Materialismo

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Teoria filosofica che nell’interpretare gli eventi del mondo naturale e il corso della storia umana assume la materia come unico principio esplicativo.

La filosofia greca

All’interno delle mitologie antichissime il concetto di una materia corposa, resistente al tatto, che sta alla base di tutte le cose, è onnipresente. Il caos delle cosmologie babilonesi ed egizie, l’immagine della Terra salda e immobile al centro di uno spazio indeterminato, comune a tutte le figurazioni primitive, forniscono un primo embrione dell’idea di materia: una massa che si addensa a partire da uno stato originario di confusione. Simmetrico a questo è il concetto dell’intelligenza ordinatrice, commisto alle più svariate proiezioni antropomorfe prima della rigorosa formulazione monoteistica degli Ebrei. Controversa resterà invece, nel sincretismo di racconto mosaico e sistemi filosofici greci, la questione concernente lo status della materia prima, preesistente e increata, oppure creata dal libero atto divino. Egualmente controverso, nell’interpretazione dei grandi filosofi dell’antichità, rimase il concetto di ἀρχή – materia originaria o primordio del mondo fisico – escogitato dai primi ‘fisiologi’ ionici.

Sottoponendo a una critica serrata le dottrine dei predecessori, Aristotele elaborò il concetto di sostanza destinato a restare alla base del pensiero occidentale per quasi duemila anni: nell’ambito della sostanza, la ὕλη, il sostrato ultimo del mondo fisico, è per Aristotele e i suoi seguaci ortodossi un concetto-limite, l’elemento passivo, potenziale, che riceve tutte le forme dalla gerarchia della scala naturae che lo sovrasta. Egualmente, il demiurgo del Timeo platonico non crea, ma dispone la materia prima nello spazio, modellando e formando con essa la struttura del cosmo, al quale infonde l’anima, l’armonia, la bellezza. A parte la definizione dello status metafisico della materia, Platone e Aristotele accolsero, sul piano fisico, la dottrina empedoclea delle quattro ‘radici’ e la rielaborarono nella fisica delle qualità, anch’essa destinata a dominare a lungo il pensiero occidentale. Terra, acqua, aria, fuoco erano, in concreto, i quattro elementi originari, disposti nelle quattro sfere concentriche dello schema cosmologico geostatico, al di là delle quali si trovava l’etere o quinta essenza.

La dottrina fisica di Aristotele, postulante il plenum e la divisibilità indefinita della materia, si fondava su una serrata critica dell’atomismo, formulato da Leucippo e Democrito pochi decenni prima. Nell’atomismo – sia nella versione originaria, sia in quella più tarda di Epicuro e Lucrezio – è ravvisabile la forma più coerente di m. elaborata nell’antichità. Dal punto di vista strettamente fisico, Democrito ed Epicuro postularono particelle qualitativamente omogenee, differenti soltanto per grandezza e forma, mobili o cadenti nello spazio vuoto e aggregantisi in vortici. L’ipotesi degli atomi era completata da una cosmologia e da una psicologia meccaniciste, da una teoria della conoscenza che distingueva le qualità oggettive (peso, grandezza, forma) da quelle puramente soggettive (il colore e le altre risultanti dal gusto e dall’olfatto), dall’etica della voluptas e dell’amicizia.

Dal mondo romano all’aristotelismo latino

I sistemi di Aristotele e di Epicuro e le scuole dell’età ellenistica offrirono i termini di riferimento essenziali a tutte le dispute fisico-teologiche che si svolsero intorno al concetto di materia e alle sue implicazioni. Nel mondo romano, il modulo esemplare della confutazione dei materialisti è fornito da Cicerone con i dialoghi De natura deorum e con le Tusculanae: per lungo tempo, la cultura patristica e scolastica adottò lo schema ciceroniano nella polemica contro gli empi atomisti. Fu il recupero della fisica aristotelica, dovuto ai maestri arabi, a riproporre su nuove basi il problema complessivo della conoscenza della natura. Così la questione della ‘materia prima’ aristotelica fu al centro delle dispute dottrinali sorte intorno all’interpretazione averroistica di Aristotele, fedele alle tesi dell’eternità del mondo e dell’esclusione della provvidenza.

Alla posizione di Averroè si oppose la concezione della materia dell’aristotelismo latino: nella sintesi di Tommaso d’Aquino, la distinzione tra la materia intesa come pura potenza e la materia signata da una forma che la individualizza. Adottando la fisica aristotelica all’interno della summa dottrinale cristiana, Tommaso tentò di neutralizzare le possibili implicazioni materialistiche.

