BANDELLO, Matteo

Enciclopedia Italiana (1930)

BANDELLO, Matteo

Letterio Di Francia

Nacque nel 1485, da nobile famiglia, a Castelnuovo Scrivia, nel territorio di Tortona, che allora faceva parte della Lombardia; ond'egli, anziché piemontese, si dichiarò sempre lombardo d'origine e di lingua. E lombardo poteva pure considerarsi, per aver ricevuto la prima istruzione religiosa e letteraria a Milano, sotto l'autorevole direzione dello zio Vincenzo, priore del convento domenicano di S. Maria delle Grazie. Quivi troviamo già allogato il piccolo Matteo verso il 1497, allorché Leonardo vi dipingeva il suo mirabile Cenacolo. Poi egli andò a proseguire gli studî nell'università di Pavia, dove contrasse salde amicizie con giovani di grande avvenire.

Dopo la vita gaia dell'università, eccolo a Genova, in quel convento dei padri domenicani, tutto pieno di fervore religioso per la clamorosa conversione a vita monastica di G. B. Cattaneo, giovine dissoluto, vissuto poi e morto santamente. Il Bandello ne detta la biografia, in un latino molto artificioso, e frattanto, in quella stessa città, pronunzia i voti religiosi. Ma l'ardore della fede durò poco in frate Matteo, incline agli agi e alla mondanità, che ebbe frequenti occasioni di godere ampiamente, quando lo zio Vincenzo fu nominato generale dell'ordine (1501) ed egli lo accompagnò in visita ai molti conventi sparsi dappertutto per l'Italia. Poté così visitare Firenze, ove s'innamorò d'una Viola (probabilmente Violante Borromea), e Roma, dove fu introdotto dal suo amico Angelo dal Bufalo nel salotto sfarzoso della cortigiana Imperia; indi fu a Napoli, dov'ebbe la protezione dell'ex-regina d'Ungheria, Beatrice d'Aragona, vedova di Mattia Corvino; e, da questa città si spinse nell'estrema Calabria, stringendo ovunque legami d'amicizia con personaggi delle più diverse condizioni, e acquistando al tempo stesso larga esperienza del mondo e della vita.

Morto nel 1506 il suo benefattore, il nipote ritorna desolato a Milano, rientra nel Convento delle Grazie; ma il suo temperamento sensuale, irrequieto e avventuroso, anziché renderlo pago della quiete claustrale, lo trasporta fra il tumulto della società colta e raffinata, a frequentare non solo le conversazioni dei dotti, ma le sale fastose dell'aristocrazia, i luoghi di villeggiatura e di delizie. Mentre la Lombardia è travagliata dalle più tristi vicende politiche e guerresche, ed è disputata tra Sforzeschi, Francesi e Spagnoli, egli parteggia dapprima per gli Sforza, poi volge tutte le sue simpatie ai Francesi; e non sa frenare l'odio contro gli Spagnoli, a causa soprattutto della loro spilorceria ed alterigia.

Intanto, com'era allora costume della maggior parte dei letterati, anch'egli si mise a servizio di signori, e prestò dapprima delicati uffici ad Alessandro Bentivoglio e alla sua consorte, la colta Ippolita Sforza, per i quali si recò sino in Francia, alla corte di Luigi XII; indi, trasferitosi a Mantova, si rese accetto ai Gonzaga, segnatamente alla marchesa Isabella d'Este, nota protettrice di letterati e poeti. Da Mantova non mancò di fare qualche capatina in altri luoghi della Lombardia, dove coltivò le antiche conoscenze ed altre ne strinse di nuove, col suo carattere accorto e pieghevole, facile a blandire e ad inchinarsi davanti al merito e alla ricchezza.

