorile radicata in Versilia (area di frizione tra Pisa e Lucca), i quali, in cambio della fedeltà e dell’impegno antilucchese, si videro riconosciuta la condizione di cives pisani; nell’occasione Scornigiani ricompare tra i centonove eminenti cittadini che garantirono il patto in qualità di fideiussori. Egli figura in cima alla lista, come settimo nome, insieme a personaggi di primissimo piano della vita politica cittadina; questa posizione è un’ulteriore conferma della sua influenza e probabilmente anche della sua adesione alla linea politica del governo cittadino.

La coalizione ghibellina subì tuttavia ripetute sconfitte militari: Pistoia si arrese nel febbraio del 1254, seguita da Siena a giugno. Rimasta isolata, mentre il clima politico interno si faceva sempre più incandescente, anche Pisa si risolse infine a scendere a patti con le città della lega guelfa. Il 27 luglio 1254, il podestà, affiancato dal Consiglio maggiore, nominò due procuratori incaricati di trattare la pace, con il mandato aggiuntivo (certamente imposto dalle città guelfe e prova della debolezza della posizione di Pisa) di affidare le controversie territoriali che opponevano la città a Lucca, Genova e San Miniato all’arbitrato del podestà, del capitano del Popolo e degli Anziani di Firenze. Scornigiani, che aveva condiviso la responsabilità delle scelte politiche degli anni precedenti, fu uno dei due sindici pisani, con un altro giudice che godeva della fiducia delle istituzioni cittadine, Sigerio Conetti. Costui fu tuttavia costretto a condurre le delicate trattative da solo, poiché il giorno dopo la nomina, il 28 luglio, dalla sala della torre di famiglia Marzucco lo incaricò di fare le sue veci («commisit omnes vice suas») dichiarando di non poter partecipare alla missione perché malato («cum sit gravatus infirmitate corporis»; I Libri iurium della Repubblica di Genova, 2000, I, 6, n. 1023).

Considerato anche quanto accadde in seguito, la malattia del giudice appare un po’ sospetta, o quantomeno provvidenziale. Il 4 agosto Sigerio concluse la pace con Genova e il 13 il podestà di Pisa, di nuovo affiancato dal Consiglio maggiore cittadino, nominò un procuratore per ottenere dalle istituzioni genovesi la ratifica dell’atto. La composizione del Consiglio, tuttavia, presentava un cambiamento fondamentale rispetto alla seduta di appena un paio di settimane prima. Per la prima volta vi presero infatti parte gli anziani del Popolo, che compaiono dopo i senatori, ovvero i consiglieri del Consiglio ristretto, e i consoli dei milites. Fu scelto come procuratore ancora un giudice, Gualterotto Sampante, appartenente a una famiglia estranea all’élite dirigente cittadina e destinato a essere una delle personalità di spicco del nuovo regime popolare.

Nei mesi successivi, con una rapidità sorprendente, il Popolo assunse il controllo delle istituzioni cittadine. Il colpo di mano del Popolo nasceva anche da una profonda insoddisfazione, diffusa presso ampi strati della cittadinanza, per il modo in cui erano state condotte le trattative di pace e per la posizione di debolezza in cui Pisa si era lasciata costringere. Come c’era da aspettarsi, le sentenze arbitrali, pronunciate dalle autorità fiorentine a partire dall’ottobre del 1254, furono totalmente sfavorevoli alla città tirrenica. Il nuovo governo popolare vi oppose tuttavia un caparbio ostruzionismo.

La malattia aveva consentito a Scornigiani di non legare il suo nome a una pace alla quale le forze popolari in ascesa erano fortemente ostili. Quello che è certo è che il cambio di stagione politica non segnò affatto l’offuscamento delle sue fortune, a differenza di quanto accadde per altri giudici che avevano svolto un ruolo di rilievo nella fase precedente, a cominciare dallo stesso Sigerio Conetti. Il Popolo aveva i ‘suoi’ giurisperiti, ma a Marzucco continuarono a essere affidate missioni diplomatiche di primissimo piano.