Dal Cinquecento a Galilei

Nel 16° sec. l’operazione inversa sarà compiuta da Pietro Pomponazzi e dal naturalismo aristotelico padovano: A. Cesalpino, G.C. L. Vanini, C. Cremonini giungeranno, commentando Aristotele, assai prossimi a posizioni materialistiche. Il concetto aristotelico di materia entrò tuttavia in crisi soltanto quando fu infranto l’involucro cosmologico tolemaico che lo aveva conservato e protetto per secoli. Non si devono tanto a N. Copernico, quanto a G. Bruno e a G. Galilei, la critica radicale della fisica dei quattro corpi e delle qualità e la reimpostazione su nuove basi del problema della materia. La distruzione del cosmo chiuso, la caduta della distinzione tra cielo e terra, la creazione di una meccanica razionale unitaria, valida per tutti i moti dell’universo, giovarono al recupero dell’antica filosofia corpuscolare di Epicuro e Lucrezio. Gli atomi e il vacuum, la materia prima omogenea costituita di particelle dure e insecabili che si aggregano nello spazio, fornivano l’immagine più adeguata del mondo fisico, dopo che la terra era stata rimossa dal suo luogo privilegiato e proiettata nei cieli: consentivano, cioè, di fondare una fisica integralmente meccanicistica e libera da ogni ipoteca metafisica. Tuttavia non si trattò di un processo lineare. I sostenitori e i teorici della nuova scienza attinsero a varie fonti le loro argomentazioni antiaristoteliche. Riguardo al concetto di materia, Bruno riprese dalla tradizione ermetica e stoico-neoplatonica la nozione di un’attività originaria insita nelle porzioni infinitesime della natura, entro una prospettiva decisamente immanentistica. Alle stesse fonti s’ispirarono il naturalismo di T. Campanella e quello di B. Telesio, profondamente venati di residui animistici e platonizzanti.

Galilei, il grande artefice della nuova meccanica, fu invece singolarmente cauto di fronte al problema della struttura della materia; le sue pagine più chiare, in proposito, sono quelle del Saggiatore, dove è enunciata la classica distinzione tra qualità primarie e secondarie, e la spiegazione anche di queste ultime (odori, sapori ecc.) in termini corpuscolari. Comunque, lo sviluppo della meccanica e la riduzione a problemi meccanici sia dei moti degli astri, sia dei fenomeni terrestri, sia delle funzioni fisiologiche, imposero con sempre maggiore precisione la scomposizione del mondo naturale secondo il peso, il numero, la misura.

I filosofi scienziati e la nuova scienza

Due alternative teoriche fondamentali, destinate a dividere per alcuni decenni l’opinione, furono disegnate da filosofi scienziati come Descartes e P. Gassendi. Al primo si deve la ‘geometrizzazione a oltranza’ del mondo fisico e la connessa edificazione di un rigoroso schema meccanico, nel quale la materia e il movimento apparivano sufficienti a una ricostruzione integrale di tutti i fenomeni, inclusi quelli fisiologici e nervosi: il plenum, l’etere, i vortici, la materia sottile divisibile all’infinito, la teoria corpuscolare della luce, gli spiriti animali e le altre dottrine fisiche concepite da Descartes si articolavano nel quadro di una res extensa materiale, sottratta alle cause finali e ai miracoli. Gassendi invece condusse a fondo l’attacco contro i residui della fisica peripatetica, alla quale oppose la sua grande ricostruzione erudita delle dottrine atomistiche di Epicuro e di Lucrezio: gli atomi insecabili, il vacuum, la riduzione della qualità a quantità si ricollocavano al centro dell’‘ipotesi corpuscolare’ moderna in un’impeccabile prospettiva storica.

La seconda generazione dei protagonisti della nuova scienza – da R. Boyle a C. Huygens, da E. Mariotte a von Guericke, da M. Malpighi a F. Redi, da G.A. Borelli a I. Newton – fu profondamente influenzata dall’alternativa fra le due immagini del mondo fisico e dal loro conflitto. In Inghilterra e in Italia, la ricerca sperimentale rifiutò sostanzialmente il concetto cartesiano di res extensa e si attenne a ipotesi corpuscolari di tipo epicureo-gassendiano; nei Paesi Bassi e in Francia, l’ortodossia cartesiana si affermò e resse più a lungo. Tuttavia, entrambe le alternative e le loro interazioni reciproche favorirono l’incubazione di formule materialistiche estreme, implicitamente o esplicitamente ateistiche. T. Hobbes unificò l’esplicazione meccanica dell’universo fisico con una radicale interpretazione materialista del mondo umano, morale e politico. Il convergere dei diversi piani – scienza, politica, religione – fu essenzialmente dovuto, nel 17° sec., alla funzione egemonica che la scienza esercitò in ogni campo del pensiero. Ciò non significa tuttavia che nel suo complesso il movimento scientifico si avviasse verso posizioni irreligiose o ateistiche. Tra i più strenui assertori di una conciliazione tra l’ipotesi corpuscolare e la provvidenza divina si trovano uomini sinceramente religiosi, come i platonici di Cambridge, Boyle, i ‘virtuosi’ della Royal Society, e soprattutto Newton. Anche Gassendi e Descartes, nell’ambito culturale cattolico, avevano proposto un compromesso nuovo tra fisica corpuscolare e metafisica cristiana. D’altra parte non pochi dei loro seguaci trassero conseguenze materialistiche in senso proprio dalla res extensa o dall’ipotesi corpuscolare. Anche in questo caso, decisiva appare la componente etico-politica.