Nel 1525, dopo la memorabile battaglia di Pavia perduta dai Francesi, essendo rimasta la città di Milano alla mercé degli aborriti Spagnoli, si vide costretto, per salvare la vita, ad abbandonare quel gradito soggiorno e a "cangiar abito e costumi"; però i libri e i manoscritti di lui si dispersero nel saccheggio della sua casa. Al costituirsi, contro gli Spagnoli, della seconda Lega santa, eccolo di nuovo errante per l'Italia, a condividere i pericoli e i disagi degli accampamenti, al fianco ora del marchese Francesco Gonzaga, ora di Giovanni dalle Bande Nere, presso il quale conobbe personalmente Niccolò Machiavelli, inviato dai Fiorentini. Dopo il sacco di Roma, il Bandello è al seguito di Ranuccio Farnese; nel 1529 prende servizio presso il capitano Cesare Fregoso, fuoruscito genovese, allora generale della Repubblica veneta, passato poi alle dipendenze di Francesco I re di Francia; ne condivide le sorti, prestandogli fedelmente uffici di segretario in Verona (1529-36), nel tranquillo ritiro di Castelgoffredo e altrove; fino a che il suo mecenate, perché ligio alla Francia, non soccombe (1541) sotto il pugnale dei sicarî di Carlo V. Fu un grave colpo per il Bandello.

L'anno seguente, essendosi la vedova Costanza Rangone trasferita di là dalle Alpi, egli l'accompagnò nella quieta ed amena dimora di Bassens, sulle rive della Garonna, dove la memore riconoscenza di Francesco I aveva assegnato alla famiglia dell'ucciso capitano un onorevole soggiorno: e quivi il nostro domenicano rimase in volontario esilio dal 1542 sino alla morte, avvenu ta nel '61. Incaricato di reggere temporaneamente il vescovato di Agen, egli lo tenne per un quinquennio, dal '50 al '55; cioè, sino a tanto che non ebbe raggiunta l'età prescritta quello dei figli della sua padrona, a cui quel benefizio era stato assegnato dalla liberalità del re Enrico II. Ma più che attendere al suo vescovato, lasciato alle cure di Giovanni Valerio vescovo di Grasse, egli approfittò della tranquillità che gli veniva finalmente assicurata, per "vivere a sé e alle Muse", per dedicarsi cioè tutto agli studî prediletti, scrivendo in versi e in prosa, e continuando a comporre o a correggere le sue Novelle, che appunto allora si stampavano a Lucca, dal Busdrago (1554). Dopo, indignato pel divieto opposto dal governo lucchese alla stampa della novella di Simon Turchi, pregiudizievole all'onore della famiglia, volendo ad ogni costo spuntarla, si decise a preparare ancora una quarta parte dell'opera sua, aggiungendo al racconto di quel truce delitto altri racconti; ma essa non andò oltre la novella 28ª e fu stampata postuma a Lione, nel 1573, per cura di Alessandro Marsili.

Opere minori. - A dargli fama non potevano valere le prime composizioni (la traduzione in latino della celebre novella di Tito e Gisippo, Dec., X, 8, qualche orazione e alcuni scritti biografici in latino) scarse di numero e di valore assai mediocre. Né grande è il pregio delle poesie volgari, date a stampa dall'autore: i Canti XI delle lodi della signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo (1536-38), in ottave, e Le tre Parche, nella natività del sig. Giano, primogenito del sig. Fregoso (1531), in tre capitoli: opere tutt'e due di carattere encomiastico, fredde d'ispirazione e di stile, notevoli solo per qualche spunto autobiografico. Si aggiunga a questi scritti la traduzione in versi dell'Ecuba di Euripide, con una dedicatoria a Margherita regina di Navarra, in data del 1539, ma pubblicata solo nel secolo scorso da G. Mansi (Roma 1823).

Più importante è certamente il Canzoniere, dedicato con la solita lettera proemiale e la data di Agen 1544" a Madama Margarita di Francia, figliuola del cristianissimo re Francesco I": copiosa raccolta di oltre duecento componimenti (canzoni, sonetti, ballate, madrigali, sestine), dove peraltro è troppo palese e servile l'imitazione petrarchesca, spesse volte anche insincera e monotona.

