Azeglio, Massimo d'

L'Unificazione (2011)

Azeglio, Massimo d'


Patriota e uomo politico (Torino 1798 - ivi 1866). Figlio del marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, abbandonata la carriera militare per seguire la sua vocazione artistica, si stabilì a Roma dedicandosi in particolare allo studio della pittura (1820-30). Tra i suoi dipinti, di carattere paesaggistico-storico, possono essere ricordati: La morte di Montmorency (1825) e La disfida di Barletta (1831). Nel 1831 si trasferì a Milano, dove conobbe Alessandro Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Negli anni successivi scrisse i suoi romanzi più noti (Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, 1833, Niccolò de’ Lapi, 1841). Avvicinatosi al movimento liberale anche per la frequentazione con il cugino Cesare Balbo, nel 1845 accettò di fare per lo stesso movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana al termine del quale scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846). Nel 1847 espose il suo programma di ispirazione moderata nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana, in cui, convinto delle grandi differenze tra i vari regni d’Italia e deciso a rispettare i sovrani legittimi, si dichiarava contrario all’unificazione e auspicava la creazione di una confederazione di Stati. Per la realizzazione del suo progetto confidò prima in Pio IX e poi, più decisamente, in Carlo Alberto e in un possibile ruolo di guida del Regno di Sardegna. Dopo aver partecipato alla prima guerra d’indipendenza durante la quale rimase gravemente ferito, aprì un’aspra polemica con democratici e repubblicani da lui incolpati del fallimento della guerra. Chiamato nel maggio 1849 dal re Vittorio Emanuele II a formare il governo, impresse una spinta modernizzatrice al Regno secondo due direzioni principali: la ridefinizione dei rapporti con la Chiesa e  la politica economica. Chiuso, pur tra i contrasti, il trattato di pace con l’Austria, d’Azeglio seppe mantenere, nonostante il clima generale di forte restaurazione che attraversava tutta la penisola, il sistema costituzionale e varò nel 1850 le leggi Siccardi (dal nome del ministro della Giustizia) che eliminavano gli anacronistici privilegi di cui godeva la Chiesa mentre avviava, grazie all’opera di Cavour, entrato nel governo nel 1850, una politica liberista in campo economico. Dimessosi nell’ottobre 1852 in contrasto con il re e perché contrario alle aperture di Cavour al centro-sinistra (connubio Cavour-Rattazzi), d’Azeglio ebbe in seguito incarichi politici di minore importanza (nel novembre 1855 accompagnò Vittorio Emanuele II a Londra e a Parigi; nel 1859 fu nominato commissario straordinario nelle Romagne, nel gennaio 1860 governatore di Milano). Nel frattempo, superando ogni precedente dissidio, aiutò Cavour in alcuni momenti delicati (intervento in Crimea,1859), ma successivamente il suo moralismo conservatore e paternalistico gli impedì di cogliere il significato profondo degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti: si oppose così all’unificazione della penisola, giudicandola immatura, e si scagliò, nell’opuscolo Questioni urgenti (1861), contro la prospettiva di portare la capitale a Roma, vedendo in essa un motivo esclusivamente retorico. Solitario e incompreso, d’Azeglio allora scrisse per gli italiani, «ancora da fare», I miei ricordi, rimasti incompiuti (si fermano al 1846) e pubblicati postumi nel 1867.

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