Le ostilità con le forze guelfe proseguirono e, solo dopo l’ennesima sconfitta militare subita nel giugno del 1256 a Vecchiano, in Val di Serchio, i pisani si risolsero a concludere la pace. Il trattato siglato con Firenze e Prato nel settembre di quell’anno prevedeva, tra le altre cose, la nomina di una commissione arbitrale, composta da due Fiorentini e due Pisani, incaricata di risolvere tutte le controversie legali, soprattutto di natura commerciale e finanziaria, pendenti tra fiorentini e pratesi da una parte e pisani dall’altra in seguito al lungo stato di guerra. I due arbitri pisani erano proprio Marzucco e Boccio Bocci, della domus aristocratica dei Gualandi.

In quanto esperto di diritto, Scornigiani rappresentò nuovamente Pisa nel maggio del 1258, insieme con un nobile (Ranieri Gualterotto dei da San Casciano-Lanfranchi) e un popolare (Ubaldo Gessulini), quando Pisa, Genova e Venezia decisero di cercare la mediazione della S. Sede per la controversia che contrapponeva in Sardegna le due città tirreniche, e inviarono i propri ambasciatori a Roma.

Nel 1255, infatti, il giudice di Cagliari, Chiano di Massa, si era ribellato ai Pisani e aveva stretto con i Genovesi un’alleanza (aprile 1256) che prevedeva, tra l’altro, la cessione alla città ligure di Castello di Castro, emporio commerciale di grande importanza per i Pisani. Ma i Pisani conseguirono una serie di vittorie militari, uccisero Chiano di Massa (1256) e, nel 1257, stipularono con Venezia un patto in funzione antigenovese, che portò tra l’altro alla distruzione del quartiere genovese di Acri. La situazione si sbloccò definitivamente solo il 20 luglio 1258, quando San Gilla, sede del giudice di Cagliari in mano ai genovesi, si arrese ai pisani e la città ligure rinunciò alle proprie pretese in Sardegna.

Dopo l’affermazione del Popolo, Scornigiani fu dunque l’unico giurisperito di origine aristocratica che riuscì a integrarsi nel ristretto manipolo di giudici, tutti di origine popolare, che posero le proprie competenze professionali e culturali al servizio del nascente regime e del suo inesperto gruppo dirigente. Nel frattempo, egli continuò a svolgere la sua professione all’interno dei tribunali cittadini.

La successiva tappa della carriera diplomatica di Scornigiani risale a quasi vent’anni più tardi e si colloca nell’ambito della ripresa delle ostilità tra Pisa e le città guelfe di Toscana, dopo un decennio di relativa calma.

Dal 1266 l’assunzione da parte di Carlo I d’Angiò della corona del Regno di Sicilia rafforzò infatti notevolmente lo schieramento guelfo. Nel frattempo, a Pisa la conflittualità aristocratica, sopita dopo l’affermazione del Popolo, riesplose con violenza. Negli anni Settanta gravi scontri portarono all’espulsione dei principali esponenti delle due fazioni nobiliari contrapposte, guidate dai Visconti e dai Della Gherardesca. I fuoriusciti si unirono alle forze guelfe e parteciparono alla guerra aperta che nel 1275-76 le oppose a Pisa. La città tirrenica fu infine costretta ad arrendersi e ad accettare una pace decisamente penalizzante – che prevedeva tra l’altro il rientro in città di tutti i fuoriusciti – conclusa presso il fosso Rinonico, vicino a Fornacette, il 13 giugno 1276.