Le Novelle. - Perciò la fama del Bandello rimane unicamente affidata alle sue Novelle, che nelle quattro parti, in cui sono inegualmente distribuite, sommano a 214 (59 nella parte I e nella parte II; 68 nella III e 28 nella IV). Distinguendosi felicemente dagl'innumerevoli imitatori del Decameron, il Bandello abbandonò l'idea troppo abusata di raggruppare i suoi racconti entro un quadro un altro esempio, che gli era offerto dal Novellino di Masuccio Salernitano. E, come questi aveva premesso ad ogni racconto una dedicatoria a un illustre personaggio, similmente lo scrittore cinquecentista, componendo le sue novelle alla spicciolata e senza osservare ordine alcuno, fece precedere a ciascuna di esse una dedicatoria a persone di ogni condizione sociale, uomini di chiesa e di spada, letterati e giuristi, gentildonne e gentiluomini dell'Italia e della Francia, oscuri e famosi. In essa si accenna molto opportunamente all'occasione e al luogo, ove la novella figura raccontata, chi ne sia stato il narratore, quali gli ascoltatori, con notizie e particolari quasi sempre gustosi. Bella invenzione, per certo, che ti dà l'illusione di trovarti in mezzo a quelle gioconde adunanze di persone generalmente colte, di assistere ai loro vivaci commenti, alle loro animate discussioni, e di vedere rappresentata con atteggiamenti diversi, e sotto gli aspetti e nei tipi più svariati, quella società per tante ragioni interessante, in parecchie regioni nostre e d'oltralpe; giacché il novellare si sposta da un luogo all'altro e segue sempre il Bandello rielle tante peregrinazioni della sua vita avventurosa. Pertanto egli viene a costituire come il centro animatore di quel mondo così vasto e affollato, che altrimenti potrebbe apparire incoerente e slegato; e in esso agiscono, discutono, raccontano avventure e casi d'ogni sorta, uomini celebri, quali Leonardo e il Machiavelli, il Trissino, Baldassar Castiglione e Francesco Berni, Giovanni dalle Bande Nere e Marcantonio Colonna, o dame della più alta aristocrazia, fra le quali basterà ricordare Ippolita Sforza, Isabella d'Este, Veronica Gambara. Ora, tutto questo apparato, così ricco di color locale e di curiose particolarità, fu creduto per molto tempo storico e verace; ma la critica più recente ha dimostrato che è solo una piacevole finzione, non più veritiera che quelle di altri novellieri contemporanei, nonostante l'abilissimo ambientamento e quantunque i nomi dei presunti narratori siano quasi sempre reali.

Alla varietà e pienezza di vita, che circola nelle dedicatorie ben corrisponde la doviziosa molteplicità delle novelle, la maggior parte di contenuto passionale e drammatico, senza escludere peraltro le avventure di genere romanzesco, o anche comico e faceto. Specialmente in queste ultime non si hanno troppi riguardi per la morale e il buon costume, secondo l'uso dei tempi. Le novelle del Bandello presentano ora fatti reali e curiese leggende storiche (La Contessa di Challant, Sofonisba, Maometto II, Eduardo III ed Aelips, Don Giovanni di Mendozza e la Duchessa di Savoia, Ugo e Parisina, Aleramo e Adelasia); ora casi strani e accidenti impreveduti, dove si alternano, senza stancare, pianto e riso, le note alte e commoventi del dramma con la giocondità, le turpitudini e le sguaiataggini della commedia, in modo tuttavia da conseguire abilmente, mercé i molti particolari veristici, una grande verosimiglianza e naturalezza.