Il 18° secolo

Pur appellandosi alla meccanica, alla fisica, alla dottrina iatromeccanica, i materialisti del tardo Seicento e del primo Settecento fecero le loro scelte sul terreno dei grandi conflitti politici e religiosi contemporanei. Si trattò dunque di un’ideologia di opposizione, connessa a un profondo rivolgimento sociale, antifeudale, anticattolico. Gli ingredienti della nuova ideologia materialista furono molteplici: in Inghilterra, C. Blount e J. Toland accolsero spunti bruniani e hobbesiani, e impressero alle discussioni deistiche una decisiva svolta in senso materialista; in Francia, l’aristocratico H. de Boulainvillier, gli anonimi compilatori dei manoscritti clandestini (diffusi tra il 1720 e il 1760), il curato J. Meslier, rielaborarono massicci sistemi materialistici, in margine all’Ethica di Spinoza, alle varianti del panteismo e dell’epicureismo libertino; in Italia, i cartesiani napoletani dettero vita a un largo sincretismo, destinato ad assumere una decisa fisionomia materialista nel Triregno di P. Giannone. Lo stato di semi-clandestinità o di persecuzione nel quale operarono questi scrittori ha fatto misconoscere per lungo tempo la loro vastissima attività.

Più nota, e storicamente più efficace, è invece la diffusione dell’ideologia materialista dovuta alla seconda generazione dei philosophes illuministi. L’ateismo e il m., coltivati come una sorta di credo laico dai compilatori di manoscritti clandestini, da autori di utopie quali il barone di La Hontan, Vairasse, Morelly, fu adottato da una piccola cerchia di collaboratori dell’Encyclopédie, dapprima in forma prudente e dissimulata, poi in modo esplicito (Diderot, Buffon, La Mettrie, C.-A. Helvétius). Il gruppo di philosophes operò come una vera e propria ‘centrale’ di proselitismo ideologico, in un’epoca che vedeva accentuarsi sempre più il conflitto tra l’antico regime e i portavoce intellettuali del Terzo stato. L’originalità del movimento non era più tanto nei temi – che rifluivano dalle più varie tradizioni antiche e recenti – quanto nel fatto che il m. si presentava ormai come una vera e propria ideologia di ‘classe’, anche se non sovversiva. Nel 18° sec. il giudizio sull’ideologia materialista fu dunque anzitutto un giudizio politico.

I secoli 19° e 20°

La reazione idealistica in Germania e lo spiritualismo in Francia accentuarono la condanna ‘filosofica’ del m. che, con la Restaurazione, fu rinnegato e ricollocato ai margini della filosofia accademica. In quanto ipotesi di lavoro, la fisica, la chimica, la biologia del 19° sec. continuarono a riferirsi al concetto di materia come a un dato ‘neutro’, ormai acquisito al pensiero scientifico. Emancipata ormai da qualunque soggezione alla tradizione teologica, la scienza della natura poteva prescindere dall’ideologia militante. L’elemento ormai inerte, nei dibattiti sul m. scientifico e più tardi sul positivismo, era quello propriamente politico; l’avvento della borghesia al potere, il trionfo della scienza sperimentale, avevano in certo senso esaurito la sua carica pragmatica e rivoluzionaria. La stessa definizione di ‘m. volgare’, usata da K. Marx, rispecchia tale situazione. Storicamente, essa non rendeva piena giustizia all’effettiva funzione politica svolta dall’ideologia materialista. Era una definizione soprattutto polemica, intesa a mettere in luce i limiti d’una vecchia dottrina nei confronti dei suoi nuovi avversari. L’idealismo hegeliano rappresentò una nuova sfida filosofica per gli ‘eredi della filosofia classica tedesca’. Feuerbach, Marx, Engels e i loro seguaci si posero sul terreno stesso dell’avversario e risposero alla sfida con un nuovo m., ‘storico’ e ‘dialettico’, che del m. sei-settecentesco rinnovava soprattutto la spinta ideologica militante.

Meno avvertita nel 20° sec. la problematica del m., anche perché è ormai demandato alla ricerca scientifica il compito di determinare la correttezza delle sue ipotesi e la struttura della materia. Ciò nonostante, molto vivace è apparso il dibattito sul fisicalismo, originariamente sorto nel Circolo di Vienna per poi trovare sostenitori negli sviluppi statunitensi dell’empirismo contemporaneo (segnatamente W.V.O. Quine). In quanto forma di m., ma con l’avvertenza che della materia possono darci nozione soltanto le scienze naturali, il fisicalismo ha avuto come obiettivo la riduzione delle varie scienze alla fisica, considerata la prima e fondamentale scienza della natura (➔ riduzionismo). Particolare rilevanza in questa prospettiva, almeno a partire dalla seconda metà del secolo, ha avuto la discussione sulla riducibilità delle nozioni mentali, e quindi della psicologia, a nozioni di tipo fisico (➔ mente).

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