Pisa fu rappresentata nelle trattative da tre giurisperiti: i giovani ed emergenti Nicola Benigni e Guido da Vada, uomini del Popolo che cominciavano solo allora a svolgere un ruolo politico importante, ai quali fu affiancato l’esperto Scornigiani, che da venticinque anni, attraverso fasi molto diverse tra loro, prestava le proprie competenze nei momenti più delicati. Scornigiani doveva avere già una certa età e di fatto questa è l’ultima attestazione di un suo impegno politico di primo piano; egli non compare in effetti nei difficilissimi anni successivi, segnati dalla nuova guerra con Genova e dalla gravissima sconfitta navale subita alla Meloria nel 1284, nonché dall’aggressione del suo contado da parte delle forze guelfe, e, infine, dall’affermazione signorile di Ugolino Della Gherardesca, poi affiancato da Nino Visconti.

Con una scelta personale molto forte, forse influenzata anche dal cupo clima politico, nel 1286 Marzucco prese l’abito dei frati minori. Alla fine degli anni Novanta egli era a Firenze, dove forse conobbe Dante, alla cui allusione in Purgatorio VI, 17-18 («quel da Pisa/ che fé parer lo buon Marzucco forte») si deve gran parte della curiosità che nei secoli successivi ha suscitato la sua figura. L’ultima attestazione in vita dell’anziano frate è del novembre del 1299; in un documento dell’ottobre del 1301 egli risulta defunto.

Non conosciamo il nome della prima moglie di Marzucco, dalla quale ebbe sicuramente un figlio, di nome Gallo. L’opinione prevalente presso gli studiosi è che «quel di Pisa» di Dante sia da identificare con Gano Scornigiani, un altro figlio di Marzucco, avuto probabilmente ancora dalla prima moglie. Secondo le cronache coeve Gano era un sostenitore di Nino Visconti e nel 1287 fu ucciso per ordine di Ugolino Della Gherardesca, in quel momento cosignore di Pisa con Visconti, in seguito alla crescente tensione tra i due. In quella occasione Marzucco, che si era già dato alla vita religiosa, avrebbe dimostrato la sua forza morale («che fé parer lo buon Marzucco forte») rifiutando gli inviti alla vendetta e pronunciando parole di pace.

Nel 1258 Marzucco aveva sposato in seconde nozze Tedora di Galgano Grossi dei Visconti. Da lei ebbe due figli, Vanni e Parente. Entrambi aderirono alla fazione guelfa viscontea e, dopo la fine della signoria di Ugolino Della Gherardesca e Nino Visconti, con il prevalere a Pisa di un orientamento ultraghibellino, trascorsero gran parte della loro vita fuori dalla città natale, mettendo le proprie abilità militari al servizio delle potenze guelfe di Toscana e dell’Italia settentrionale.

Fonti e Bibl.: F. Dal Borgo, Raccolta di scelti diplomi pisani, Pisa 1765, pp. 187-194; Statuti inediti della città di Pisa, a cura di F. Bonaini, I, Firenze 1854, pp. 596-603, 644-655; Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, II, a cura di G. Cecchini, Firenze 1934, n. 544, pp. 735-740; Documenti delle relazioni tra Carlo d’Angiò e la Toscana, a cura di S. Terlizzi, Firenze 1950, n. 729, pp. 390-397; I Libri iurium della repubblica di Genova, I, 6, a cura di M. Bibolini, Roma 2000, nn. 1022-1023, pp. 139-146.

F.P. Luiso, Per un’allusione della Divina Commedia, in Bullettino della società dantesca italiana, n.s., 1907, vol. 14, pp. 44-78; R. Piattoli, Scornigiani, famiglia, S., M., Scornigiani, Giano, in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1976, pp. 86-88; M. Ronzani, Famiglie nobili e famiglie di «popolo» nella lotta per l’egemonia sulla chiesa cittadina a Pisa fra Due e Trecento, in I ceti dirigenti nella Toscana tardo comunale, Firenze 1983, p. 119; S. Petrucci, Re in Sardegna, a Pisa cittadini. Ricerche sui «domini Sardinee» pisani, Bologna 1988, pp. 65, 87-89, 100; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un comune italiano: il popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004, pp. 71, 131, 185.

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