Per tutto ciò, il libro del Bandello ebbe una considerevole fortuna e si diffuse più oltralpe che in Italia, fin da quando il Boaistuau, in collaborazione col Belleforest, traduceva in francese molto liberamente le narrazioni più drammatiche (Histoires tragiques, Parigi 1559 segg.) e vi lodava soprattutto le mérite de l'invention et la vérite de l'histoire; anche se si debba osservare che "il merito dell'invenzione" spetta in gran parte ad altri autori, di lingua italiana, latina, francese, saccheggiati sfrenatamente dal novellatore di Castelnuovo, e che "la verità della storia", quando non sia una semplice lustra, è di seconda o terza mano. Fatto sta che la raccolta bandelliana, nel testo originale o nella traduzione francese, fu, dopo il Decameron, l'opera novellistica italiana più conosciuta e apprezzata in Europa per la sua universalità e per la ricchezza dei soggetti passionali e drammatici. Pertanto, poteva scrivere di essa un autorevole critico inglese, il Dunlop, che il novelliere del Bandello "è uno specchio magico, nel quale si riflette il suo secolo e vi proietta tutta quella folla di particolarità e di figure caratteristiche, principali e secondarie, che inutilmente si cercherebbero nei grandi storici contemporanei". Ma già, prima di lui, il celebre drammaturgo e novellatore spagnolo Lope de Vega, proemiando sul principio del Seicento a Las fortunas de Diana, aveva dichiarato esplicitamente di preferire le novelle tragiche del Bandello a quelle nazionali del Cervantes; e infatti da esse cavava la trama per parecchi suoi drammi. Né diversamente aveva fatto, pochi anni prima, lo Shakespeare, sceneggiando con la superiorità del genio l'argomento di Romeo e Giulietta, derivato da una celebre novella bandelliana (parte II, nov. 9), per il tramite di un poemetto inglese del Brooke, 1562, il quale, a sua volta, l'aveva appreso probabilmente dalla traduzione francese, come nello stesso secolo fecero altresì, per molti altri temi, W. Painter nel Palace of Pleasure (1566) e il Fenton nei Tragicall discourses (1567).

Agl'Italiani, invece, non poteva sfuggire che le qualità di scrittore sono nel Bandello poco felici, che la forma a volte è troppo prolissa e diffusa, a volte sciatta e pedestre, che il suo spirito e la sua psicologia peccano assai di frequente per trivialità e grossolanità, e che la lingua, infine, ha molte scorie dialettali ed è inquinata, per giunta, da crudi gallicismi. Del resto, egli stesso non la pretende a prosatore d'arte e confessa di non avere stile, né lingua, di non essere fiorentino, né toscano, ma lombardo, e perciò di meritare venia "se talora usa alcuna parola triviale e poco usitata, che spiri alquanto del gotico". Registratore di cronache egli suol essere, come osserva il Parodi, che dice "cronachistiche" gran parte delle novelle, le quali, non fuse nella fantasia, attingono il loro interesse dalla verità materiale dei fatti narrati.

Delle opere latine, vivente l'A. fu pubblicata solo la traduzione della novella boccaccesca, Titi Romani Egesippique Atheniensis amicorum historia, Milano 1509, e la Parentalis oratio pro clariss. imperatore Francisco Gonzaga, s. a.; alcuni saggi (Vita di G. B. Cattaneo e Orazione per il marchese Fr. Gonzaga) ne dette E. Masi, M. B. o Vita ital. di un novelliere del Cinquecento, Bologna 1900, Appendici. Delle poesie volgari, i Canti XI e Le tre Parche uscirono ad Agen (Guienna) 1545; il codice della Naz. di Torino, che conteneva Alcuni fragmenti delle Rime del B., andò distrutto nell'incendio del 1904, ma fortunatamente l'opera era già stata pubblicata dal Costa, Rime di M. B., Torino 1816, e fu ristampata poi dal Picco, con una buona introduzione. Furono pubblicate anche varie lettere: nove da A. Ronchini. Lettere d'uomini illustri, Parma 1853; da G. Biadego, Tre lettere ined. di M. B., in Preludio, 1883, p. 157; da P. Negri, Nuove lettere di M. B., Città di Castello 1914, ecc. Per le Novelle esistono i manoscritti solo di due racconti. L'ediz. principe s'intitola: La prima (La seconda, La terza) parte de le Novelle del B., in Lucca per il Busdrago, MDLIIII; e La quarta parte de le Novelle del B. nuovamente composte né per l'addietro date in luce, in Lione, appresso Aless. Marsilii, 1573 (completa alla Palatina di Parma).

Bibl.: Il saggio più completo di bibliografia bandelliana fu dato da Fr. Picco, in fine ai Cenni biograf. e bibliografici premessi alle Quaranta Novelle di M. B. aggiuntavi Giulietta e Romeo di L. da Porto, Milano 1911; qualche nuovo elemento aggiunse egli stesso, in B., Il Canzoniere, Torino 1923, pp. 39-42. V. anche G. Balsamo-Crivelli, Le quattro parti de le Novelle del B., Torino 1924, Nota bibliograf., I, pp. xiii-xvi. Per la biografia, Morellini, M. B. novellatore lombardo, Sondrio 1900; E. Masi, op. cit. Per la data di nascita, Carletta, in Riv. d'Italia, 15 nov. 1900, III, p. 537; di morte, Picco, in Études italiennes (1919), I, pp. 225-28.

Il ritratto tradizionale del B. fu dato dapprima da G. Poggiali, La prima parte de le Novelle del B., Londra (ma Livorno) 1791, e riprodotto da L. Costa, op. cit., da G. Zirardini, L'Italia letter. ed artistica, galleria di cento ritratti, ecc., Parigi 1850, pp. 262-263, dal Picco, op. cit.; ma non sembra autentico.

Vedi inoltre: G. B. Passano, I novellieri ital. in prosa, I, Torino 1878, pp. 34-40; Balsamo-Crivelli, op. cit., e G. Brognoligo, M. B., Le Novelle, nella collezione Scrittori d'Italia, Bari 1910-12. Per l'illustraz. storico-estetica, oltre alle storie letterarie: J. Dunlop, History of prose Fiction, nuova ed., II, Londra 1896, pp. 214-27; H. Meyer, M. B. nach seinen Widmungen, in Archiv f. das Studium d. neueren Sprachen u. Litt., CVIII, p. 324 segg., e CIX, p. 83 segg.; A. Bonneau, Les nouvelles de B., in Curiosa, Parigi 1887, pp. 109 segg.; Symonds, Renaissance in Italy, Ital. Literature, II, Londra 1904, cap. x, p. 57 segg.; T. Parodi, Le novelle del B., nel vol. postumo Poesia e letteratura, Bari 1916; L. di Francia, Alla scoperta del vero B., in Giorn. stor. letterat. ital., LXXVIII (1921), p. 290 segg., LXXX (1922), p. i segg., LXXXI (1923), p. i segg., e Novellistica, Milano, II, pp. 1-62. Circa la fortuna fuori d'Italia, v. Picco, op. cit.; per la Francia, Van Bever e Sansot-Orland, Oeuvres galantes des conteurs italiens, con notizie biografiche e bibliograf., Parigi 1903, pp. 206-291, e R. Sturel, B. en France au XVIe siècle, in Bulletin italien, XIII, pp. 210 e 331, XIV, p. 29 e 211, XV, pp. 2 e 56 segg.; per la Spagna, Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela, Madrid 1907, Introduzione, II, pp. xx-xxii; per l'Inghilterra, R. L. Douglas, Introduzione alla ristampa di Certaine tragicall Discourses del Fenton, Londra 1898 ed E. Köppel, Studien z. Gesch. der ital. Novelle in der englischen Litteratur, Straburgo 1892.

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